Google This is a digitai copy of a book that was prcscrvod for gcncrations on library shclvcs bcforc it was carcfully scannod by Google as pari of a project to make the world's books discoverablc online. It has survived long enough for the copyright to expire and the book to enter the public domain. A public domain book is one that was never subjcct to copyright or whose legai copyright terni has expired. Whether a book is in the public domain may vary country to country. Public domain books are our gateways to the past, representing a wealth of history, culture and knowledge that's often difficult to discover. Marks, notations and other maiginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journcy from the publisher to a library and finally to you. Usage guidelines Google is proud to partner with librarìes to digitize public domain materials and make them widely accessible. Public domain books belong to the public and we are merely their custodians. Nevertheless, this work is expensive, so in order to keep providing this resource, we have taken steps to prcvcnt abuse by commercial parties, including placing lechnical restrictions on automated querying. We also ask that you: + Make non-C ommercial use ofthefiles We designed Google Book Search for use by individuals, and we request that you use these files for personal, non-commerci al purposes. + Refrain fivm automated querying Do noi send aulomated queries of any sort to Google's system: If you are conducting research on machine translation, optical character recognition or other areas where access to a laige amount of text is helpful, please contact us. We encouragc the use of public domain materials for these purposes and may be able to help. + Maintain attributionTht GoogX'S "watermark" you see on each file is essential for informingpcoplcabout this project and helping them lind additional materials through Google Book Search. Please do not remove it. + Keep it legai Whatever your use, remember that you are lesponsible for ensuring that what you are doing is legai. Do not assume that just because we believe a book is in the public domain for users in the United States, that the work is also in the public domain for users in other countiies. Whether a book is stili in copyright varies from country to country, and we cani offer guidance on whether any specific use of any specific book is allowed. Please do not assume that a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner anywhere in the world. Copyright infringement liabili^ can be quite severe. About Google Book Search Google's mission is to organize the world's information and to make it universally accessible and useful. Google Book Search helps rcaders discover the world's books while helping authors and publishers reach new audiences. You can search through the full icxi of this book on the web at |http: //books. google .com/l Google Informazioni su questo libro Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google nell'ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo. Ha sopravvissuto abbastanza per non essere piti protetto dai diritti di copyriglit e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è un libro clie non è mai stato protetto dal copyriglit o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l'anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico, culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire. Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te. Linee guide per l'utilizzo Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili. I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa l'imposizione di restrizioni sull'invio di query automatizzate. Inoltre ti chiediamo di: + Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Googìc Ricerca Liba per l'uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali. + Non inviare query auiomaiizzaie Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l'uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto. + Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla. + Fanne un uso legale Indipendentemente dall'udlizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di fame un uso l^ale. Non dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe. Informazioni su Google Ricerca Libri La missione di Google è oiganizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e finibili. Google Ricerca Libri aiuta i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed edito ri di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web nell'intero testo di questo libro da lhttp: //books. google, comi 1 - &- > *- . 1 J?arùarl) CoIIebc S-ibrarc DANTE SOCIKTA' CAMBRIDGE. MASS. o SOCIETÀ DANTESCA miANÀ OPERE MINORI r 01 DANTE ALIGHIERI KDIZIONK CRITICA ESEMPLARE offerto ALLA SOCIETÀ DANTESCA DI CAMBRIDGE, MASS. IL TRATTATO DE VULGARI ELOQUENTIA PER CURA ^ DI PIO Ri^JNi^ FIRENZE SUCCESSORI LE MONNIER 1896 *=fi^vu ^b^^.^i^.z \ \. Firmise, 18M. — Steb. Tip. Fiorwitiao, V1a8. UaUo, SS. AD ALESSANDRO D'ANCONA TARDO TRIBUTO DI NON MUTABILE RICONOSCENZA \ PREFAZIONE Non HO precisare quando il peìisiero di un' edizione critica del trattalo De vulgari Eloquentia sia sorto in me. V attuaziofie cominciò nell'agosto del 1880 con una pri- ma collazioìw del codice di Grenoble eseguita sul posto. Tre anni dopo confrontai il codice THvulziano, dal quale un mtUamento di residenza mi veniva allora ad allontana- re; e sul finire del 1884 feci altrettanto per il Vaticano. Con ciò avevo messo le fondamenta; ma pei* un pezzo C edificio rim^ase in tronco , o press* a poco. Costi- tuitasi nel 1888 la Società Dantesca Italiana e venuta Panno appresso a prefiggersi come scopo priìicipale il provvedere per tutte le opere dell' Alighieri al lavoro a cui io m'ero sobbarcato per una di esse, desiderai che, quanto al De vulgari Eloquentia, fosse lasciata a me mano libera. Il desiderio fu subito accolto; donde il do- vere di por fine agf indugi. Sennonché j per quatito il ti 'aitato daìUesco stesse d'allora in poi in cima d'ogni mia curay si son ri- chiesti, come si vede, più anni avanti di vemr a capo dell' impresa. Fu necessat^o ritornare con minuziosa diligenza sul codice di Grenoble; e ciò potei fare como- damente y grazie al cortese consenso che fu dato a un suo temporaneo trasfeì^imento a Firenze; necessario ritor- nare replicatamente su quelli di Milano e di Roma; ne- cessario snidare una versione del Cittadini, per accer- tarne V originale. E questioni spinose rampollavano ad vili PREFAZIONE ogni passo. Poi, la stampa stessa, col volere insolite dili* genze cosi da chi doveva comporre, come da me che do- vevo correggere acceiHando di nuovo ogni particolarità, richiese un tempo assai lungo. Quanta liberalità abbia t?wmto dovunque, quanti amici e beìievoli mi siaìio al bisogno venuti in aiuto, sarà in generale detto via via. Qui segnalerò gli obblighi che ho al mio carissimo Girolamo Vitelli, di cui in ogtii maggior dubbio volli sentire il parere e da cui i primi fogli del testo ebbero anche una revisione. E dirò gra- zie, poiché non se ne offre altrove V occasione propizia, aW ottimo collega Cesare Paoli , mio consultore paleo- grafico. E grazie vive altresì al sig. Colonnello Antonio Botto, sotto l'esperta e paziente direzione del quale ftt- rono eseguite dall' Istituto Geogì^afico Militare, per con- cessione ben gentile, le tre tavole in fotozincografia die servono a dare un' idea dei codici. Aprendo il libro molti si meraviglieranno che V edi- zione sia semplicemente critica, e non insieme illustrar tiva, e che delP opera dantesca si faccia solo la storia esteriore. Gli è che il mirare a un doppio intento avrebbe generato confusione e prodotto angustie di spazio assoltt- tamente insuperabili. L'edizione illustrativa, con un' in- troduzione e un commento di tutt' altro genere, con in- dici copiosi, probabilmente altresì col corredo di una versione, già intrapresa, terrà dietro poi. Ed essa potrà. COSI avvantaggiarsi anche delle osservazioni a cui darà luogo questa, che frattanto avventuro al giudizio del pubblico. Firenze y aprile 1896. Pio Rajna. INTRODUZIONE I. - DESCRIZIONE E STORIA DEI MANOSCRITTI Del trattato De vulgari EloquenUa si conoscono tre codici: ano della Biblioteca Cìvica di Grenoble, nno della Trivnlziana, il terzo della Vaticana. La credenza durata per un certo tempo ohe un quarto fosse nella collezione Ashbnmbami ebbe a dimostrarsi totalmente fallace ^). Se risaltino tracce di manoscritti smarriti, è questione sulla quale sarà da intrattenersi più di una volta. 1. Codice di Gbskoble Al codice di Grenoble, di coi fino a qualche anno fa il pubblico sapeva assai poco *), è toccata di recente la fortuna di una rìprodu- ') La eredensa fflkceva capo a una eomttnicaeione di J. J. Champol- Hon Figeae al Colomb de Batinet, che ne dette nottsia nella rivista VEtruriUf I, 101 (Firense, 1851), rendendo conto dell* edizione del Torri. A lord Aéhbumhain il oodice doveva eeser venato dal Libri. L' errore, aooertato primamente da Paul Meyer in servizio del Witte (V« Jenatr Lketaimnmt$tnjf, 1879| p. 9!!)$ tarft nato da eonfneione col De Mvnartkim, *f La prima iadieasioae a stampa , contenuta nell* opera OaUdogi li' òfvr. mtmmtrlpt, eoo. del Haenel (Lipsia, 18B0| p. 166) e ricordata dal CMomb de Batines (L oit^), suonò a questo bel modo : « Taeso de vul^iari eloquio aive idiomate ; saec. XV é membr. 8« > Ourìoso ohe anche qui (Y* GUifnaU D m i tM^ I, 00) ci sia di messo lo OhampoUion. Però ven- Ipono in realtà ad essere primi 1 ragguagli, fondati su comunicazioni del bibliotecario Duootn^ ohe il Torri détte nei preliminari dell' edizione esa (DtUt Prou e Poe^nis liriche di Danvs ALtioamr.... «oleine quarto — La l À mfma Volgmre -^ hwoOkCf 1880), p* xzxvi, e disseminò per tntta T opera. Molto , e di scienza propria, sapeva il Witte ; ma al pubblico non gii ao- eadde di psrteeipare se non pooo, nel giornale citato. Y* poi Oataloguc general de$ wm. de$ òtM. ptM. de Framee -^ Dépari&mmU — serie in 8°, t. VII (Parigif 1888), p« 288; e Auvaav, Lu «UHitteerito de Danie dee bihl, de Franee (Parigi, 1888), p. 180. XII INTRODUZIONE zione fototipica, dovata alle core dei signori Maigoien e Prompt ^). Questa rìproduzione costituisce un servigio ragguardevole reso agli studiosi, quantunque sia lontana dal raggiungere il grado di eccel- lenza e di fedeltà che le apparenze esteriori dispongono ad attri- buirle '). L'introduzione che le va innanzi lascia desiderare parecchi ragguagli intorno al codice. Ragguagli maggiori diede poi il Prompt in un articolo inserito nel Oiornale Dantesco 'j, dove riescono assai gradite alcune notizie storiche. Vi s'impara, essere ignoto come il prezioso cimelio pervenisse alla biblioteca *), Esso non è registrato in un inventario amministrativo del 1798. Prima menzione positiva quella che s' ha nel catalogo redatto dal bibliotecario Ducoin tra il 1816 e il 1819. Né la riproduzione, nò le descrizioni altrui, esimono me dall' ob- bligo di una descrizione nuova e molto minuta. Dirò le cose quali mi appariscono, astenendomi affatto da inutili polemiche con chi ab- bia visto giudichi diversamente , grato del resto dell' essere dai 'dissensi stato costretto a spalancare maggiormente gli occhi. n manoscritto, munito sul dorso di un cartellino col numero 580 che ne forma la segnatura attuale ^), contraddistinto sul rovescio della coperta con un 112, che potrà forse riuscir utile per l'indagine delle vicende anteriori, è un elegante volumetto membranaceo, ri- vestito nel cinquecento di una rilegatura flessibile in pergamena con bei fregi dorati. Esso è costituito nella sua parte essenziale e primi- <) Dantb Alliohibbi — Traile de VEloquenee Vulgaire. Manuicrit de Grenoble j publié par Maionibn, Conservateur de la Bibliothèqtie de Grenoble^ et le I)^ PuoMPT. Venite, Leo S. Olschki édileur, 1892. La riprodusione e la stampa, oom* ò detto sai rovescio di questo frontespizio, furono ese- guite a Grenoble dalla « imprimerie phototypique Joseph Baratier ». <) V. BasB, bibliogr, della Utter, il,, anno I (1898), p. 8-11. Questa re- censione, a cui, sempre limitandomi, come feci allora di proposito, alla parte fototipica e bibliografica, avrei non poco da aggiungere, e in cui la- scio giudicare a chicchessia se ci fosse nulla di men che sereno, mi tirò addosso, e in forma privata ed in pubblica, da parte del D^ Prompt, una valanga di contumelie. Al primo scoppio delP ira sua risposi con alcune parole cortesi ; poi lasciai dire. E in verità mi pare ohe, anche per chi non conosce da vicino cotesto curioso signore, gli scritti suoi costituiscano già una risposta sufficiente a sé stessi. Sicchò spero che nemmeno in av- venire avrò bisogno di occuparmi degli altri improperi!, che non man- cheraono , mi figaro, di tener dietro. 3) I, 49 : Studio gul libro dell' « Eloquenza Volgare » : Ancora il codice Grenobliano. *) Probabilissimo che ci sia pervenuto insieme con un volume a stampa postillato dal Corbinelli, che sarà da ricordare più oltre. ^) Il n. 883 dato dall* Auvray è semplicemente quello del catalogo a stampa del 1889 (Calai, gin, occ; V. la nota 2 della pagina precedente). CODICE DI GBENOBLE XIII tiva di 26 carfce di ottima pergamena, solo modernamente numerate, sulle quali la scrittura si protrae fino a mezzo il recto della carta 25. Queste 26 carte si raggruppano in due fascìcoli, di 12 carte V uno, dì 14 l'altro, tra i quali serve di richiamo rannodatore la parola guod anticipata in calce all' ultima facciata del primo *), Oi son poi degli accessorii. In primo luogo un'altra carta membranacea alla fine, riunita al secondo fascicolo mediante la ripiegatura e l' incollatura di un lembo sulla sua prima faccia; indi un doppio gruppo di otto foglietti cartacei ciascuno, al principio (C-J) e alla fine (28-35); e dinanzi al primo gruppo ancora una doppia carta membranacea (A-B). Tutte queste giunte son provate non posteriori alla rilegatura nostra dall'avere come il resto dorate le costole. E tutte sono rimaste im- macolate '). La conservazione del codice può dirsi eccellente, se si eccettuano due punti. La metà inferiore della carta 25, un poco più sotto del termine del trattato dantesco, fu tagliata, risarcendosi prima o poi la piaga con un pezzo di pergamena assai più sottile ; e certo ebbe a tagliarsi perchè li si leggeva qualcosa di cui si vollero distruggere perfino le tracce. Impossibile determinare quando fosse perpetrata la spiacevole mutilazione ; che cada in parte sulla faccia anteriore della toppa il bollo Orenohle - Bibliothèque de la Ville^)^ dice troppo poco. La seconda jattura consiste in uno smarginamento operato dal rilegatore, per cui la pagina si trova ridotta alle dimensioni di mm. 210X141. Di cotale smarginamento abbiamo le prove a carte 2* e 13*, dove certi supplementi marginali furono mozzati. Che lo smarginamento non sia stato troppo lieve, è manifesto dalle lettere sottratte nel secondo di questi luoghi, ed è confermato in entrambi dal posto in cui vengono a trovarsi i segni di richiamo. Nel senso almeno della larghezza, direi che si fossero ritagliati da 7 mm. Il codice ò scritto con molta accuratezza, da una mano, che ra- gioni di vario genere portano ad attribuire all'Italia del nord, e che, tenuto conto di questa determinazione geografica, assegnerei al decli- nare del secolo XIV, disposto anche a scendere ai primordi del XV ^). Ogni pagina contiene 29 linee (che la prima ne abbia 31, dipende <) n quod della p. 99, 1. 9. *) 8e la carta 27 sembra essere stata raschiata da ambedue le faccio, Perasione sarà seguita quando questo foglio dì pergamena, preso Dio sa donde, fa convertito al nuovo uso. 3) n medesimo bollo fu impresso del pari anche in calce al f.® 1", In- vece se n* ha uno di dimensioni maggiori e più ricco 25^, colla scritta Ville de Grenoble (Ishre), *) 11 Witte, Jcn. LiterafurzeiLf p. 877, giudica che essa appartenga al XIV. XIT IHTSODUZIONE dal titolo), alquanto pid langhe nel secondo qmdemo che nella mag- gior parte delle pagine del primo. I capitoli in cui l'opera è divisa, airinfnori dell'ultimo, incom- pleto, sono precedati da intitolazioni in rosso, della medesima mano del testo, ed anzi apposte via via nell'atto stesso del trascrivere, se- condo apparisce dalla disposizione che ci si cifre 2\ 19% 22^ (h I, 0. IV, 1. n, e. VII e zi). É segoito cbò in questi tre casi che, per ri- sparmiare una linea, nell'uno, la parola idiomaU^ nel secondo pos^ sunff nel terzo dictamrnef ultime dell'argomento, siano state scritte, senza dar luogo a mancanza od esuberanza dì spazio, al termine del primo rigo del capitolo rispettivo ^) ; il che manifestamente non potè avvenire se non quando quel rigo era ancor libero. Ciascun capitolo, secondo un uso oltremodo comune, comincia con unMniziale maiu- scola alternativamente azzurra e rossa, ornata di rabeschi rispetti- vamente rossi e rossicci. Maggiore di tutte l'altre, e non sprovvista neppur essa di rabeschi, quantunque più scarsi e semisvaniti, ò l'ini- ziale del capitolo primo. Anche le maiuscole nere sparse per entro al testo ricevettero come ornamento una striscia di minio. In minio furono inoltre volute sottolineare» sia pur cadendo in inesattezze pa- recchie, le citazioni volgari, e con esse qualche variante marginale, e l'tnctpft^pur marginale, del secondo libro. E del minio si fece uso parimenti in certe altre occasioni, non senza vantaggio della critica. Ohe, sebbene le lineette nere guidatrici, di cui le sottolineature rosse non hanno, sovrapponendosi, distrutto le tracce, dicano che il lavoro di abbellimento è posteriore alla trascrizione, e sebbene non sia di* mostrato che esso abbia proprio dovunque la stessa origine, il minio è pur sempre un indizio non disprezzabile di originariet^E di indizi che servano a distinguere ciò che e primitivo da ciò che non ò, ab- biam molto bisogno per un codice dove la scrittura si presenta stra- tigraficamente complessa ')• ^} Veda, chi può, la riproduxione; nella quale tuttavia il secondo caso non parla agli ooohi, per essersi inavvertitamente stampata in aero V inti- tolazione tntta. <) Sarà qui opportuno un commento dichiarativo alla pagina 10^, che si riproduce come saggio. L* iniziale del capitolo è azzurra con ornati ros- sicci; r ìntitolasione FtMt ecc., naturalmente, rossa, mentre è nera, ed ò solo sottolineata in rosso, l' altra nel margine inferiore, fiosse sono le set- tolineature del testo (curioso che in a nàra è prolungato col minio il taglio d^ g ed è di minio la linea sottile sopra la grossa sotto ^ra) , a eccezione di quelle che corredano brixku» e cm o iu9, nere come le marginali di |i«- duani e veneti, ma di ben altra origine. Nelle iniziali maiuscole del Veneti che s^ ha nel testo e di Qmmr e è rosso il tratto mediano; è roesa nel T di Towta^ la striscia destra, non ben distinta dall'altra nella riproduzione; CODICn DI eHBHOBLE *^ XY Cbe un buon namero di eorrezioiii siano dovuta alI'amanaeniBe stesso, è troppo naturale e appare a volte in modo sicuro. È al pai^ tìto del radere e del racconciare eh' egli ricorreva per solito acca- dendogli di aver scritto ciò che non avrebbe dovuto; e sue, a gin* dicare da qualche caso indubitato, avrebbero ad essere anche certe rasure, dove uno spaado vuoto venuto a risultare, si vede riempito con una lineetta ondulata ^), Ohe se neppure dall' espungere par che rifuggisse del tutto '), il confronto del codice trivulziano ed anche argomenti più diretti mostrano ohe le espunzioni — in numero rag- guardevole — sono in generale opera d' altri'). Questione analoga quella dei supplementi, vuoi interlineari, vuoi marginali, di data indubbiamente assai vicina alla trascriaione, che abbiamo in non pochi luoghi ; tra le linee ~ trattandosi di poca cosa-— '2^ 1. 26 (p. 16 L 1) ipsum, 5^ L 14 (p. 86 1. 5) ineipUns, G^ L 9 e 11 (p. 46 L 8 e 10) eiifn e iUam^ V L 26 (p. 49 L 6) aduérbium^ IO» 1. 17 (p. 76 1. 1) re-, 13» 1. 22 (p. 101 1. 1) faciU^ 16* 1. 8 (p. 117 1. 3) ftudéj 17^ L 8 e 12 (p. 136 L 10 e p. 137 L 3-4) mis q et end^ nelP / di Jld* un frego di minio a sinistra figura come un ingrossamento della lettera. £ non va taciato che sono di minio le asticeUe verticali tra cui f^ mara ò rinchiuso. ') Non pn6 essere attribuita che a lai la soppressione di uno ip^ 18* L 14 (V* 1* apparato alla p. 100 1. 12), che costituisce un principio di errore, da coi subito si seppe ritrarsi. Altre rasure colla caratteristioa lineetta abbiamo 1* 1. 26 (p. 5 1. 2), 7* 1. 11 (p. 48 1. 5), 7* 1. 22 (p. 58 1. 4), 9« 1. 18 (p. 66 1. 4-5), 18* 1. 6 (p. 100 1. 8), 18* 1. 9 (p. 108 1. 1-2), 14« 1. 13 (p. 110 1. 11), 22* 1. 10 (p. 1811. 1); e valga questa enumerazione a supplire qualche omissione neir apparato. La lineetta ondulata manca 14" 1. 11 e 21» 1. 1 (p. 110 1. 9 e p. 167 !• 8-9), dove le oorreaioni paiono nondimeno originarie ; il ohe po- trebbe confortare V idea che le lineette fossero soggiunte da altri, se non fosse inverosimile che chi correggeva volesse lasciar sussistere deliberata- mente una pericolosa apparenza di lacune, meno che mai accanto alla la- cuna reale 14' 1. 7 (p. 110 1. 4). Un esempio unico s* affaccia 17* L 12 (p. 187 1. 8), in quanto ivi lo spazio ò riempito con una lineetta non ondulata di minio. Non è da tacere che se sulla rasura 6* 1. 15 (p. 46 1. 8) appariscono solo due trattini staccati, la rasura stessa è probabilmente seriore. *) Sua dovrebb* essere l* espunzione del b in auperbioribut per iupe- riùrihui 8' 1. 24 (p. 20 1. 4); sua queUa di iU 12* 1. 14 (p. 96 1. 10). fi proba- bilità in fkvùt suo ci sono, o mi parvero esserci, 1" 1. 16 (p. 4 1. 8), 6^ 1. 8 (p. 86 1. 9)) 9* 1. 18 (p. 69 1. 4). 3) 4« 1. 28 (p. 26 1. 4), 4* 1. 1 (ih. l. 6), 9« 1. 5 (p. 651. 7), 18« l. 25 (p. 101 1. 5), 18* 1. 5-6 (p. 102 1. 2-8), 14» 1. 28 (p. Ili 1. 1), 19« l. 9-10 e 25 (p. 150 1. 1 e 1561. 1), 19* L 8 (p. 157 1. 2), 20» 1. 5 (p. 162 1. 1), 20* L 29 (p. 167 1. 8), 22* 1. 1-8 (p. 178 1. 8 sgg.), 28» 1. 1 (p. 188 1. 1), 25» 1. 7 e 10 (p. 199 1. 10 e 200 1. 4). Gasi più o men dubbi i seguenti : 5» 1. 8-4 e 10 (p. 81 1. 2 e 8), 14» 1. 17 (p. 110 1. 14) , 14* 1. 7 (p. 112 1. 9), 16» 1. 7 (p, 128 1. 9), 17* 1. 9 (p. 186 L 11), 19» 1. 20 (p. 154 1. 8), 20* 1. 7 (p. 165 l. 6), 23* 1. 7 (p. 191 1. 6-7). XVI INTRODUZIONE easillabum, 18* 1. 14 (p. U5 1. 4) dominam, 20* J. ultima (p. 167 1. 8) super-, 23» 1. 1 (p. 183 1. 1) ante, 23* 1. 1 (p. 188 1. 3) uidetur; nel margine, 2* (p. 14 1. 4-5) de fructn lignorum que surU in paradiso uescimur, 13* (p. 103 1. 2) sic istud, quod iotius ytalie est latinum uulgare, 15» (p. 116 1. 2-4) perfectum esse dicimus. cum male nero ad mali, pula bene militantem ad uictorie dignitatem, 20» (p. 164 1. 4) sicut leetio. passio» Queste giunte saranno mai dovute al tra- scrittore, oppure ad altri? Comincio dallo sbarazzare un poco il campo coli' avvertire che in questioni cosiffatte non è in generale da fondarsi altro che sussi- diariamente sulle apparenze dell'inchiostro; conformi, non dimostran nulla; un poco diverse, provano al più che la giunta, la postilla, o che altro si voglia, non fu apposta subito. Poi metterò in guardia contro le illusioni che possono essere prodotte dalla sola differente grandezza dei caratteri. Soggiungerò quindi come in parecchi casi manchi ogni elemento di giudìzio. Bensì pare d' averne degli ottimi in taluni, e anzitutto nel complemento cospicuo che ci si offre in primo luogo, de fructu ecc. Istituendo un confronto accurato colla lettera del testo, accade di rilevare varie peculiarità*). Ly, e V f, invece di arrestarsi alla linea, discendono notevolmente al di sotto; la lineetta arcuata che sovrapposta a sut e i ne fa sunt e m, ò più ampia ed ha andamento orizzontale, in cambio di cadere da si- nistra a destra a foggia di accento grave ; nell' abbreviazione della sillaba inim, ^ per solito nel testo, il segno che interseca Vt, ha in alto la forma angolosa di 7 ; un t è provvisto di apice senza ragione diacritica'), il che nel testo non suole avvenire; soprattutto poi ò caratteristico il g, per la piegatura serpeggiante, e che termina volta air ingiù, della parte inferiore della coda. Ed ecco quest'ultima pecu- liarità, sussidiata da talune delle altre, associare indissolubilmente col supplemento nostro gli altri due più ragguardevoli, 13*, 15», il secondo dei quali viene ad essere rannodato altresì dalla somiglianza dei segni di richiamo. Cosi anche un'altra differenza si aggiunge, consistente nella forma dell' s finale, di cui 13* ci dà esempio in totitis. Qui dunque si crederebbe di potere risolutamente distinguere due mani; eppure il dubbio riesce ancora a farsi strada. Principio dalla divergenza massima, ossia dal g. In condizioni peculiari affatto, ') Chi desideri di capir bene lo cose, faccia di aver sotto gli occhi il facsimile fototipicO| ancorchò la pagina sia poco nitida. ^ L* apice sulPt — surrogato poi dal punto — ebbe originariamente per scopo di evitare la confusione là dove precedevano o seguivano altre aste (tt, fi, m). CODICE DI OREIVOBLE ZTH e tali da costituire esse stesse nn problema, il g proprio dei sapple- menti ci si presenta una volta nel testo, dove del rimanente si alter- nano e frammischiano in modo curioso due altre forme, distinte, seb- bene affini*). Lo abbiamo 18* 1. 4, nella parola congrua (p. 144 1. 8). Ma guardando bene '), si scorge che la coda era prima d'uno dei tipi soliti, e fu mutata, ricorrendo al raschiatoio, per far posto all'« che si credette necessario di aggiungere al cZt- del sottoposto digresiio- ni8^). Cosa allora di più ovvio che l'attribuire e !'«, e il y che ne trae origine, ad nn revisore? Sennonché qual correzione quell'» è abbastanza strana, mentre l' omissione e l'aggiunta si spiegano na- turalmente se portava disgreasionia l'esemplare che s'aveva dinan- zi; e che di li Vs avesse a provenire, bisognerà tener per sicuro, quando — questione da riserbarsi ad altro luogo -- apparisca che dal codice di Grenoble non emani il Trivulziano, che ha disgressionis anch'esso. Ciò verrebbe a significare che l'amanuense usava all'occor- renza della forma cbe ci ha colpito *). — Analogamente si presentan le cose per l'abbreviazione di rum. Un compendio perfettamente con- simile a quello della giunta rispetto all' angolosità che si diceva, tro- viamo 21* 1. 1 in un stantiarum (p. 167 1. 9), che è del pari corre- zione. Proverrà da altri, e propriamente dall'autore della giunta, si sarà portati a dire ; ma alla convenienza s' aggiunge una certa discre- panza; d'altronde la correzione ha l'aspetto dell' originarietà ; e s'af- faccia l'idea che l'adozione di quella forma speciale sia stata deter- minata dall'opportunità, di cui, aguzzando gli occhi, ci s'accorge, di coprir meglio le tracce della scrittura primitiva^). Quanto poi al- l'andamento orizzontale delle lineette abbreviatrici sovrapposte, che non disdica all'amanuense, dicon molti luoghi del testo ^); e degli ') Entrambe colla coda rivolta air insù ; ma V una chiusa e V altra aperta. Domina nelle prime quattordici carte la forma chiusa, nelle carte 15-18 V aperta, nelle successive di nuovo la chiusa. ^ Disgraziatamente il facsimile è qui riuscito male. 3) Come andasser le cose, vidi tardi ancor io ; donde un^ inesattezza nel!' apparato a questo luogo. *) Di questa forma qualche esemplare sporadico occorre anche nei co- dice Trivulziano, dove fa meraviglia la sua rarità. Ne ho avvertito due, prossimi tra loro, 1^ 1. 10 e 1. 12. ^) Se nel testo verrà fatto di scovare altri esempi in luoghi non ritoc- cati, tanto meglio. Bisogna peraltro che metta in guardia contro i travedi- menti a cui possa dar luogo un poco d^nesattezza nella riproduzione foto- tipica. Comunque, non sarà neppure inutile avvertire che il segno innestato nell* V ha qualche volta forma di virgola , ossia può essere tracciato con un movimento di mano ben diverso dal consueto. ^ Nella pagina stessa che do quale saggio se ne incontreranno più esempi. XVni IKTBODUZIOT?B apici sugli t ci Bara luogo a dubitare che non siano primitivi, a quel modo che non sono primitivi molti loro confratelli del testo, diacri- tici e non diacritici. Finalmente, confrontando la giunta della pa- gina 2^ colla giunta della pagina 13^, vien meno, o quasi, anche la fiducia che pareva di poter riporre nellY discendente, e per conse- guenza quella altresì inspirataci daliy sua stretta consanguinea; men- tre d'altronde non mancano riscontri che ci persuadono a non dar molto peso nemmeno a ciò che ha di particolare 1'^ all'uscita nel secondo di questi supplementi. Che se l'indebolirsi degl'indizi presi ad uno ad uno non basta a togliere forza al loro fascio, la resistenza stessa del fascio ò a£Be- volita da una considerazione d'ordine generale. Ogni calligrafo esperto doveva avere a sua disposizione più di un tipo di scrittura, e indi- nare ad attenersi alFuno piuttosto che all'altro giusta le circostanze, come a dire secondo che gli accadesse di scrivere in grande, oppure in piccolo. Ora i supplementi nostri — e cosi gli altri tutti — sono di lettera ragguardevolmente più minuta che quella del testo. E sta realmente il fatto che 1'^ e 1' /* discendenti, e specialmente l' f ap- puntata che ci si presenta in uescimur^ spettano ad un modo di scrivere meno solenne. Dòpo tutto ciò quella distinzione di mani che pareva cosi sicu- ra, diventa tanto o quanto dubbia. E sul dubbio soffiano certi dati, positivamente favorevoli all'identità. Tale è un'appendice verticale, non propriamente rara, ma neppur comune, al braccio del < in fin di parola, che il testo ci dà abitualmente e che ha riscontro nel 9ùt del supplemento 2^^); tale la lineetta serpeggiante riempitiva nella ra- sura 18^; tale, poco o tanto, l'uso del minio per ornare i richiami 2^ e 15', e in questo secondo luogo anche per tracciare la grappa. E se la distinzione non può bene assodarsi in questi casi, che offrono al giudizio maggiori appigli, meno che mai può accertarsi nei rimanenti'). Nò meglio vien fatto di stabilirla per gli altri elementi <) Tenue filo di regola nel testo (si veda la pagina di saggio), e filo ohe principia solo sotto al braocio, esso ha in »\U un* evidenza ed un* estensione siffatte, da parere addirittura un* interpanzione. Ma si confrontino nelle li- nee contigue jvreeepi/f inutniaf, O, se la contiguità suscita diffidenza, dixU nella rubrica ohe s* ha pia in alto. £ se non pare di essere ancora discosti abbastansa, si guardino i due tonueniat nella prima rubrica del 1. II (18^). ') Indico ordinatamente ciò ohe accade di rilevare di più o men note- vole. Sul segno che fissa il luogo dove s* ha da inserire tj/tam 2^ s* h passati col minio; ed è di minio la ramificazione superiore di questo segno. — tneì- pUììM 5^ ha 1* t finale simile a quella di totius, ma ancor più simile ai ri- scontri del testo a cui s^ alludeva per determinare il valore dell* anomalia. -^faeiU 13^ ha 1* f discendente. ~ imm e et endecQ9ÌUabum 17^ hanno la par- ticolarità di accoppiare un* apparenza somigliantissima colla divergenza CODICE DI GRENOBLE ZIX accessorìi, scrìtti del pari in carattere minato, che il codice ci mette dinanzi: per le varianti marginali aliter comunicasse 6^ (p. 47 1. 3) e alUer uenemur — correzione di un errore grossolano — 8^ (p. 56 1. 4), e per l'interlineare ùel existente 7^ (p. 48 1. 14); per la seconda rubrica, che è poi una variante essa pure, del cap. XV del 1. I appiè della pag. 10^ (p. 81), ponì^ quod loquel[l]a bononiensium est pulcrior alijs. et quare; per le postille segnalatrici Bononienses discreparli in loqueUa 6^ (p. 45 1. 4), ,xiiij, uuLgaria in Ytalia 8^ (p. 55 1. 3), pa- duani e veneti 10^ (p. 79 1. 2 e 7); e finalmente per l'indicazione incipit seeundus liber 13^ (p. 107). Ciò che bensì risulta in modo si- curo sono dei legami parecchi colla categoria delle giunte. Sicchò la sorte dovrà essere la stessa; e di tutto il complesso, pur lasciando l'adito a qualche eccezione, sarà da dire , esserci buone ragioni per pensare che sia opera d'altra mano, ma non doversi escludere che possa an- che venire dal trascrittore stesso. In ogni modo poi molto discosti da lui non dovremo andare di certo, non foss' altro per l' ufficio che si fa adempiere al minio. Accadrà, poniamo, di pensare a un cotale, in servigio di cui la copia fosse stata eseguita ^). deir /' medesima , discendente in utis , non discendente in endecanlUibum, Quanto allU finale di ««tt , va oon quella di iolius, lì* el b rappresentato da una sigla, da coi, anche solo per la piccolezsaf sarebbe ingiusto pretendere un atteggiamento conforme alla sigla che occorre (assai di rado) nel te- sto. — In 9icut lecito, pasiio 20* (una giunta dove il minio interviene lar- gamente e che è avvicinata alle consorelle marginali di 2^ e 15' dalla forma dei segni di richiamo) V f discende , non altrimenti che in iuper 20^. — Per ultimo , ante 23' ò an, ossia il segno di abbreviazione, non meno che dal testo, si stacca dall'altre giunte, concordi sempre suppergiù, se n'hanno r occasione, con ciò che fu rilevato a proposito di iunt ed in in de frueiu ecc. (p. zvi). ^) Segnalerò anche per quest' altra serie ciò che è meritevole di nota, quando non figuri già nell'apparato, come avviene delle lineature rosse; solo, per le lineette ohe tengon luogo di nna nasale o indicano nn'abbrevia- ■ione, basterà avvertire che le condizioni, salvo in un caso speciale che vedremo, son quelle dell'altre giunte. — tUiter camunicaeie: la croce di richiamo ci riporta al supplemento iie ietud ecc., 18^; /'discendenti. — exi- etente: qui invece 1' /*non discende, —ponti ecc. : / discendente, ed t finale come in mcipiens ; I coli' appendice stessa che s' è descritta per il siU del supplemento de/ructu ecc., al quale pertanto, e per conseguenza a tutta la sua parentela, siamo riallacciati; mentre il compendio dell' et ò tale, che ci allaccia all' et endeeaaillabum di 17^. — Da questo duplicato di rubrica il contenuto stesso mal permetterebbe che si separasse la postilla Bononien- tee ecc., la quale d' altronde ci presenta le stesse condizioni per rimediano e r t finale. Importante poi il fatto che il B vi sia strisciato di minio non altrimenti che le maiuscole del testo. — .xiiij. utUgaria ecc. : il g (quale esso eia mal si discerne nella fototipia) costituisce un rannodamento si- curo con de fmetu e famiglia. — incipit ecc. : qui pure il < ci si mostra XX DiTBODCZIOHB Questi gli siarati più profondL Sta più su, e sembra rappresen- tarci ano strato esso solo, on lanuenses 10*, accanto al passo in cui il parlar genovese ha la sua parte di biasimo ^). La postilla, posto che la scrittura non sia artefatta, vorrebbe assegnarsi al quattrocento. Impossibile dire quando avvenissero dei ritocchi intesi solo a rendere più chiare certe lettere: s'accrebbe, come s'ò accennato, il numero degl' i provvisti di apice ') ; si chiuse con una lineetta l' oc- chio di non so quanti e, per evitare che si confondessero coi e: si ricalcò a volte il trattino orizzontale che di un p fa un per. C'è invece una parte ben ragguardevole, che subito accusa un' ori- gine tarda. Essa consiste soprattutto in una ricca serie di note mar- ginali intese a correggere — risolutamente, o col temperamento di un /[orsUan] — dei luoghi del testo, a cui siam richiamati mediante il ripetersi di tre punti disposti a triangolo. In questi casi la scrit- tura ha, salvo rarissime eccezioni, un'apparenza uniforme ed assai regolare'). Ha invece apparenze svariate quando le chiose sono d'in- dole svariatamente illustrativa. Importa di mettere in chiaro, a chi sia da attribuire il lavorio, che s'è cosi venuto eseguendo sul codice. Ora, basta un'osservazione non proprio superficiale per riconoscere che T edizione principe non può in nessun modo essere emanata dagli altri due manoscritti che si conoscono, mentre ha con questo attinenze strettissime^). Altro munito deir appendice detta di sopra, colle consegnenxe che ognun vede ; /'iniziale discendente, finale come nel testo; il segno che coir t sottoposto forma la sillaba in à del tipo ondulato che ci si è offerto nell* a/i di 23^, ma ha poi uno slancio suo particolare, di cui chiederemo conto ali* esser come in ufficio di iniziale maiuscola. V. p. 76 1. 8. *) In particolare sulla prima pag^ina ne è caduta una pioggia. '") Colle eccezioni intendo di riferirmi all' h^ 12^ 1. 9 (p. 94 1. 1), e al- tresì al nee iV* (p. 89 1. 6), di cui si parlerà più oltre. Queste due chiose, e segnatamente la prima (cfr. il Cfa 5^ - p. 33 1. 6 -), sotto 1* aspetto grafico si collegherebbero col gruppo delle chiose illustrative. Per un altro caso, un poco diverso, Y. p. xxy. *) Come semplice congettura, senza avere notizie precise, V idea ohe V edisione del 1577 fosse emanata forse da quello che ora è il codice di G-renoble, fu messa innanzi dal Fraticelli gik nel proemio alla sua ed. del 1840 (p. xvi), e ripetuto poi in quello alle altre del 1857 e 1861 (p. 141 e 142, 134 e 185). Giusto tutto via avvertire che V idea ebbe un* origine spuria, in quanto, allorché fu concepito primamente, il Fraticelli ignorava V esistenza di altri codici. Un'affermazione recisa e fondato non s' ebbe per le stampe altro che nel 1879; e ne fu autore il Witte (Jenaer Lileraturxeilungf p. 378), nella mento del quale la conoscenza della cosa doveva risalire molto ad- dietro, e probabilmente fino all' anno 1855, in cui l' insigne dantisto aveva collazionato il manoscritto. Anche Carlo Baudi di Yesme, morto nel marzo OODIGB DI GBBKOBLE XXI non ci vuol di sicuro perchè si sia subito tratti a dover fermar V at- tenzione sopra l'autore di quella stampa: Jacopo Corbinelli '). Per sincerarci abbiam più di una via. Poniamo che in primo luogo ci accada, come accadde a me, di ricorrere al confronto ma- teriale delle scritture. I termini di paragone non faranno difetto. Cospicue soprattutto trecento e più lettere a Gio. Vincenzo Pinelli, che si conservano, riunite in due volumi, all'Ambrosiana, sotto le segnature B. 9, inf, e T. 167. sup, '). Chi le esamini, vedrà lo scritto del Corbinelli prendere aspetti molteplicemente diversi; d'una diver- sità tuttavia attraverso alla quale si scorge l'unità'). E se, dopo aver bene avvezzato l' occhio, si darà a paragonare, non dubiterà di attribuire al Corbinelli molte tra le glosse illustrative. Suoi intanto, per muovere dalle cose più sicure, il Cai. 3", 4*, S**, 22^ (p. 19 1. 7-8, 30 1. 1, 57 1. 4, 181 1, 1;; V Oclù, Auson. 10* (p. 78 1. 3); V òde Cortesia CoHigiano 13" (p. 100 1. 15) ; il Col hràcoso 19" (p. 154 1. 6); il Cipr. Test o Tert 22* (p. 181 1. 3-4); l'i. sine ulla, co nesh cài. 24* (p. 198 1. 3); U Fra lac'*'' l*, 8*, (p. 9 I. 2, 68 1. 2); né meno patentemente il /. Mate, Paté. Fra Jac"* 19* (p. 168 1. 1), illustra- tivo e critico ad un tempo. Il « Giullare di Dio » non vuole che s'indugi di più a conside- rare un altro genere di prove. Che le glosse che lo concernono siano del Corbinelli, e confermato assai efficacemente dal sapersi come nel tempo in cui fu pubblicato il De vulgari Eloquentia^ questi an- dasse pensando, per desiderio di Caterina de' Medici, a un' edizione delle rime del frate da Todi, non venuta poi mai alla luce. Però il nome di Jacopone ritoma più volte sotto la sua penna ; tra l' altre in una lettera dei 6 d'agosto del 1676, dove appunto è detto: € Fra del 1877, in certe istrasioni per una nuova collazione, ohe ho davanti autografe, diceva nettamente che il Corbinelli «sur ce mdme manuscrit pnblia le premier cet oavrage à Paris en 1577 ». Indipendentemente da loro arrivai poi ancor io — nò era possibile non arrivarci — al medesimo risal- tato; come più tardi ci arrivò, del paidl indipendentemente, il dr. Prompt. 1) E semplicemente in forza di questa indazione, oppure anche sul fondamento di osservazioni specifiche, che il Bandi di Yesme, nelle istru- zioni citate, scrive, « La plus part des corrections récentes est sans doute da XVI siòde, de la main de Jacques Corbinelli » ? <) Nel secondo di questi volami spigolò con fratto il prof. V. Cresoini : Lettere di Jacopo CorhinelU {contributo alla storia degli studi romanzi); in Qiom. Btor. della Letter. It., II, 302-888, e quindi nel volume Per gli studi romanzi^ Padova 1892, p. 181-222. La duplice raccolta ò una fonte singolar- mente ricca per la storia letteraria della seconda metà del cinquecento. Né la storia letteraria ò davvero la sola disciplina che possa spillare di qui. 3) Si badi di sceverare alcune lettere di pugno altrui frammiste alle autografe. XZU im^ODUZIOHE Jacopone si stamperà; dove mi e* impiego volentieri, poi che la Re- gina me l'ha comandato, et ne fa la spesa, per fame presente alla Religione delli scappuccini ^). » Qnesta medesima notizia pnò leggersi anche in ima lettera di Qaglielmo Postel allo stesso Oorbinelli, che ha luogo tra le appendici del trattato dantesco*). £ il Oorbinelli nelle sue Annotationi al trattato allegherà, p. 51 ^), € Alcide per Ancide & simili », soggiungendo € come si mostrerà in lacovone > ; e a questo suo autore si riporterà molt' altre volte: p. 14,33, 34,41, 42, 47, 54 *). Tra i quali luoghi fermerà in modo speciale l' attenzio- ne il secondo, doy' è detto e Chignamente, per Qualmente, credo che usassi anco F. lacovone », precisamente a proposito d' uno dei luo- ghi accanto a cui il nome si trova scritto sui margini del codice (8^). Le Annotationi si mostrano dunque un buon aiuto per noi ; e non son poche davvero le altre glosse che vengono a risultare per questa via proprie del Oorbinelli. Percorriamone la serie : 1. Glosse, 3" (p. 18, 1. 5-6): -B. — Annot. p. 13 (Torri, p. 20): € Contra prcelihata videtur insurgere. cosi parla il Boccaccio, Insur- gere alla difesa. » Delle maiuscole isolate — soprattutto delle maiu- scole non corsive, quali s' hanno nel codice in casi siffatti — sarebbe assai rischioso il decidere a chi spettino per via di meri confronti grafici. Però questo primo riscontro riesce subito il benvenuto. E più grato ce lo rende la spiegazione autentica che esso ci fornisce di una sigla. Buono rilevare che anche nelle Annotationi il nome del Boccaccio è rappresentato da un semplice B. a p. 27 e 54 (Tor- ri, p. 48 e 90, € Boccaccio»), sia pure in condizioni tipografiche speciali ^). 2. GH. 3* (p. 211. 8), di nuovo J5., sottolineando gloriar etur, — Ann. p. 15 (T. p. 22): €Gloriari. latine. & Boccaccevolmente G-lo- riare per Glorificare ». 3. GÌ. 4" (p. 24 1. 1): ^xx»*:- — Ann. p. 17 (T. p. 27): « Spatulas nostri iudieij podiamua, la spada del giuditio, mi pare d' haver al- trove letto ne suoi scritti vulgari, eh' e detto greco. » ') B, 9, %nf,f f. 168. Segnalerò anche la lettera del primo giorno di quaresima del 1578, ib., f.® 177. Avverto una volta per sempre che non spingo la fedeltà nel riportare i passi manoscritti fino ad interdirmi la distinzione di v da u, lo scioglimento di certe abbreviasioni, il ritocco del- l' interpunzione, e qualche altra minusia consimile. E v da u distinguo al- tresì prendendo da stampe, mentre rispetto nel resto la loro volontà. *) P, 71-72 (p. 165 nel De vulg. JlL del Torri). Un* allusione al disegno anche in un* altra lettera del Postel, ib., p. 75 (Torri, p. 166). 3) ToRRf, p. 80. ^ ToBRt, p. 28, 64, 65, 56, 65, 78, 91. ^) In un gran numero d^ altri luoghi (p. 82, 88, 86 eoo. ecc.), Bocc, OODICE DI aBKHOBLE XXITI 4. Ql. 4* (p. 29 1. 1): v^iictoc. — Ann. p. 20 (T. p. 32): « Inscius. 5. GÌ. 6* (p. 46 1. 1-2): Ouice. — AnxL p. 24 (T. p. 44): < Puia mores et habiiìis, perche come il Gaicciardino adverte in quel suo Enchirìdion, che demo in luce, al cenventiqnattro Capitolo, Omnia Yertnntur, come disse Propertio. » Si vuole alludere all'operetta Più Consigli et Avvertimenti di M. Fr. Guicciardini Oeniilhuomo Fior, in materia di republica et di privata. Nuovamente mandati in luce; et Dedicati A la Regina Madre del Re », che il Corbinelli pubblicò a Parigi (< Federigo Morello, Regio Stampatore ») nel 1576. Questi Avvertimenti vennero in possesso del Corbinelli solo negli ultimi giorni del 1574 o nei primissimi del 1575^); il che importa un li- mite cronologrco non ancora divenuto superfluo. 6. GÌ. ib. (p. 46 1. 11): Epici. — Ann. p. 24 (T. p. 44): € Nam qua paulatim moventur, minime perpenduntur. Epicteto quasi in questa sententia, «al xà icpó^ta » ecc. 7. GÌ. 8* (p. 62 1. 2): D. — Ann. p. 38 (T. p. 58): « Monlaninas, et ruaticanas loquelas. Dante, O montanina mia Canzone. » Ed ecco cosi dichiarata anche un'altra sigla. E qui pure avvertirò come di un D. per e Dante » le Annotationi diano esempio a p. 53 (T., p. 87, « Dante »). 8. GÌ. 10* (p. 78 1. 3): Oclum. Auson. — Ann. p. 49 (T. p. 76): € Odo. Oclum, Ausonio : come ben vidde l' occhio de litterati, Mons. De la Scala. » Si vuole alludere al v. 26 della poesia che tra i Paren» UUia ha per argomento l'avolo materno Cecilio Argicio Arborio: un verso che dà sempre da tribolare ai critici Ivi, là dove tra gli edi- tori modernissimi lo Schenkl legge hoc laevo , il Peiper, seguendo il Brandes, hoc letOj lo Scaligero nei due libri Ausonianarum lectio- nula stampati — s'avverta bene — per la prima volta a Lione nel 1574'), sospettava € legendum ode tuo. ode, ocide»'). 9. GÌ. 12* (p. 97 1. 2): però per hoc porrho. — AntL p. 62 (T. p. 86): € Per hoc. Pero.... Scrivevono gl'Antichi, A i Vecchi nostri, Per ') Ciò risulta da lettere, di cui s'avrà occasione di citare quella che si riferisce direttamente al soggetto. >) Di questa edizione, poco nota, segnalerò un esemplare posseduto dalla Braidense di Milano. Un altro son tratto a ritenere che si trovi sUa biblioteca di Grenoble (Maigkism-Prompt, p. 9). ^ P. 24; 38 nella ristampa di Heidelber/^, là68. Nel testo di Ausonio curato dallo Scaligero medesimo, che fu primamente stampato a Lione nel 1575, componendosene colle Leetione» degli esemplari dove queste sono aggiunte e designate insieme sul frontespizio, il passo non ha V emendasione proposta. £ si badi che la stampa primitiva (p. 49) porta odeimo, non aeUrmo (cfr. le LetUonu^ e V ed, del 1588^ p. 47). JLXSY nVTRODUZIOKE ho: poi Per o: Nel che si vede quanto fa ben ragionata l'antica or- tografia. » 10. 01. 13^ (p. 1001. 7): B, accanto ad habitaculum sottolineato. — Ann, p. 53 (T. p. 90): € Nec aliquod aliud habitaculum tanto dì» gnum est habitante, si come degno habitacolo a tanto & cotale habi- tatore, direbbe il Boccaccio. » I pia tra questi riscontri sono di tal natura, da chiadere total- mente l'adito a pensare che il Gorbinelli trovasse già apposte sui margini le glosse e ne facesse sao prò. Egli sa ciò che il chiosatore accenna in modo affatto indeterminatO| inintelligibile a chi non sia tutt'ano con lui. E da questa pianta c'è da ricavare altre propaggini. Accertato corbinelliano il B, del f.° 3" 3*, 13*, sapremo donde venga, non meno di quel che valga, la stessa iniziale 7", 9^, 12", 13^, 22" *). Si- milmente ciò che risulta per il D del f.^ 8^ manderà luce riflessa sul D, 2). che incontriamo ancora 15^, 21*'). E dal B. e D. non vorremo certo disgiungere il P. 10* ^), in cui analogamente si sarà indotti a congetturare un « Petrarca »: autore che non sto a dire quanto spesso sia ricordato nelle Annotationf^ e che una volta vi è indicato appunto anche con un semplice P. *). Poi, quel che apparisce ai numeri 3 e 4, spalleggiati dal n. 6, gioverà a chiarire anche le glosse greche 15", 18*^); aggiungendosi a rendere l'attribuzione più sicura la ten- denza spiccata che il Gorbinelli mostra dovunque, e nelle Annota- tionif e nelle lettere al Pinelli, e negli altri suoi scritti, a infio- rare di greco il suo dire ^). Infine, le Annotationi gioveranno col loro € Lucretio », p. 9, 12, 13, 35, 41 (T. p. 13, 17, 21, 56, 64) al Imct. 3"'); col € Tertulliano », p. 10, 14, 30, 32, 33, 84, 42, 43 (T. p. 14, 22, 50, 52, 53, 56, 65, 68, 69) al TeH.^ se e tale realmente, 22*«); e col e Catullo », p. 3, 15, 20, 25, 31 ecc. ecc. (T. p. 6, 26, 4) P. 48 1. 8, 70 1. 4-5, 96 1. 6, 108 1. 8, 175 1. 8-9. «) P. 120 1. 9, 172 1. 11. 8) P. 78 1. 7-8. 4) P. 14. Nella ristampa del Torri , p. 22 n. B , la sigla fa tradotta balordamente per. 5) P. 118 1. 6-7, 146 1. 5. ^) Però in una lettera del 10 di marzo 1578 (God. B. 9, in/,, 148^) : « Mea quamquam tibi commendare non debeam, commendo tamen. Sono anco ciceroniano quando bisogna, per che qualche volta voi state a uccel- larmi del greco, ohe non ne so straccio. » Penso che il Pinelli avesse £atto al Gorbinelli dei complimenti, che questi mostra di aver in conto d*una cansonatura. ') P. 16 1. 5. ^ P. 161 1. 8-4. Per il dpr., « Cipriano», di questa medesima glossa, riporterò da un biglietto della fine del 1574 o del principio del 1575: « Una S. Brigida è nelle Coperte del Cypr.<> mio » (cod. cit., 22^). CODICE DI GRENOBLE XXV 32, 44, 51 ecc. ecc.) al Col. 3", 4'', 8^ 22^ * j, sebbene non aia forse sempre a Catullo che il glossatore vuole alludere. RaccogUendo i dati, potremo dunqae tenerci sicuri che le chiose illustrative spettano al Gorbinelli. E delle apparenze diverse che presentano ci renderanno conto quelle che rileviamo negli autografi suoi, e la considerazione che esse dovettero essere apposte alla spic- ciolata. Ma cosa sarà da pensare delle chiose d'indole critica? Queste, come s' è detto, qualcuna sola eccettuata, hanno un tipo costante. Quale esso si manifesta nel nouissima, nel Vf dee^sCf fa- cUj nel Manata dicfU, hnt, nel ias della pagina riprodotta per sag- gio, tale si mantiene sempre. Si prenda ora ivi a confrontare l'0c/f7. Auson, e il P., e si veda che differenza. Pertanto, siccome noi sap- piamo di positivo che VOclìl. Auaon, (lascio stare il P.) appartiene al Gorbinelli, parrebbe doversi conchiudere che non gli appartiene l'altra famiglia. Che le coso stessero cosi, era l'opinione alla quale m'oro un tempo ridotto; e mi ci ero ridotto mio malgrado, contro le induzioni che in origine m'emno state suggerite ben spontanee dal sapere che il codice aveva servito al Gorbinelli e dal vedere che l'edizione sua faceva generalmente eco alle correzioni marginali. Avevo pertanto supposto che cotali correzioni venissero a lui inslome col manoscritto. Che si fondassero il più delle volte, come si vedrà, sulla versione del Tr., voleva dir solo che erano posteriori ad essa. Parecchi dissensi tra ciò che portano i margini e ciò che dà la stampa corbinoUiana , che non sto a indicar qui perchè troveranno altrove un luogo più opportuno, erano atti a sorreggere un' idea co- siffatta. E s' avverta ancora : s' è già indicata come spiccatamente corbinelliana sotto l' aspetto grafico, ed è poi subito apparsa talo an- che per il contenuto, la chiosa L Mate, Patc, Fra lac,^', ID**. Qui il Gorbinelli fa ufficio di critico di fronte a un'alterazione che era stata introdotta nel codice sup'). Ebbene: in questo caso mancano i so- liti segni di richiamo, ed anche al L (« leggi » o « legendum ») non possiamo procurare altra compagnia dalla stirpe delle correzioni solite che un leg,,^ 13* '). Sia come si vuole, l'opinione mia d'allora era erronea, e ancora una volta mi son dovuto convincerò quanto sia da andare a rilento prima di negare che abbiano una stessa provenienza scritture che sembrano molto diverse, a quel modo che molto a rilento s* ha da ^1 Por lo corrispondonzo in quosta odiziono, V. p. xxi. <) Cho la lesione buona si a vesso ancho nella vorsiono dol Trissino, non muta punto lo cose. 3) P. 102, 1. 2-3. d XXVI INTBODUZIONE condursi ad afifermare l'identità per ragione di somiglianze, siano pure ben .grandi. Crii autografi esaminati da me, per quanto copiosi e vari, non bastavano a risolvere la questione, la quale, per essere ben chiarita, aveva bisogno di termini di confronto d'indole spe- ciale. Tra le sue tante ricchezze, la Trivulziana possiede parecchi libri a stampa che appartennero al Corbinelli, e che, qual più qual meno, furono annotati da lui sui margini e sulle carte bianche. Li comperò nel Veneto quel caldo fautore degli studi che fu il M."® Gian Gia- como Trivulzio ^), noto segnatamente per le benemerenze verso il Convivio. Può tenersi per certo che l'acquisto seguisse nei primi vent' anni di questo secolo ^) ; e risulta altresì che i libri provenivano dal convento di S.^^ Giustina di Padova, venutone in possesso per l'acquisto fatto nel 1748^) della biblioteca del bergamasco Conte Scipione Boselli *)» Questi alla sua volta li avrà verosimilmente por- tati di Francia, dove aveva servito nelle armi, coprendo il grado di *) y. nelPed. Torri, p. 100, una sua lotterà al O^*'. Valdrighi. ^) Che nou sia da scendere oltre il 1820, argomento da ciò, che ìu- siomo coi libri del Gorbinelli il Trivulzio comperò (Y. la lettera citata) il codice del De vulgari Eloquentia; e della descrizione di questo codice scritta per lui dall'ab. Mazzucchellif egli poteva dire noi 1828, che era stata eseguita «molto tempo fa », « molti anni fa» (Torri, p. 1(30 e 161). Quanto all'altro termine, che stabilisco in modo assai largo, si veda la n. 4. 3) Il Federici, Della biblioteca di S, Giuntina di Padova^ Padova, 1815, p. 21), dice nei 1749; ma si veda la data della lettera dolio Zeno allegata da lui stesso {Lettere di Apostolo Zeno, Venezia, 1785, VI, 877). *) Fkdbhici, 1. cit., Zrmo, lett. cit. E che i volumi posseduti dalla Tri- vulziana siano proprio tra quelli (non tutti quelli) a cui qui s'allude, mi ò provato segnatamente da un Corbaccio e da una Bellamatio. Si cfr. con ciò che espongo sotto una nota di L. A. Ferrai in un suo studio che an- ch*esso ha por titolo La biblioteca di S. Giustina di Padova, inserito nel t. II dQÌV Inventario dei Manoscritti itafiani delle Biblioteche di Francia com- pilato dal Mazzatinti (V. a p. 555-56). Ciò ohe non risulta in modo posi- tivo, si ò, quando propriamente i libri del Gorbinelli lasciassero S. Giu- stina. Stando al Federici, p. 34 e 36-37, vi sarebbero rimasti in fedele custodia fino alP incameramento della biblioteca. Ma il Ferrai crede in- vece che ciò che S. Giustina aveva di più prezioso, fosse trafugato prima (p. 559-65); e certo si capisce che la spogliazione parziale operata noi 17B7 dal commissario francese Mongo (Fedkuici, p. 33-31) producesse allora o poi effetti di questo genere. A me non importa di addentrarmi nella que- stione, perlaquale intanto avrei bisogno anzitutto di sapore, in che mani rimanesse la biblioteca tra il 1805 e il ÌWQ, Chò il Federici metto la sop- pressione sotto la prima data (p. 38, 3^, 88); mentre dal Ferrai risulta (p. 560) che la presa di possesso per parto del governo seguì nolP^no successivo. Comunque, ò probabile che 2)er un certo tempo ciò che s'era trafugato rimanesse nascosto. CODICE 1)1 OUKNOBLE XXVII generale ^). Ricchi di note corbinelliane sono specialmente il Discorso di Vineentzio Buonanni, sopra la prima Oaniica del divinissimo Theologo Dante d'Alighieri del Bello, Firenze, 1572, e la Retorica di Ser Brunetto Latini, Roma, 1546. Sono poveri invece una Col- tivatione dell'Alamanni, Parigi, 1548; vai* Ethica d'Aristotile ridotta in compendio da Ser Brunetto Latini, Lione, 1568 ') ; e più ancora la Poetica d* Aristotele volgarizzata dal Castel vetro, Basilea, 1576. Le postille marginali scarseggiano altresì per la Bellamano di Giu- sto de' Conti, segaita da altre rime, esemplare intonso, per quel tanto che nn barbaro gli consenti di rimaner tale, dell'elegante edizione parigina carata dal Corbinelli medesimo; il quale molto ha scritto su fogli bianchi aggiunti alla fine '). Orbene: essendosi da Grenoble mandata la fotografia della pa- gina 16^ del De vulgari Eloquentia a quel dotto e sagace bibliote- cario della Trivalziana che è Emilio Motta, egli si rammentò subito di questi libri; e chiamatili a paragone, si persuase chele glosse che si vedevano su quella pagina, tutte spettanti alla classe ch'io allora credevo di non poter più assegnare al Corbinelli, appartenevano a Ini^). Egli aveva ben ragione; e gli interrogatori suoi — i signori Prompt e Maignien — furono presto indotti a ritenere che l'avesse anche da un volume della biblioteca stessa di Grenoble, appartenuto <) V. FsDBRicr, p. 29. Ma la disporsiono della biblioteca del Corbi- nelli cominciò ben prima del tempo in cai il Boselli fa di là dalle Alpi, secondo apparisce soprattutto dal prezioso codice chi^iano L, V, 156 ( Vita Nuova, ecc.), che Federigo Ubaldini comperò a Parigi e legò poi, morendo, a Papa Alessandro VII. Dice assai meno un esemplare corbinelliano del- l' ^rMoWa, Bologna 1548, pervenuto alla Palatina di Firenze «Ex Bibl. Ics. Ben. Card. Imperialis », celebrata dal liiontfaucon, Viarium Italieum, p. 238. Quanto alle vicende intermedie del codice Jtal. Cì3€ della Nazionale di Parigi (V. Auvkay, op. oit., p. 152), mi sono affatto ignote. ') Si può dire un'edizione del Corbinelli, dacchò lo stampatore non fece che riprodurre fedelmente un testo che il Corbinelli aveva trascritto, interpretato, corretto in alcuni luoghi e postillato in moltissimi. ^) Lascio qui in disparte il Corhaccio menzionato in una nota ante- cedente, perchè, se ha ancor esso la medesima derivazione degli altri li- bri, è credenza erronea che qui siano di mano del Corbinelli le postille. O come potrebbero mai esser tali delle collazioni con codici fiorentini ap- poste sui margini deirodizione che il Corbinelli medesimo curò dopo aver dovuto lasciare la patria por non più rivederla? Il lavoro fa dunque ese- guito, in servigio di una futura ristampa, da qualche amico suo o del Pi- nelli; edessosiò lasciato dietro una traccia anche a Firenze, in un esem- plare dell'edizione stessa, che già fu del Marmi e di Niccolò Cocchi, e che ora ò alla Magliabechiana , sul quale s'era cominciato a riportare ciò che il confratello trivulziano ci dà per intero. ^) V, MAiaNIKN-PROHPT, p. 8. XXVni INTRODUZIONK al Corbinelii esso pare, su cui misero le mani ^). In questa classe di documenti, tra le sembianze molteplici che lo scritto dell' erudito fiorentino viene assumendo, fìgora proprio anche quella che a me rimaneva enimmatica, e che nel codice è senza paragone la più con- sueta. E vi iìgura cosi spesso e in tal modo, da condurre proprio anche i più cauti a un'affermazione recisa d'identità. Particolarmente il Discorso del Buonanni fornisce a esuberanza dati per risolvere il problema, e per rintuzzare il dubbio, quante volte esso tenti di rial- zare il capo. Buono altresì da considerare il volume della Bellamano^ dove lo postille marginali presentano tutte il medesimo aspetto, e alla parentela estrinseca colle note critiche del De vttlgari Eloqueri' tia ne aggiungono una intrinseca, in quanto sono costituite da cor- rezioni, accompagnate spesso per soprappiù da quel medesimo /., che il codice di Grenoble ci dà tante volte *). £ non deve parer strano che ci sia fornito qui da un matonaie incomparabilmente meno copioso ciò che la caterva delle lettere ambrosiane ci aveva negato. Il Corbinelii è un uomo dalla calligrafìa nitidissima ed elegante, guasta di continuo per lo scrivere frettoloso e trascurato. Bisogna ch'egli vinca queste sue abitudini perchè quella che può dirsi la sua mano in potenza riesca tale anche in atto. Na- turale che ciò gli accadesse quando scriveva con parsimonia, sopra margini angusti dove non e' era da correre a briglia sciolta, e in con- dizioni che imponevano un certo quale rispetto. Si avverta a questo proposito come nelle lettere — tornando alle quali dopo essersi persuasi di quel che oso dire il vero, si trova motivo per riaffer- marsi nella convinzione — ciò che più rassomiglia alle note critiche del codice sono le soprascritte ^). S' impone tuttavia una domanda. Se tali sono le cause dello spe- ciale atteggiamento che la scrittura del Corbinelii viene in certi C4isi ad assumere, o perchè mai nel codice nostro sono valse per le po- stille critiche, e non per le illustrative? Perchè la netta distinzione in due serie, molteplice l'una, l'altra invece uniforme? — Gli è che, al contrario di quel ch'ebbe a seguire per le glosse illustrative, le cri- tiche furono verosimilmente scritte tutte di seguito, in una revisione ordinata e sistematica. Se in qualche caso c'è motivo di pensare che ciò non av^nisse, anche l'uniformità può riuscire turbata. Cosi se- *) Il volume, a cui già s^ò alluso a p. xri n. 4, ò la raccolta Poetarum ctferum etdenaaticomm ài G. Fabricio, Basilea, 1564. NolPopcra citata (p. 9) se n* ò ricavato un facsimile di alcune lineo, opportunissimo, so anche non sufflcionto di corto a pormettore conclusioni. V. p. XX. 3) L* osservazione mi è stata fatta da quelPacntif^simo paleografo che è il Prefetto dolP Ambrosiana: Antonio Ceriani. CODICE DI GRENOBLE XXIX gue per il nec 11^, che costitaisce un pentimento rispetto a una prima congettura /. ubiqùe ^). Ma poi va considerato, che quel rispetto di cui si parlava dianzi, ebbe ad essere ben maggiore nei primi tempi in cui il Corbinelli si trovò possessore del codice, di quel che non fosse più tardi: a una sposa novella il marito usa riguardi, che, ahimè! dopo uà anno di matrimonio la povera moglie spererebbe invano. Ora, a. quel modo che le Annotationi illustrative a stampa — non condotte nep- pure oltre il primo libro — furono stose dopo l'impressione del te- sto, è da ritenere che anche le chiose che sui margini del mano- scritto ne costituiscono il primo embrione, siano posteriori a quel lavorìo, che servi invece, come vedremo, a proparare la lezione del'' doperà dantesca. A rendere poi ancor più saldo il convincimento , gioverà ram- mentare come qui si fosse già condotti al Corbinelli pii!i che spon- taneamente, e che solo era parso di doversi arrestare dinanzi a un ostacolo. L'ostacolo sembrava essere un muro, ed era invece una semplice ombra. Nò tralascierò di avvertire come nel tempo stesso che i margini dei libri a stampa «ci forniscono il riscontro per la oategoria delle postille critiche del testo, co lo danno anche per le illustrative. E non semplicemente sotto il rispetto materiale della forma delle lettere. In essi pure s'incontrano, per esempio, molti B.j D.y P.j per significare Boccaccio^ Dante, Petrarca *); vi s' hanno dei Cai. per Catullo; nel Discorso del Bnonanni (p. 4@), al verso Viddi '2 Maestro di color ^ che sanno , s'annota D. de Vulg. eloq, e '/ traduttor B.] il che corrisponde al fatto dell'essere nel codice di Grenoble sottolineato il magister sapientum II, x, 1, e segnato in margine I), Cosi la duplicità, prima cosi imbarazzante, delle chiose del codice, si trasforma in una ragione di più per dover riconoscere che esse e quelle degli stampati son figliuole di un medesimo padre. Risulta dunque in modo sicuro essere stato nelle mani e per le mani del Corbinelli che il codice di Grenoble fu rivestito delle glosse cinquecentistiche di ciii si trova cosparso. £ non credo nem* meno di dover dire che faccio eccezione per l'unica che apparisce sulla pagina 24^, apta Vitaliano ^); poiché, se essa non par essere del Corbinelli^), parrebbe altresì posteriore al cinquecento. Il confronto i) V. p. 89, 1. 6. ^) Le stesse sigle anobo nollo ohiose skìVElhiea branottiana. Si veda il cappello messo loro da Jean de Toumes, p. 173. 3) V. p. 195, 1. 6. *) ho indica V ocobio e lo conferma la mente ; che non accade mai che nollo ohiose il Corbinelli citi in modo espresso « V italiano », ossia la ver- sione del Trissino, XXX INTaODUZtONB dell'edizione sua mostra come provengano medesimamente da lui non pochi di quei ritocchi, di quelle correzioni minime, di quei segni — virgole, parentesi ed altro ancora — che graficamente non lasciano trasparire la propria origine; e ciò che risulta in molti casi, è da supporre per non so quanti altri. Devo rilevare tuttavia che già nella fase intermedia tra il periodo costitutivo del codice e il tempo di cui ora ci si occupa, ossia nel lungo intervallo a cui appartiene la postilla lanueiises '), alcuni fatti di questo genere s' erano prodotti di certo. Cosi fu prima del Gorbinelli, come mostrerebbe, se ce ne fosse bisogno, la chiosa sua, che 19'' (p. 158 1. 1) il mate, paté primitivo fu alterato in mare, pare; e similmente, mentre per solito le lineette verticali introdotte per disgiungere elementi più o meno indebita- mente riuniti nella scrittura sono da attribuire a lui, non può dav- vero essere stato lui, né altri dopo che egli aveva scrìtto in mar- gine /. endecasillàbum^ quel cotale che un eirdeeadem, 17^, solo materialmente erroneo, volle con un mezzo siffatto scomporre da stolto in eir de eadem '). Ho ricordato la postilla lanuenses. Essa ha importanza per la stona del codice, non potendo essere senza una ragione che, dopo r età primitiva, tra tante popolazioni italiane ricordate nel libro, i soli Genovesi abbiano trovato chi si sia dato cura di segnalare la loro presenza, aggiungendo anche rilievo alla segnalazione con una grappa di forma studiata. La prima idea sarà che il codice sia stato per un certo tempo a Genova. Ma siccome due segnalazioni analoghe spettanti agli strati più profondi del manoscritto, il padaani e il ve- neti io'' (p. 79 1. 2 e 7), ci portano in tutt' altra regione, e fu da questa regione stessa, come vedrem poi, che il codice usci alla luce più tardi, c'indurremo piuttosto a pensare che la presenza dei Ge- novesi sia rilevata solo per via del dirsi male di loro, e che il mo- vente abbia a cercarsi nelle gelosie veneziane. E poiché sono sceso fin dove la storia del codice nostro mal si discerne da quella de'suoi ascendenti, non lascierò che da questi fatti ne vada disgiunto un al- tro, analogo anch'esso. Oltre a Genova, Padova, Venezia, anche Bologna dà segno di aver suscitato un particolare interesse, colla seconda rubrìca del cap. xv del 1. I, e più manifestamente col Bo- nonienses dìscrepani in loqnella scritto accanto al cap. ix di quel libro stesso'). Ci dovrà ciò determinare ad attribuire a Bologna, «) V. p. XX. *) P. 187, 1. 1. Si noti che lo asticelle disgiungitrici sono qui differenti dal solito. Invece di passare attraverso a tutta V altezsa delle lettere , 8i arrestano in basso, 3) V. p. xix. CODICE DI OBENOBLE XXXI o il codice notitrOy od uu «suo maggiore? — Possono: uou devo- no; che il nome di Bologna suonava troppo alto presso tutte le persone coltOi troppi nativi d'ogni provincia vi s'erano nutriti di sapere, perchè ciò che riguardava quella città non fermasse in modo particolare l'attenzione. E le parole stesse, Bononiensea discre- pani in loqueUa^ non separabili del resto dalle altre, .xìiij, uulgaria in Ytalia ^\ ponderate bene, paiono accusare, per verità, piuttosto un non Bolognese che un Bolognese. 2. Codice Teivulziano Primo a ritornare alla luce nei tempi recenti fu il codice Tri- vulziano, comperato dal marchese Gian Giacomo a Venezia o da quelle parti, insieme coi libri postillati dal Corbinelli '). Non si creda per ciò che ancor esso provenisse da Santa Giustina. Per l'acquisto Boselli non v' entrò di sicuro ,' e se vi si fosse trovato anteriormente, lo vedremmo indicato in qualche maniera nelle Bi- bliothecae Patavinae del Tomasini'). E cosi esso non dev'essere uscito neppure da nessun' altra delle collezioni descritte in que- st' opera. Ma se non a Padova, non lontano di li (forse a Vicenza, per motivi che si capiranno poi) il codice doveva pur essersi ridotto nella pace silenziosa di qualche biblioteca monastica o capitolare. E ana- logamente con ciò che accadde agli stampati corbinelliani, fu il tur- bine della rivoluzione francese che lo snidò da quel tranquillo asilo. Ecco donde ricavo cotale notizia. Insieme col codice, ed inserite in esso, stanno alla Trivulziana due schede di poco anteriori alla compera, che contengon ciascuna un succinto ragguaglio intomo ad una delle due parti, in cui, come si vedrà or ora, il manoscritto viene a ripartirsi. Or bene : sulla parte rovescia di quella che concerne il De vulgari Eloquenlia ^), si *) V. ib. «) V. p. xxvi, n. 2. 3) Udine, 1639 ; V. p. 42-47. ^) < Questo codice scritto, se uon prima, nel secolo decimo quarto as- solve Giangiorgio Trissino che fu il primo a pubblicarlo nel secolo decimo quinto, » (l' autore di queste parole devo aver creduto ohe * secolp decimo quarto • fosse il quattrocento , « decimo quinto > il cinquecento) dalP ac- cusa di averlo a Danto falsamente attribuito. Nelle margini ci sono delle varianti lesioni. Non ci è distinzione de^ duo libri , che compongono essa opera: ma i primi 19. capi formano il primo libro, i tredici ultimi il secondo : si avverta che negli stampati i due ultimi capi non sono che un solo. Yeg- gasi il tomo secondo dello opere del Trissino stampate in Verona, dove al testo latino di Dante ò unito il volgarizzamento del medesimo. > XXXII INTRODUZIONE legge: « Questo codice fu portato via dali ') Francesi Gomisari 14 Lu- glio 1797 Con altro Codice Dionis ') alicarnasei »^). Sicchò il nostro cimelio fa compreso nelle rapine che per Padova facevano esclamare in quei giorni all'abate Gennari nel suo diario: e Addi 6 (agosto). Questi maladetti cani francesi, non contenti di ridurci in camicia colle continue requisizioni, ci spogliano ccnche de' più bei codici mss. e stampati che hanno le nostre librerie del duomo, di S. Giustina, del Santo, ecc. » *), Sennonché si vede che la custodia dei commis- sari non fu cosi vigile, che il prigioniero non trovasse modo di svi- gnarsela *). Del prezioso volume l'eruditissimo abate Pietro Mazzucchelli, dottore e più tardi prefetto dell'Ambrosiana, a cui in casa Trivulzio era commossa la cura della biblioteca e del museo, stese un'ampia descrizione, che, autografa, sta anch'essa insieme col codice, e che fu pubblicata due volte : prima dal Torri ^), più tardi dal Porix> ^). Il lavoro è lodevole; tuttavia bisogna pur sempre che sia qui sur- rogato con una notìzia più precisa. Il codice, segnato col n. 1088 (Sca£P. 84, Palch. 5), è un volume cartaceo, che nonostante la rilegatura — una rilegatura ben mode- sta — ha preservato ampi margini. Ha le dimensioni di mm. 288X^1^» e consta di 30 carte, numerate tardivamente fino alla 28", con di- nanzi un foglio di guardia, che già apparteneva al volume, secondo apparisce dalla marca di fabbrica, ma che fu qui trasposto da un'altra sede quando la prima facciata aveva avuto tutto l'agio d'insudi- ciarsi e di vedere alquanto scemata l' evidenza della scrittura. Un'altra guardia fu aggiunta dal rilegatore in principio ed in fine. Le trenta carte si ripartono in due codicetti, costituito il primo di un sesterno e di due altre carte, il secondo di un quaderno dop- 4 ') Invoco che ilali^ forso dcllij cho darobbo un senso diverso, senza per questo modificaro la sostanza dui fatti. Ma so la ragion grafica sembra fit vorire il delli, lo considerazioni intrinseche appo<^^iano il dali. ^ Prima doveva essorsi scritto Diono, ossia un Dionea cui mancava ancora l' ir. ^) Dione e la data del li luglio possono fornire delle tracco utili per il completamento della nostra storia, sebbene i tentativi miei siano riusciti infruttuosi finora. '*> Dai frammenti pubblicati per nozze Toffolati-Marsoillo (Padova, 187B), col titolo La repubblica francese a Pttdova] p. 41-d2. '-') Non si formi nessuno, per cento e un motivo, alP idea cho il co- dice andasse a Parigi e ne ritornasse dopo la catastrofe napoleouioa. 6) P. 161-155. ^) CaUUoffo dei Codici nvanoteriUi della Trioulziana^ Torino, 1881, p* 121- 127. Qui 8* ò scorciato, omettendo una serie di notizie accessorie. Che la scrittura avesse già visto la luce, pare che dal Porro non si rammentasse. CODICE TRIVULZIANO XXXIII pio, affratellati, più che dall' ngaaglianza delle iniziali coloratei dal- l' essere, per quel che pare, identica la carta, e scritti anche proprio, secondo me, dalla medesima mano. Comunque, l' accoppiamento ri- sale a una data ben antica. Considerando qui il codice come un tutto, il De vìdgari Eloquentia si spinge fino al recto del f.^ 14; ma si trova scritto per intero anche sulle prime 13 carte, in quanto le sei righe venute a traboccare sulla facciata successiva furono dall'ama- nuense riscritte — non tuttavia immediatamente, giacché in tal caso non sarebbe a lui accaduto di frantender so stesso *) — cancellan- dole alla buona nell' altro luogo. Sui f.^ 15^ comincia 1' Ecerinis , ossia propriamente una lunga didascalia prosaica, che occupa due carte. Dal f.^ 17° al 27'* abbiamo il testo, seguito dalle parole: Explicit tragedia dni Albertini Musati pataui hy storio graphx et tragedi feliciter Amen, Nò di questa seconda opera ho qui a dare maggiori ragguagli ; e solo avvertirò che fu certo letta assai meno della precedente, sicché non ebbe bisogno, come quella, che le carte se ne imbrachettassero nella parte inferiore per riparare alla me- glio ai guasti. Avrò bensì da render conto più sotto di ciò oh' ò venuto a diminuire il candore delle pagine che erano rimaste in bianco alla fine. Nel De vtdgari Eloquentia, eccettuato, per il motivo ohe s' e visto, il verso del f.^ 13, abbiamo 39 linee per pagina, e la scrittura viene ad occupare un rettangolo di mm. 180 ') per 135 circa. Sono in rosso le intitolazioni dei capitoli, alternativamente azzurre e rosse le iniziali di ciascuno di essi, con ghirigori rossi nel primo caso, bruni nel secondo. La prima iniziale , maggiore assai dell' altre , è molto più ornata e in modo tutto suo. Né più nò meno che nel codice di Grenoble, sono sottolineate in rosso, con frequenti inesattezze, le allegazioni volgari. La scrittura spetta senza dubbio alla valle del Po, ossia alla regione medesima a cui ò parsa da assegaare quella dell'altro codice. E a confronto di essa, per quel tanto che ò le- cito profferir giudizi in cose cosi incerte, s' inclinerebbe a ritenerla qualche poco più antica. Se nell' un caso io rimango oscillante tra il declinare del secolo XIV e il principio del XV, in questo le pre- sunzioni in favore del XV mi paiono assai scarse. Il codice é, se Dio vuole, assai meno cincischiato del suo con- fratello, e non ci fa passare attraverso ad angustie cosi penose. Si ha ') Egli non seppe più raccapezzare un per suasorie t che, in maniera imbrogliata, aveva pur messo nella prima scrittura, e arrivò a lasciarsi uscir dalla penna un balordissimo uoMorie , mentre suasorie almeno gli si offriva spontaneo. ^ 183, se si tien conto delle lettere ascendenti e discendenti. XXXIV INTEODUZIONB un solo supplemento marginale, subito nella prima facciata ^), ed è da attribuire senza titubanza al trascrittore, al quale spetteranno di certo anche le arcipochissime minuzie di mano antica, che hanno preso posto fra le linee *). E sono per solito indubbiamente sue delle sbar- rature, mediante le quali, con pronto ravvedimento, s'è rimediato a qualche fallo, consistente per lo più in un' anticipazione di parole '). À questo modo è accaduto una volta che si sbarrasse tutta intera una rubrica, messa in iscambio di un'altra, alla quale fu procurato un rifugio appiè della pagina *). Chiaro che uno svarione siffatto non poteva commettersi se le rubriche fossero state scritte capitolo per capitolo insieme col testo, come nel codice di Grenoble. E che si soggiungessero poi, risulta anche 5^, dove al termine del e. xii del 1. 1 segue insolitissimamente una linea bianca ^), non dovuta di si- curo ad altro, se non all' essere parso, quando si scriveva il testo, che per l'intitolazione del cap. xiu occorressero due righe, mentre poi si credette (erroneamente, dacché l'ultima parola dovette pres- soché tutta quanta invadere il margine) che una sola avesse a ba- stare. Nonostante ciò, è indubitato che anche le rubriche sono della mano stessa che il testo. Quanto a un buon numero di correzioni che subito si rivelano tarde, se ne tratterà più oltre. À differenza dell'altro manoscritto, il codice trivulziano ci racconta parecchio della sua storia. H più antico possessore che v' abbia lasciato di sé una traccia , della quale non oserei dar per sicuro che trascenda i limiti del secolo XIV, è colui che scrisse, f.® 30^, Liber iste Bartolomei/ de Zambellis dicitur esse% Vuol V. p. 6, 1. 1-2. *) La più cospicua (si giudichi cosa siano le altre) consiste in un w, ^ 1. 35 (p. 66 1. 7). 3) Particolarmente 4" 1. 7 (p. 45 1. 3), 1 1. 12, 23, 33 (p. 100 1. 18, p. 102 1. 1, p. 104 1. 8), 8'* l. 33 (^p. 113 1. 4), IO'' 1. 24 o 28 (p. 150 1. 1 o 153 1. 3 , 13^» 1. 40 (p. 200 1. 4), 14^ I. 8 (p. 201 1. 1-2). Lascio che appariscano ai luoghi loro i casi tanto o quanto dubbi anche per me. Non ne ometterò invece una triade di minimi, particolarmente sicuri, in quanto V errore ebbe solo un principio di attuazione : 4^ 1. 15 (p. 52 1. 5), W 1. 4 (p. 137 1. 4), e 12M. 38 (p. 183 1. 4) ; ed uno altresì che rimane unico della sua specie, cioò la cor- rezione di identUatÌM in idenlilatf 4^ 1. SO (p. 48 I. 4), mediante sbarratura ed espunzione del -tU e sovrapposizione di t. Un caso invece dove la sbarratura é sicuramente assai tarda, ci si offre 8^ 1. 18-19 (p. 110 1. 18, 111 1. 1 sgg.)* *) Il fatto avvenne là dove, senza segnalazione, principiava il 1. II, fl^(V. p. 107 1.2-3). B) Una linea bianca anche tra il cap. xiii e il ziv del 1. II; ma per la ragione dolP essersi voluto lasciare un posto alla rubrica, che V esemplare non dava (V. p. 109 1. 6). ^) Il Mazzucchelli, non riflettendo all' età della scrittura o non ren- CODICE TRIVULZIANO XXXV mettersi sabito dopo di lai chi segnò li sotto, Sic liber Est la- cobi M, ^) Clementis Padue Causidici. Queste dae indicazioni eb- bero la sorte consaeta d' essere cancellate, senza diventare per ciò meno leggibili; e come cancellatore dì Bartolomeo, a gindioare anche dair inchiostro, dovett' essere Giacomo, la pariglia ebbe forse ad esser resa a costai da un terzo possessore, che collocherei intomo alla metà del quattrocento, e che volle nominarsi in più luoghi. Frat- tanto, su questa medesima facciata, dove la collocazione del suo dop- pio Mei marci de plctcerUiaf Mei marci de pla^ serve a daterminare la successione cronologica. Inoltre, di lettera non corsiva, in capo al f.o 14^, ultimo, come s' è visto, del De vulgari EloquerUia^ si da mettere fuor di dubbio per questo tempo V unione dei due elementi che costituiscono il volume: Ego. marcus de plaeentia. Finalmente in maiuscolo, 30^: MARCI RAETHOMOI VIRI. EX. «)• Le parole stesse ci fanno subito intendere come 30^ non sia Pantografo di un possessore il m[e8sery) Zorzo ridolphi che fu cap** a rezo. Chi appose questo ricordo, che ci riporta verosimilmente al di qua del 1513^), scrisse più sotto anche certi appunti, nei quali ci si mostra € Messer Angelo Colutio » ^) : Angelo Colocci, il famoso erudito, vissuto dal 1467 al 1549 ^). Su queste menzioni fermeremmo dendosene conto, pensò a un lettorato veneziano di questo nome, vissuto nel secolo XYI (Torri, p. 155). ^) Ciò ohe per ragioni tipografiche io rappresento con M,^ è nel mano- scritto un^ M traversata da una linea verticale in foggia di 2* H Mazzuc- chelli (Torri, 1. cit.) ne ha fatto assurdamente un messer. Vorrà mai dire Magintri ? ^ Ex,, non enne, come ha stampato il Mazzucchelli (ib.)« '^) Completo qui e sotto il vocabolo , dacché il codice porta una sigla che significa espressamente metier. ^) Giorgio Ridolfi avrà tenuto P ufficio nel periodo in cui Reggio fu in potere dei papi (1512-23), e propriamente al tempo di Leone X. Si noti che una sorella di Leone era maritata nei Ridolfi. Ho cercato senza frutto il nome di Giorgio nei Diarii del Sanuto, in un opuscolo di Lino Chiesi, Reggio neW Emilia sotto i Pontefici ecc. (Reggio -Emi Ha, 1892), e in altri li- bri. Non sono stato a spingere al fondo le ricerche, perchè tanto il guada- gno non francava la sposa. ^) Ecco gli appunti : angelo eolulio H numero ieeondo m[es8er] A. C, hello e in altra forma insolito et alato Brutto eióe senza numiero Di che t'adorna uolentier* il mondo. La spiegazione sovrapposta alle sigle A, C. è della stessa mano. Kel verso che 8^ ha in ultimo luogo ò differente V inchiostro. ^) A mani ed a tempi più o meno diversi paiono invece da attribuire certe sentenza scritte nella parte estrema superiore della stessa paginac. XXXVI INTEODUZIONB più attentamente gli sguardi, se della mano medesima non avessi- mo 29^ qualcosa che vale assai meglio. Si tratta di un memoriale non breve, steso di seguito (qualche riserva è da far solo per l' ul- tima indicazione) come apparisce dall'inchiostro, di Libri Prestati^ in gran parte a uomini ben noti : A m[e8ser] Lascari. la grammatica di scolarlo vnaltro libro greco con prouerbij A basilio la grammatica di Theodoro a pena in membrana Le tragedie di sophocle con glose Herodoto Al marostica psello sopra homero Al leoniceno alexandro sopra Ar. de sensu A Thomaso suo nepote hippocratis aphorismi 9 9/® G, liber op *) A pre*) don francesco prisciano anliquissiuio A mlesser^ Oio. Ruc, Vitruiiio epl, eie, ad att et /') A Lazaro bassianate Alexandro de fato et altre opere Am^*) Nicola prisciano, lo organo di arist Accanto all'indicazione del prestito fu poi scritta per il Marostica, il Leoniceno, Gio[vanni] Iluc[ellaiJ, m^ Nicola, F indicazione Rihauuto^ di cui la prima da certe curioso deficienze apparisco copiata materialmente Dio sa donde : [s]uma vi[r/tf«| summo viro . L' attestazione ha certo molto valore, venendo da chi della morte può ben dirsi un testi- monio oculare ; tuttavia ò lecito domandarsi se il Valeriano sapesse con precisione quando era seguita la nascita. <0 P« XLii e I.; e cfr* Mobsolin, p. 66. xxxvm iNTaoDUzroiTE giunto sopra più tardi), Giovanni [di] boccaccio [da eertaldo] ne la vita di Dante, Ora, il passo è copiato a questa maniera: Apprisso^) già vicino a la sua m^rte compose un lihreUo in pruisa latina il quale egli iiUitul^ de vulgari iluàqmntia, i come che per lo detto libretto apparisca lui hauere in animo di distinguerlo U di terminarlo in quattro libri^ b) che più non faccesse da la m^rie soprapreso, w che perduti siano gli Mri, più none appariscono cht i dui primi *J. Quegli f e quegli u non possono a meno di far correre subito la mente a Giovan Oiorgio Trissino; e che a lui sia da fermarsi, mostra nel modo più evidente il confronto che alla stessa Trivnl- ziana si può istituire con un autografo trissiniano del 30 decim- bre 1538^ consistente in una ricevuta di venti ducati, la quale, a no- stra guarentigia, porta la dichiarazione di essere scritta Manu proppia, cosi necessaria per non cadere in errori grossolani e quanto mai comuni, qaando si discorre di questi nostri tempi. Del resto, che s'abbia a fare col Trissino, ò cosa arcinota, e può dirsi l'anima della illustrazione del Mazzucchelli , al quale spetterà il merito d' essere stato il primo dei moderni ad accorgersene, se pure il merito non appartenesse invece allo stesso March. Gian Giacomo. Ma dalla nota risulta anche un dato cronologico abbastanza no- tevole. Chi si faccia a confrontarne la grafia con quella abituale del Trissino, e, per non andar più lontano, colla maniera come queste linee stesse appaiono sul frontespizio della traduzione di cui ci s'avrà poi ad occupare — beninteso, nelF edizione originaria — vedrà che, mentre l'uso dell' e e dell'i è perfettamente il medesimo'), per Vo e l'u esso è invece precisamente inverso^). E di cotal fatto la spiegazione è ben semplice. L'ortografia trissiniana ebbe per questa parte a subire un rovesciamento. Nella forma in cui essa fa prima determinata e applicata e nella quale fu bandita colla famosa lettera a Clemente VII, l'o consueto stava a rappresentare la pro- nunzia chiusa, l'u) l'aperta. Sennonché il Trissino, più tardi, per il *) L^ f ò oorrezione di un e. *) La riprodusione di questo luogo, esatta neir illastrasione auto- grafa del Mazsucohelli, ò stata falsata, stampando, dal Torri (p.l52). Delle alterazioni dà subito la chiave la sua nota 2. '*) Se in apprtBso V t ^ sostituito ad e, il motivo sarà di siouro, o una inavvertenza, o V essersi venuti solo mentre si scriveva neir idoa di ese- guire la copia coir alfabeto arricchito. *) Di una differenza tra il ms. e la stampa s' accorse anche il Porro {Catal. ecc., p.l2G-27), sebbene non no abbia ravvisato la legge e il preciso perchè. CODICE TBIYULZIANO XXXIX desiderio di seguire quello ch'egli credeva essere l'uso grecoi si appigliò al partito opposto; e del suo ravvedimento fece espressa dichiaj'azione nel proemio ai Dubbii grammaticcUi^) stampati a Vicenza Nel annui MDXXIX, Del Mefe di Febram. £ il nuovo sistema era fis- sato perlomeno fino dal 1528| a cui, come si vedrà altrove'), risale senza dubbio la stampa del Castellano j dov'osso è applicato di già.^) Chiaro dunque che il passo del Boccaccio fu trascritto dove noi lo vediamo avanti il termine indicato. Di quanto avanti, non mi è possibile determinare. E nemmeno ho modo di stabilire con certezza un limite massimo; dacché quando nel 1524 il Trissino espose con opere a stampa i suoi caratteri al giudizio del pubblico ^), erano già corsi parecchi anni dacché egli li aveva escogitati e cominciati ad applicare, come si dichiara espressamente al principio dell' Epìstola a Papa Clemente ^). Confesso tuttavia che a rìsaiii*e oltre quest'an- no 1524 proverei una certa ripugnanza; parendomi poco probabile che prima d'allora, anzi, prima delle contese vivacissime a cui le no- vità dettero luogo, il Trissino fosse cosi fervido della propria orto- 1) .... la umde ho vuìlutuì anchuìra per vii utetauj,,,, etMìrriggirmi , f ri- muovermi da Ijirruìri; L' unui de li quali si l, che havindu) tui a luì ile- menlui de lu) Of ibaroj, tt aculuì asstgnalu) il eharacUre del tu grande de i Orici, il quale veramente apò Iuìtu) s'assegna a quelluì del grave, it UìUufuìf mi i pa- rutu)j chel sia più ragi^neouìle, dare dettuì eharaetire al sutù aniieui demtnlu}, eioì al grave, it uUu/uìj i l* altrui a V altrui; verHgrazia ecc. 2) P. LX. ^ Ed ivi ò applicata anche la distinzione di < e /, che nella trascri- zione nostra non ha ancor luogo. '') Anzitatto, com^ egli attesta nelP Epistola a Clemente VII, colla Can- zone indirizzata a questo medesimo pontefice. Por la data della quale giova avvertire come la Sopkonisba, che tiene il secondo luogo , sebbene uscita primamente colla data del luglio , si venisse già stampando fin dai primi di maggio, secondo s^ impara dalla lettera di Alessandro de^Pazzi, a cui mi riferisco nella nota seguente. ^) Della veridicità del Trissino non so dubitare, nonostante il coro di voci levatesi nel cinquecento a lanciare contro di lui e a ripetere l'ac- casa di plagio. Y. Sbnsi, Af. Claudio Tolomei e le controversie sull'ortografia italiana nel secolo XVI, in Rendie. delVAcead, dei Lincei, serie 4*, t. VI, 1® sem., p. 314-15. Vero che Alessandro de^ Pazzi, in una lettera oramai ben nota, della quale il brano che direttamente ci riguarda fu pubblicato nel- V Inventario delle Carte strozeiane del B. Archivio di Stato di Firenze, I, 669, parla come se la riforma fosse stata deliberata allora da Qiovan Giorgio cogli amici suoi; ma per quanto i ragguagli vengano da buona fonte, os- sia certo da Filippo Strozzi, che « assai sopra questo » aveva detto « la opi- nione sua > e col quale Alessandro (prendo la notizia dalP originale) era « insieme di continuo » , nulla vieta ohe per questo rispetto egli possa non conoscere o non rappresentare le cose con esattezza. Filippo stesso non s*era forse trovato presente che a qualche parte delle discussioni. XL INTRODUZIONE grafia, da servirsene anche in una mera trascrizione. Avverto come nella nota dei libri prestati non ne sìa traccia. Ma il Trissino non si limitò già a lasciare di so medesimo nel codice le orme che si son viste. Sono indubbiamente sue, e furono riconosciute per tali anche dal Mazzucchelli ^), non poche correzioni al testo di cui si vedono cosparsi i margini, come nel confratello di Grenoble, sebbene con maggior parsimonia'). Un fatto curioso si è che anche in queste correzioni occorre parecchie volte Vt: curioso, in quanto vi apparisce senza regola nessuna ^), e in quanto si tratta di parole latine, ed i Latini, stando al Trissino, non dovrebbero aver conosciuto che l'è largo ^). Di una semplioe peculiarità grafica non può trattarsi, dacché allora ne troveremmo esempio, per non cercar altro, anche nella nota citata; però io mi spiego la cosa coll'abitu* dine che la mano veniva prendendo a servirsi del doppio segno ; né mi meraviglio di non trovare analogamente degli (u, si per la forma più esotica, si perchè rispetto all'uso loro il Trissino, oltre all'in- vertire, come s'è visto, nel 1528, la norma del 1524, dovette tenten- nare, nonché nel periodo intermedio, anche nell'antecedente % Ho detto € l'abitudine che la mano veniva prendendo »; e con ciò mi Torri, p. 152. ^) Nel codice Trivulziano se n'hanno 71; neiraltro qualcosa più che il doppio. 3) S'ha vidilieet 4^ e videlicit 10^ (p. 51 I. 3-4 e 153 1.2); versijicatum e vir«ific- 7" (p. 108 1.2 ed); et e U 10" (p. 186 1. 10 e 142 1. 4). Le altre voci in cui occorre ÌU sono profiUri 7'* (p. 98 1. 18), ist 1^ (p. 108 1. 8), memifulum 8^ (p. 117 1. 13), uUu8la e patti T (p. 124 1. 5 e 126 1. 8), irgo d^ (p. 186 1. 2), inluiri IV (p. 157 1. 2). Come ognun vedo , figurano qui del pari sillabe to- niche ed atone. £ gioverà avvertire (V. la nota seguente) ohe sono scritte colPtf consueto, nonostante la tonicità, enim 2^ (p. 19 1. 1), nee 3^ (p. SI 1. 10), receptos S^ (p. 84 1. 1), dicenduvi T' (p. 96 1. 6). *) Duhhii, p. 207 nel t. II delle Opere del Trissino raccolte dal Maffei, a cui rimando per comodità, per rimediare alla mancanza di paginatura neiredizione originale: E che i latini nuìn havessenu^ detti tUtnetUi {V e e Vo stretti), a eia$cun peribj^ di Uggere it latinua pub CMsere manifeitta ; eumdò «ia, che nel leggerlu) nwti si pruìnunzia mai se tif^m 1(jù o, i l(a) i, kiarua^ et apertiti, perciò, che Ijaltrin'^ìn hannit). Il Trissino identifica cosi la pronunzia la- tina con qnoUa ohe s* insegnava nelle scuole ; ma se avesse affinato meglio l'orecchio, avrebbe, credo, sentito ohe Ve e Vo erano larghi solo se su di ossi cadeva Paccento. Bel resto, più giudiziosamente, accade dopo a lui stesso di dire ad altro proposito (Mafpsi, p. 210) che la pronunzia dei Latini noi non la conosciamo bene. '-*) Cosi almeno è da credere se si dà fede a un passo inserito nella ri- stampa deir Epistola a Papa Clemente, che va unita — precedendoli — ai Duhbii, Ivi si adducono due ragioni, una materiale, Paltra di opportani- smo, della preferenza data ali* u come espressione dclPo aperto ; e si afferma di aver loro ceduto quasi contro,,, vitìglia. CODICE TBIVULZIANO XLI trasporto al periodo di formazione del sistema. Più tardi la srego- latezza mal si capirebbe; e poco si capirebbe altresì che il sistema penetrasse di traverso, e non per diritto; cioè, che non si desse luogo alla distinzione dell' u e del i?, altrettanto applicabile al latino quanto all' italiano ^). Però io credo le correzioni anteriori perlomeno al 1524. Una volta che la mano del correttore è bene accertata là dove l'aversi intere parole dà modo di discemerla con sicurezza, non riesce difficile di ravvisarla anche in molte altre correzioni minori che s' hanno nell' interno del testo *), E pur dove quello che si dà ò troppo poco, troppo impersonale, perchè s' abbia un criterio gra- fico qualsiasi, un'induzione molto naturale induce a pensare nondi- meno al Trissino. Come mai sarebbe facile pensare ad altri, una volta che di ciò che accusa un' età tarda spetta a lui ogni cosa che permetta un giudizio ') ? Tutto, all' infuori di un Liber seoundus, {.'* 7^ *)j ben altrimenti moderno, che credo di poter attribuire con sicurezza all' autore della scheda di coi s' è detto a p. xxxi ^). Non escludo invece nient' affatto tre note segnalative o illustrative, f.^ 12"*, J2^ e 13' *), nonostante la diversità delle apparenze ^). E cosi il con- fronto colle cifre della ricevuta autografa già messa a profitto *) , accerta trissiniana anche una numerazione non primitiva apposta ai capitoli, mentre tale non oserei dire quella delle carte ^). Questo nostro codice non fu soltanto nelle mani del Trissino, ma proprio anche gli appartenne. Equivale manifestamente a una ') Se si ha vidilieety videliett, veraificaiunif Ffr, che il Tris- sino aveva conosciuto giovinetto nel 1506, studiando il greco a Mi- lano sotto la disciplina di Demetrio suo padre e praticando colla famiglia^). Invece è una conoscenza romana del 1514 Giovanni Rucellai '') : conoscenza mutata presto in amicizia. E fu a Roma del pari, e in quel tempo, che Giovan Giorgio si legò strettamente col vecchio Lascari, pur dovendo essersi incontrato con lui anche prima"). i) Il Morsoli u nolla 2^ od., p. 120, dice di un « testo del Trattato De Vulgari Eloquio^ rinvenuto dopo la morto tiV libri di lui », che non potrebbe di certo ossero altro cho questo. Ma il Documento LXX.X1V, al qualo egli intendo di rimandare (per errore s^ è scritto LXXVI, che ò il numero cor- rispondente nella 1*^ ed.), non ne fa menzione alcuna. Si tratterà di un abbaglio, prodotto dal « Dante vulgare con comento », che li dentro appa- risce. ') Però doUa massima parte accado che parli il Morsolin. 3) E ci volle la combinazione che una lettera del Trissino a lui diretta si conservasse nell' archivio dei Trissini stessi e fosso pubblicata dal Maf- fei, ed. cit., I, xz. Un certo qual dubbio, riguardo all'identificazione del Mazzucchelli, può rimanere. Un secondo « Pre Francesco », appartenente alla famiglia vicentina « de la Scola » legata per cognazione coi Trissino, sbuca, a buon conto , da un' altra lettera di Giovan Giorgio (^obsolih, p. 41G). Tuttavia, lasciando argomenti troppo discutibili, la qualità stessa dol libro prostato dispone sicuramente in favore dell' antico maestro. *) Castfxli La Vita di Oiangiorgio Tristino, Venezia, 1758, p. 8, Mor- soLiH p. 6 ; ma fonte unica ò la lettera. ^) È V osamo della lettera che m' induce in questa credenza. ^) In una lettera del 7 aprile 1508, Demetrio scriveva al discepolo, tom- puranoamente assente: « ...Lucretia, et Basilio, e gli altri stanno ben, et molto se raccomandano a V. M. » (Bossi, in appendice alla traduzione della Vita e Pontificato di Leone JTdelRoscoe, X, 100). 7) Il farsi dire a Giovanni nel Castellano, che V amor suo per il Tris- sino « nacque prima da la autorità di mio padre, che me lo comandò », mi rimuove dal pensare che i due si fossero veduti antecedentemente. ^) Perchò un incontro non seguisse, sarebbero occorse strano combi- nazioni. Si veda nel Legrand, Op. cit., I, cxliv-cl, quale sia stata la vita del Lascari nel periodo 1503-1513, e si ponga ben mente all' amicizia sua col Calcondila. CODICE TBIVULZIANO XLHI Il prestito del prisciano antiquissimo a don Francesco, se questi è il da Qragnaola, mostra che il Trissino possedette manoscritti di valore fino da un' età affatto giovanile. Come divenisse suo il co- dice nostro, chi mai saprebbe dire? £ cosi mi rimane affatto ignoto, in che modo, e quanto tempo dopo la morte abbandonasse la casa de' suoi discendenti ed eredi per andarsi a posare negli scaffali, di dove lo trassero, con esito ben diverso da quel che fosse nelle loro intenzioni, i commissaii francesi. Noterò solo che se esso si fosse trovato ancora tra le pareti domestiche quando nella prima metà del secolo scorso dattorno al Vicentino presero ad affaccendarsi vari studiosi, tra cui il Maffei, e le ricerche furono portate anche là dentro, non si capirebbe che fosse potuto continuare a rimanersene nell'oscurità. Pervenendo alla fine dove sta attualmente, il manoscritto, per una singolare combinazione, approdò ad una riva già cara al suo antico proprietario. Tra le amicizie a cui le dimore di Giovan Gior- gio in Milano dettero occasione, tiene un posto ben cospicuo quella con Cesare Trivulzio: uomo d'armi e di studi, morto poi anzitempo nel 1527 ^). La morte sua fu pianta dall' amico con un' egloga ; a lui è indirizzato il Castellano^ ma documento ben più eloquente del vicendevole affetto sono due lettere di Cesare, scritte durante una marcia attraverso la Toscana, il 28 e il 29 di aprile del 1512 '). Ne Cesare ò il solo dei Trivulzio di cui appariscano i legami col nostro; anche Agostino gli scrive, essendo cardinale, nel 1519, chiaman- dolo € amico carissimo » ^). Cosi dalla burrasca s'ebbero effetti, quali per solito non si vedono che nel mondo delle finzioni roman- zesche ^). V. LiTTA, Trimilzio^ tav. II; Morsolin, p. Id4. Che Oesare fosse compagno di scuola al Trissino, come il Morsolin dice, è verosimile; ma non vedo che risalti in modo positivo. *) Bossf-RosGOR, op. cit., X, 190 sg^. 3) Ib., p. 194 n. 2. *) Qualcuno, trovando nelle lettere citate, ohe Cesare Trivulzio manda a Oiovan Giorgio che ne lo aveva richiesto, insieme con un Guitton d' Areiso — da ritener manoscritto, giacché stampe, che si sappia, non se n* avevano — certi «quintemetti », potrà essere tratto a domandarsi, se la ^ realtà non fosse piCi romanzesca ancora , in quanto sotto quei « quinter- netti » si celassero il Dt volgari Eloquentia e V Eeerini$. L^espressione po- trebbe molto bene convenire, e la ragione cronologica s^appagherebbe ot- timamente deir ipotesi. Ma la probabilità di coglier nel segno è tanta, quanta ne ha di vincere un temo chi giucca al lotto. S^ ò visto uscire un ambo; ed è già, mi pare, un bel fatto. XLIV INTRODUZIONE 3. CoDiCR Vaticano n De vulgari Eloquentia Vaticano apparisce subito, ancho ad un osservatore inespertOj di un' età ben diversa da quella a cui spet- tano gli altri due. Esso è contenuto in un volume, legato in per^- mena, che fa parte del fondo Regina sotto il n^ 1370, e che risalta da un accozzo di codicetti diversi. Tutti sono cartacei ; e danno in- sieme una somma di 113 carte scritte e numerate, oltre alle guar- die e ai foglietti bianchi che a' incontran via via, non computati nella numerazione. Apre la serie (1-16) una grammatichetta italiana, e più special- mente fiorentina, anonima e tuttora inedita ^), finita di trascrivere a Roma V ultimo di dicembre del 1508, dietro un esemplare eh* era appartenuto alla biblioteca L. medicea — di Lorenzo il Magnifico') — ^ che in quelP anno appunto il futuro Leone X aveva ricomprato dai frati di 8. Marco e trasferito nel suo palazzo a S. Eustachio ^). Noto come in capo a questo primo scritto si legga un Bourdelot, testimo- nio che il codice venne alla Regina di Svezia dal noto suo medi- co. Nel secondo posto tien dietro il nostro trattato (17-54). Quindi abbiamo il De Situ lapigice di Antonio Galateo (55-94); poi un' ora- zione Anlonii Turcheii luree. Patavini (95-104) ; una di Giusto Baldini, padovano egli pure, In lohannis. lucensis equUis Insigni» funere^ recitata a Bruges nel 1472 (105-108); e finalmente una rassegna ben nota delle Regioni di Roma antica (« Regio prima Porta Capena » ecc., 109-113), assegnata, secondo il solito^), ma da una mano diversa, a un P. uictor^ che nel foglio bianco prece- <) È la più antica di cui io abbia notizia. Sarà pubblicata dal prof. Fi- lippo Sensi, che V ha copiata da vari anni. *) L' originale, membranaceo , registrato in modo non dubbio in un inventario del 1405 {Jirck, Star, ItaL, serie 8% t. XX, p. 64, n®. progres- sivo 2&5), sarebbe dovuto ritornare a Firenze; e invece non apparisce nep- pure nella più antica enumerazione dei tesori laurenziani (Index Biblio- Uóot MedicecBf Firenze, Libreria Dante, 1882). Per un errore disgraziato, commesso primamente dal Torri (p. zxzvii) e ripetuto da ohi n^ ebbe poi V occasione, compreso il Witte {Jentter LittnUurzeit,^ 1879, p. 877), V indi- cazione relativa alla grammatichetta fu estesa o riferita al De vulgari Elo- quénUa, E cosi errò primo il Torri nel credere che il « L[aurentii] medicee » si riferisse al Duca d^ Urbino. ^ y. PiccoLOMtiri, in Areh, Slor. liaL^ serie cit., XIX, 129 e 277; Vit.- LARI, Nieeolò Machiavelli « i suoi tempii III, 2 (1^ ed.). *) Trupfbl, Qeach, der rdm, JMer», § 412, 7 nella 4* e 6* ed. CODICE VATICANO XLV dente apparisce per fatto di una terza mano come Paulus Victor, alla quale rassegna s'accodano alcani dìstici su Roma di due diffe- renti autori, il primo non designato, il secondo Poreellius '). Davanti alla grammatiohetta stanno due guardie, che portano scritto di una stessa mano, l' una sul recto , l' altra sul verso, quella DANTE DELLA || VOLQ. LTNG., questa DANTE8, DE VULGA- Rl 1 TD 10 MATE. Queste guardie hanno certo scambiato posto con una che attualmente precede il trattato dantesco , sulla quale si legge DELLA TIIOSCANA SENZA A VITTORE. Il codicetto che solo qui ci sta a cuore ò composto di quattro quinterni nel senso stretto della parola, ed ha Y altezza di 208 mm., la larghezza di 146. La scrittura ò ben chiara, ma non elegante, e alquanto disuguale : più accurata e studiata dapprima, più trascu- rata e spontanea verso la fine, dal f.^ 40 in poi all' incirca. E di ele- gante qui non e' è nulla. Sono in nero le intitolazioni, in nero e sem- plici anche le iniziali maiuscole dei capitoli. Neppure si ò serbato costante il numero delle linee di ciascuna pagina, che fino a 37^ e quindi nelle carte 89-41, ascende a 20; 88 e 42-52 a 19; 58 e 54'' -- ultima facciata intera — a 18 soltanto. Nei margini si vedono alcune rarissime eorrezioni della mano del trascrittore; e insieme ce n' è qualche altra di una mano diversa, cboi quando volle correggere, corresse per lo più nell'interlinea. A questa seconda mano, della quale è caratteristico lo scriver minuto, appai*tiene un numero ragguardevole d' altre glosse marginali in italiano, segnalatrici di ciò di cui si parla nel testo, e specialmente dei nomi dei poeti. Sono da assegnare alla prima mano, non alla seconda, se ben si guarda all' inchiostro, certe coppie di punti, che hanno, come nel codice di Grenoble, lo scopo di indicare luoghi corrotti che non veniva fatto d'intender bene, ma che là sono disposti orizzontalmente, mentre qui stanno l'un sopra l'altro. A che tempo va mai assegnata la copia ? — A prima giunta si oscillerebbe tra la fine del secolo XV e il principio del XVI; ma quando si esamina la scrittura là dove la contegnosità, che le dà un' apparenza più antica, si lascia vincere dalia naturalezza, è subito per la datazione più recente che si viene a propendere. E s' è poi rafforzati in cotale idea dalla moltitudine delle interpunzioni, tra cui s' hanno e punti e virgola, e punti interrogativi. Ma per buona sorte non siamo ridotti a contentarci di indizi di cotal genere. La scrittura del codice è identica a quella che appari- <) Non oscuro umanista napoletano dol quattrocento, intomo al quale si possono vedere segnatamente le Dia$ertasioni Votsiane dello Zeno, 1, 15-21. XLVI INTRODUZIONE sce in brevi pontifici che hanno al piede il nome di Pietro Bembo. Qnesti brevi sono considerati per solito come autografi di messer Pietro; ed è uno di essi che serve ad esemplificare la mano sua nella Isographie des hommes eélèbres pubblicata a Parigi dal 1820 al 1830. Sennonché la mano vera del Bembo, che io imparai anzi- tutto a distinguere sopra documenti ambrosiani ben certi ^), è tat- t' altra cosa. Il Bembo aveva dunque stesa la minuta di cotesti brevi ; ma chi li trascrisse sulla pergamena fu un semplice amanuense. Con ciò s' è già fatto un gran passo ; e una volta a questo punto, ci vuol poco a farne un secondo. Il Bembo autentico ha parte ancor esso nel codice del De vulgari Eloquentia, C entra, in quanto ap- partiene senza dubbio alcuno a lui quella che ho detta < seconda mano >: talora correttrice, più spesso indicatrice. Suoi sono anche i due titoli sulle carte bianche davanti alla grammatichetta. £d ho il piacere di poter raffermare il mio giudizio con quello, oltremodo autorevole in fatto di cose bombine, del prof. Vittorio Cian *). La nostra copia fu dunque eseguita per il Bembo ^). E il trovare che chi la eseguisce per lui è uno « scrittore >, come si diceva, che gli trascrive bolle stese qual segretario di Papa Leone ^), inclinerà a pensare che la copia sia stata eseguita a Roma, e non prima del 1513. Il termine da mettere di contro a questo risulterebbe dal sa- pere quanto tempo lo scrittore sia rimasto alla sua dipendenza. Il breve riprodotto nell' Isographie è del 1514 (30 sett.) ; e del mede- simo anno (15 giugno) ò anche un altro, avuto, beninteso, in conto *) La minuta di una lettera al Giovio (IG sett. 1530) o di una alla Marchesa di Pescara (2 luglio 1538); un sonetto al Giovio stesso {Oiouio: che i tempi et fopre raccogliete) ; i versi spagnuoli ristampati 1* ultima volta dal Teza nel Oiom, di Filol, romanza ^ IV, 73 (cfr. Biv. erit. della Leti, it,j IX, GÌ); un^ annotazione sulla faccia esteriore di una lettera in spa- gnuolo indirizzata a lui da Lucrezia Borgia (8 giugno 1503) ; correzioni sulla minuta di una lettera al Sannazaro, che dovrà essere segnalata spe- cificatamente più sotto. Tutte queste cose si contengono nei codici H, in/, 245 e 246 \ e ci esemplificano due diversi tipi di scrittura, Pano picco- lo, r altro grande. *) Il Cian si trovava per un caso felice in Vaticana allora appunto ohe, grazie ai lucidi che avevo preso a Milano, m'era venuto fatto di chia- rire la questione. 3) Ecco aver così colto nel segno il Grion, quando nella Prefazione al trattato di Antonio da Tempo (Bologna, 1869), p. 14, in nota, scrisse: « e forse fu egli » (il Bembo) « che nel 1508 ne » (del De V» X,) « fece fare la copia che ora sta alla Vaticana. » *) Ho un qualche vago sospetto che questo scrittore potesse esser senese. Me lo suscita il veder tralasciati i Senesi nel luogo in cui si pas- sano in rassegna, riprovandoli un per uno, i dialetti toscani (I, xiii, 2). 8* intende che V omissione può essere affatto preteritenzionale. CODICE VATICANO XLVII di autografo esso pure, che appartiene alla Magliabeohiana ; ma a me pare della stessa mano anche la minuta, con correzioni di mes- ser Pietro, di una lettera al Sannazaro posseduta dall'Ambrosiana, che ò del 22 dicembre 1517, buona ad accertarci altresì, o press' a poco, che l'amanuense era al servizio particolare del Bombo, e non solo addetto a lai nella cancelleria pontificia. Altri dati sa- rebbe agevole raccogliere, se mettesse conto il farlo, e se il problema non fosse destinato a ricever luce anche d' altronde. Dopo di ciò apparirà ben naturale la conoscenza dell' opera dan- tesca che il Bembo manifesta con segni non dubbi in certi luoghi delle Prose ^), le quali spettano ad un tempo che ottimamente s' ac- corda colle cose viste '). Quanto alle note che ci riportano, le più con certezza, talune con somma verosimiglianza, al De vulgari ElogiLeniia nel famoso canzoniere vaticano 3793 ^), sarebbe da sapere anzitutto quando siano state apposte; ma poi è sorto un dubbio assai forte che, in cambio di spettare al Bembo, come fu creduto, con molta ap- parenza di verità, dal Grion e da altri ^), appartengano invece al Colocci % che possedette di sicuro il codice ancor egli e la cui mano ^) Più che chiaro, neir esordio del libro secondo, il « Gotto Mantovano; che hebbe Dante ascoltatore dello sue caiixoni ». Cfr. De V, E,, II, xiii, 8. <) y. GASPARr, in Liieraturhlatt fUr gena, und roman, FhilologUf VII, 378; Oeseh, dtr Hai, Literaiur^ II, 409. Non s* immagini di dover risalire ai primi mesi del 1512, perchò il secondo libro apparisce steso allora (Giah, Un decennio della vita di M, Pietro BembOf p. 49-50). Nei due libri mandati il primo d* aprile di queir anno a Trifon Gabriele il Bembo si riserbava di introdurre mutamenti; e ne introdusse difatti Dio sa quanti. Si noti intanto che poco oltre il principio si dice che Giuliano de* Medici « à bora duca di Nemorso » : il ohe non potò scriversi altro che nel 1515, o al cominciamento del 1516. n non essersi poi surrogate queste parole (o chi non s* aspette- rebbe che di Giuliano si piangesse invece la morte ?) , ò invece realmente ; come pensa il Gaspary, una prova, che dopo quel tempo ben poco si do- vette rimutare nell* opera. 3) Eccone la serie. Indico con un semplice numero le poesie e i nomi di poeti a cui ciascuna di esso si riferisce, altro non occorrendo per ritro- varli, sia nella descrizione che dette del codice il Grion, Eoman, Studien^ I, 62 sgg., sia nelP edizione procuratane dal D* Ancona e dal Comparetti. — f.« r, n. 1 : DanU cita qata. — 7^, n. 30 : DanU cita qata uo ai lietamite, — 18", n. 48 : Dantt noia federigo, — 14'», n. 51 : Dante lo noia. — 15**, n. 54 : Dante cita qsla, — 81^, n. 106, Dante cita q$ta,^ 88^, n. 112 : Dante noia Gallo da pisa, — 35", n. 119: Dante lo nolci. — 57^ n. 181: Dante lo noia.— 98", n. 305: Dante [hià] cita qata "j L^ de uulgari eloquio. H bis h aggiunto sopra. *) Gaioif, 1. cit.; Ciak, Op. cit., p. 79. ^) Monaci, in una comunicazione agli editori del Canzoniere, e da loro pubblicata, I, xxi. Un elemento di cui tener conto ò anche la nota, segnalata già dal Fontanini, (Della Eloqtienza italianaf Boma, 1736, p. 229), Dantes de Vulgari eloquio cilat hanc 6f«, apposta in un codice provenzale ZLYIII IKT&ODUZIOVR ha con quella del Bembo una somiglianza siiigolare : dubbio oppu- gnato, non vinto, dalle cose che ora ci son venute a risultare ^), tanto più se si pon mente alla grande familiarità che era tra i due '). cioqaeceutistiGOy il vatic. 8205, alla poesia di Arnaldo Daniello, Sini fos amor» (f. 90^). Chiara la parentela di questa chiosa con molte di quelle ci- tate di sopra. Ora, il codice proviene dal Colocoi, e si reputano sue le po- stille ohe ci si vedono (db Noi hac, La Bihliothèque de Fulvio Orsini, p. 320). ') Come un indizio favorevole al Bembo è doveroso segnalare la men- zione di «Crallo Pisano» sul principio del seoondo libro delle Prose ^ che trova riscontro nella nota al n. 112. A lui, poco o tanto, farebbe invece con- tro quel de vulgari eloquio (n. 805) ignoto al codice vaticano, so, lasciando altro , non dovesse poi risultare che era neìV originale su cui il codice fu esemplato. *) Ci AH, Op. cit., p. 6y. U.-VERSIOHI, ALLE6AZI0NI. EDIZIOE 1. La VEE8I0NE DI GlOVAN GIORGIO TbISSINO. Gli è dal codice ora Trivolziano ch'ebbe a diffondersi prima- mente la conoscenza del trattato dantesco; e da esso si diff'use, grazie al sao esser venato, comunqae e quando si voglia, nelle mani del Trissino. Muore il Trissino, e il manoscritto stesso spari* sce, rimanendo celato per secoli. Ed è in Firenze che cotal conoscenza ci si manifesta anzitutto. Ivi, come altrove, l'opera non era più nota che di nome. Il < si dice > trasmessoci da Girolamo Benivieni nel Dialogo di Antonio Manetti cittadino fiorentino circa al sito^ forma, et misure dello in- ferno di Dante Alighieri *), che esso fosse « pervenuto alle mani di Messer Rinaldo Gianfiglazzi » '), non sappiamo che consistenza avesse. Se n'ebbe, avrebbe a trattarsi di un codice perduto o smar- rito; che dei due nostri che potrebbero prendersi in considerazione, nessuno doveva allora aver lasciato le regioni native dell'Italia settentrionale. Il Dialogo vide la luce per le stampe nel 1506 ^). Seti' anni dopo venne e si trattenne non brevemente a Firenze il Trissino^); ') y. intorno a questa operetta Baruj, Della fortuna di Dante nel «eo. XVI, Pisa, 1890, p. 131 sgg. *) Sono parole che il Benivieni metto in bocca propria (p. 20). J) Prima edizione è quella che se n'ha nella Divina Commedia giuntiua di cotesta data, non T altra a parte, giuntinadel pari, ma senza indica- zione d'anno, luogo, stampatore. Me ne ha fornito la prova l'ultima in- cisione, rappresentante il fondo deir inferno, la quale in tutti gli esem- plari da me visti doir edizione speciale ha rotto in alto a sinistra il contorno, integro inveoe nella sua competitrioe. *) V. MoasoLiN, p. 56 sgg., e una mia Nota nel t. II, Serie S"", dei Ben- dicottti dell'Accademia dei Lincei, CI. di scienze mor. ecc. {La data del « Dialogo intomo alla Lingua » di Nieeolò Machiavelli)^ p. 218. INTRODUZIONE e non può dubitarsi che nei ritrovi dogli Orti de'Rucellai egli non discorresse allora non poco del De vulgati Eloquentia, sebbene resti dubbio che ne avesse seco il manoscritto. Seco ad ogni modo lo portò di sicuro quando, nella primavera dell'anno successivo, lasciò Ferrara per Roma, prendendo più che verosimilmente la via di Fi- renze *). L'opera fu letta, e suscitò discussioni vivaci, eco delle quali è il luminoso, per quanto passionato, scritto del Machiavelli intomo alla lingua. E questo scritto, che io credo spettare appunto al 1514'), è il primo documento da cui appaia finora in modo positivo la risur- rezione del nostro trattato ^). Se a Firenze il De vulgari Eloquentia del Trissino fece una o più apparizioni e si lasciò dietro degli strascichi, a Roma dimorò lungamente; che Giovan Giorgio risiedette colà dal 1514 al 1518*); e poi di nuovo nel 1524, e dall'autunno del 1525 a quello del 1526^). Ivi, naturalmente, esso dovette esser mostrato e dato a leggere nella cerchia degli amici. Ohe il dialogo // Castellano, dove il trattato dell'Alighieri ha una parte notevole, dia realmente l'idea dei discorsi e delle discussioni che si solevan tenere nella seconda dimora romana del Trissino da quella che Alessandro de' Pazzi chiama ^) « la Achademia.... di Castello », risulta appunto dalla te- stimonianza di Alessandro ''); e non può essere che cose simili non siano da supporre per la prima dimora, considerato ciò che era suc- cesso a Firenze. E a Roma il codice trissiniano ebbe accanto, co- munque la cosa avvenisse (questione da trattarsi altrove), quello del *) Nota cit., p. 21G. ^) È la conclusione, non corta, ma probabile, o iu ogni caso soggetta a ben lievi oscillazioni, della mia Nota. ^) Un indizio elio ci riporterebbe più addietro di parecchi anni sarebbe il vocabolo e il concetto della < lingua cortigiana >, che fa capo a Vin- cenzo ('almota, morto nel 1508. Ci s' e visto ^ik ò gran tempo da taluno (Montanini, Eloqueìiza italiana, ed. cit., p. 258, o cfr. Gkion, Antonio da TemiìO, p. M) un rillesso del De vulgari Eloqutntia, Kagionevolmento di certo; ma per quanto possa parer singolare che la convenienza tra la teo- ria e la terminologia dantesca e cahnetosca si sia prodotta senza che ci fosso contatto, è questa per adesso V ipotesi più attendibile. *) MoasoLiN, p. 65-97. 5) Id., p. 115-125, 131-133. 6) V. p. xxziz, n. 5. 7) « Qui la Achademia Tragica, idest di Castello, in qua principalis est Trixinus ille Tragicus, è resolula, doppo molta consulta circa alla lingua vulgare, di aggiungere li toro » ecc. E si badi come Filippo Strozzi, che si capisce bone essere stato oppositore in questa faccenda dell'alfabeto, 6 un interlocutore principale, e sostiene il peso dell' opposizione, anche nel CaaUllano, LA VERSIONE DEL TRISSTNO LI Bembo. Cosi la cognizione dell'opera si veniva propagando. Però non ne parla già solo per udita, sul finire del 1524, Lodovico Mar- telli, che anch' egli, credo, dovette vederla a Roma; e a Roma l'avrà conosciuta fin d'allora il Tolomei, che tanto ne ebbe poi a discor- rere nel Cesano^ su cui bisognerà più oltre fermar bene gli sguardi. La propagazione che qui si dice è tuttavia da intendere in un senso ben ristretto; e i lettori del trattato dantesco erano stati pur sempre dei privilegiati, quando, colla data del MDXXIX, Del Mefe di OenariMì, ne fu pubblicata una versione Stampata in Ffccfua, col- l' ortografia trissiniana della seconda maniera, per jTooZojmfu lani- culuì da Bressa, Essa è preceduta dalla dedica di uq Giovanbattista Doria Al Reverendissimua , it IllustrissimtAì Cardinale De Midicif cioè ad Ippolito, bastardo, vero o creduto, di Giuliano. Chi è mai l'autore di questa traduzione? — Convien domandarsi anzitutto, chi si dica che sia. — Fu tenuto da molti che l'autore della dedica la desse come opera di Dante stesso ^); e cotale idea non è ancora dissipata ^). Bisognava, per verità, essere lettori sbadati per intendere in siffatta maniera il passo seguente '): < Però essendomi a le mani pervenuta l'opera de la sua volgare eloquen- zia, la quale esso (acciò, che a Spagnuoli, a Franzesi, a Provenzali, et a tutta Italia fosse comune) scrisse in latino ; et non parendo a qualcuno, che essa (per essere latina, et in stile rozo, e di que tempi, fosse cosi comune a noi, ne così intelligibile come dovrebbe) fu da lai ne'l nostro Idioma transportata. E questa vedendo io > ecc. Certo la perspicuità lascia molto a desiderare; e dei guai ne rimangono anche rimediato all'error materiale dell'essersi prolungata fino a de- *) Indicherò Apostolo Zeno , nella lettera — certamonto sua, clioochò obietti il Fanfani, Atruria, II, i2!J — che fu pubblicata ^«enza nomo d' au- tore in coda alla ristampa della traduzione stessa inferita dall' Albrizzi nel t. I della sua Galleria di il/tit^rva, Venezia, 16i¥3 (p. 6A); il Muratori, Perfetta Poesia^ 1. I, e. 3 (t. I p. 21, ed. originaria); il Bottari, nelle noto air Ereo- iano del Varchi, Firenze, 1730, p. 57; il Foutanini, op. cit., p. 170. E Tavorsi le conseguenze suppone bene le promesso anche nel Corbinel]i,che in data 5 febbraio 1575, in una lettera che ci fermerà ma«;;5Ìormente più oltre, di- ceva del testo latino, « io quanto a mo V ho sempre tenuto di Danto insie- me col vulgare, che i più reputati voglion tener per fermo che sia del Trissino» (Ambros., 2\ 167, sup., f. ^30'). Ohe non istesso molto a mutar parere, ai vedrà poi. ^) ORiyKLLXJcciy La eontrovrrsia della lingua nel einquecenio, lavoro scritto nel lB72y ma pubblicato solò nel 1880, nella Cronaca del liceo di Sassari per Tanno 1878-79, p. 20; Vivaldi, Le controversie intorno alla nostra lingua dal 1500 ai nostri gioì'nij Catanzaro, 1894, I, 143. ^ Poiché importa di non distrarre l'attenzione del lettore dal senso, e chi parla d' altronde non è il Trissino, rinunziò qui a mantenere le pe- caliarità grafiche della stampa originale. tu INTRODUZIONE vrebbe la seconda parentesi, che s'aveva a chiuder con tempi] però non è troppo da meravigliarsi che il Torri, rilevando Terrore altrai, cadesse egli stesso in un altro'); ma a chiunque apra gli occhi, ap- pare indubitato che il da lui si riferisce al qualcuno, a cui sembrò che ai lettori del cinquecento il latino del testo, anche per via della rozzezza dello stile (o come non vedere l'assurdità del mettere una ragione cosiffatta in bocca a Dante?), avesse a riuscir ostico. La versione è rappresentata dunque da Giovanbattista Doria qual opera di un contemporaneo, di cui si tace il nome. Ma anche su Giovanbattista Doria ci dobbiamo fermare prima d'inoltrarci di più. Ci s'è veduto un pseudonimo assunto dal Tris- sino '). Chi con ciò avesse inteso che il Doria esistesse solo nel mondo della fantasia '), avrebbe commesso un grosso errore. Già, bisognerebbe che Giovan Giorgio avesse la mania delle fanfaluche e che non curasse punto di esser smentito da un'infinità di testimo- nii, perchè in tal caso volesse far dire a Giovanbattista ciò che nella dedica si legge: « .... (com'ella può forse haver inteso) io era de la Ezcellentissima Casa de Medici servitore prima, ch'io nascessi ; per- ciò, che mio Padre, molti anni inanzi che mi generasse, fu de la fe- licissima memoria di Papa Leone, che alhora era il Cardinal de Me- dici, e da tutta la lUu. casa sua per servitore ricevuto; e poscia da la Santità di N. S. Papa Clemente, per tale conosciuto. Ma essendo mancato lui, » ecc. Ben lungi dall'essere una creazione fantastica, Giovanbattista è persona cosi reale, che il Varchi — un avversario accanito delle idee trissiniane — oltre ad attribuirgli, che potreb- b'essere semplice induzione prodotta dal casato, l'epiteto di « Ge- novese », attesta di averlo conosciuto « scolare nello Studio di Pa- dova » *). I rapporti stretti col Trissino, che la parte assunta o ac- cettata nella pubblicazione dell'opera dantesca porta ad ammettere ') Il Torri dice (p. xvin, n. 6) che il da Ini va riferito « al sostantiTo latino ». E non gli suscita nemmeno un po' di scrupolo il dover far passare un pronome qual ò questo come « relativo ad un sostantivo di cosa * (p. vili, n. 10), 2) Lasciando staro 1 vecchi, corno lo Zeno nella lettera già citata, an- che il d^ Ovidio, Sul trattato De vulgari Eloquentia (Arch, Olottolog,, II, 60 e Saggi Critici^ Napoli, 1878, p. 332), disse la versione pubblicata dal Trissino « sotto finto nome » ; e più chiaramente il Morsolin nella 1^ ed. p. 172, scrisse che « Il Trissino dedicò il libro al giovane cardinale Ippolito de* Medici sotto il pseudonimo di Giambattista Doria»; scnnonchò nella 'i'^i p. 148, a « pseudonimo » sostituì « nomo ». '^) Tale, nonostante la frase vista dianzi, non era V idea del Morsolin neppure nella 1^ ed., secondo risulta da ciò oh* egli scriveva a p. 138 e 178. *) EreolanOf p. 45 nelP ed. originaria del 1570. LA VEBSIONB DSL TBISSINO LUI !h in qualsivoglia modo, e ciò che la dedica ci la conoscere de' fatti suoi, conducono diritti a rannodarlo con quell'Arrigo Doria, che Giovan Qiorgio, senza dissimulare menomamente di essere lui l'au* toro vero, rappresentò come relatore del dialogo che costituisce il Castellano '). Scolavo a Padova J7erso il 1540 '), figlio di tale che, quand'egli nacque, aveva già servito- per lungo tempo il futuro Leone X, dovrà bene di Arrigo ritenersi figliuolo '). £ una circo- stanza raiforza validamente la congettura. Il padre di Giovanbatti- sta era morto, come s'è visto, quandjo la Volgare 'Eloqtienzia fu pub- blicata, e morto essendo pontefice- Papa Clemente; la morte' di Arrigo avvenne tra il luglio del 1525, in cui egli è menzionato dal Trissino in una lettera ^), e la pubblicazione del Castellano^ da as- segnarsi al 1528; che in questo dialogo Arrigo non si limita già solo a riferire, ma ha propriamente l' aria di scrivere: finzione da non po- tersi ammettere, se si trattasse di un vivo. La dedica è dunque un documento attendibile ^), e riguardo al- l'autore del volgarizzamento altro non ci dice, se non che dobbiamo cercarlo dattorno a chi la scrisse, o almeno l' inviò. Già ab antiquo si posero gli occhi sul Trissino ^); l'ortografia, il luogo dell'impres- 1) // CasiellaniiH di M. Gùtìvan Giorgia Triasinij), il quale sf^ltu) nume di Arrigo Boria $i manda al S, Ci far e TrimUzion, ^) lì Varchi lasciò Firenze dopo la battaglia di Montemnrlo (1 ago- sto 1537) e ci fu richiamato al principio del 1543 (V., badando allo stile della data, le lettere scrittogli dal Gelli, in Opere di Giovar Batista Grltj, Firenze, 1855, p. 441-444). Cado in quosto frattempo la sua dimora triennale in Padova, preceduta da un intermezzo veneziano e seguita da un periodo bolognese-ferrarese, da ritenersi non minora di un anno. A Padova egli fu dunque dal declinare del 1537 al 1540, o dal 1588 al 1541. •^) Il Morsolin, p. 149, sospetta invece che Arrigo e Giovanbattista fossero fratelli. *) Mossoli H, p. 416. Una data di pochi mesi anteriore ci fornirebbe anche il CasleUanOy la scena dol quale si finge tra Tapparizione àeìV Epistola a Papa Clemente (ottobre- novembre 15'^) e la morte di Giovanni Kucellai (2 o 3 aprile 1525). Aggiungerò che il Trissino immagina di certo sé stesso assente; e da Roma egli parti nel novembre del 1524 (Morsolin, p. 125), rimanendo lontano un anno alP incirca. '■*) Solo in un punto secondario Giovanbattista sembra dir altro che il vero. Stando alle sue parole (Y. p. li), parrebbe che il traduttore del De vulgari EloquetUia avesse avuto il testo da lui. Ma non si tratterà pro- babilmente che di un difetto — non il solo, come sappiamo — dell'espres- sione. ^ II Varchi, Ereolano, p. 45 nell'ed. citata, non prosenta nemmeno la cosa come una congettura, ma come un fatto positivo : « Havete dunque à sapere, che M. Giovangiorgio Trissino Vicentino tradusse, non so donde, né in qual modo se gli havesse, due libri della Volgar eloquenza ». LIV INTRODUZIONE sione, la circostanza che il medesimo stampatore avesse dato fuori in quel torno medesimo, nell'identico formato, cogli stessi tipi, pa- recchie scritture di Giovan Giorgio *), dovevano suggerire ben spon- tanea ridea anche a chi non fosse spinto da quei motivi, per cui s'arrivò perfino a immaginare che l'opera fosse stata addirittura fabbricata da lui. Cotale credenza mise poi salde radici; e da un pezzo non si pensa neppur più a dubitarne. Cercando, qualche ragione di dubbio parrà affacciarsi. Si capi- rebbe che la pubblicazione fosse circondata di mistero: presentata come del Trissino, la versione doveva riuscire sospetta a tutta la caterva de'suoi contradittori; ma non si capisce una misteriosità ac- compagnata da tanti indizi che la venivano a distruggere ; in cotali condizioni il mistero diventava un mantice da cui quei sospetti non erano che rinfocolati. E c'è da fare un'altra considerazione. Non si dovrà provar ritegno ad assegnare ad un uomo quale fu il Trissino, di valore incontestabilmente assai ragguardevole, una versione, in cui, per limitarmi a un giudizio recente ed autorevolissimo, « A centinaja si contano gli equivoci e gli spropositi » *)? Di questi argomenti, il primo è di natura troppo lubrica per- chè si riesca a stringerlo fra le mani: occorrerebbe conoscere cir- costanze che ignoriamo e che nessau'arte divinatoria potrebbe rive- larci. D'altronde, se quel nascondere e palesare al tempo stesso sa per il Trissino di contradizione, per lui solo ci appariscon motivi di mettersi per vie in qualsivoglia modo coperte. L'altra riflessione pare aver maggior peso. Ma quando — ven- gano pure da chi si voglia le sentenze pronunziate in addietro — si obbedisca al dovere di procedere ad un nuovo esame, si sarà tratti a riconoscere che l'erroneità della versione è stata esagerata pa- recchio '). Alcuni svarioni madornali essa li contiene di sicuro ^); e Anche quel che dice il Corbinelli dei « più reputati » (V. p. li, n. 1), va certo riferito al « vulgare », non al « latino. » *) E per aolito almeno (parlo per os]) orienta mia, ma V. anche ciò che dice il Brunet, a proposito del Castellano) , gli esemplari della versione vanno uniti, e costituiscono un solo volume, con esemplari di talune fra queste altre opere. 2) n^ Ovidio, Saggi Critici j p. 333, in nota. E si ascolti qui sotto anche la voce del Foscolo, Discorto tul testo della Commedia di Dante, czxvi : « La traduzione pessima, attribuita al Trissino, s*ap])ig:lia saperstisìosa* mente a^ vocaboli o n' escono mostri. » 3) A buon conto il d' Ovidio stosso senti il bisoo^no di un gran tempe- ramento ; giacché T « A centinaja » della frase riportata di sopra ha preso il posto di un primitivo « A migliaja > {Archivio Glottologico^ II, 61). *) Il più curioso è, credo, l' aver interpretato versifichiamolo V ipsum tarminemusj II, i, 1. Altri esempi, insieme con questo, si possono vedere LA VERSIONE DEL TRISSINO LV sbagli Bou madornali uè ha ìd buon numero ; ma in generale, avuto anche riguardo alle condizioni del testo, vuol dirsi molto più impac- ciata e goffa che spropositata. Poi, bisogna riflettere che gli uomini del rinascimento si trovavano oramai di fronte al linguaggio e al pensiero del medioevo nella condizione in cui s' erano trovati quelli del medioevo in cospetto del linguaggio e del pensiero dell' antichità classica. O non s'era il traduttore, per testimonianza della dedica, messo appunto al lavoro perchè non gli pareva che l' opera « fosse .... cosi intelligibile come dovrebbe > ^) ? Né si può negare che dei meriti per l' intelligenza del testo il traduttore non se ne sia acqui- stati; ad essi, se è il Trlssino, aggiungiamo quelli che consistono in buone correzioni nel codice ora Trivulziano ; ed avremo una somma non inferiore davvero a quel che possiamo aspettarci con diritto. Del resto, ciò che si credesse d' intascare per questo rispetto, si dovrebbe poi subito rimetter fuori per un altro. vogliam noi che una traduzione del De vulgari EloquenHa fosse pubblicata nella patria del Trissino, mentre egli era presente o ben vicino, insieme colle cose sue, colla sua ortografia, dal figliuolo, certo in età gio- vanile '), di un amico, senza una sua partecipazione ? Sicché in qualsivoglia maniera le colpe verrebbero pur sempre a gravare su di lui. Ed egli ha inoltre messo per cosi dire il « visto » a questa versione , col servirsi di essa per i brani che dell' opera di Dante gli è tornato di citare nel Castellano. Gotali citazioni costituiscono anche proprio un altro indizio di carattere positivo che traduttore sia il Trissino. Sarebbe strano che per un libro che poteva dirsi cosa sua, questi volesse ricorrere ad altro interprete che a se stesso. Vero che, confrontando la le- zione del Dialogo con quella del testo intero, insieme con una con- enumerati dal d* Ovidio nel luogo citato; ma ecco che li stosso sarebbe da togliere, come dubbio, a dir poco, un certo luogo, che por via di un'ini- ziale non voglio qui trascriverò, I, x, 1. ^) Si badi alla dichiarazione del Foscolo stesso dinanzi allo parole allogato, a proposito della versione sua propria di un brano del 1. I, e. zìi: « Non so quantMo m'avvicini al latino di Danto, che m' ò duro alle volte. » ') Che di lui si dica dal Varchi nel luogo già citato, « per quanto poteva giudicare io, egli era huomo da potergli y—i « due libri della Volgar eloquenza » — « tradurre da so », non osta davvero ; e qui dentro ci sarà bene anche un pochino di quel solito errore, per cui ci pare che le persone siano stato e siano per essoro sempre quali ce le vediamo davanti. Scolare tuttavia a Padova sul finire dell537 al più presto (V. p. lui, n. 2), senza che si sia in diritto di supporre circostanze straordinario ritardatrici quali si dettero per il Varchi, allora trentacinquenne, Giovanbattista Doria vorrà con verosimiglianza supporsi nato intorno al 1510. Anche ciò che risulta dalla dedica al Cardinale Ippolito favorisce una determinazione siffatta. LVI INTRODUZIONE venienza ordinariamente perfetta pur nelle cose minime, si rilevano altresì molte diiferenze; più di cinquanta ne ho notate tenendo conto di tutto, compresi gli errori materiali. Ma siffatte differenze, tra le quali ce n' è talune di notevoli % lungi dal favorire l' idea di due autori diversi, s'intendono viemeglio se l'autore ò il mede- simo, dacché a nessuno accade di trascrivere sé stesso senza mo- dificazioni. E nella convinzione che sia il medesimo s' è confermati effica- cissimamente da ragioni linguistiche. La lingua che dal Trisaino si scrive e della quale s' ha in parte la teoria néiVEpistola a Papa Clemente, nei Dubbii grammaticali^ nella Grammatichetta, è un miscuglio di elementi toscani e cortigiani, e contiene molto di caratteristico. Orbene : tal quale come nelle altre opere noi la tro- viamo nella Volgare Eloquemia, Segnalerò i perfetti della 1^ co- niugazione in -orono ^) : cascarono, parlorono^ gustarono, porto^ Tono , ecc. ecc. ; i presenti havemo, volemo^ dicemo, rispondemo e non so quanti altri di questo tipo ; la z non mai raddoppiata ; l' ex- dei composti, scrivendosi sempre expectar, explicazionej exerci- tare, ecc. ; homo ed homini ; e cosi via, ci sarebbe da enumerare un' infinità d'altre cose, fra cui voglio specificare solo un fatto sintattico, cioè il si della prima persona plurale del presente nel riflessivo, quale ci si offre in si sforzaremo (I, i, 1), si affretteremo ') Yo n^ ha che ci presentauo come devo stare ciò che è vizioso noi testo della versione. Il vizio consiste qualche volta in un moro error di stampa: cosi ò di un eu)ctà per cuìslà , 1, xii, 2, di un dttittati por duìtalij ib., B, di un impatUae per tmpaxttce, ziii, 1. E non sarà da far risalire air autore neppure la funesta omissione di una virgola separatrice in Guidu) Lapia, xiii, 8; ma il Cartellano può sempre tenersi sodisfatto di avere Guiduì, Lapuì (cfr. p. 75 n. 4). Più ragguardevole in esso il Z)oi)j)h) questui, in cambio del Duìpjj quesUf xiii, 1, riuscito modernamente perni- ciosissimo (V. p. G9, n. 8). £ ragguardevole anoor più, anticipando di secoli una correzione (Y. p. G(3, n. 3), il si chiamò, in luogo si kiama^ su, 3. Anche la versione ha un attivo da mettere in mostra, sebbene più tenue: aigua xii, 2, huniani e di grazie ib. 3, di fronte ad aigva, humane, d* i grazie: orrori tipografici gli ultimi due, non cosi certamente il primo. Altre diife- rense tra le due lezioni meritevoli di essere segnalate sono le seguenti : XIII, 1, Yorsione H in questa, Dialogo U in ciò (lat. et in hoc) ; Yers. 2>rO' prii de le liÀìru) citladi iszere zi ritnjàverannuì^ Dial. proprii de le luìruì dita zi truùvzrannUA (lat. munieipalia tantum invenientur) ; Yers. vuìlgari de le città, Dial. vi*)lgari proprii de le città (lat. munieipalia vulgaria); xix, 1, Yers. Queiliàì veramente, Dial. Equestri veramente (lat. //oc enim)\ Yers. i quelli de la Marca trioigiana, i de la Marea d^Ancuìna, Dial. i quelli de la inarca d* Anewna, i de la marca Tricigiana (lat. utriusque Marehie viri), *} Anche qui (cfr. p. li, n. 3), V opportunità di non distrarre P atten- zione da ciò che importa vuole che io mi serva delP ortografia comune. LA VKRSIONK DEL TBISSINO LVII (II, V, 1). Che la Volgare Eloquenzia ci presenti delle forme du- plici e triplici, non è che una conformità di più che viene ad ag- giungersi al resto. In molti casi ciò sarà dovuto soltanto a inesat- tezze prodottesi nella stampa *) ; ma altrove s' ha proprio a trattare di varietà provenienti dall* autore, secondo induce a credere la Grammattchetta, registrando essa stessa siffatte moltiplicità. Tra le quali mi giova segnalare quella che riguarda le terze di plurale nel passato remoto della seconda e terza coniugazione, nell' imper- fetto soggiuntivo e nel condizionale delle coniugazioni tutte : dove, accanto all'uscita in -eno, che è per il Trìssino la fondamentale, non si tralascia di mettere quella in -ero, che è 1' usuale per noi *). £ faccio menzione speciale di questo particolare, perche non si cavino conseguenze illegittime da una certa maggiore abbondanza di -eroy che è assolutamente l'unica diversità, se tale può dirsi, che mi sia accaduto di notare nella Volgare Eloquenzia confron- tata colle altre opere. Che con ciò si sia arrivati ben prossimi alla certezza, chi vor- rebbe negare ? E la certezza divien piena, oso dire, quando si vede che la versione è condotta precisamente sul codice che fu del Tris- sino '). Subito se n' ha una prova nel frontespizio, dove è riprodotto, coli' ortografia del secondo periodo, il passo della Vita di Dante scritta dal Boccaccio, che nel codice s' è visto ricopiato sul foglio di guardia *). Ma delle prove se n' incontrano poi quante mai si voglia- no ; e le più significative consistono nel riflettersi che fanno nella versione le con*ezioni che nel manoscritto sono apposte di mano di Oiovan Giorgio ^). Non proprio tutte : I, vili, S, allo spropositato tmundiee confusione recepto il Trìssino aveva voluto suiTOgare nel codice immodicas confusiones recepite^ e la versione invece porta ') Così è da ri tenero, per os., là devo, iu uno dei brani citati noi Castellano, la Versiono ha huomini (I, xiii, 1), mentre il Dialogo porta komini, ^ Ne le mùpradeUe tirze perstMìne plurali de V indeterminaltàìt i del nu>ii euimpilitì, lu) n, »i mula in r, i dieetif «crwfanu), e tcriseeruit amasieruì^ eeri- oe««erh), sentiseertjj, anterfòòeru), tcriveribheruìy sentiribberu) ; i queat'*) ì te- Ojjndo la lingua SicUiana, i Puljefe. (Nel capitolo Di alcune diviree termina- zMon» de i virbi), ^) La prima afformaziono rocisa di questo fatto s^ha in una dello lettere del marchese Trivalzio al Yaldrighi (Torhi, p. IGO). Non so se emanasse da un esame ponderato; il Mazzuochelli, non avendo ancora avuto agio, allorohè scrìsse la sua descrizione, di oousiderar bone le cuso, s'era limitato a parlare di probabilità (ib., p. 152). Affermò bensì e dimo- strò il Witie, Jenaer LiUraturxeitung, 187», 377-78. *) V. p. ZZXVII-XXXYIII. ^) Di qui appunto trasse gli argomenti il Witte. A LVIII INTRODUZIONE da la immunda c^ìnfufiuìne riceout'jù ; X, 1, in cambio di attenersi a an superanda altrettanto balordo quanto lo sperando diplomatico, si ricorre al partito dell' omissione; II, i, 1 è bene un inventorihus^ inventum^ ossia la correzione vera, che si riflette in truìvaii>àri, trw- vattMìj e non il vtrsificat[oribu8]f versificatum dei margini; e cosi xil| 10 non s' ha indizio dell' indebito salvataggio di un carmina da sopprimere, mediante la metamorfosi in carminum. £ ciò è natu- rale; dacché sarebbe assurdo pretendere che nel tradurre non si producessero nel Trissino dei mutamenti di idea, a quel modo che nel codice stesso il carmina che ora si diceva, ebbe anche ad es- sere cancellato; e neppure è forse da escludere che qualche corre- zione del codice possa essere posteriore alla versione. E nessuna meraviglia nemmeno che la versione ci presenti a volte correzioni che nel codice non sono introdotte; come ad esempio I, vii, 6, opere ^ di contro ad opibuSj diversificanduìsi di contro a diversifi- cari. Ne solo la traduzione è stata eseguita su questo codice: ma può affermarsi risolutamente che il traduttore non si servi di nessun altro. Gr indizi che il Torri credette scorgere del contrario *) , sono affatto illusorii. Né vale il trovare che II, vii, 2 la versione riem- pia a dovere una piccola lacuna '), essendo troppo ovvio che anche il supplemento, al pari delle altre correzioni, potè essere congettu- rale. Del ricorrere ad un testo differente gli effetti risulterebbero ben maggiori. Quando precisamente il Trissino eseguisse il lavoro, non so de- terminare. Solleverò bensì un' altra questione cronologica, da parer strana a prima giunta. E proprio da mettere la stampa del volga- rizzamento sotto la data a cui, per ciò che vi si legge alla fine e che a me accadde di trascrivere più addietro ^), fu assegnata sempre finora? Contro un 1529 generico non ci sarebbe nulla da opporre; ma gli è la specificazione del gennaio che suscita ostacolo. Si domanda, come si concini questo fatto colla dedica a un cardinale creato, e subitaneamente, solo il 10 di quel mese medesimo, mentre questa dedica (e con essa T intitolazione) sta impressa sulla prima carta del primo quaderno, e non già sopra un foglietto isolato. E l'opera consta di ben 26 carte di formato ragguardevole; e s'era a Vicen- za, ossia a più giornate da Roma. ^) P. ZI n. 15, 152 n. 3 ; e si considerino le note e a p. 126, 9 a p. 189, e 8 a p. 143. ').«.. altri feminili, li altri virili, mentre ucl testo manca quedi virilia» 3) V. p. LI. LA VERSIONE DEL TBISSINO LIX Una soluzione si presenta ovvia: che la data sia da intendere secondo lo stile veneto, sicché il gennaio del 1529 appartenga in- vece per noi al 1530. Cosa può immaginarsi di pia naturale ? — A questa soluzione m'ero dunque fermato realmente; sennonché, os- servando bene, mi accadde di rilevare un' anomalia. Nel frontespi- zio e nella dedica occorre già una delle ultime innovazioni a cui il Trissino si rìsolvesse, cioè la grafia Ij per 1'/ palatale ^), che nel testo comincia solo — da indi in poi continuando regolarmente >- colla carta ottava. Però, ancorché parte integrante del primo quaderno, la prima carta fu certo stampata dopo le sei successive. E di cotal fatto ho poi trovato la riprova in un esomplare intonso, posseduto, per singolare fortuna, dalla Palatina di Firenze '), dove questa prima carta — e insieme, beninteso, l'ottava che costituisce l'altra metà dello stesso foglio — differisce per colore e lunghezza dal resto del volume'). Ora, dato ciò, nulla vieta al 1529 che s'ha in fine di rimanere quel che apparisce, in quanto si può dare alla notizia della creazione d'Ippolito tutto l'agio desiderabile per arri- vare. E se nulla vieta,, qualcosa allora subito consiglia; poiché la sostituzione qui manifestamente avvenuta di un foglio ad un altro, è una singolarità che domanda una spiegazione; ed a spiegarcela si presta appunto ottimamente l'arrivo di quella notizia. E continuando lo studio, dalla probabilità si giunge, ben pos- siam dire, alla certezza. Si presta a fornircela un particolare di ap- plicazione necessariamente limitata. Per Te maiuscolo di suono aperto il Trissino al tempo della stampa romana aveva adottato l' e ingran- dito offertogli dai manoscritti greci, assegnando invece all' E il va- lore di e stretto. Cotal partito generava confusione, perché in realtà nei testi greci a stampa l' i maiuscolo era universalmente E, Però per l'è stretto maiuscolo il Trissino fini per creare una forma nuova, consistente nell'ingrandimento di un certo e minuscolo per cosi dire cornuto, usuale in fin di parola nella stampa romana, e non troppo raro neppure nelle vicentine. Quanto all'^, fu lasciato quind' innanzi significare, com'era logico, l'è largo, promiscuamente coU'altra forma. Orbene: queste novità le vediamo applicate in stampe di data ben certa: nei primi quattro libri della Poetica, che son dell'aprile 1529, *) S^ha elji, If altri noi frontespizio; If homini nella dedica. *) Segnato 12, 2, €, 72. Ài trattato dantesco va unita la ristampa del- V Epistola coi Dubbii, 3) Jì colore ò grigiastro e la lunghezza ò nn po^ minore. Di queste due differenze la prima potrà essere avvertita anche in esemplari rita- gliati, sebbene in quelli esaminati da me non s^ osservi, e solo in qualcuno ci sia una certa differenza di gravezza. hX IKTRODUZIONB noUa Grammaiichetta^ che è del giugno successivo. Però il trovare che ad esse non si conforma ancora la parte non surrogata del primo quaderno della nostra versione, mostra che essa, e diciamo pure arditamente, la versione in genere, fu impressa prima della Poetica e della Grammatichetta, e non può quindi in nessun modo appartenere al 1530. Ora si capirà facilmente come io abbia potuto affermare più ad- dietro *) che il Castellano va riportato al 1528. Esso, cosi per 1*6 maiuscolo come per Vi palatale, si mantiene fedele dal principio alla fine alle usanze dello stadio romano; e fedele vi si mantiene al modo stesso per il cki^ già surrogato da Ari, nonché nella roba seriore, nel secondo quaderno della Volgare Eloqiienzia ^). Antenore dunque al trattato dantesco e al gennaio del 1529, ma in pari tempo ante- riore indubbiamente di uno spazio non lungo, è troppo manifesto qualo sia la sua data. Esso è la prima scrittura della serie pubbli- cata dal laniculo ^); il quale ce lo conferma egli medesimo nel proe- mietto premessovi, dicendo ai lettori, aspettate in briive m(jjlte altre cofe in questa lingua, che fiMìrse nu)n vi dispiaceranniéi. 2. Lb allegazioni di Claudio Tolombi Dalle menzioni e allegazioni che si venner facendo in antico del trattato dantesco può darsi che ci sia da raccogliere qualcosa più di quello che parrebbe a prima giunta. Subito è da rilevare come il Beni vieni *) designi l'opera col ti- tolo De vulgari eloquentia non portato da nessuno dei codici nostri, soggiungendo tuttavia come ciò abbia ad essere soltanto un eco boc- P. zxxix e LUI. ^) A noi par singolare che sostituendo k% a cìii (e non già solo nei casi in cui sta dinanzi a vocale) il Trissino non s* inducesse a scrivere analogamente ke per che. Ohi voglia addentrarsi nel suo pensiero^ ricorra ai Duhhii, II, 210-11 nell* edizione veronese delle Opere, 3) Di ciò 8^ è accorto fino a un certo sogno auclie il Morsolin (p. 149). E non si pensi che allora diventi difficile il rendersi conto delie lezioni migliori che il Castellano ci offre nello citazioni della Volgare JBloquensia in confronto del testo della versione (V. p. lvi, n. lì. Poiché I, xiii, 1 il questiMì osco spontaneo dal manoscritto da cui si traduceva e il quctfi g;ìì fa forza, ò cliiaro a quale dei due spetti P anteriorità. Quanto al ai ehia» mò, voluto compera dai senso, era naturale che uscisse dalla penna di chi , non avendo il testo davanti , era meno dominato dalla lettera. Si confronti ciò che riferisco dal Fontanini nel luogo a cui ho rinviato, p. m n. 3. *) V. p. LIX. LE ALLEGAZIONI DEL TOLOMEI LXI caccesco *). Per contro nei decennii successivi, lino alla comparsa della versione del Trìssino, è De vulgari eloquio che si dice. Cosi fa il Machiavelli, cosili Martelli , cosi T autore delle glosse del can- zoniere vaticano '), che sarem condotti a ritener comprese ancoresse entro questi limiti di tempo. E poiché De vulgari eloquio porta in fronte il codice, da cui, come s'è detto, la conoscenza del libro ebbe a propagarsi, non possiamo trovare il fatto altro che ben naturale. Pubblicata che fu la traduzione'), per cinquantanni prese a tal segno il posto dell' originale , da render possibile che poco dopo la metà del secolo, in quella Firenze dov' esso aveva primamente fatto parlar molto di sé, un erudito della forza del Borghini affermasse, come abbiamo dal Varchi. « non solo non haver mai potuto vedere », ma nemmeno « udito che huomo del mondo veduto mai habbia, por moltissima diligenza, che usata se ne sia, il proprio libro latino, come fu composto da Dante »^). Però dalle allegazioni appartenenti a questo periodo parrebbe che non ci fosse nulla da sperare. Vi appartiene il Cesano ? — La data sua è difficile da precisare. Il bel dialogo del Tolomei corse lungamente manoscritto prima che il Giolito, sopra una copia difettosa e senza partecipazione alcuna dell'autore^), lo stampasse nel 1554-55. Ci riporta addietro di al- meno un decennio la lettera in cui Girolamo Muzio dice quel che ne pensa a Renato Trivulzio, che glielo aveva mandato^); che, se la lettera non ò datata nò databile^), la persona a cui s' indirizza è senza alcun dubbio quel Renato, uomo di guerra, ma in pari tempo caldo amatore delle lettere e delle arti, che mori cinquantenne il 17 ottobre del 1545 ^). Con ciò viene ad essere escluso che possa ^ ) « . . . . compose uno librefcbo de vulgari eloqaentia », dioe il Beni- vieni: tutte parole che abbiam tali e qaali nel Bocoaecio. ') y. p. xLvii. E colie molto glosse del canzoniere italiano va di con- serva (ib., n. 5) la sola del provenzale 8205. 3) Che qui il titolo sia De la vuilgare El(Mìqì$mzia, ripete del pari dal Boccaccio il suo primo perche (Y. p. xxxtix-zxxviii), quantunque dei fat- tori se no possano essere aggiunti degli altri. ^ Mreolanoy p. 47-8 nell' ed. del 1570. ^) Si legga la lettera del Giolito al Tolomei premessa alP edizione. Che in essa non ci sia nulla di fittizio, mostra subito V esame del tosto, dacchò vi 8^ incontrano perfino de^ luoghi dove è convenuto lasciare dello laoane, indicandole con asterischi. c) Occupa il secondo posto nelle Battaglie per difesa déW Italica Im* gua, che Giulio Cesare, figliuolo di Girolamo, pubblicò dopo la morte del padre nel 1582. 7) Che sia del 15215, come dice il Crivellucci nella memoria citata (V. p. u n. 2), a p. 40, non risulta, ch^ io sappia, da nessuna prova. ^) Il IfiTTA, Trivulzio, tav. lii, mette erroneamente la morte al 1549. La data autentica, presa da uii Necrologio manoscritto alP Archivio di LXn INTRODUZIONE vedersi il Cesano in quell'opera « de l'escellenza de la lingua To- scana », intrapresa fin prima del sacco di Roma, di cui il Tolomei parla come di cosa non ancora finita in una lettera a Fabio Benvo- glienti *) ; che, quantunque qui pure manchi T indicazione dell' anno, la lettera fu scritta da Piacenza e ai 13 di giugno ; e questo giugno non può essere al più presto se non quello del 1546, dacché Mes- ser Claudio venne bensì a Piacenza a servire Pier Luigi Farnese nel 1545, ma solo del mese d' ottobre '). E di un secondo decennio ci fa indietreggiare, s' io non erro, un' altra circostanza. Chi sia il < signor mio Illustrissimo » a cui il Cesano è diretto e alla mensa del quale si suppongono seguiti — nel 1524 o 1525 ') — i discorsi che ne formano il contenuto, non vedo che sia stato detto o cercato da nessuno; ma a me pare in sommo grado probabile che s' abbia a trattare di quello stesso car- dinale Ippolito de' Medici, già venuto a frammischiarsi a queste indagini. Egli fu patrono del Tolomei, che apparisce propriamente a' suoi servigi da una lettera dell' 11 ottobre 1532 ^). E tre altre Stato di Milano, mi è stata cortcsomento comunicata dal prof. Emilio Galli, che viene allestondo V edizione del Canzoniere di Renato, inedito air Am« brosiana. 1) De le lettere di M. Claudio Tolomei Lib, aefUf Venezia, Giolito, 1547, 192". Non si riferisce dunque al CeaanOf come aveva creduto verosimile il Tiraboschi, VII, 1335 neW ed. Molini (cfr. Canbfj.o, Storia delibi Lettor. Hai. nel aee, XVI, p. 324), neppure la lettera del 7 aprile 1531 alla Marchesa di Pescara (carte 37^ noir ed. cit.); dacché sulP identità deir opera di cui si discorre qui dentro con quella della lettera al Benvoglienti, non mi pare potersi nutrire incertezza. Del resto era da avvertire che dalle parole alla Marchesa apparisce una divisione in libri, estranea aifatto al Cesano, ^ y. i documenti di cui ci dà conto il Tiraboschi, nella pagina citata e in quella che la procede. ^) Che si voglia riportarsi suppergiù a quel tempo, non è dubbio per me; quanto ad una determinazione precisa, riesce impossibile, senza dar di cozzo in qualche contradizione. Siamo a Koma di certo ; e posto ciò, la presenza del Bembo ci condurrebbe al periodo novembre 1524-aprile 1525 (CiAN, Un decennio ecc., p. 31-34). Ma e' ò un gran pericolo che quando il Bembo arrivò alla città eterna, non ci si trovasse più il Castiglione ; allora, credo, in Lombardia, e poco stante in viaggio per la Spagna^ donde non aveva più a ritornare (V. Sanuto, XXXVII, 195 e 335). £ assai poco ci ri- mase anche il Trissino (Morsolin, p. 125), ben lontano a ogni modo quando a Firenze usci la Hitiposta del Martelli alla sua Epistola (V. — alla p. 206 — un mio scritto citato a p. xliz, n. 4) ; Risposta che nondimeno il Cesano sup- pone già pubblicata quando i ragionamenti hanno luogo. Ma di anacro- nismi siffatti non è da adombrarsi punto in un lavoro d' invenzione, composto per di più, come risulta dal proemio, quando i tempi in cui la scena si finge erano già discretamente lontani. <) A carte 21*' neir ediz. cit. LE ALLEGAZIONI DEL TOLOMEI LZIII lettere al Cardinale possediamo del nostro ^) ; e tutte e tre gli ac- compagnano delle scritture, due delle quali composte, o esclusiva- mente, o in parte, per sua volontà. Ed ecco che, se il dialogo è in- dirizzato al figliuolo di Giuliano, esso viene ad essere anteriore al giorno 10 agosto 1536, che fu l'ultimo per lui '). Avvicinatici per tal modo al tempo in cui la versione del Tris- sino vide la luce, il trovar detto nel Cesano che il trattato dantesco « non è ancora troppo divulgato » ^), tenderebbe a trasportarci ad- dirittura al di là. Riflettendo meglio, ci s'avvede tuttavia che l'ar- gomento non vale. I libri a stampa non si diffondevano già nel cinquecento colla rapidità nostra, quand' anche non si trovassero impediti, come seguiva nel caso attuale, dall'uso di un'ortografia molto ostica ; e il < non ancora troppo divulgato > è ben troppo esso stesso, se la traduzione non è apparsa. A crederla pubblicata piega poi efiicacemeute anche il titolo di Volgare elo.juentia j di cui il To- lomei si vale, e in questo luogo, e negli altri tutti *), Posto ciò, se il « pur bora da si lungo otio movendo la mano a scrivere, et cer- cando nuovamente mostrarmi nello splendore de gli huomini illustri », che raccogliamo dal proemio ^), dovesse indurci a presumere non an- cora composta la vita di Cesare che Messer Claudio inviò ad Ippolito ai 12 di dicembre del 1529 ^), ci troveremmo segnati dei termini angustissimi, non dico per il compimento, ma almeno per il comin- ciamento del dialogo. Sennonché, di uno scritto messo insieme in sette giorni soltanto, potrebb' essere che l'autore non avesse voluto tener conto. Comunque, dopo che nel maggio del 1532 a questa vita a' aggiunse anche una dissertazione morale -politica inspirata da Sallustio^), le parole citate riuscirebbero poco naturali^). Per *) Le indico più sotto. ') Quanto ai ragionamenti che si riferiscono, Ippolito avrebbe V aria di volerli anteriori al luglio 1521, ossia al suo invio a Firenze qual prin- cipe pupillo. Ma si rifletta alle cose dette qui accanto nella nota 8. ^ P. 5 nella 1* ed., 9 nella ristampa DaeUi (Milano, 1864). *) P. 9, 14, 23, 8ò dell'edizione principe; 14, 19, 29, 96 dell' ed. Daelli. ^) È dal Polito (1524-25) che si misura il « si lungo otio » e a cui si vuol riferirsi col «nuovamente»? Allora s'avrebbe qui un altro buon dato cronologico. Ma poiché il Polito non usci col nome del Tolomei, nonostante che questi ne abbia perlomeno fornito la materia (V. la Nota del Sensi ci- tata a p. zxzix n. 5), e' è da rimaner molto titubanti, ancorché, se si rinun- zia al Polito, non si sappia a quale altra opera lo scrittore possa alludere. 8) LeUere, carte 12*'. ') Ib., 6**. ^ -Quanto alla terza delle scritture inviate ad Ippolito — stampata per disteso nella raccolta delle Lettere , da 17^ a 21** ~, non é da pren- dere in considerazione, essendo cosa d'intendimenti esclusivamente pra- tici. Appartiene al periodo dell' assedio di Firenze. LXIY INTRODUZIONE cui io penso ben probabile ohe a scrivere il Cesano deva il To- lomei essersi messo tra il 1 529 e il 1532 ; e non sarei alieno dal credere che V impulso movesse dal < concilio » linguistico , a cui dette occasione in Bologna il congresso fieimoso di Clemente VII e di Carlo V (novembre 1529-marzo 1530), e del quale ci oflFre notizia la lettera di esortazione a intervenirvi da lui diretta al Firenzuola ^). Sia come si vuole , è appunto dal De vuìgari Eloquenza che prendono origine i ragionamenti che il Tolomei finge di riferire. E il libro è manifestamente familiare allo scrittore ; ma ciò che ri- chiama l'attenzione nostra è solo il punto ') dove si riportano le frasi che Dante, I, xiii, 2, rinfaccia alle varie parlate toscane. « £gli primieramente per mostrarci, come la Toscana lingua non è quella, che tra T altre meriti il nome d'eccellenza, <& che da coloro, gli quali gloriosamente bramano scriuere, usar si debbia, scorre per le terre di Toscana, & in tutte truoua parole, che non son degne posarsi nella lingua de' nobili parlatori, come i Fiorentini, che dicono ma- nucare & introcque, noi non facciam' altro, i Pisani bene andomo li fanti di Fiorenza per Pisa, i Luchesi tauot'a dio che ingraasaracìe '1 comune di Luca, i Senesi, o che rinnegai haueas'io Siena, che è chesto, gli Aretini, uo tu uenir ou'ello? » Cosi l'edizione Giolito. Ora, istituendo un confronto colla ver- sione del Trissino, accade di rilevare numerose difiFerenze. Talune non significano nulla; introcque^ facciam* , 7 comuno^ rinnegai' hauess'iot ueniVy si lasciano troppo bene ricondurre all' introqutj facciamw^ /u cu>muiui>, rinegata havessi tu), venire della stampa vicentina, di cui ci si presentano come ritocchi intenzionali; e intenzionale potrebb' esser 1' ou* elio , in cambio di uivdle ; ne si prova alcuna meraviglia di tro- vare andomo al posto del mostruoso andoinm ; e neppure — meno che mai sapendo di non doverci troppo fidare dello stampato — ci s'adombra dell'erroneo manucarey là dove il manichiamtà) del Trissino conduceva pur diritto a manicare. Ferma maggiormente 1' o che invece di uìnche ; ferma lo strano tauot' per fò vu>U»ì ; ferma r ingrassaracie in luogo di ingassaria ije ; ma il che è chesto sbarra poi assolutamente la via. Giacché, a questa frase non corrisponde nulla nella traduzione ; ed essa ha invece riscontro nel codice Tri- vulziano e in quello di Grenoble, il primo dei quali ci dà che e tchestOf il secondo chee eh' sto. *) Lettere^ 11^. Il MDXXXl^ che accompagna la data VIILdi Novem^ bre, ò da correggerò in MDXXIX, Si noti che di questo «concilio », oome dice appunto il Toloinoi, à anima il Bembo, e che vi partecipa il Trissino; abbiam dunque perlomeno due tra gP interlocutori del dialogo. Al dover certo esser presente anche il Cardinale Ippolito, tengo assai meno, «j P. 86 od. 1*, 97 od. DaeUi. LE ALLBGAZIOKI DEL TOLOMBI LXV Nessun dubbio pertanto : il Toloraei ha conosciuto ed attinto a qualche manoscritto; e il manoscritto non può essere in nessuna maniera il Vaticano, vale a dir quello del Bembo, a cui vien natu- rale il pensare, perchè vi mancano affatto i Senesi col loro bagaglio. Volgiamoci al codice Trivulziano, ossia del Trissino, che il Tolomei ebbe del pari larga opportunità di tener fra le mani. Non basterebbe a respingerci F avercisi ìchesto; dacché, se il chesto del Cesano conviene in realtà col eh' sto del codice di Grenoble letto a dovere, l'idea di una correzione congetturale per parte di chi mai si voglia, si offre tutt' altro che assurda. Ma V ìngrassaracie della frase lucchese mette un veto, suscitando in pari tempo una questiono di ben maggiore portata che non sia quella che si credeva di aver per le mani. Ed ecco in che modo. Aìl^ in gansarra eie del Trivulzìano il manoscritto di Grenoble contrappone un poco dissimile u/assara eie ; sennonché è venuto a dir cosi per via di una rasura, e in origine portava pressoché indub- biamente igrassara eie. Indizi non dubbi mostrano che la rasura non va attribuita al trascrittore stesso *) ; basterebbe tuttavia che fosse anteriore al Cesano^ per esser tratti a ritenere che il Tolomei abbia conosciuto del De vulgari Eloquentia un codice differente dai nostri. Che in queir r fra il ^ e 1' a si manifesta tra questi due ter- mini di paragone una convenienza, che ha diritto ad una spiegazione. Vorremo noi credere ad un incontro fortuito ? supporre che V r fosse ristabilita unicamente dietro le tracce, malagevoli da discer- nere, del codice di Grenoble? Dica chi vuole, se ipotesi siffatte possano misurarsi coir altra semplicissima, che Vr si leggesse, e in modo netto, neir esemplare usato dal Tolomei, dal quale per- tanto si dovrebbe richiedere una condizione, che i manoscritti cono- sciuti non adempiono. E qualcosa dispone realmente a credere che la rasura del codice di Grenoble non sia troppo recente. Gli è che parrebbe provarla an- teriore al Corbinelli il fatto che questi, dopo aver stampato ingas- sarà eie, annota, «Forse ingasseranne, la E tolta via », volendo dunque manifestamente intendere « ingrasseranne ». Curioso parlare il suo, se la soppressione venisse da lui medesimo ! E una volta che non ne fosse egli l'autore, ci sarebbe una grande presunzione che s'avesse da riportare più addietro del cinquecento, non avendosi prove che in quel secolo il codice sia stato manomesso da altri. Fattosi il problema cosi delicato e importante, non è più lecito contentarsi per il Cesano della sola stampa del Giolito, tutt' altro 1) V. p. 73, apparato. LXYI INTRODUZIONE che irreprensibile , come s' è accennato. Di quest' opera sono a mia conoscenza quattro testi a penna : uno è a Firenze (Magliabech. , //. XL 2), due si trovano a Siena (Bibl. Comun., G, IX. 49 e K, IX, 35), e il quarto è a Roma, alla Vittorio Emanuele (Fondo S. Pantaleo, 86 [58] ) ^). Mettiam subito da parte il codice senese K, IX. 35, che non ò se non una copia della stampa ') , eseguita nel secolo passato : restano tre manoscritti del cinquecento, che dall'edizione non dipen» don per nulla. Descriverli sarebbe qui cosa superflua. Importa solo di rilevare che il romano fu nelle mani di Celso Cittadini, il quale, per compiacere, a quanto pare, al desiderio di Belisario Bulgarini, che doveva esserne il possessore, vi segnò molte correzioni, tenendo a riscontro la stampa del Giolito, e spesso vi restituì le usanze lin- guistiche dell'autore, di cui nessuno per certo poteva avere maggior pratica di questo suo grande depredatore. Ciò tutto appi*endiamo da due foglietti uniti al codice, scritti di mano del Cittadini; ì quali ci rendono anche il servizio di liberarci dal dubbio che le correzioni possano, in parte almeno, provenire da qualche altro manoscritto '). Messi a confronto colP edizione veneziana, i tre testi che hanno diritto d'interloquire^) confermano la grafia introcque e con essa il manucare, accanto al quale è merito del Cittadini l'avere nel co- dice di S. Pantaleo messo manicare] inclinano invece ^a ritenere che ') Il codice romano e il senese G. IX, 40 *mi furono indicati dal prof. Sensi, che nella conoscenza del Tolomei non ha ohi lo pareggi ; V al- tro senese dal prof. Orazio Bacci, che da esso o dal suo compagno di re* sidenza mi trascrisse il passo che a me stava a cuore. 2) Che tale esso fosse, m^ avevano indotto a ritenere le lezioni sue nel brano che qui ci occupa. La certezza mi fa procurata dai conÀonti isti- tuiti e dai dati fornitimi in una sua visita a Siena dal prof. H. Hauvette, non senza la cortese partecipazione del vicebibliotecario sig. dott. Paolo Martini. ^) Ecco quel che ^i leggo sopra uno dei foglietti : « CoUationato per me Gelso Cittadini col testo stampato in Yenetia dal Giolito nel 1555. ho trouato e questo e quello in molti luoghi esser mendoso. ma più quelJo per hauorlo ridotto a parlar fiorentino e contra Tuso del Tolomeo [e pieno d^ errori di stampa] : iu questo sono alcuni idiotismi ma pur contra la lingua di esso Tolomeo, e mille scorrezzioni. » Avverto che V o finale del primo « Tolomeo » fu prima »; e che le parole messe da me tra paren- tesi quadre sono aggiunte con un richiamo. — L* altro foglietto, sotto l'in- testazione— apposta, par bene, dopo aver scritto il resto — « Al s' Bel® Bolg.^ C. Citt."^>, dice: « Il copiatore di quest* opera mostra, che non sa- pesse niente di lingua, no d'ortografia.... Io n'ho corretto alcun luogo, che tutti non ho potuto, come V. S. vedrà secondo le regole, e la forma deir Autore, il qual scriueua sempre .e. congionzione non .et. che non è toscano, scriueua dappo* ecc. E cosi si seguitano a rilevare altre carat- teristiche dello scrivere del Tolomei. 4) Cod. Magi, f.» 105^ Sen. 77^ S. Pant. 6a\ LE ALLEGAZIONI DEL TOLOMEI LXVII il Tolomei scrivesse facciamo (ottimamente, ma di suo capo, con- vertito in questo codice dal Cittadini in facciano)^ lo comunOf rine- gaia (Magi., Sen.) o rinnegata (S. Fant.), uenire, anziché facciam\ 7 comtino, rinnegata uentr; ci sbarazzano poi in modo non dabbio di ou^ellOf e quel che più vale, del tauot\ presentandoci una triade con- corde di Quelle e fo noto. Risalta parimenti da essi che all' andorno ò da sostituire andono^ e fors' anche, prendendo animo dall'essere l'uscita rappresentata da oo con un segno sovrapposto nei codici di S. Pantaleo e di Siena, andonno. Con ciò le più delle peculiarità ri- levate nella lezione del Cesano, vengono a dissiparsi. £ forse si dis- sipa, per quanto sia cosa di poco rilievo, Vhauea^io; dacché, se cosi leggono Siena e Firenze, Roma ha hauesae io, che é per il De vid- gari Moqueìttia la lezione diplomatica ; alla quale siam riportati an- che col Lucca di due manoscritti (Magi., Sen.), di fronte al Luca della stampa e del Trissino, mal sufiFragato dal Lucha dell* altro co- dice (S. Pant.), in quanto anche nella frase introduttoria s' ha qui pure, come nel Trissino e nella stampa, luchesi, rimanendo privo per tal modo il e semplice del suo valore idiomatico*). Noto che col Trissino un accordo specifico sussiste solo in cose indifferenti: nel doppio di (di Fiorenza, di Luc[c]a), e nel ri- di rtn[n]€^a4a]. Veniamo a ciò che più preme. Proprio ingrasMaracie, come nella stampa, non s'ha che nel codice di S. Pantaleo; e ci s'ha per ef- fetto di una correzione, dovuta certo al Cittadini. La scrittura pri- mitiva era ingrassava eie; il correttore dette di frego all'accento e riunì Va col e. Al modo stesso porta ingrassava eie il codice se- nese. La disgiunzione dei due elementi ci ha raccostato ai mano^ scritti nostri del trattato dantesco; e si va poi più oltre coli' m^ra«- sarà, eie magliabechiano. Qui, dovendosi assolutamente astrarre dall' accento e non potendosi far assegnamento sul punto (un punto che, si badi, ribadisce la divisione), ci troviamo avere tale e quale la lezione che portava il codice di Grenoble prima della modifica- sione subita. Ora, poiché tale modificazione non appartiene in nes- sun modo alla fase originaria, si veda quanto sia vicina ad imporsi ridea che la fonte del Tolomei sia qui precisamente questo codice. £ poco mi dissuade l'indizio da cui pareva risultare che la rasura fosse più antica del Corbinelli, e in tal caso più che verosimilmente anche del Tolomei. Il Corbinelli potè benissimo ritoccare a quel modo il Codice sotto l' impulso dell' ingassaria della versione (quanta presa avesse questa su di lui, vedremo più tardi), e quindi ') Al lucheMi il Cittadini senti pertanto il bisogno di aggiungere nel codice romano un altro e. LXVIII INTRODUZIONE annotare come fece. È la sua stampa eh' egli annota, non il mano- scritto ; e la stampa portava ingassara. Certo, se le cose non stes- sero cosi e si facesse capo ad mi manoscritto perduto, in una serie di frasi mobili ad ogni soffio, ci dovremmo aspettare varie diffe- renze. Invece la sola particolarità che rimanga al Cesano è Po che in luogo à^onche; ed anch'essa attenuata dal sospetto che sull' o ci sia forse stato in origine un segno di nasale, di cui sia metamor- fosi V accento acuto da cai è sormontato nel testo magliabechiano. Ma quand'anche ciò non fosse, chi non vede che è bene da conce- dere qualcosa alle facoltà critiche dello scrittore ? Però la prerogativa del Tolomei si riduce secondo ogni vero- simiglianza ad essere il primo studioso a cui apparisca noto il co- dice del De vulgari Eloqueniia che perverrà nelle mani del Corbinelli. Dove lo vedesse e in che tempo, mi rimane incerto. Le antiche tracce venete, e specificamente padovane, che nel codice si riscon- trano *■), ravvicinate col fatto che a Padova appunto lo vedremo or ora venire alla luce, inclinano a pensare che anche nella prima metà del cinquecento fosse da quelle partì; e s'aggiunge la consi- derazione che, se avesse peregrinato, non si capirebbe troppo che continuasse a vivere oscuro. A Padova il Tolomei si ritrasse noi 1547*): data d'assai troppo tarda per il Cesano; ne la convenienza dei manoscritti tra loro ci permette di esser corrivi ad attribuire la lezione del nostro passo ad im riscontro eseguito molti anni dopo la composizione dell'opera. Bensì tornerebbe opportuna l' occasione offerta da un'andata in Austria nell'estate ed autunno del 1532^); poiché l'essere allora verosimilmente il Cesano intrapreso di già^), non fa se non rendere più naturale che il suo autore spiasse atten- tamente ciò che aveva relazione colla materia. Ma poi si consideri non esserci neppur bisogno ch'egli esaminasse il codice cogli oc- chi suoi proprii: potò bastare che gliene giungesse notizia e che se ne procacciasse qualche ragguaglio. Dopo tutto ciò non negliiamo tuttavia un cantuccio neppure alla possibilità che il Tolomei, direttamente o indirettamente, ab- bia attinto a un codice diverso dai nostri, che si potrebb' esser ten- *) V. p. XXX. -> Si veda una lettera aggiuutu al termine della raccolta cominciaudo dalla 2.* ed. (1519); e se ne confronti una oh'ò anche nella 1^, 207*. ^) Ci andò por il servizio del Cardinale Ippolito ; ed ò scritta da Vienna la lettera del di 11 ottobre, ricordata a p. r-xii. Un gruppo d'altro lettere scritte essendo in quelle parti, s'ha nel 1. vi (173' sg^. nelPed. del 1547). *) V. p. LXIV. LE ALLEGAZIONI DEL TOLOMEI LXIX tati di mettere in rapporto colla voce riferita dal Benivieni ^). In tal caso non resterebbe che da augurare che questo codice non sia perduto per sempre. 3. L'Edizione di jagopo Cobbinelli L* originale latino del De vulgari Eloquentia fu in istampa dato fuori la prima volta a Parigi colla data del 1577 ; come sap- piamo, da Jacopo Corbinelli, che, esule da Firenze, trovò prote- zione e favore presso Caterina de' Modici ed i figliuoli*). E Todi- ^) V. p. XLIX. 2) Kiguardo agli scrittori che più o meno trattarono, o vollero trat- tare del Corbinelli, si veda una nota del Crescini, Giorn, Stor, della Leder, ital,, II, 32S, o PcT gli Studi romanzi^ p. 211. La realtà si ò che poco se n'i discorso, e con gravi inesatteisKO, passiate di libro in libro. Senza voler qui dare un sommario della vita di qiieat' nomo, davvero ragguardevole, for- nirò alcuni ragguagli, somministratiiiii soprattutto dal copiòssimo car- teggio col Pinelli. £ in primo luogo dirò che il Corbinelli, uscito da una famiglia nella quale i Medici contavano, à quanto paro, più fautori che avversari (V. la Storia del Varchi, approfittando dell'indico dei nomi che accompagna V edizione curata dal Milanesi), nacque di dicembro ; chò al Pinelli egli scriveva in un giorno da lui stesso non saputo precisare del gennaio 1582, « Io finj i 47 anni un mese fa » (cod. T. 107, nup.^ f.** U2''). L^anno che di qui risalta sarobbo, come ognun vede, il 1534; ma ecco ri- portarci invece al 1585 V « or che ho quasi 49 anni » in una lettera già se- gnalata dal Crescini {Giorn. Stor.^ p. 329, Ver gli Studi ecc., p. 214), del 7 agosto 1584. Bisogna dunque che 1' una o 1' altra volta il Corbinelli abbia sbagliato il conto; se pure lo sbaglio non consistesse — il che a me pare V ipotosi più probabile — noli' avere, per forza d'abitudine, segnato ancora 1582 nella data della prima delle due lettere, quand'era da scrivere 15S3. Sia come si vuole, nel 1558 mi fa trovare il Corbinelli a Pisa, forse agli studi, una sua lettera del 25 giugno a Bernardo Da vanzati, che ò tra le Filze Binuc- cini della Nazionale di Firenze (9. Filza 19). La lettera — una consolatoria per la morte di un comune amico — ò in latino ed essenzialmente rettorica ; ma pure tra i motivi addotti per attenuare il dolore si fa strada una mani- festazione di sentimenti politici, che si ò tratti a mettere in rapporto col futuro esiglio: « . . . . quin potius IsBtari debemus, quando, re ipsa docti, videmus, neminem gravissimis his temporibus mortuum adolescentem, qui nobis non liberatus ex iniquissima conditione vitee videator. Hoc utinam ne vere scriberem ! Sed soli sumus : ncque in nostra civitate , neque in cnteris ulla rea est quo possit bonum virum delectare. » £ cosi si con- tinua. Non corsero molti anni che Jacopo fu costretto a lasciar la To- scana. Probabile eh' egli fosse dapprima a Venezia, e forse a Padova. Comunque, passò poi in Francia, e visse a Lione, dov'è noto quanto trafficassero i fiorentini, negli anni 1565 e 1566. Nel 1567 andò a Boma, non so per quanto tempo ; ma prima che l'anno finisse egli doveva già essere LXX IKTBODUZIONB zione ò indirizzata, già sul frontespizio, € ad Henricum, Franci», FoloniaBque Regem Christianiss. », vale a dire ad £nrìco UI, al quale in nome del Corbinelli la presenta altresì con una dedicato- ria in versi il rinomato poeta Giovann'Antonio de Baìf. Come l'edizione nascesse, dice lo stesso Corbinelli nella dedica della seconda parte del volume, ossia delle « Annotationi » '), « A Monsign. Piero Forget, Cons. del He, et tesor. delle s. p. e», un amico prezioso per il nostro fiorentino ^): « Se io lio havuto mal cortesia, che mi sia stata o piacevole, o gratiosa etiamdio ne miei più infesti. Et inimici tempi, dalla honorabile Casa Del Bene, Casa di tutte le mie solitudini consolatione, questa e stata una di quelle, quando da Mons. Piero Delbene^), compiuto giovane di dottrina, a Parigi , dove ottenne presto di essere addetto in qnalclie modo alla corte, con circostanze che non mi sono risultate chiare. Subito nella pri- mavera del 1568 fece un viaggio a Venezia per ragione d^ affari ; ed es- sendosi poi nel venirsene trattenuto ancora ben quattro mesi a Lione, fu di nuovo a Parigi a novembre soltanto. Noi 1574 andò in Polonia a raggiungere il Duca D^Anjou, eletto re di quel paese; o con lui se ne ritornò poi dopo breve tempo, attraverso air Italia, quando la morte del fratello Carlo innalzò Enrico sul trono degli avi. Al ritorno in Francia ebbe da Enrico quell' ufficio di suo lettore, nelP esercÌEÌo del quale ce lo rappresenta il Davila in un passo conosciuto del sesto libro delle Otterre Civili, QuindMnnanzi la sua vita non fu più randagia, se non in quanto la rendeva tale il servizio della corte. Quando propria- mente avesse termine, non so. L'ultima data fornitami dalle lettere al Pinelli a me note, è il 27 febbraio 1587; ma aggiunge con sioarezsa qualche anno V edizione della Bellamano, che il Corbinellii oltre al tempo di compiere, il che ci porta al 1589, o almeno alla fine del 1588, ebbe pur quello di rivedere, coll^ intento di migliorarla, secondo ci attesta P esem- plare trivulziano menzionato altrove (p.xxvir); esemplare, soggiungerò, di sommo interesso bibliografico per la storia intricatissima di questo libro proteiforme. ') Dal carico di una descrizione particolareggiata di questa prima stampa e del suo molteplice contenuto, mi libera quella che a* ha nel Torri, p. xxzix. Essa è sufficientemente esatta; avvertirò tuttavia che il frontespizio porta Allgerli, non Alligherii. ') «Io farò stampare co* primi danari P orazioni di S. Caterina alla Begina madre, ohe so che V harà caro. Nondimeno questa baia, come di- rebbono a Firenze, mi farà bavere un don eh* io vo* chiedere di mille scudi; non peroh*io pensassi mi fussino pagati, se io non havessi Forget, che dice, lasciate fare a me ». Cosi in una lettera delF ultimo di settem- bre 1578 : cod. B (tralascierò quind*innanzi per brevità il resto della segna* tura), f.^ 191^-195''. Per il metodo che seguo nella stampa, V. p. xxii,n. 1. '^) Ecco lo stesso nome stampato a brevissimo intervallo in due ma- niero diverse. Negli autografi abbiamo per lo più del bene; mono spesso Delbene, come qui, e Del bene. Essendo ragionevole unificare, adotterò la grafia Del Bene, l'edizione del corbikelli lxxi oome sapete, et d'esperienza, mi fu mandato da Padova^ per dono, di questo presente libro l'Originale, ch'era si com'io stimo, dalla ingiuria del tempo rimasto et solo et unico »^). £ il dono di cui qui si parla e l' intrinsichezza a cui esso si rannoda, trovano un com- mento oltremodo eloquente nelle lettere al Pinelli, dove i Del Bene — una stirpe numerosa propagginatasi in Francia senza spiantarsi dalla Toscana già al tempo di Luigi XII ^) — ritornano ad ogni poco. £ da loro noi lo vediamo ricevere accoglienze amorevoli ed aiuti d'altro genere fin dai primordi -della sua venuta alla corte, in una léttei*a priva di data, probabilmente per colpa di chi esegui la copia, che sola ce la conserva: e Tutto Aprile starò in Corte et su la pa- glia^), dipoi incominoiàrò a venir passo passo inverso Susa; volendo da me cosa alcuna, comandate. Madama Del Bene mi chiama spesso a cena; et madamaonselle Caterina et io disputian della lingua frau- zese a veglia; et mi dichiara Tragedie et altre cose. Ma io non posso imparar nulla per haver il capo distrattissimo et da pensar a troppe 0980, alle quali non son più bastante » *). £d è sempre ai Del Bene che ò da riferire questo brano di un'altra lettera, pur essa pervenu- taci in copia e senza data, ma spettante di certo al medesimo tempo : « Questi figliuoli di Madama la Generale fanno miracoli. Io ve ne vorrei poter parlar a bocca, perchè ci havrei troppo a scriver; et certo ohe chi ha occasione di esercitare la sua gioventù in questo modo, come s'usa qua, può esser atto a far di quelle cose, che non 1) La lettera al Forget è ristampata per intero dal Torri, p. xiz-xxif. *) V. CouDKRc, Lea poesie* d*un Jiorentin h la cour de France au X VF siede (Bartolomeo Deìbene), in Oiom, Stor, delia Leti, it.^ XYir, 2. 3) Si ofr., 1 febbr. 1568 (cod, B, f.° 89"): «La mia indiapositiono, o i mali alloggiamenti di Corte...».— 10 luglio 1570 Ub., 102") « Hieri tor- nai la tersa volta di Corte da Gaglione, luogo senza pari por regalità: pien di sonno, et voto di danari. Corte abbondantissima: molti sul verde; molti in una stalla, come me, inclinato capite et quel che segue di N[ostro] S[ignore]. » — 11 luglio 1571 (ib., 121") : « Da qualche mese in qua io non fo che cavalcare ; a Parigi mi riposo 2, o 8 giorni ; poi si tira via per stentare et dormire su la paglia. » *) Cod. Bf 6". Si seguita : «... et mi truovo della complessionci per questi inclementissimi freddi, et humidìtà pi'rpetue, et fanghi cabitali, molto infratto et debile. Beato voi che siate in cotesto cielo » : parole ot- time a persuaderci che slam proprio al periodo detto di aopra, ossia air inverno 1567-68, so si confrontano con queste di un'altra lettera del genn. 1578 (ood. cit., 141") :* Altri muoion qua di freddo, et di fame: una miseria miserabilissima a vedere. Non so so vi ricorda del primo anno eh' io fui qua, che vi scrivevo si gran meraviglie di freddo. Questo passa; et non si truova legno. Et m'ò venuto si a noia questo paese, che non ò possibile ci viva. » LXXII INTRODUZIONE è atto forse nessun d'Italia; et di questo io n'ho l'esperienza per le mani; et certo è gran ventura. Io so ben che Pier Vettori vor- rebbe poter parlar Latino, et corsivamente, come sanno far questi putti. Né crediate ch'io lo dica per dare un grande esemplo, ma per- chè io so che Pier Vettori harebbe caro di poter parlar si bone extempore come loro, et massime quel m/ Piero *). » « Messer Piero » è precisamente la persona che ci si è affac- ciata nell' epistola al Forget ; ma io non so che per entro all' epi- stolario — scorso da me, si badi, non letto integralmente — il nome mi sia più occorso in questa forma spiattellata. Abbiamo bensì infi- nite volte un € Abate Del Bene », che non di rado è detto sempli- cemente « l'Abate ». E siccome egli ha un fratello qualificato come « Mons[ignore] » *), il primo pensiero si è che sia questo secondo il Del Bene da identificarsi col « Mons. > dell'epistola. Tuttavia non è cosi. « Mons. Piero Delbene » non è altri che l'Abate. Non basterebbe da sola a farmene sicuro questa intitola- zione d'una poesia a lui diretta dallo zio Bartolomeo, o Baccio: « A Piero Delbene, nipote dell' authore, abbate di Bellavilla, prior de la Sella et di S. Nicolas de' Campi » ^). Ma quando trovo che qui Piero è amorevolmente ripreso per lo « spender che fa i miglior anni suoi in amaro et seguire donna di troppo alta oonditione per lui », non posso non rammentarmi che in una lettera del 22 giu- gno 1576 il Corbinelli scrive al Pinelli : « Il S,^^ Abate Del Bene è servo *) a V. S., et scriverrà; ma è diurno notturno corteggiatore »; aggiungendo poi sopra, a scanso di equivoci, «non cortigiano » ^). Ed è di lui che si parla anche ai 20 gennaio 1580: « L'Abate è tutto preso ^) in amori, et in giravolte notturne, non potendo ne mangiare, nò ber, nò dormire; dico, avviluppato di sorte, ch'egli ammazza tutti, gente et cavalli, che gli fanno servitio, perchè non posson reggere '). » ») Cod. tì, T*, 2) B, 181'* (22 maggio 1572) : - Parti Mons. Del Bono fratello del 9.^'' Abato>. Ib., 216'^ (19 marzo 157D): «Mons. Dol Bone si porta bone, cioò & fuor de^ pericoli per conto della sua gamba. Kt V abate sao fratello ci si aspetta fra pochi dì. » 3) Qiom, Stor, d. Leti, U.j t. cit., p. 27. *) Veramente non parrebbe dir « servo > ; ma non saprei conio tra- darre altrimenti lo sgorbio del Corbinelli, la scrittura famigliare dol quale riesce proprio spesso, per trasouraggine, di decifrazione ben ardua. 5) Cod. B, 160^ *) Graficamente dubbio, per via d* un' abbreviazione, se « preso, » o < perso ». ') Cod. r, 54«. l'edizione del coubikelli lxxiii La ragione per cui dell'Abate si discorre tauto col Pinelli, ser- vendosi anche di designazioni cosi indeterminate, si è eh' egli aveva dimorato non brevemente a Padova per ragione di studi. C era an* dato sul finire del 1570; e abbiamo la lettera con cui il Corbinelli, inistile sussiegoso, diversissimo dal solito, lo presentava all'amico: Molto magii.^° S.^"^ mio oss.** Costi viene a studio il S."** Abate Del Bene : apportatore della pre- sente, forse et exhibitore: giovane eruditissimo per Tetà; et quel ch'ò più da stimare ; et che V. S. so che più stima, costumatissimo di tutti quei buoni costami che si possono desiderare in un giovane di questo ordine, et di questo grado. L'esperientia sarà a questa mia lettera te- stimonio. Se voi acquistassi tauto costà di lui. quanto noi venghiamo a perdere qua di lui (tanta differentia è da Parigi a Padova), a noi sa- rebbe questa iattura, spero, più tollerabile; et a voi tanto più accetta r auctioue di si amabile ^) compagnia. Tengo a Vostra instantia 2 libri, se non me ne dicesti ^) però il contrario : l' Historia del 08, et quella Apologia ^). Al S,^^ Abbate prefato mi raccomanderete et nella vostra buona gratia quanto più potrete mi terrete. £t mi scuserete con il 8,**^ Bandini e compagni s' io non scrivo, essendo in fastidio^) per la partita della corte, ancor ch'io pensi d' haverla a poter frodare questa volta. Bacianvi le mani il Br° et io, e '1 Lolgio ^). Di Parigi li vij di Ottobre 1570. Serv. di V. S. m[olto] m[agnitìca) lac.o Corbinelli *•) Il Del Bene passò a Padova il 1571 e non so quanta parte del 1572 ''). Certo prima che l'anno finisse andò a Roma *). Può es- ^) 8^ era scritto * desiderabile », u si cassò per sostituir sopra que- dt^ altra voce. ') O « diceste » che sia. ^ It' Apologie pour Hérodote di Enrico Stefano. *ì S^ era prima scritto « infastidito ». ^) «U S®' Guido Lolgio», corno s'ha B 177", dove si dice, «raro lo veggo perchò lui va più spesso al foro elio alla corte, dove anch^io vo manco spesso che posso» (1° di Quaresima del 1578). 6) Cod. B^ 108". ^ Nel corso di questo socuudo anno capitò forse a Padova aucho il fratello Monsignore. Ciò si ricava da una lettera di dove ho già preso al- cune parole, che qui ripeto per dar insieme anche quelle che tengono die- tro: «Parti Mons. Del Bene fratello del S.^'' Abate, et per lui, cioò per un suo huomo, vi mandai un libretto che la Begina ha fatto stampare per suo uso, con le sue imprese, lo quale vi significheranno essere per suo conto. Non so se si sarà trasferito fino a Padova. » Da Parigi il Del Beno era partito con un gran dubbio di non andar più oltre di Lione, e di prender piuttosto «un altro cammino col S^^ Filippo Strozzi»; ma quando questa lettera fu scritta, egli doveva di sicuro essere* in Italia. ^) Cod. if, 112'', 19 genn. 1578 : « Et questo giorno scrivo a Eoma, donde forse bara questa o un'altra, all'Abate Del Bene, che sia contento di ri- j LXXIV INTEODOZIONK sere che ai prìmi di febbraio dei 1573 fosse di nuovo a Padova; ma in ogiu caso, per lasciarla definitivamente e far ritorno in Fi*ancia ^ J. Né di visite sue posteriori alla città del Bacchigliene m' è più riu- scito di trovar nelle lettere del Corbinelli nessuna testimonianza positiva. Conosciuti questi fatti, chi non supporrebbe che il De vulgari EloguerUia fosse mandato al Corbinelli dall'Abate Del Bene durante il soggiorno padovano che s' è cosi imparato a conoscere ? Ma ecco una lettera da Lione del 5 febbraio 1575, nella qaale s'è detto che « l'Abate Del Bene parti x, o xij di fa per Parigi, et mi disse ha- veva scritto a V. S. » , proseguire a questa maniera un discorso di libri ricevuti dal Pinelli e da altri amici : L' Innamoramento d' Orlando '*) mi v' obbliga infinitamente ; et credo che c[aesto m' habbia a dare gran satisfatione. Vorrei che V. S. ne trovassi un' altro per lei. Di quelli scritti a mano spero il medesimo et molto più ; et presto vi voglio metter roano con T occasione della Pistola a messer Pino, et del Laberinto, che io vorrei si ristampasse ^); pregando V. S. a farvi 4 metterli i 86 scudi, o ducati, come scrivete. » L^« altra » a cui qui s'allude sarà certo quella colla data medesima, in cui pure ò detto (143^^), « ICt que- sta le sarà mandata da Ro. dal S.^*" Abate ». L* ultima testimonianza posi- tiva per la presenza in Padova ò in una lettera del maggio precedente. 1) Ib., 149'*, 8 aprile 1573 : - 4 giorni fa ricevetti dal S^"" Abate Del Beno la Vostra delli xj di febbraio.... Kò havendo saputo prima che 6 di fa che r Abate non vi haveva possuto pagare quei scudi » ecc. Penso che la let- tera degli 11 di febbraio fosse portata dalP Abate medesimo, sia che il Pi- nelli glioV avesse mandata a Boma, sia che, come credo più probabile, l'avesse consegnata a lui stesso. £ contribuisce a farmi supporre il ritorno dell* Abate il confronto fra i quattro giorni della consegna della lettera e i sei della notizia che il pagamento non era avvenuto. Se si trattase d* in- vio da Boma, si capirebbe poco; mentre sta ottimamente che il Corbinelli prima vedesse l'Abate arrivato appena, e quindi avesse la lettera conte- nuta nel suo bagaglio. £ se TAbate fosse ancora in Italia, o come mai il pagamento non avrebbe potuto avere effetto? Del resto, quand'anche il ritorno non fosse ancora avvenuto , poco si sarebbe fatto aspettare , giacche ai 16 di luglio il Corbinelli scrive (B, 153^): «L'Abate Del Bene sen' andò in poste a trovar il fratello maggiore malato ». Quanto ad un'al- tra lettera (7", IS'*), che ha la data del 22 febbraio di questo stesso anno, e dalla quale 1* Abate risulterebbe già a Parigi, il contenuto mette fuor di questione che qui il 1573 sta-per 1574 : o per sbadataggine, o per l' abitu- dine forse dal Corbinelli non ancor smessa del tutto dello stile fiorentino. £d ecco le stesse note cronologiche di questo epistolario nascondere dei lacci, nei quali chi non faccia bene attenzione corre un gran rischio d' incappare. -) Il poema del Boiardo nel testo originale. 3) V. p. XXVII, n. 3. l' edizione del cobbinelli lxxv dire da Firenze quelli errori che mi sono trascorsi, che s' hanno a rifor- mare secondo il testo; et insiememente quello che l'accademia stima di quel libro mi mandasti latino della Vulgare oloqaentia di Dante, che io quanto a me V ho sempre tenuto di Dante insieme col vulgare , che i più reputati voglion tener per fermo che sia del Trissino. ^) Lasciamo stare per ora (più tardi sarà da lùtomarci sopra) l' er- ronea opinione in cui il Oorbinelli era a quel tempo rispetto alla versione : queste parole danno a vedere che egli non ebbe il De imi- gari Eloquentia nel periodo che noi si sarebbe pensato; ma il peg- gio si è che esse porterebbero a ritenere che l' opera fosse mandata dal Pinelli, e non già dall'Abate Del Bene. come va la faccenda ? Pur troppo mi devo contentare di ragionamenti e supposizioni, mentre son fatti certi che desidererei dì presentare. Cosi non sa- rebbe forse, se ci fosse pervenuta una lettera anteriore da presu- mersi, nella quale si doveva, secondo me, essere già parlato del libro dantesco, che le parole di messer Jacopo, e specialmente la loro scar- sezza, m' inclinano a credere ricevuto tempo addietro, e non insieme colla roba di cui s' è venuto prima parlando. Disgraziatamente una lettera siffatta non l'abbiamo; e, considerata la cura colla quale il Pinelli ha conservato anche semplici biglietti, par verosimile che non sia giunta al destino. Si badi che un mese e mezzo innanzi — ai 15 dicembre del 1574 — si era scritto da Avignone : « et let- tere si perdono hoggi molto facilmente, perchè i viaggi son perico- losi et quasi tutti questi messaggieri son fatti prigioni, intercetto lor le lettere , et bastonati » ^). Di ciò era causa la gueiTa che ferveva in quella regione ^). i) T, 80*"'*. Le ultime parole già ebbero a riportarsi, p. li, n. 1. Col De vulgari JEUoquenlia non ha che vedere un biglietto mandato da casa a casa dorante un soggiorno a Padova — nel 1567 o 15G8, o piuttosto al ritorno dalla Polonia nel 1574 —, che dice : « Y . S. mi dichi di gratia che cosa era avanti il Dante, et ohe manca in questo che V. S. m^ ha mandato » (/?, 16^). Simil- mente non ci ha che vedere quel che si scrive ai 12 di aprile del 1575 da Parigi (T, 36") : « Li scriverrò poi in Italia» (a un cotal Matteo che sta per venirsene di qua dalle Alpi) « che pigli la cura di mandarmi il resto dermici libri. Come scrissi a Y.S. 4 di fa, poi che ha alle mani i Manuscritti Dant., vegga se si possono alleggerire col disassarli, senza nuocere. » «) T, 25"" recto. 3) E anche senza una ragione cosi speciale, degli smarrimenti (né c^ è da meravigliarsene) ne seguivano spesso. Si senta come principia una let- tera del 20 settembre 1577, che sarà da ricitar poi (B, 173") : « Non ho mai vostre che U cuore non mi schianti quando mi venite a dir certe cose. S.^*" mio, io v'ho scritto più lettere; né vi dico altro, se non che ho per male di non n' haver copia. Non so che mi ci dire. Per la via di Boma n' ho perse dell' altre. » Cosi in capo alla già citata del primo giorno di quaresima del 1578 : « Io ho ricevuto la sua del primo di Gennaio ; ma quella che mi avisa LXXVI INTRODUZIONE Ma poiché bisogna rassegnarsi a camminare, brancicando, nel- r oscurità, camminiamoci. Sarebbe mai che l'epistola al Forget non dicesse il vero ? — La cosa è affatto incredibile. Poniamo che il Pi- nelli potesse avere qualche motivo per non voler essere nominato : per esempio, la provenienza, a noi ignota, del codice, il fatto stesso dell'averlo mandato faor d'Italia, o meglio i latrati che la pubbli- cazione correva rischio di suscitare a Firenze, tra gente colla quale, come s' è visto anche dalle parole riferite , 1* eruditissimo napoletano era stretto d' amicizia. Ma se e' era forse motivo di non nominar lui, o può mai ammettersi che si nominasse un altro in vece sua? £ quando si fosse voluto fare, poteva il Del Bene prestarcisi ? Troppo ovvio che il solo partito a cui in tal caso si sarebbe ricorso — un partito quanto mai facile ed ovvio ! — era il silenzio. E avendo preoccupazioni di questo genere, si sarebbe evitato con ogni studio di menzionare in nessun modo Padova, il solo nome della quale do- veva procacciare al Pinelli interrogazioni per lui incomode. Poi, se il Pinelli fosse donatore, il CorbinoUi gli parlerebbe di sicuro in modo alquanto diverso in lettere posteriori che vedremo or ora, dove il De vulgari Eloquentia ci ritorna dinanzi. Sicché non é lecito dubitare che la contradizione tra le parole a stampa e quelle della lettera privata è solo apparente. E allora bisogna, o che ciò che il Pinelli mandò non fosse il codice antico , bensì una semplice copia , parziale o completa, oppure — e mi par di gran lunga più probabile, e per riguardi cronologici e per la mancanza di altri accenni ad un fatto di cui il Corbinelli avrebbe pur dovuto parlargli — che il suo « mandare > non fosse che un trasmettere per conto dell'Abate. Stando alle parole del- l'epistola, bisognerebbe che questi non avesse fatto comperar altrui di lontano , bensì comperato od avuto in dono egli stesso ; e real- mente certi indizi assai buoni da considerare trovo in una lettera anteriore di tre sole settimane a quella che ci occupa, e precisa- mente del 12 di gennaio : « Il nostro Abate tornò et portommi gì' avertimenti aurei del Guicciardino ^), come gli stimate voi, et certe scritture del Card. Gommenduno sopra la Corte di Roma, et un libro Italiano di Fra lacopone da Todi di laude molto devote, contemporaneo di Dante, che io stimo molto pel suo mescuglio di lingua » '). I libri paiono bene indicare che il ritomo di messer Piero d^un meso prima, non: che mi dispiace, porche è troppa perdita ». E kì veda più oltre, p. Lxxviii. ') Quelli che il Oorbinolli stamperà nel 157G dedicandoli a Caterina, y. p. xziii. 2) 7', 29''. l'edizione del coebtnelli lxxvii sia dall' Italia ; e allora non diventa verosimile che egli possa anche essere stato a Padova , e che a quel modo che porta al Gorbinelli de' libri che pensa dovergli esser grati, di colà abbia mandato per mezzo del Pinelli, che di continuo si trovava a far spedizioni al- l'amico ed a riceverne da lui, il manoscritto dantesco ? Ragguagli di minor interesse, ma d'indole più chiara, troviamo più tardi rispetto all' edizione. E anzitutto in una lettera del 22 lu- glio 1577 *) : Di ^uel Dante mandai a V. S. , la può ben credere che io non le manderei nna fnsciarra^) di quella sorte per farli pagar non che uno scudo, ma né pur il porto. Io lo detti al S. Davin Sardini lucchese ; al quale n' havevo dati parecchi altri , che me li haveva chesti per portare a Lucca. Et perchè voleva passar da Genova, sin quivi lo portò ^) lui, che è mercante et gentilomo da bene. Di là mi promesse che lo consegne- rebbe in buon luogo, et da farlo tener a V. S. con facilità, et forse con ninna spesa. Io ho poi inteso che si fermò in Lione più mesi contro la sua intentione. Per che via poi le sia capitato alle mani, non lo so; et sempre feci conto che gì' havessi a andar, a G-enova senza spendere. Io son poi stato in qua e 'n là. Mai di questo S.*"* Davino ho havuto nuove, né saputone altro, se non da 6. di in qua da' suoi fratelli, che son rima- sti qua. Di Lione bisogna che lui medesimo l' babbi mandato, pensando di far meglio. So che in quel medesimo tempo ne mandai a Koma, et pervennero come desideravo. Ma questa é stata una disgrazia, che detto gentilomo non andassi innanzi. In questo modo certe cose sarebbe me- glio che si perdessero che che le pervenissero. Ulteriori ragguagli sono in una lettera del 20 settembre ^), non spedita fino ai 12 di ottobre , e frattanto accresciuta in più riprese : Io ho scritto saltuatim et tumultuarie quelle poche di Notationi sopra ^) quel Dante; et se bene vi ho notate alcune cose, come noi di- remo , a sproposito , io l' ho fatto perché certi da Firenze vegghino l'oppinione mia diversa dalla loro. Intanto Y. S. m'avertirà di qualche errore che già mi par che vi sia, a ciò che quando io la farò ristam- pare per donarla^) al Be, s'emendi. Io non ho fatto che su il primo libro, non havendo tempo molto a trattar libri et ritrovar i luoghi ho nella memoria: ma si tosto che questo sarà fnora, che per bora il li- braio lo venderà cosi, io continuerò il ij*^ libro ; il quale vi piacerà molto più, perché sarà pieno di poesia. ^) ») B, 171«. *) Avrà voluto dire « fusciacca »? « Fusciarra » par poco a proposito. 3) Qià ricordata a p. lxxv, n. 3. ^ Si dà q\ii per avvenuto ciò che poi apparisce essere rimasto allo etato intenzionale. ^) n BOpra è rappresentato, e qui e in altri casi, da quelPt sormon- tata da due puntini, che nell'apparato della p. 85 1. 11 é a torto inter- pretato acilieei. ^) Il Corbinelli parla come se avesse detto prima « operetta », o che altro so io. ') B, 178»-*. LXXVm INTEODUZTONE Più oltre, in una giunta : y. S. harà quello che s' è stampato sopra il primo libro di D. Il resto farò presto facendolo rimprimer tutto a mio modo. Io sono ito un po' svagando senza proposito in quelle Notationucce % perchè io ho voluto toccare molti tasti contro a certi scritti de' nostri horentini, et ho detto la mia oppinione, fondandola come io credo che si deboia. Nel resto, se io mi savò ingannato, barò patientia. ') E ancora in un poscritto : Non so dove finisca il mezzo libro di Dante che io le mandai ; ma 80 bene che ^) la metà dell'epistola di Forget, et la prima carta delle notationi si ristamperà, perchè voglio che la stia un po' meglio che la non sta ; et per questa causa non vi mando il libro. Sarà con la prima occasione senza spesa. Y. S. mi continua a dir di non ricever mie let- tere. Assicurisi che io gliene ho scritte, nò ho mai lasciato occasione che 0[uaDdo gì' altri scrivevono a Yinetia di scrivere io ; ma questi im- basciatori veggo che son gente da non dar lor lettere. Io sarei mal con- tento che certe ultime si fussin perse in risposta dello vostre, et dove io dicevo del libro di D., perchè ve lo mandavo senza spesa, sapendo che certe cose non vaglion tanto quanto il porto : ma come sia poi stato condennato ^), io noi so, se non che me ne dispiace; et lo vorrei poter sapere anch' io per conoscere le gente meglio. ^) Da questi documenti si viene a ricavare che la stampa del libro deve ben probabilmente cadere in parte nel 1576 : si badi a quei vari mesi di fermata del Sardini in Lione, di cui parla la lettera del luglio , e si avverta che in capo agli estratti delle lettere del Postel che tengon dietro al testo del trattato dantesco, i tipografi dicono, o son fatti dire, il libellum «nimium nobis quoque .... laboriosum » (p. G5). Fino a che punto si fosse arrivati quando segui la consegna al mercante lucchese, non pretenderemo di saper noi, mentre il Cor- binelli stesso dice alcuni mesi dopo di non sapere quanta parte del volume avesse allora mandato al Pinelli. Bensì oso dire che non an- dassero più oltre del foglio D, ossia della pag. 64, gli altri esem- plari dati al Sardini a sua richiesta. Ohe questa parte del volume, e questa soltanto, costituisce un tutto intrinsecamente e material- mente completo ; e io propendo a credere che V idea prima del Cor- binelli fosse di arrestarsi qui. Quanto al proposito di ristampare « la metà dell' epistola di Forget, et la prima carta delle notationi », ossia il foglio G, non so Par dire cosi , piuttosto che « Notationcelle » ; ma mi tien dubbio queir -ueee, mentre m^ aspetterei -uccie, *) 174^ 3) Qui 8* ò cancellato « dove è ». ^) Vorrà dire « multato ». V. p. lxzvii. 5) 175". l! EDIZIONE DEL COBBINELLI LXXIX se abbia avuto effetto, e poco m'importa di saperlo ^). Certo — fosse mancanza di tempo o di quattrini ') — il Corbinelli non iscrisse , o perlomeno non stampò, le annotazioni al secondo libro, e non fece ristampare ogni cosa in miglior forma, come nella lettera- del set- tembre dice e ripete di voler fare; e il Be dovette contentarsi di ricever l' offerta qaal era riuscita alla prima. Giusto ad ogni modo tenere ben conto che, se F edizione non appaga molto noi, primo a non esseme sodisfatto fu il suo autore, censore sempre tutt' altro che indulgente delle cose proprie. E si avverta come una lunga serie di giunte e correzioni alla fine portino in capo le parole, < Alcuni aggiunti, emendati per bora alle annotat. del i Lib. ». Lasciamo stare le intenzioni per esaminare in quella vece i fatti. — Come fu condotta l'edizione? — Per veder chiaro qua den- tro ed avanzare con ordine, bisogna cominciare dal domandarsi, in che rapporto stiano le molte correzioni marginali e non marginali che il codice ora di Grenoble ripeto dal Corbinelli, col suo testo stampato. Una congettura troppo ovvia porta subito a supporre ohe quelle correzioni costituiscano come un lavoro preparatorio ; e la congettura è suffragata dall' essersi visto già ^) come non poche glosse d'indole illustrativa stieno colle Annotazioni che accompa- gnano il testo a stampa nel rapporto di un appunto a un' esposizione regolare. Ma s' ha poi una conferma ben altrimenti conclusiva in ciò che risulta dal confronto. Un numero ben ragguardevole di muta- menti accolti nella stampa sono nel codice accompagnati da un /or- sitan^ da un videtur] per esempio, I, vi, 3 /. sum] ix, 6 /. sub unicahili ; Xlll, 1 f.plebeorum ; ib., 3 ohtusi f, ; xiv, 1 /. cunctam ; — I, VII, 2 Videtur deesse pmnas malorum quce; ib., 7 Videtur deesse, nec ; xiv, 3 Videtur deesse, faciL E la stessa conclusione sgorga da certi casi in cui sui margini si vede il Corbinelli avanzare il piede e quindi ritrarlo, e la stampa apparisce conforme alla seconda, e non alla prima fase. Cosi I, xv, 6 s'era voluto mutare residinis in ') Dall' esame degli esemplari che ci son pervenuti non c^ ò proba- bilità alcana di chiarirsi, anche esaminandone un numero maggiore che non n' abbia esaminato io ; giacché, dovendosi, se mai, il disegno essere eseguito prima della pubblicazione vera, à naturalo che tutti abbiano il foglio nuovo e non il primitivo. ') Di ambedue le cose accade che si parli nelle lettere. «... Io sto qualche volta un anno che io non posso né so far nulla », si scrive il 16 aprile del 1578 (B, 179^). E le condizioni del tesoro regio facevano si che stipendi ordinari ed assegni straordinari fossero pagati alla turca. V. anche la nota 2 a p. i.zx. £ cfr. Crbscini, p. 890 nel Giom. Stor., 214 nel volume suo proprio. 3) P. XXII sgg. LXXX IMTBODUZIOMB resìdentibus ; ma poi si pensò che forse a' era detto Residinij ut^ Mediasiinj; ed ecco il residinis mantenuto nel F edizione. Più chia- ramente ancora leggiamo II, lY, 7,/. admoueat secure summum pL vel potius, Adsùmat aecure pledrum, ef ; e la stampa ci dà adsumat secure pledrutn. A quel modo che qui il codice stesso ci mostra il Corbinelli che si ravvede, è ben naturale che altrove il ravvedimento ci aia rap- presentato solo dall'edizione. Più volte, come nel caso di residìnis^ questo ravvedersi consiste in un ritorno alla lezione diplomatica: I, VII, 2 eluminata s' era voluto mutare in eliminata^ e poi si man- tenne ; altrettanto accadde ix, 6 a perciperej x, 2 a romanorum^ xi, 1 a Exacceratts ^), voluti prima cambiare in perapicere^ romantiorwn^ cribellatis. £d è pur sempre la cosa stessa se un nominalur II, xu, 9, dopo aver corso rìschio di diventare coUocanturf divenne meramente, com' era legittimo, nominaniur. Altrove invoco si corregge bensì, ma in maniera diversa che non si fosse fatto dapprima : I, VI, 5 lezione diplomatica /aòrtcar: correzione nel codice fabrica' runt : stampa fabricauerunt xiv, 2 etiam sWr: etiam (licei: eiiam si viriliter. XVIII, 1 admoueant et admoueant : /. demoueant [et admoueantj: admoueant et remoueant. II, I, 2 spazio bianco: uidetur deesse ^ ei faciet: bene ipsi rudi- tati faciet, ib., 7 epiphyarum: epiphyatum: ephipiatuvi, ir, 2 li *) : /. igitur: unde. Ili, 7 reperitur. sed : Videtur deesse j in illis est : in ipsis est, IV, 2 doctrine: f, doctrinam: doctrince aliquid. V, 5 magis que sui sum (mutato posteriormente in sursuin) su» perbìe : /. atque sublimius superbire, uel magisque su- blimis superbicR : magisque sitrsum superbire, XII, 6 73 pedibus uersibus q^ ; q%ta pedes versusq, : qua pedib. versibusq, xuij S intescit: nUescit: noiescii. Sicché, tra il testo quale ci sta davanti nel manoscritto, tenuto conto di tutte le modificazioni ivi proposte e introdotte, e la stampa, le differenze non son poche. Ed esse non si riducono già a quelle indicate finora : altri mutamenti ci sono a cui non s' è preludiato in ') Come stiano propriamente le cose, dice la nota 2 della p. iati. ^) Per maggiori particolari V. p. 115. l' edizione del cobbinelli lxxxi nessun modo nel codice. Tale è hanc in luogo di hinc, I, i, 8, no- luerunt di uolueruni e Vel di ut, il, 3, imUatio di mutatio^ ib. , 6, cìim aliquid à ratione di Quia eundem rationo, ni, 2, ecc. ecc. ecc. In fatto poi di ortografia, i ritocchi che la stamjia sola ci offre sono continui. Si sostituiscono i dittonghi ce ed ce alla rappresentazione medievale con semplice e ; si surroga , per limitarmi al primo e secondo capitolo, permittit a permiciit^ tanquani a tamgiiamj ap- pellamtis ad appelamtis ; nihil a nichil^ pulcerrivn a jndcerimi^ obiiciatur dk obiciatur^ diuersaritm a diuersaarum ^ damnosa a damj>- nosa ^), amic(d)ile ad amicabille, commercium a comertium^ di nuovo tanquam a tamquavi^ Metamorph, a metaviorfoseos. Nasce la domanda, se, astrazion fatta dai cambiamenti ortogra- fici, che ognun vede donde vengano, gli altri siano congetture pro- prie del Corbinelli, o ripetano d'altronde la loro origine. La verità è già stata scorta dagli autori — o piuttosto diiU' autore — del proe- mio alla riproduzione fototipica del codice di Grenoble. Solo, T os- servazione non essendo stata rigorosa, il vero fu esagerato d'assai. Il Corbinelli, « Sauf quelques passages où le manuscrit de Gre- noble lui permet de combler une lacuno evidente, ... corrige le texte, de manière à le calquer sur l'italien du traducteur » ; i critici non si sono avvisti finora che il testo suo < était en quelque sorte une tra- duction mot à mot de Titalien de Trissìno, exccutée avec un soiu aussi aveugle que minutieuz, en corrigeant un manuscrit qui ne so prétait pas toujours très bien à Topération. » *) Che il Corbinelli abbia dato molto peso alla versione, è un fatto ben reale. E il peso da lui attribuitole ebbe da principio ad essere anche maggiore. non l'abbiamo noi visto nel febbraio del 1575 partecipare risolutamente all'opinione che spettasse a Dante ancor essa? ') Ma questa opinione fu poi abbandonata; né per verità era facile che perdurasse dopo uno studio accurato e im accurato con- fronto col testo latino ; ed essa urtava altresì contro la tostimoniauza troppo autorevole del Boccaccio ^). Cominciò forse il Corbinelli a credere interprete il Boccaccio stesso ; che un' attribuzione al Boc- ') Propr. dàpnosa. Xolla fototipia T a ha perduto il segno :jovrap- pottto. ») P. 15-16. '^) V. p. LXXV. ^ « . . . Composo uuo libretto in prosa latina, il quale o;^li in- titolò De vulgari Eloquentia ». Si rammenti che questo passo della Vifa boccaocebca era riprodotto sul frontespizio della versione; e si noti che anche il Corbinelli lo stampò, e in lettere maiuscole, sul rovescio del- 1^ ultima pagina del testo, allessando un manoscritto suo, di cui è parola anche nelle lettere al Pinelli (9 luglio 157*J, cod. B, 22^'*/. LXXXII IKTBODUZIOinS caccio si contien bene in quella certa chiosa al Discorso del Bao- nanni, e D. de Valg. eloq. e 4 traduttor 6. », già riferita altrove ^). Ma quando stampava l'opera, forse disingannato dal Pinelli, del quale si può supporre che sapesse come le cose stavano per testimo- nianze di contemporanei e familiari dell' erudito vicentino , la ere- densa, da lui prima respinta ^ dei e più reputati », era divenuta anche la sua ; che in una delle prime annotasioni troviamo : e Io non posso fare hora eh' io non mi rida di coloro, come che per altro dottissimi huomini, et scrittori solenuissimi reputati, che si son risi di Dante: cosi perversamente (ben che su la Traduzione del Trissino, mài la- tina nel vero) intendendo, » ecc. *), E già il lavoro affidato ai margini mostra il Gorbinelli non punto ciecamente fiducioso nella versione. Non teniam conto dei vidsiur nei casi dì correzioni complesse, dove l'incertezza potrebbe nascere da quel tanto di dubbio che si riversa sopra una restituzione latina per il fatto del dover esser scorta attraverso al volgare; ma là dove il co- dice, II, II, 4, portava angelice e la traduzione a la n€Uura angilica^ avendo piena fede in questa, non sarebbe un prudente videtur deesse naturcB che noi avremmo. Né il f\orsiian\f per limitarmi ad alcuni esempi più perspicui, proteggerebbe colla sua ombra I, vi, 3 sum (cod. sumus con aggettivi al singolare, it. sum); Xlil, 1 phbeorum (cod. plebeatj manifestamente erroneo, it. dei plebii)] ib., 8 obtusi (cod. obtusci, it. uìttufi); II, X, 2 fere (cod. /«rre, it. qua/i); ib. 4 calle (cod. cale, it. calle) ; e voglio aggiungere, sebbene poi raschia- ta, la prima in ordine di spazio fra tutte le correzioni marginali : I, IV, 4 FAi/ (cod. e/, it. Eli) =). •) P, XXIX. O si vorrebbe mai che « B. » significasse qui « Bembo > ? Sarebbe un dare alla si^la un valore atfatto insolito invece di quello che le conosciam troppo bene. £ senza motivo alcuno ; giacche un* attribu- zione al Bembo riuscirebbe più singolare di quella al Boccaccio, che potè essere suggerita dal passo ricordato dianzi, e specialmente dalP incontro fra il titolo qual ora dato 11 e quale appariva nella versione. Per la cro- nologia, rammento che il Dincorào del Buuuanni fu stampato nel 1572, sicché torna benissimo che la chiosa sia del 1575 o press^ a poco. ^) P. 5 neir od. originaria, (3 in quella del Torri : nota a EbI et inde alia locutio ecc., I, i, H. Senza questo luogo la postilla al Buonanni ci {Tvrebbo esposto a un gran pericolo di errore. Errore tuttavia non fu- nesto, giacché l'importante era solo di sapere che il Gorbinelli non at- tribuisse più la versione a Dante stesso ; e ciò risultava dalP assenza di richiami air autorità sua e più chiaramente dalle cose che son dette sul principio dell' epistola al Forget. ^) Quest' Ely nella riproduzione fototipica (2^) ò sparito del tutto . mentre ha preso troppo vigore il f, che lo precedeva. L* EDIZIONE DEL COBBINELLI LXXXIII Si notino del pari certe correzioni che discordano poco o tanto dal Triesino. Talune furono poi disdette, o tacitamente abbando- nate: I, vili, 6 profarentium (cod. proferentes, it. quelli che pruìf eri- 9cu)nu})^ Xf 2 romantiorum (cod. ramanoritnij it. de i Btjjinani) ; ma altre no: II, iv, 6 fuit {cod. fuùtse^ it. ì), IX, 4 [huius quod est] artis (cod. huhts quod est ars^ it. V arte di quesltMì), £ voglio segnalare I, XVI, 1, dove, nel punto che il Trissino traduce in ogni luogu) si sinie, U in ogni parie appare^ il Gorbinelli volle bensi prima correg- gere il codice conformemente alla versione, ma poi gli fece dire addi- rittura il contrario. Parimenti I, xix, 1, in un passo dove il Trisaino s' era trovato alle prese con un testo mo^co dovuto racconciare alla meglio ^), il Corbinelli ebbe dapprincipio V idea di recidere lui pure ciò che non aveva riscontro nella versione e che anche nel suo codice presentava de'guai, ma più tardi s'appigliò al partito del correggere. Ciò che seguiva nello stadio della preparazione segna il cam- mino sul quale la stampa continua ad inoltrarsi. E confrontando, accade qui pure di vedere come il Corbinelli venga talora all' eser- cizio della libertà dopo una fase di obbedj^nza. Cosi I, xviii, 1, se l'er- roneo admoìieaiU et admoueani fu voluto correggere nei manoscritto in demoueant et admoueani seguendo la versioue liivanifià i ponguì- nu, nella stampa si scrisse, come già s' è detto '), admoìteant et remo' ueant. Ma lasciando stare questi confronti interni, sono ben nume- rosi — anche all' infuori del fatto di lacune potute riempire grazie alle muori imperfezioni del codice di Grenoble — ^ i dissensi fra il testo dato al pubblico dal Corbinelli e la versione del Trissino. Mol- tissimi intanto i luoghi dove l'editore si astenne dal toccare, nonostante l' incitamento — non di rado secondato invece da qualche moderno — che veniva dal traduttore. Per citar solo qualcosa di com- prensivo, segnalerò a questo proposito le intitolazioni dei capitoli. £ allontanamenti si vedono anche in casi, dove per allontanarsi ci volle una volontà ben deliberata. I, in, 3 il Trissino aveva reso con perciò un nà, ossia nam, del suo codice ; e il nam poteva stare, tanto che io ho creduto mio dovere di rispettarlo ') ; ma ecco che il Gorbinelli, il quale m trovava pur dinanzi un'abbreviazione consimile, ne ricavò natura. Similmente vui, l, la versione portava principale, il codice aveva principale che normalmente doveva es- ser letto principalis ; e nondimeno nella stampa s' è messo princi- paliiér % Superfluo dire che il Corbinelli ha per solito fatto bene *) V. p. 102. ^ P. LXXX. 3) V. p. 12!, w. 2. <; Y. p. 82, n. 8. / LXXXIV INTRODUZIONE ad abbandonare il suo predecessore; ma accanto a questi casi non ne mancano altri dove non è disputabile che sarebbe invece stato bene secondarlo. Non avremmo allora I, xui, 3 Lupum in cambio di Lapum *) ; e II, vi, 6 non troveremmo Guidonem per Guittonem ; né II, V, 2 mancherebbe il quinario ih un luogo dove aveva pro- priamente da figurare ') ; e il capitolo xii di questo stesso secondo libro non ci presenterebbe ben tre mende, gravi tutte e tre: due lacune ^j, e un pars invece di pes *), Saremmo poi anche grati al Cor- binelli, se avesse seguito il Trissino nel dare ai capitoli una nume- razione, la mancanza della quale produce uno scomodo non lieve. La realtà non è dunque nient' affatto che il Corbinelli abbia vo- luto rispecchiare nel testo suo la versione italiana. Bensì di quella versione egli si valse come di un sussidio, e per meglio ravvisare i passi più o meno corrotti,* e per sanare le piaghe, vere o supposte. E chi di ciò vorrà fargli colpa? Ohe se egli fu non di rado osse- quente anche dove Possequenza era indebita, saremo indotti a per- donargli, paragonando la condotta sua con quella di certi editori, quali furono per la Vita Nuova il Biscioni e il Ferrucci, che, infa- tuati di un codice da loro posseduto o su cui avevan messo comun- que le mani, non seppero più vedere che cogli occhi suoi e furono causa di durevoli guai. Il Corbinelli invece, sebbene persuaso di es- sere in possesso dell' anico esemplare che allora fosse del De vulgati Eloquentia latino ^), non negò di ascoltare la versione. E nascesse poi ciò dal crederla condotta sopra un codice differente dal suo ^), o dal pensare che il traduttore avesse saputo vedere ben acutamente ') V. p. 75 II. 1, G cfr. p. LVi n. 1. Andio noli* indice de' nomi (p. 63) il Corbinelli sejjna « Gruido Lupus ». ^) V. p. 137, n. 3. V. p. 187 u. a, e 190 n. 1. ^) V. p. 189, u. 2. Se avesse dato accolto al Trissino, il Corbinelli non avrebbe neppur franteso lo spalulaa 1, vi, b (Trissino le spalle)^ rispar- miandosi cosi un errore sui margini e nello annotazioni stampato. V. p. xxii. ^) « . . . . mi fu mandato da Padova, per dono, di questo presento libro r Originale, elicerà si comMo stimo, dalla ingiuria del tempo ri- masto et solo et unido ». La persuasione riesce comprensibile, conside- rando^ rio che si dicova del Borghini ncW Ercofano dei Varchi, pubblicata allora di tresco (V. p. lxi). ^ Per verità, una volta riconosciuto che traduttore era il Trissino, 4U<'Hta credenza, dato lo condizioni di tempo e di luogo, non si concilia troi)po bone colla persuasione detta dianzi. E quella persuasione ebbe forse a ri<'evoro una scossa nelP animo del Corbinelli, pur essendo ancora iiianift»st{it;i quale era Htata dapprima. Ma non ora neppur illecito pensare che noi ÌÌÌQ7.ZO setolo trascorso dacché la versione era stata eseguita, il codice elio aveva servito al Trissiuo fosse potuto andare a fondo. l'edizione del gobbinelli lxxx? nel testo *), la cosa fa sempre onore, o al suo criterio, o alla sua modestia. Sicché dell' atteggiamento preso in cospetto del Trissino il Cor- binelli non merita, generalmente parlando, altro che lode. E para- gonata colla versione , l' edizione saa rappresenta anche per il testo (del lavoro illastrativo in quanto tale non m' ho qui da occupare) un vero progresso: progresso dovuto, è ben vero, in non piccola parte alla minor corruttela delle acque raccolte nel bacino a cui egli attingeva. Ma una dose abbastanza ragguardevole di merito va data a lui pure. Né in sé stessa diremo viziosa — tutt' altro I — la ten- denza a giustificare ciò che il codice gli offriva, quand'anche lo conducesse a stampare, I, xii, 1, cribOf che nel codice era poi una mera apparenza, xv, 3, Logohardorum '). Più assai di cotali eccessi son da temere le licenze. Bensì queste inclinazioni conservatrici, do- vute a una certa quale educazione linguistica fatta sugli antichi scrit- tori, non bastano a spiegare come il codice riesca a farsi valere anche in cose, dove il suo torto era troppo manifesto ; sicché, per esempio, I, xiv, 2 s'abbia Mandiolos (Trissino RuìmagnuoU)] ib., 4 si trovi Hdt brandinum diviso ^); I, IX, 3, nel verso del Guinizelli Né gentil cor prima che amor nitura (Trissino Nt cuor genfif) man- chi la voce cor; e II, ix, 2 si scriva summit. Qui dev'esserci di mezzo, pare a me, il modo come fu allestita la copia da passare al tipografo e come il lavoro tipografico fu invigilato. 4. Le allegazioni e la versione di Gelso Cittadini Celso Cittadini ci è già stato condotto innanzi dalla revisione a cui sottopose il Cesano del codice Bulgarini e insieme col resto anche il passo dove si parla dei vizi rinfacciati da Dante alle par- late toscane^). Un passo perfettamente analogo pose il Cittadini nel suo proprio Trattato della vera origine, e del processo , e nome *) Anche a questa seconda akernativa (o non volo elio ci sia posto per una terza) c^ ò qualcosa da opporre : vale a dire il giudizio non fa- vorevole sul Trissino, che s^ ò riferito a p. i.xzxii. <) V. le sue note a p. 38 e 50 (Tobhi, p. 0*2 e 80). Anche Europict^ I, vili, 2, trovò in lui un difensore 'p. '21, Toriii, p. 35); ma il pensiero della difesa gli dovette nascere dopo che nel tosto s* era già stampato Europei, '^) Nel r indice de* nomi, citato di giÀ, « lldebrandus ». *) V. p. ixvi. TiXXXYI im^RODUZIOmB della nosira Lingua , stampato a Venesia nel 1601 ^) : € ... Dania istesso Toscano, e fiorentino nel suo libro , Della vulgare eloqnenza, volendo mostrar, ohe la lingna nostra non si dee chiamar Toscana, va raccontando ad vn per vno alcuni errori di lingua, che ciascuna delle principali Città di essa prouincia ha nel suo vulgare; ripren- dendo ne' Fiorentini il dire; manicarfif e, introcque^ e, noi non fac- ciano altro: ne* Pisani; bène andorno li fanti di Fiorenza per Pisa: ne' Lucchesi; t' auoto a Dìo, che ingrassaraeie ti eomuno di Lucca: ne' Senesi ; che rinnegato knup.gRe io Siena, e che è chesto f ne gli Aretini; uuo^ fu uenire fielìef » *) Chi si faccia a confrontare, vedrà che il Cittadini (caso nuovo!) pende qui per l'appunto dal Tolomei. Ed è il Cesano a stampa ch'egli si trova dinanzi: di li V andorno, il t' auoto, V ingrastaraeie ; che se dice manicare sfacciano, queste sono correzioni sue proprie, introdotte qui alla stessa maniera come nel codice del Bulgarini , affidatogli, credo, più tardi. Sola peculiarità che accenni ad un' altra fonte, Vùeìle, che nella stampa, se ben si rammenta'), è oti' elio. Ma non immaginiamoci, )>er carità, che dietro a quest' ùéUe ci sia qual- cosa di più recondito dell' ovelle consueto. Tanto varrebbe lasciarsi andare a fantasticaggini perchè nel Vocabolario Cateriniano il Gi- gli, riportando sparsamente il più di queste stesse voci e frasi dan- tesche, scrive tfiisìle (si legga uvelie) ^), e inoltre, nel periodetto lucchese, votu ed egie^). Il Gigli non ha fatto altro di certo che prendersi delle libertà, o commettere delle inesattezze ^). Ma il Cittadini fece ben più che riportare — pressoché in tutto di seconda mano — alcune frasi del De vulgari Eloquentia : esegui del trattate una nuova traduzione. Di questa traduzione la prima notizia fu data solo nel 1824 dall' ab. L. De-Angelis, nella Biografia degli Scrittori Satiesi : « Tradusse dal latino il Libro di Dante de vulgari eloquio, di cui ne ho veduto l'autografo, che sparve all' im- provviso da Siena, ne più se n' è potuto aver contezza. Non era la semplice traduzione, ma vi erano delle note assai erudite ''). » Cotale <) Dante e ^li esempi suoi non appariscono invece por nulla neir ab- bosio di un trattato Degl* Idiomi Toacani^ che il Gigli pubblicò a Roma tra lo Opere dei suo concittadino nel 1721 (p. 297-S04). *) Gap. XXIV : p. 68'' neir ed. originaria, 102 nella ristampa del Gigli. 3) V. p. LXIV. 4) P. 212 neir ed. con data di Manilla. 5) P. 210, a insegnar reg. di lingua » ; § 2 , < difBnition della lingua » ; § 3, « il Parlar regol'^ uuol lungo studio »; § 4, € Degnità della ling. Volg. » Ma non valgon davvero a giustificar l' espressione neppure alcune altre rarissime aunotazioncelle, in cui, or nell' uno or nell'altro esemplare, accade d'imbattersi. I, X, 6, dove il testo la- tino ha Apulia e si traduce < Puglia », leggiamo in margine, € è detto all'antica prò regno. Apulia.» {h 11^); ih. S, adducendosi Senesi e Aretini per esemplificazione delle differenze dialettali in una re- gione stessa, « perchè non i S. e fior. », con un gran punto interro- gativo, le cui dimensioni dicono davvero assai (a 20*); xn, 6, per dilucidazione del « Volzera » ecc., € cioè Vorrei che piangesse il fan- ciullo » (6 18*); xin, 4, a proposito della z nel genovese, «in fauor del T » (ò 14*) *), e « che diranno qui i moderni fior' che proferi- soon grazzia Horatzio... **) » (a 22*); xv, 6, nominandoci Torino ed altre città, « Milano doue si lascia egli?» (ò 16*); ib., qual chiosa del € latino » conservato anche nella traduzione ^), < uedi nra *) Ori *) TI « ritrouato » ò scritto in basso, come richiamo al quaderno se- guente, di cai avrebbe dovuto esser la prima parola. *) V. p. LXXXVI. 3) Immagina il Cittadini che Dante sia con ooloro che volevano si scrivesse eloquentiaj otio^ vUiOj eco* *) Qui s'aveva un altro vocabolo, di cui il rilegatore, ritagliando, non ha lasciato sussistere che dei residai. ^) Nella brutta copia il Cittadini aveva già scritto Ita, quando, pen- titosi, cancellò, e soggiunse V altra parola. fi) Credo propriamente nrà^ cioè « nostra », non uera^ per quanto la LA VERSIONE DEL CITTADINI XCI gine del Volgar parla[re] » (a 24"*); II, vii, 5, « l'x non può mai esser doppio > (6 30*) ^), e subito dopo , a proposito di donna, < questa ha 2 liquide » *). Gol De vulgari Eloquentia non ha che vedere una nota che si legge a 20'' nel margine superiore : « Cer- bolattario quasi Cordo alutarius Plautus alutarij enim sunt tenuìo- rum 'j pellium concinnatores. coriarij crassiorum. » Che il Cittadini non abbia commentato largamente il trattato dantesco, è cosa che non afEigge nient' affatto. L' importanza del- l' opera sua dovrebbe sgorgare da qualcosa di ben diverso, vale a dire dall' essere la sua traduzione eseguita sopra un originale di cui non ci si trovi in possesso. E il non aver egli saputo far di meglio che fondarsi sul Cesano quando nel 1601 pubblicò il Trattato della vera origine, non escluderebbe punto una possibilità siffatta; giac- ché la traduzione è indubbiamente posteriore. La posteriorità non sarebbe provata dalla glossa in cui 1' Origine è citata, essendoci qui il caso di una giunta ; ma abbiamo ben altro. Il registro da cui s' è detto essersi presi alcuni dei fogli su cui fu stesa la brutta co- pia, serviva ancora all'uso suo primitivo verso la fine del 1600; che le note che vi si leggono sono del settembre e ottobre di quel- l'anno^). E siccome non penseremo di certo, che il registro — un registro di volume assai considerevole, come indicano i numeri delle carte , non già un quadernaccio qualunque — sia stato smem- brato subito, risulterà verosimile che ci s'abbia da inoltrare di anni parecchi. Ne lo spazio scarseggia, non essendo il Cittadini ve- nuto a morte altro che nel 1627 ^). E per un originale latino diverso dai nostri sembreranno par- lare alcune circostanze. Anzitutto, quello che da noi, seguendo l' esempio dato in origine dal Trissino e non ripugnanti i codici in nessuna maniera, si considera come primo capitolo, apparisce qui scrittura di questa, non brutta, ma bruttissima copia, sia proprio tale da mettere di continuo alla prova le facoltà divinatrici deir infelice lettore. *) Come si vede (cfr. p. 158, n. 5), il Cittadini partecipa all' errore co- mune riguardo all' intelligenza del luogo dantesco. *) Qui pure la nota ha ragion d' essere in un frantendimento (Y. p. 158, n. 1. <) Mi trovo aver scritto breuior[um] ; ma penso (e se cosi non fosse non conterebbe nulla) ohe abbia sbagliato io a ricopiare. La nota, colla falsa allegazione di Plauto, ha riscontro nel Calepino. *) Ne riporto una quale esempio : B4'*(già 252), «Memo dello spagniolo denuntia hauer ricolto grano st. 80 ». Le altre sono dello stesso tipo. ^) Così diventa naturalissimo un fatto rilevatomi con una certa me- raviglia dal Sensi, ohe ha il Cittadini sulla punta delle dita. Questi non ricorda mai la versione nelle altre sue opere, mentre il citare sé stesso ò in lui, come dice il Sensi «una vera mania». XCn IKTBOBUZIONB come un € Proemio ». Poi, ci a' incontra talora in qualche dizione o lezione che non risponde al codice Trivulziano, non a quello di Grenoble, non alla versione del Trissino, non alla stampa del Cor- binelli. Nel primo capitolo stesso, o Proemio che dir si yogUa, dove il Trivulziano ha uno spropositato Harum quorum, da cui il Trìs- sino si liberò non tenendo conto del quorum, e il Orenobliano, dopo aver avuto ancor esso cosi, s'è ridotto a un meno apertamente, ma altrettanto erroneo horum quoque, passato nelle stampe, il Gittadiat, traducendo « Hor di questi », c'indurrebbe a supporre ch'egli potesse trovarsi dinanzi un horum quidem od equidem, che tornerebbe assai bene^). £ ad un quidem, che a me par proprio la lezione da surrogare ad un altro quoque, trascurato dal Trissino, modificato malamente dai Oorbinelli, siam condotti del pari I, xvii, 2, dalla versione (6 18^) < Hor noi, in quanto lo nominiamo » ecc. *), Similmente I, iv, 8, col tradurre (ò 4') < ad esso Adamo », il Cittadini riflette VAde, che deve indubbiamente prendere il posto dell' adeo portato dal codice di Grenoble e dell' a Dea che il Trissino dà a vedere di aver volato ricavare dall' ad eo del manoscritto suo; che se il Oorbinelli, dopo aver stampato adeòy scrisse nel commento t leggi Adse » il trovare che altre correzioni portate dal commento rimasero senza effetto sulla versione nostra ^), rende qui pure assai problematico che la verità sia uscita di li. Ma più che le lezioni o interpretazioni le« gittime, attribuibili ad acume di mente, parranno pesare altre ille- gittime, incerte. Che motivo intemo c'era mai I, xiu, 1 di sosti- tuire a « Mino Mocato » un € Meo Moccata » (a 22^) o € Meo di Moccata» (& 14^) ^)? £ xiv, 4 di mettere place, invece di plage, nella frase veneziana (a 2B'\ ò 15^)? £ xv, 5 di segnare Maonna (a 24^, ò 16^) come variante del Madonna nel verso che vorreb- b' essere del Guinizelli? £ di un ttltro caso notevole è da far men- zione. XVI, 4, in quel punto della gradazione delle manifestazioni di 1) y. la lunga nota a pag. 5. Si avverta come I, in, 8 sia roso con « Hor questo è segnale » (6 8^) un Hoc eqnidem tignum non soggetto a questioni. «) V. p. 97, n. 2. ^) Cosi accade I, ix, 3, dove il « Leggi, Si vieni », non è valso a sra* dicare éuuent {a 19'*, h 9^) dal verso di re Tebaldo ; cosi zir, 1, dove, se si fosse badato alla nota, si sarebbe, credo, fatto qualcosa meglio, ohe oo* minciare dal mettere tal quale nella bossa txaoc€rai%$ (21^), e scrivervi poi sopra un infelicissimo ammuwhitiUy trasfuso nella bella copia (fr 12^). ^) Un « Meo di Mocata Sanese» nel margine di 6 dev* essere d* altra mano. Forse proverrà da quel toscano rabbioso, che tirò dei fk^^hi at- traverso alle prime righe antitosoanissime del capitolo, a cui invece il Cittadini aveva dato risalto col sottolinearle. Questi freghi luino rìsoon* tro ali* exeeUns intruso ab antiquo nella rubrica. V. p. 69, n. 7. LA VERSIONE DEL CITTADINI XCm Dio negli esseri creati che ha dato luogo a tanti guai, il Cittadini traduce (ò 17^) € in queste » (oioè nelle « miniere ») e più, che nel fango »: il che avrebbe dato un sussulto di gioia al Galvani , come un ìndÌEÌo eh' egli leggesse nel suo testo quel coeno , che il critico modenese mise innanzi per congettura '). Ma sono indizi tarlati questi che si son venuti emumerando, e che son pure i migliori da me saputi rintraociare. Qual tarlo roda le lezioni buone, ho indiòato di già. Quanto al resto, si senta. Per ri- farmi da eiò che s' è visto per ultimo, avverto come nella bozza alla frase riportata preceda un < nel cielo più che in a » (24^), annullato con un frego; e quel t cielo, > sebben messo li in maniera diversa, ci riporta ad una lezione tutta propria del Gorbinelli '). H eoeno ò dunque una seconda idea, e però troppo probabilmente una correzione congetturale, non altrimenti che nel caso del Galvani. Il Maonna parrebbe aver maggior forza, trattandosi di una poesia che il Citta- dini non avrà, credo bene, visto meglio di quel che la possiamo veder noi in nessuna raccolta stampata o manoscritta di rime antiche; ma e' è un gran pericolo ch'egli abbia messo li sbadatamente Maonna in cambio del Madona del codice di Grenoble e del CorbinelH. Nò si dica che 1' errore ammissibilissimo una prima volta, avrebbe do- vuto esser corretto nella trascrizione; giacché risulta che la trascri- zione si eseguiva s^iza aver, dinanzi l' originale o gli originali, quali mai si fossero '). Quanto al < Meo » per € Mino » , l' orìgine sua ci è rivelata estranea affatto al De vulgari Eloquenti^ da un passo del libro Deir origini della volpar Toscana favella^ che il Cittadini pub- blicò nel 1604 % Viste le quali cose al place^ chi vorrebbe ora più dar *) V. p. 94, n. 4. ') L* « a », 06 tale ò realmente, avrebbe forae dovuto diventare, se la frase fosse stata compiuta, «aere», oppure «acqua», osua qualcosa a cui ha pensato modernamente il Boehmer. 3) Sono debitore della prova alle difficoltà che il rileggersi procurava •I Oitlaénii stesso. II, ii, d> nel verso di Arnaldo Daniello la bozaa (a 28^) aveva hrancum^ come i noftri codici, il Trissino, il CorbÌDelU; na U hrantum poteva parer hremcura] ed ecco la trascrizione darci hrancura (b 23^^). VI, 5, ciò ohe nella bozsa era Belimi^ come nel manoscritto di Gre- noble e nrì Oorbinelli, diventa travasandosi Bduni (ò 28^), Ifo., da nn Pt- emUtmo scritto con un e che aUa molto il capo, esce Féluliano, In questi casi il senso non soflfre. Non cosi I, vi, 1, dove, V « oscena ragione » (a 4^*) che traduceva cb$c€ne rattoni», n trova metamorfosato (h é^) in « oscena re- gione», con sopra la variante « brutte contrade » ! Il curioso si ò che il Cittadini aveva prima scritto qui pure ro-; e poi, persuaso, si vede, d*aTer letto male, corresse V a in e. ^ P. 86 nelP ed. originale, 1S8 nelle Opere curate dal Qi^li : « £ Barta- lomeo detto Meo (e da alcuni corrottamente Mino) di Mocoata de^ Maconi XCIV INTRODUZIOMB valore? E meno che mai ne daremo al considerarsi come proemio il primo capitolo, anche solo tenuto conto della mancanza d' ogni nu- merazione nell' edizione stessa del Corbinelli ^). Un luogo al quale ricorreremo con particolare curiosità sarà quello concernente i provincialismi toscani. E alla curiosità farà ri- scontro la meraviglia, trovando che in ambedue gli esemplari ci s' arresta all' esempio di Pisa, dopo il quale la beila copia lascia uno spazio di tre linee e più. '). come mai il Cittadini non compie ciò che aveva saputo compiere prima di mettersi alla traduzione?— Anche qui si sarebbe tentati di scorgere il segno di un originale particolare a lui: un originale a cui V essere qui incompleto non vieterebbe di poter esser prezioso per la critica. Ma perchò il segno valesse, bi- sognerebbe aver a fare con un uomo rispettoso di quel che gli stava dinanzi. E che tale non fosse il Cittadini, mostra in questo medesimo luogo la non esatta conformità tra le due copie anche nel poco che ci è dato ^). Qaand' anche poi il Cittadini un suo proprio originale lo avesse avuto, l'utilità del riflesso che ce ne offrirebbe sarebbe stremata dalla certezza che egli ha davanti la versione del Trissino e dai sospetti de^ Grandi di Siena, casa hog^i spenta, ed in » (1. «il ») « qoal fu intorno al 1250. in una Canzon sua : In plagiere mi tette > ecc. Ciò che s^ à detto poco prima, insieme colle peculiarità della lezione, convince che il Citta- dini conosceva la poesia che qui allega grazie al codice Vaticano S798 (f.*^ 34^, II, 78 ed. D^Ancoha-Comparktti), nel quale essa ò posta sotto il nome di Bartolomeo Afocari (corr. Mocati) di Siena: un'attribuzione strana- mente sfigurata nel codice Palatino 418, che ci presenta in sua vece (f."26^, Propugnatore f t. XIV— 1881-, p* 2% p. 75) Monaeho da Siena, Al De vul- gari Eloquentia quale gli era dato il Cittadini intende bensì di riferirsi colle parole « e da alcuni corrottamente Mino ». Por chiarire sempre pia il processo genetico, non è inutile richiamar V attenzione sulla differenza tra il « Meo Moocata » che la versione ha sulla bozza, e il « Meo di Moo- cata » della bella copia; avvertendo altresì che la preposizione venuta a frapponi è scritta sopra la riga. Degli echi che il passo del Cittadini ebbe a destare) non è questo il luogo d' intrattenersi, *) V. p. LXXXIV. 8) Ecco qualche ragguaglio più preciso. La trascrizione (14^) finisca con « Bene andorno li fanti di ». Nella brutta copia (22^) s' era prima scrìtto soltanto « bene andonno » , lasciando quindi in bianco più che mezza linea; poi s^ aggiunse « li fanti di » (e che sforzo per poter leggere « fanti » !); indi ancora « luca » — o « Iucca » che sia — « per pisa ». Non oso decidere se Lucca abbia qui preso il posto di Firenze per effetto di un proposito deliberato, o per errore mnemonico. ^) V. p. 72, n. 1 e 3. L* andorno di b yien forse da un frantendimento, agevolato da ciò ohe già s* era messo nell' Origine f ma ailtro di fronte ad altro ò una modificazione voluta. LA VERSIONE DEL CITTADINI XCV di contaminazione a cui subito cotale certezza dà luogo. E la prima stesura che ci fornisce le prove. II, n, 3 (28*"), accanto a € E cosi fatta comparatione non si faccia senon risguardando al termino de' meriti », abbiamo la glossa « .... » — rinunzio a leggere questo principio *) — « come dice il Triss. f.** 23 » : dove l'indicazione nume- rica viene in pari tempo a dimostrarci che non s' adopera già l'edi- zione originaria, bensì la ristampa ferrarese del 1583. Più oltre nel capitolo stesso (§ 6, 28*), « recolimus || riguardiamo || Trissino » *). II, XIII, 5 (38*), « Triss° se in rime accordate si chiudine »*); poi, § 6, riferendosi a « diciamo, che il piede si fa o di pari uersi » ecc., « Triss® aggiu[n]gie primo » ; indi subito ancora, € utrobiq[ue] Triss^ Inno elaltro ». E al Trissino accade che si venga a riportarsi anche senza nominarlo: II, vi, 3 (32"), si traduce « se noi ci ricordiam bene del principio della nostra digressione », e si annota « a. », cioè alias^ € diuisione ». Parimenti vi si è alluso II, i, 6, collo scrivere di fianco alla versione «: non altramente che il Cauallo del Caualiere; e a Cau[alieri] ottimi si conuengono ottimi Caualli » (27°), le parole < Soldati ha fatto non intendendo il nome miles » ^). U nome del Trissino può perfino sottintendersi come soggetto di una proposi- zione: tanto è presente al pensiero! Ma anche l'originale da cui si traduce ha lasciato di sé tracce veramente nette in alcuni luoghi; e queste tracce conducono diritto al Corbinelli. II. vi, 4, s' adotta il partito di riportare testualmente gli esempi dei vari stili; ed ecco V esempio di stile < pure sapidus » suonare, « Piget me cunctis, sed pietatem maiorem illorum habec... » (a 32*, b 28*), coli' intrusione pervertitrice dovuta al Trissino, ma che solo per fatto del Corbinelli prese veste latina *). Qui, avendo il coraggio di navigare a ritroso di tutte le verosimiglianze storiche, resterebbe almeno luogo a congetturare che il Cittadini potesse va- lersi del codice stesso che il Corbinelli aveva posseduto e postil- lato ^); ma di fianco all'intitolazione del cap. v del secondo libro ab- ^) Parrebbe, o non può essere, ElemeìUa, Elemerita, o che so io. ^) Un più accurato avrebbe dovuto scrivere « risguardiamo ». ^) Qui pure V esattezza avrebbe riobieeto « chiudono ». *) Dinanzi a « miles » 8^ ha un « Kques » cancellato. La mento aveva preso la mano agli occhi. 5) V. p. 145, n. 2. ^ Non tralascerò di indicare a questo proposito una curiosa corri- spondenza. I, vili, 5 il Cittadini ha scritto nel margine della versione (bS**) « Latini Italiani » precisamento nel luogo corrispondente a quello in cui s^ ha la medesima postilla, sia puro con qualcosa più, nel codice di Gre- noble (V. p. 35 1. 11, e cfr. p. lxxvii n. 5). L'incontro farebbe più mera- viglia se V impulso ad annotare cosi fosse meno vivo e patente. XCVI INTRODUZIONE biaxno nella bratta copia (31^) « latino f° 42 »; ed è a pagina che r intitolazione si trova nella stampa di Parigi. E il caso si rin- nova in modo ancor più eloquente II, vii, 6, a proposito delle esem- plificazioni di parole « ornative ». Il Cittadini, a somiglianza di ciò che gli s' è visto fare riguardo ai saggi di dialetti toscani, si ferma provvisoriamente al terzo vocabolo, riserbandosi, si vede, di ristudiar meglio le cose; e segna intanto cosi nella brutta come nella bella copia {a 34^, b 30^) un € {^ 48 », rispondente ancor esso alla pagina dell' edizione parigina. Su questa edizione adunque si può tener per fermo che fu ese- guita la versione del Cittadini. Su di essa, tenendo a riscontro la versione del Trìssiuo. Da ciò le varianti alle citazioni volgari, pas- sate a volte anche nella trascrizione al pulito, più spesso rimaste nel solo esemplare primitivo, mentre poi Taltro (talora il primitivo stesso) ci presenta non di rado dell' ibridismo. Cosi II, u, 6, dopo aver scritto col Corbinelli Non posse nul dat^ cum cantar non exparia e Più solaz reueillar ches trop endormir {a 29"), si son segnate in margine le lezioni trissiniane pos ^), con, no e che per trop. Che se Trissino e Corbinelli non bastano sempre a renderci conto di ogni cosa , teniamoci ora ben sicuri che e' ò in tal caso di mezzo un procedimento congetturale, o qualche inavvertenza. La conseguenza di tutto ciò viene ad essere che il valore della traduzione del Cittadini in cospetto della critica positiva, è asso- latamente nullo. Solo appunto di qualche congettura accade che sia da tener conto*). Quanto alla versione in sé stessa, è migliore di certo di quella del Trissino, cosi sotto il rispetto dell' interpreta- zione^), come sotto quello della lingua e dello stile; e davvero sa- rebbe da meravigliarsi che non fosse, date le condizioni più favo- revoli Le mende — talora ben gravi ^) — non difettano tuttavia ; e 1) Siccome questo poM dì fronte al poé9t pareva la lesione buona, si cancellarono anche in po99e le due ultime lettere e si mise pò» nella bella copia. «) V. p. 57 n. 4, 58 n. 1 e 2, 71 n. 5, 72 n. 1, 16X-2 n. 6. 3) Un par di esempi. In cambio del famoso « versifichiamolo » (Y. p. LiY, n. 4), qui abbiamo « pettiniamolo » {h 20^); e I, x, 6, in un luogo corrotto (Y. p. 52, n. 2), reso dal Trissino con letterale assurdità, s'è cau- sato, se non rimosso, T inciampo, traducendo • si come il colmo de^ tetti* (b 11«). *) Si senta come si traduce II, xi , 2 (a 86^^) : « Cominciando adunque diciamo, che la fronte co* uersi nella stanza posson esser in diuersi modi peroioohe alcuna uolta la fronte eccede i uersi in sillabe e in uersi, o può ecceder: e diciam può: percioche fino adhora non habbiam uedata ha- bitudine tale, alcuna uolta può ecceder ne' uersi : ed esser superata nelle sillabe come essendo la fronte di cinque uersi o ciascuno uerso ^ due LA VERSIONE DEL OITTADINI XOVU Stiamo pur certi che molte ne rileveremmo, qaand' anche il lavoro avesse ricevuto V ultima mano. Questa non ebbe ; la bella copia ci rappresenta uno stadio più avanzato di elaborazione, ma di elabo- rasione pur sempre, come dicono nel modo più patente, per limi- tarmi a cose già viste, le lacune che vi sono rimastot Supponiamo caritatevolmente che ritornandoci su il Cittadini avrebbe sentito il dovere di tener di nuovo presente anche il testo latino, a differenza di ciò che aveva fatto nel trascrivere ^). Qualche saggio della versione cittadiniana si troverà in ap- pendice a questa Introduzione. Di farla conoscere integralmente, non sento per conto mio nessun bisogno. 5. La VERSIONE TBI88XNIANA ED IL TESTO DOPO LE EDIZIONI PRINCIPI Ho avuto occasione di menzionare la ristampa che della ver- sione del Trìssino fu fatta a Ferrara nel 1583'): beninteso, lasciando da parte le peculiarità ortografìcho dell' edizione originaria, e me- nando anzi di ciò vanto sul frontespizio stesso. E la versione fu ri- stampata due volte, tutte e due a Venezia, anche nel secolo XVII: sotto la data del 1G43, nel primo volarne della raccolta Degli Au- tori del ben parlare per Secolari^ e Religiosi^ e sotto quella del 1696, nel primo della Oalleria di Minerva '). Sorprende il vedere che nella lettera soggiunta a qnest' ultima edizione lo Zeno — ventotten- metri "^ si come diciamo i aerai superar la fronte di uersi e di sillabe: cosi dirsi pttu la fronte in ciò poter superare i uersi come se ciascun uerso fosse di due metri di sette sillabe; e la fronte fosse intessuta di cinque metri due di x[j] sillabe e tre di sette. > Trascuro il resto, e mi limito a fermar V attenzione sugli eletti disastrosi della parola « verso » usata simultaneamente in due sensi. Nella stessa fossa era caduto il Trìs- sino; ma oiò appunto doveva servire a mettere in maggior evidenza il guaio. £ dalla fossa il Trissiuo aveva ben sentito il bisogno di trarsi fuori nella « Quarta divisione » della sua Poetica. *) V. p. «LUI. «) P. xcv. 3) Queste due edizioni non fìgurauo in modo sincero (e la mancanza fu rilevata dal Colomb de Batines, Etruria^ I, 101) nella bibliografìa del Torri, lia prima vi apparisce bensì sotto mentite spo^^lie e con troppo onore ; ohò nof è altra cosa l'edizione « Senza data, luogo e nomo di stam- patore », ohe il Torri descrive minutamente, se non proprio esattamente, a p. xxzviii-zxxix, come una rarità singolare della Trivulziana, e ohe il Marchese Trivulzio avrà pagato ad un prezzo ben differente da (quello che essa meritava. Paginatura e distribuzione dei fogli permettevano a queato framinento di volume di stare da so, e di essere tenuto, o di la- sciarsi gabellare, per cosa intera. m XCVIII INTEODQZIONK ne , è ben vero — ignora nel modo più assolato ohe il testo latioo esistesse e fosse stato pubblicato esso pare. Ma la sorpresa impalli- disce quando ci s' accorge come sui trentaquattr' anni , dando faori nel 1706 la Perfetta Poesia^ partecipasse alla medesima ignoranza nientemeno ohe il Muratori ^). La voce del Varchi riusciva ancora a soprafiFare quella del Corbinelli ! Non si creda tuttavia che l' edi- zione parigina fosse proprio dimenticata. Danno pubblicamente prova di conoscerla, nel 1698 il Crescimbeni '), nel 1700 il Fontanini^), nel 1708 il Gravina^); sicché si può esser certi che nemmeno il Muratori non avrà aspettato ad arrossire del non averne saputo la pubblicazione delle note di Anton Maria Salvini all' opera soa pro- pria, seguita nel 1724^). Quanto allo Zeno, già in una lettera del 2 maggio 1699 apparisce pienamente lavato della macchia: non solo ha acquistato notizia del testo latino, ma lo ha anche studiato e con- frontato col volgarizzamento ^). Curioso che la prima occasione ad una ristampa dell' originale la détte pur sempre la versione ''), Parve cioè opportuno di mettere ^) L. I o. 3, 1. Ili e. 8. Il fatto, se ben si guarda, non è punto dubbio, ancorché manchino dichiarasiooi espresse quali s^ hanno dallo Zeno. K non venga nessuno ad opporre il titolo de Vulgari Eloquio sive icUomate nel secondo di questi luoghi. Cotal titolo emana bensì dalla stampa del Corbinelli ; ma nel testo del Muratori non è entrato altro che col tempo. Nonché la prima edizione (II, 99), lo ignora ancora quella del 1724 (II, 81>5). ^) L* hioria della Volgar Foeeia^ Roma, Chracas, p. 878. ^) L' Aminla di Torquato Tasto difeso e illustrato^ p. 262. *) Della Ragion poetica, Boma, Gonzaga, p. 188 (1. ii, o. 4). &) Y. l'ediz. pubblicata a Venezia sotto questa data, II, 84 e Bgg, ^*) La lettera — una di quelle venute ad aggiungersi nella 2.* ed. del- l' epistolario, Venezia, 1785 (I, 65) — é indirizzata al Fontanini; ed io non so se il Fontanini stesso, pur lasciandosi subito sopraffare nella rettitu- dine del giudizio, non avesse forse fatto accorto 1* amico dell' errore mate* riale in cui egli era. Gli é sulla contradizione con questa lettera, e col- r altra al fratello, citata qui sotto, che il Fanfani si fonda per negare ohe l'anonimo della Galleria di Minerva sia lo Zeno (V. p. lt, n. 1), nono- stante la prova palmare che risulta dall'essere sua la Vita del Trissino che tien dietro nella Galleria, e che l'anonimo annunzia come propria: come se la cronologia non desse della contradizione una spiegazione più che semplice. T) Cosi non sarebbe seguito, se avesse avuto effetto un disegno cal- deggiato dallo Zeno. In data 4 die. 1728 lo vediam scrivere al fratello P. Pier Caterino: « L'edizione di tutte l'opere più minute di Dante da ristamparsi dai Volpi é un ottimo consiglio da voi suggerito loro, ed io singolarmente l'approvo Lodo che vi s'inserisca il rarissimo opuscolo de vuìgari eloquentia, tal quale sta nell'edizione del Corbinelli e con l' esame della versione fattane dal Trissino, che per quanto già ne feci riscontro in molti luoghi, é pochissimo esatta. » (Lbttehb, II, 806 nell'ed. del 1752). BBIZIONI P08TBBI0RT XCIX in colonna di fianco all'italiano il testo latino nella raccolta di Tutte U Opere di OiovAN Oioboio Tbissino che per merito dì Scipione Maffei vide la luce in Verona nel 1729 coi tipi di Jacopo Vallarsi. Da questa edisione discendono le saccessive, coni ddl testo come della tradazione, associati quind* innanzi in modo pressoché indisso- lubile, per efiFetto appunto dell' esempio suo. Delle ristampe del lavoro trissiniano, non essendo i miei intenti per nulla affatto bibliografici, e questi essendo d'altronde stati adem- piuti da altri ^), mi sbrigo in poche parole. E subito balzo ad av- vertii*e che Pietro Fraticelli, dando luogo ad esso ancor egli nel volume III parte 2*^ delle Opere Minori di Dante, Firenze 1840, modificò e completò certi luoghi ; e i ritocchi suoi furono accettati dal Torri,' che ne aggiunse de'proprii, accolti alla loro volta dal Fraticelli nelle edizioni successive. Né è mera riproduzione di ciò che il Trissino aveva scritto la nitida edizioncina del volgarizza- mento soltanto data fuoi*i a Milano nel 18G8 da O. Bernardoni *j, colla mira di assecondare un desiderio manzoniano ; dove meritano di essere rilevate le note giudiziose, e solo un po' troppo scarse, ta- luna delle quali ha interesse per la critica del testo. Ed ò sulla storia del testo che noi ci si deve fermare. In un av- vertimento al lettore il Vallarsi dice di aver e fedelmente copiata » l'edizione del Corbinelli, « purgandola solamente da qualche errore di stampa, e ripulendola nell'ortografia, ed interpunzione, dove il bisogno il chiedeva. » ') Con queste parole vien pure a indicarsi un certo lavoro, che noi, piuttosto che dal Vallarsi, propenderemo a credere eseguito dallo stesso Maffei^). Quind' innanzi non s'ebbero ') Si veda, oltre alla bibliografia del Torri, quella dovuta ali* ab. A. G^parosso, che 8* ha noi volume del Morsolin (1* ed. p. xzxnii 2*^ ed. p. 476). *) Della Volgare Eloquenza di DA:fTB Aciqbibri, traduieione di Qian- eiOBQio Tbissino, (1629) con una lettera di Af^bssasdro Makzoni, e una di Givo Oappohx, intoi'no a quest'opera, Milano, Bernardoni. Il Bernardoni curò l'edizione, nel tempo stesso che ne fu il tipografo e P editore. 3) n, 142. *) Che il Maffei, I, ziv, paia limitare la parte sua al suggerimento del disegno di raccogliere le opere del Trissino ed al proemio, mi muovo assai poco. Ciò, a buon conto, è contradetto da quel che precede (p. ziii) : « La Bomma rarità d'alcuna dell'opere di quest'Autore, e d'altre attinenti, e il desiderio di rinvenir qualche cosa di più del già divulgato, hanno per assai tempo fatto diferire il dar mano all'impressione, eseguita final- mente con molta lode di chi ci ha assistito » ecc. £ anche proprio a pro- posito del trattato nostro (p. zzix): « si ò stimato bene di metter qui per colonna il Latino, e '1 volgare ; anzi io avea ordinato, che ci f esser poste anche l' annotaiioni del Corbinelli, con la lettera ch'ei vi prepose. » INTR0DUZI0KI5 per un secolo che ristampe materiali^); che sarebbe un ingigantire le cose il servirsi di un altro vocabolo per via di qualche minuzia che anche in esse accada di trovar ritoccata '). Dell' era nuova può dirsi bensì iniziatore il Fraticelli, per quanto modesti siano stati i suoi cominciamenti ; che tutto si ridusse dapprima per lui a correggere tacitamente, nò sempre bene di certo, alcuni luoghi, fon- dandosi sul Trissino o per via di semplice congettura. Queste sue correzioni, introdotte in origine nell* edizione già menzionata, furono ripetute con qualche tenue accrescimento in un' altra del solo testo, posteriore di un anno soltanto ^). E il testo cosi foggiato venne ad essere durante un certo tempo il più comune, avendone moltipli* cato gli esemplari due ristampe ladresche che delle Opere Mitf&ri frati celliane furono fatte a Napoli in un sol volume, nel 1839*40 e nel 1856 *). Ma le stampe del Fraticelli sono memorabili nella serie anche per ciò che vi si legge al termine del proemio : « Io annunzio per il primo air Italia, che V originale latino del Volgar Eloquio di Dante è già ritrovato : non so se sia V autografo ^) o sivvero una copia e forse quella, su cui fu fatta 1^ edizione del 1577, ma pui*e à del se- colo XIV ; anteriore dunque al Corbinelli ed al Tnssino. Esso con- servasi nella pubblica Biblioteca di Grenoble, e da esso apparirà se il Trissino sia un impostore, o se abbia in qualche parte alterato l'opera originale di Dante. » Ohe il Fraticelli sapesse di questo codice, straniero e confinato in provincia, e ignorasse il milanese, di cui fino dal 1817 s'era fatto pubblico banditore il Monti nella lettera proe- miale alla famosa sua Proposta anticruschevole *) e che dieci anni dopo aveva appunto in Firenze turbato i sonni e occupato le veglie ^) 8e ne veda la serio nel Torri, p. xl~zlii. Sono sette edizioni, ohe in realtà si riducono a cinque. '^) V. per r edizione Pasquali del 1741, p. 61 n. 5, 75 n. 4, 86 n. 6 (im- plicitamente), 119 n. 8, 167 n. 4 ; per quella ZatU del 1758, la più maestosa fra tutte per formato, p. 77 n. 3, 19S n. 3. •*) Firenze, Mollai, coi tipi del Fraticelli stesso : nel volume comple- mentare delle Opere volgari deir Alighieri edite dal Ciax^etti, in cui s'era invece dato luogo alla versione (IV, 727 sgg.). *) Della prima si dà conto nella bibliografia del Torri. La seconda, dal Torri non potuta menzionare e omessa anche dal Oapparozzo, fu opera del tipografo Francesco Rossi-Homano. ^) La speranza che fosse, anche ennnstata a questo modo, era per ve- rità un poco ardita. *) I, zxviii : « Questo insigne Trattato (il coi antentieo MS., in oa« rattere ohe Irrepugnabilmente il dimostra del Quattrocento, è ora, signor Marchese, nelle vostre mani fra i più rari giojelli della Trivnlziana). ...» EDIZIONI POSTBaiOBI CI dell' Arcieoasolo della Grasca ab. Follini '), riesce molto strano. Ohe si tratti di silenzio e non d'ignoranza, è inammissibile. Ma comunque qui andasser le cose '), di due manoscritti si aveva ora contezza; e una nuova alba era spuntata colla possibilità di ritornare alle fonti, di cui dal cinquecento in poi parevano perdute le tracce '). Ed ecco allora farsi innanzi il Torri, spingendosi a vele gonfie nel mare aperto, colà dove il Fraticelli non aveva fatto che navigare lungo le coste. Per allestire la sua edizione, come dell' alti*e opere minori di Dante, cosi del De vulgari Ehquentia^ egli non risparmiò diligenze. Risali all' edizione primitiva del Corbinelli , ristampò nel Voluaie suo tutto il corredo che ivi si aggiungeva al testo, raccolse altri documenti e scritture per cui s'illustra la storia esteriore oil contenuto, si studiò di conoscere e descrisse bibliograficamente le edizioni anteriori del trattato, tanto originale quanto tradotto. In fatto poi di manoseritti, alla conoscenza già propagata dei due detti di sopra, seppe aggiunger quella del Vaticano ^), riuscendo cosi a *) n lavoro del Follini, del quale il ramore s^era già divulgato fino dal lb27 mentre si stava componendo, giace inedito ed autografo nella MagUabechiana, sotto la segnatura II, it, 2Gtì, nella copia al pulito che pro- babilmente avrebbe dovuto servir per la stampa ; ed & bene su di essa che sarà stato letto dal Torri (V. la nota ^, a p. Iò9 della sua edizione). In- completo qual è, riempie ben 425 grandi pagine. Vi si discorre molto del codice Trivulziauo, intorno al quale il Follini aveva avuto ampie infor- mazioni dairab. Michele Yannucci, in una serie di lettere ohe si trovano Il unite ancor esse. *) Non è improbabile che per il codice di Grenoble avesse servito di svegliarino la menzione nelP op«3ra del Haenel (V. p. xi, n. 2)| nonostante quello sciagurati ssimo « Tasso ». Che il Fraticelli non »i fondasse però solo sopra di essa, e dovesse, se mai, essersi poi procacciato qualche no<* tiaia diretta, risnlta, oltre che dalla sicorezEa con cai parla, anche dal- rassegnarsi il manoscritto al secolo XIV, invece che al XV. 3) Mero abbaglio quello del Torri, il quale, p. 54 n. a, credette che il Fontanini, Eloq, UaL, p. 228 nelPed. nostra consueta, allegasse sciate (do- Teva dir tiaie) da un codice. Che se il Fontanini parla in qualche luogo di manoscritti e afferma per il cinquecento l' esistenza di due (p. 229 e 245-46), non lo fa se non in quanto gli sembra apparire ohe V esemplare usato dal Trissino fosse diverso da quello che servì al Gorbinetli. E se ai due no aggiunge un terzo (p. 229) per via di una eerta annotazione ohe bo mencioBato altrove (p. xlvii, n. 5)^ il suo ragionamento qui zop- pica ; il ohe non toglie ohe pur zoppicando non arrivi forse alla mèta, es- sendoci molta probabilità che ehi scrisse la nota leggesse il I)e fmlgmri EioqutnUa nvl codice divenuto poi Vaticano. Al quale il Fontanini si trovò longameate accanto senza averne sentore. *) Non so se forse non la ricavasse dalla Bibliolhta BibliotKeearum MamucriptongM N^va del Montfauoon, I, 58 (n.'^ 1759). Che lo scambio tra i fof^li di risgnardo di cui ho detto a p. xvw vi dia luogo a un equivoco, poco importerebbe. cu Il^TBODOZIONE mettersi nella condizione in cui ci troviamo noi stessi. E di quei codici, il milanese e il romano furono esaminati da lui medesimo ; del terzo si procurò informazioni da chi era preposto alla biblio- teca di Grenoble ^). Si adoperò anche, sebbene allora invano '), per rintracciare la versione del Cittadini, di cui doveva inacutirgli la sete l' idea erronea, ma ragionevole in sé , che potesse essere stata con- dotta sopra un esemplare diverso da quelli a lui noti ^). Logico al- tresì il pensiero di tenere ben conto della versione trissiniana , una volta ch'egli credeva che al Trissino non fosse stata unica fonte il manoscritto ora trivulziano^). E per la versione risali, talora almeno, anche alla stampa originaria ^), a cui gli editori non avevan più ri- corso dopo il Maffei. Con questi sussidi si studiò a suo potere di migliorar la lezione, dando via via ragione del proprio operare. Che i miglioramenti suoi lascino a desiderar molto, nacque dall' essere stata tutt' altro che completa ed esatta la collazione dei codici, e dalla mancanza di metodo, della quale sarebbe cosa ingiustissima fargli colpa, poste le condizioni nostre di quei tempi , non tramon- tati ancora del resto per moltissimi. Degno di molta lode nel Torri anche l'aver pensato alla correzione delle citazioni provenzali, date sempre sciaguratamente in addietro, ricorrendo per questa parte, poiché non poteva far lui, alla cooperazione intelligente di Vin- cenzo Nannucci ^). La Vita NuovOf il De Monarchia^ il trattato nostro, quali s'erano pubblicati dal Torri, servirono di punto di partenza alle Cento e più Correzioni che Carlo Witte pubblicò in cinquanta soli esemplari nel 1858, proponendole all' Accademia della Crusca , che lo aveva due anni innanzi fatto de' suoi ''}. Tra queste correzioni, che supe- rano di lunga tratta il numero indicato sul frontespizio, quasi una cinquantina si riferiscono al De vulgari Kloquentia ; e il buono non vi scarseggia di certo. <) V. la sua p. IX, n. 11. *) Per il poi, V. qui dietro p. Lxxzvir, n. 2. 3) TonBi, p. XI, n. 16. ^) y. la mia p. ltiii. ^) ToBRi, p. 141 n. ap 146 n. 8. La prima di queste note dovrebbe in- vece farci pensare eh* e^^li conoscesse male Pedisione veronese, a cui 8^ attribuisce a torto una concordanza colle edisioni antecedenti, rispetto a cosa in cui essa conviene invece colle seguenti, sua progenie, come s* è detto, se non avesse a trattarsi di una semplice sbadataggine. «) V. p. 40, n. d. 7) Cento, e jpiU Corresioni al Testo delle Opere Minori di Damtb At.u- OBixmi, proposte agli iUuetrt eignori Aeeeidemiei della Orueea da un loro Soeio Corriepondente. Halle, Rendei. EDIZIONI POSTERI OBI CUI Il Torri e il Witte furono predecessori preziosi per il Frati- celli, quando si rimise alle Opere Minori di Dante, curandone per il Barbèra l'edizione che venne in luce nel 1857. U De vvlgarì Eloquio^ come il Fraticelli, non altrimenti che il Torri, persisteva a dire, venne ad allogarsi nel secondo volume. Ai manoscritti non si credette necessario di ricorrere nuovamente. Nondimeno il testo — annotato con avarizia, piuttosto che con parsimonia -^ riusci in ge- nerale ragionevole. £ fu in esso che quind' inuanzi il trattato fu Ietto senza confronto dai più; che alla prima edizione ne tenne die- tro una seconda immutata ^) nel 1861 ; della quale non sono altro che nuove tirature stereotipe ') le quattro edizioni successive: 1868, 1873, 1887, 1892. Nel dicembre del 1866 il Fraticelli venne a moi-te. I suoi occhi non poterono dunque cadere sulle Emendationen und Conjvcturen zu Dante 'e Schriften che Edoardo Boehmer inseri nel primo volume del Jahrbueh der deutschen Dante- Oeeellschaft (Lipsia, 1867). Al De vulgari Eloquentia ne toccano diciotto (p. 393>95;; ed esse fanno onore a chi le pensò. E il Boehmer altre non meno sagaci ne mise avanti incidentalmente un anno dopo nella bella dissertazione Ueber M9a§èi^*m Schrift de vulgari eloquentia. Fu ottimo pensiero quello del d'Ovidio di raccogliere si queste che quelle, facendola insieme da espositore fedele e da giudice acuto, no' suoi Appunti per la critica dil testo del libro De vulgari Eloquentia, che uscirono nella poco vitale Rivista Bolognese ^). Dei lavori del Boehmer — attraverso al d' Ovidio *) — s'avvan- taggiò l'edisione che il Giuliani inchiuse nel primo volume delle Opere Latine dell'Alighieri (Firenze, Succ. Le Mounier, .1878). Quanto a manoscritti, dovette dare, o far dare, qualche occhiata al Vaticano ; poiché sa di esso, o crede di sapere, qualcosa, che il Torri, sua fonte ') Unico matamento eh* io abbia avvertito, la soppressione di et nella frase et a tanta alla fine del e. iv del 1. II, colla relativa sostituzione di una semplice virgola al punto e virgola dopo deii$tant. Quanto a un quod in luogo di quid II, viii, 8 (V. p. 169, n. 1), è mero error di stampa, non meno di tryiUaba per triaytlaba II, vii, 5. Altro errore, e più deplore- vole, r omissione di due parole li, ii, 8 (Y. p. 117, n. 6). La materialità della riproduaione ò chiarita altresì dall' esser rimasti — nonché reliquentea I, s, 5, liquentet II, viir, 6 (V. pp. 52 e 167, nn. 1), che son qualcosa piCi che trascorsi dell' occhio o della mano — tryaitlabo II, xiir, 6, quidequam ib. 8. *) Bagguagli in proposito ebbi dalla cortesia del cav. Piero Barbèra. 3) L'indicazione completa non è troppo semplice: Anno terzo, serio seconda, volume I, p. 774-84. £ la data sul frontespizio è il 186U; ma in realtà questa parte del volume sarà uscita nel 1870. *) Però s' attribuisce talora al Boehmer ciò che spetta invece in pro- prio al d'Ovidio. GIV INTRODUZIONE consaeta d'informazione, non gli diceva^). Qoal fondamento egli pose il testo rinnovato del Fraticelli *). La peculiarità vera dell' edì- sdone è un copioso commento, dove le questioni relative alla lesione tengono un posto assai ragguardevole. Dire tuttavia che col lavoro suo proprio il Giuliani facesse progredire notevolmente la critica del testo, potrebb' essere pietà verso un uomo quanto mai rispet- tabile, ma sarebbe in pari tempo cecità, o menzogna. Metodo, al- l' infuori del principio, non sempre opportuno, dello spiegar Dante con Dante, il Giuliani non ne aveva ; acume, non molto ; cognizione di latinità medievale, nessuna ; ed egli non si dette neppure la briga di consultare V edizione del OorbinelH, rara bensì, ma della quale in Firenze erano a disposizione sua nelle biblioteche pubbliche due esemplari, uno riccardiano, l'altro maruoelliano ^). Se in condizioni siffatte fosse riuscito nondimeno a far cosa veramente lodevole, bi- sognerebbe pensare che Dante stesso, mosso a compassione dall'in- tensità dell' affetto, fosse venuto in ispirito a prestargli assistenza. Il lavoro del Giuliani fu preso in esame assai benevolo dai due critici che potevano con maggior diritto interloquire : il Boehmer e il Witte. Il Boehmer, in un fascicolo de' suoi Bomanisehe JStudten uscito nel giugno del 1879^), adempì soprattutto al compito .di re- spingere molte delle novità a cui il Giuliani s' era lasciato andare. Contemporaneamente il Witte, nella Jenaer Literaturzeitung del 5 luglio, pubblicava un articolo % notevole in sommo grado sotto un altro rispetto. Il benemerito dantista entra nelle viscere del pro- blema come ancora non s'era fatto da nessuno. Egli conosce bene il codice Trìvulziano e quello di Grenoble, per averli, come ci ma-' nifesta, collazionati accuratamente, certo colla mira di un' edizione, fino dal 1855; s'ò accertato essere pienamente legittima l'asser- zione già messa innanzi, che sul primo fosse condotta la versione ») Non ò esatto, I, xvii, 2, che il codice Vaticano abbia per hoc quam quod (G. p. 143), mentre ha i>«r hoc quom quod; ò erroneo, II, u, 4, che vi si legga vegetabilis, animalis et rationalia (p. 159); ma anche gli storpi devono avere un babbo. E II, i, 1 il Giuliani sa di quw {propr. que) in cambio di quia (p. 154) j e II, vii, 1 si riporta a quel codice per il OrandioMa (p. 175), di cui solo il Fraticelli aveva fattp Grandioso. «) Lo pose tanto, da lasciare ohe nella sua stampa si trasfondessero il reliqueiiteè , il liquerUesy il IrytHtabo (V. qui a tergo, n. 1), per non dire di Etnmaldus II, VI, 5. 3) Neppure dell* edizione Maffui credo che egli abbia mai fatto uso. *) Za DanleU « de vulgari eloqucntia * : t. IV, p. 112-118. 5) Pag. 376-88. L* articolo del Witte, da me già citato più volte, del pai-i ohe al De vulgari Eloquentia, si riferisce anche al De Monarchia^ compreso dal Giuliani nel volume medesimo. EDIZIONI P08TER10EI CV del Trìssino; ha riconosciato del pari che dal secondo usci la stampa del Gorbinelli ; e queste conoscenze si trasformano per lui in criterii direttivi, e lo portano a giudicare della tradizione, e del valore che hanno in essa le singole testimonianze, in modo, incom- pleto bensì, ma corretto. H metodo, di cui s' è deplorata in addietro l'assenza, fa qui per il nostro trattato l'apparizione sua prima. L'edizione vagheggiata dal Witte sarebbe certamente riuscita cospicua ; e dei pregi ne avrebbe avuto di sicuro anche quella a cui pensò, non so dire quanto tempo prima che la morte lo rapisse il 4 marzo 1877, il Conte Carlo Bandi di Vesme. Di questo disegno so per via dell' essermisi trasmesso gentilmente dal sig/ Fr. Carta, prefetto della Biblioteca Nazionale di Torino, un esemplare interfo- gliato dell'edizione Torri, dove per il Bandi furono registrate le varianti del codice di Grenoble. A me la collazione non avrebbe reso servigi se anche non mi fosse giunta ben tardi ; ma essa mi dà pur sempre la grata opportunità di compiere un atto di giustizia verso di un valentuomo, la memoria del quale è gravemente ofiPesa dalle deplorevoli sue aberrazioni riguardo alle carte d'Arborea. U vero si è che le istruzioni al collazionatore, che vanno unite al libro, sono assennate ; e un buon principio era altresì il sapere, non meno del Witte, che il codice di Grenoble è la fonte dell'edizione pari- gina ^), e l' aver capito che al Gorbinelli dovevano assegnarsi in ge- nerale le correzioni di mano seriore venutesi a sovrapporre al testo antico *). Il codice di Grenoble sta ora davanti al pubblico nella ripro- duzione foto tipica procurata dai sig.' Prompt e Maignien, che viene a costituire una specie di edizione essa pure. £ nelle cinquanta pa- gine d'introduzione che la precedono la parte maggiore spetta a discussioni critiche su questo e quel punto, dove il buono non si ri- duce tutto quanto alla conoscenza per solito precisa di questa parte almeno della tradizione diplomatica ^). A questa prima serie di os- servazioni il Prompt ne aggiunse una di correzioni meramente con- getturali nel volumetto intitolato Les Oeuvres latines apocryphes du Dante*), p. 69; 1' aggiunse, e sarebbe stato bene per lui non *) V. p. XX, n. 4. ^ V. p. XXI, n. 1. 3) Devo dire « per solito », perchò non sempre si sono spalancati bene gli occhi. Cosi, quando a p. 87, rimproverando alia maggior parte delle stampe Pavere gramatieamj si dice che questa è una «faute d^ortho- graphe d*autant plus ridicale qu^elle n*est pas dans le manuscrit », non 8* è badato che nel grànuUieam del codice di Grenoble la lineetta soli* a è una giunta. *) Venezia, Olschki, 18d8. n evi INTRODUZIONE aggiungerla. Criteiii poi addirittura rivolusionarii rispetto alla cri- tica del testo, in quanto soprattutto si crede di ravvisare un gran numero d' interpolasioni, che dovrebbero aver introdotto nel dettato di Dante una decima parte almeno di scimunitaggini altrui, sono pro- pugnati in due articoli che il Prompt inseri nel Oioitiale Dantesco ^). La stampa del testo mio era già inoltrata quando uscirono ad Oxford, in doppio formato e in triplice aspetto, senza che per ciò r edizione cessi in realtà d'essere una sola, Tìdtè le Opere di Dantb Alighibbi nuovamente rivedute nel testo da Dr, E. MOOBE. Mai gli scritti del massimo nostro autore furono raccolti insieme in modo più comodo ed elegante. Quanto al testo del De vulgari Eloquio od Eh- quentia^ il Moore si attenne in generale al Fraticelli di non so quale propriamente fra le edizioni Barbèra, ma non della prima'), ritoccan- done la lezione qua e là — molto più di rado tuttavia di ciò che il Proemio inclinerebbe a supporre — col sussidio della riproduzione fototipica di Grenoble e delle osservazioni che 1' accompagnano. £ fu ritoccata altresì l'ortografia; troppo poco per verità, ma lodevol- mente ^). Che si movesse dal Fraticelli, anziché dal Giuliani, sarebbe ^) Pei due articoli uno fu già citato a p. xii ; V altro 9^ iutitola Le contraddizioni di Dante (I, 820-829). Che le interpolazioni sommino a più ohe un decimo del testo nostro, è la conclusione del primo di essi (p. 62). *) Ne son prova la soppressione deWei e T interpansione II, it, 7; il quod vili, 8; la mancanza di aliud digniu8 II, ii, 8. Y. qui addietro, p, oiif, n. 1. 3) £cco, in quanto non mi siano sfuggite nel confrontare, le diver- genze, anche puramente ortografiche (quelle d^ interpunzione registro peraltro soltanto se importano per il senso), fra il testo del Moore e il fraticelliàuo del 1861, 1868, ecc. Avverto unicamente qui che il Moore non fa uso di jy e ohe, giusta le abitudini inglesi, dà sempre V iniziale maiu- scola agli aggettivi che designano nazionalità o cittadinanza, anche quando non sono usati con valore di sostantivi ; inoltre, che i composti di iacio hanno da lui un solo ì (I, ii, 3 e 5 ohiciaturj v, 2 obiciens ecc., di contro oìV ohjiciatury ohjiciens del Fraticelli). — Libro primo, i, titolo grmt^mo' tica (Frat. gramatiea) — 8 grammatieam (^rama/team) — iii, 2 eomnuifiteaii^ dwn {eomunicandum) — 8 «t^nicm i9t {tignum est,) — jraeMuntuo»itafe (pronmtuotilatt — vi, 2 AriotO' tela (Aristotiles) — 8 digreaaionùs (ditcretionin) — 4 magnificentia praepartUa cunefÌ9 (magnijicentia, pra'parata , cunctia) — vii, 1 Orandioea (QrcmdioBo) EDIZIONI P09TEBI0RI CTU cosa da approvarsi, purché anohe al Giuliani, ohe aveva pur cor- retto alcuni errori manifesti, si fosse avuto qualche maggior ri- guardo^). All'amor proprio del Giuliani sarebbe in certo modo potuta servir di compenso l' approvazione frequente data \lle in- novaaioni sue da un altro inglese di valore : A. G. Ferrera Howell, autore di una versione uscita a Londra nel 1890 '). Venendo per ultimo a me stesso, non ho a dir qui se non ciò ohe feci, o che altri fece a mia richiesta, affinchè la conoscenza del materiale diplomatico riuscisse piena e sicura. I manoscritti colla- zionai tutti da me, studiandomi di tener conto di ogni minuzia ; e sopra ciascuno ritornai via via per tutti i luoghi che mi suscitavano dubbi; o se non ci potei ritornare io stesso, usai ed abusai della bontà altrui. Il prof. Enrico Hauvette specialmente fu tormentato con non poche domande, approfittando di ogni opportunità per me, di ogni inopportunità per lui, anche quando, invece che a Grenoble, dove ora si trova, egli dimorava a Gap. £ a varie domande ebbe a rispondere anche Emilio Motta, il cortese ed erudito biblioteoario della Trivulziana. Parrà strano ai non pratici, non familiari con — 2 maneriea (materie») — 5 trisyllaba {trysillaba) — 6 polytyllaba {poliayl- Uiba) — vili, 4 fabrieata (J'abricalur) — 7 d* amore (di Amore) — dicimus tragica coniugatio, eat quia (dieimutj trayiea conjugalio t»t; quia) — ix, 4 iicerei quod {liceret, quod) — intertei huiua quod est artit, {interest , hujus quod est arti») — z, 1 Scientea quia .... et quia {Sciente» quod .... et quod) — diffinien» (deffinien») — zìi, 8 ch^ avete {che avete) — 5 Fabrieium {Fabritium) — core {cuore)— 7 ch'Amor {che Amor) — xiìty^trityllabo {tryaillabo) — exsorUm {eocortem) — 8 dux {die») — quidquam {quidcquam), *) L^ edizione e il commento del Giuliani avrebbero estirpato, credo, I, IV, 5 il pertoneat e fulgoreat (V. p. 19, n. 2), x, 4 il videntur (p. 51, n. 5), zv, 8 Vetiam (p. 88, n. 2), II, i, G Vin illia (p. 112, n. 3), vii, 2 il quaedam pexa et ireuta, quaedam lubrica et reburra (p. 156, n. 8), ib., 6 V onore (p. 161, n. 6), XIII, 7 il deeineìitium (p. 197, n. 1) ; nò avrebbero permesso V omissione di aliud digniu», II, ir, 8 (p. 117, n. 6). Ed anche altri luoghi si sarebbero avvantaggiati ; segnatamente II, ii, 1-2 (p. 114, n. 1), x, 7 (p. 191, n. 7) ; o forse ne sarebbe seguita altresì la cacciata, nonché parziale (V. p. 178, n. 5), universale, del diereaia^ a beneficio del diesis. Sul tardi par bene che della convenienza di consaltare il Giuliani il Moore si sia avve- duto. Me lo dice il disgraziatissimo dux li, xiii, 8, che non so imma- ginare venuto d* altronde (V. p. 198, n. 1) ; e però penso che sia derivato di U anche il rimedio portato all'interpunzione II, viii, 7 (V. p. 168, n. 8) e iz, 4 (p. 171, n. 2), aÀ/abricatur II, viii, 4 (p. 164, n. 5), e verosimilmente anche al Grandioao II, vii, I (p. 154, n. 6). Invece sarà, credo, per effetto di un semplice e naturalissimo incontro che il quae ha dovuto del pari rendere a quem il posto usurpatogli II, iv, 1 (p. 128, n. 1). E in tal caso non potrà non ritenersi il medesimo del modum ib. (p. 127, n. 8). *) Dante'» TVeatiae « De uulgari Moquentià » tranalated into engliah with explanatory notea; London, Kegan Paul Trench, Trùbner & Co. ovili niTEODaZIONE certe espressioni quali sarebbero «rasura », « trasparenza », € diffe- renza d'inchiostro », che di ricorrere a siffatti mézzi io avessi bisogno per il codice di Grenoble, nonostante il facsimile Maignien-^Prompt; e la meraviglia si farà maggiore sentendo che potei valermi di conti- nuo per quel codice di qualcosa che presentava ben altra sicurezza : di una riproduzione fotografica eseguita per uso privato della Società Dantesca dal comm. Guido Biagi nel tempo in cui l'originale stette a Firenze. Ma anche per il codice Trivulziano, nonostante le occa* sioni che mi si offrivano tratto tratto di rimetterci su gli occhi, non 'ebbi pace, fino a che la fotografia non venne qui pure in mio aiuto. E ci venne, grazie alla compiacenza pari alla perizia di un dilet- tante: del prof. Giulio Tomaselli, dell'Istituto Tecnico Superiore di Milano, che nell'amicizia trovò ragioni sufficienti per sobbarcarsi a fotografare, in dimensioni ridotte, ma con esecuzione ottima dav- vero, le ventisette facciate che io desideravo di poter avere dinanzi quante volte volessi. £ il Principe Gian Giacomo Trivnlzio, colla cortesia e larghezza eh' io sperimento in lui da non so quanti anni, subito consenti che il lavoro si eseguisse. Solo per il codice Va- ticano mi contentai della collazione originaria e di una serie di ri- collazioni parziali; e dell'essermene contentato, le ragioni appari- i*anno or ora. E-FONDilEim E CRITEBII DELL'EDIZIONE PRESENTE 1. Relazioni fba i codici e lobo conseguenze Dalle versioni e dalle edizioni, riflessi più o meno pallidi di originali a coi ci è dato di ricorrere dirottarne nfce, sappiamo ora che potrà cavar partito la critica congetturale, non già la diploma- tica. Questa non ha da fare i conti che coi tre manoscritti; e non è detto che all'ultimo li abbia da fare con tutti e tre, essendoci il caso anche per essi che ciò che par voce sia eco. Studiamone dunque bene i rapporti. a) Il codice Vaticano di fronte agli altri. Per il codice Vaticano, venuto ultimo e a distanza di tempo, la ragione cronologica semplifica il problema. Un ascendente del codice Trivulziano e di quello di Grenoble esso non è in nessun modo : bensì potrà molto bene derivarne ^). Tardo com' è, potrebbe perfino, se uscito dal Trivulziano, con- tenere le correzioni introdotte in esso dal Trissino, e rivelarci al- lora subito la sua. provenienza, dato che fra quelle correzioni fi- gurassero le più erronee ed arbitrarie, ossia quelle a cui non sarebbe attribuibile un'altra origine. Potrebbe, non dovrebbe: nulla vietando alla trascrizione di essere stata eseguita avanti che il Tris- sino correggesse *). Ha la fortuna non vuol consentirci di arrivare cosi prontamente alla meta. TTn ubique^ I, xvi, 1, non permette, per quanto spropositato, nessuna conclusione, essendo uno sproposito da offrirsi spontaneo a più che una mente. Accanto ad esso noi non troviamo, e sentiremmo il bisogno di trovare, non dico in tutto, ma *) Si rammenti intanto (V. p. xlit, n. 2) non aver fondamento la ere* denxa ohe il codice Vaticano sia copia di ano del Duca d^ Urbino. ^ Ctr, p. zLYi-XLvii con p. xl-slt. ex INTRODUZIONE in parte, immodicce confusiones receptas I, vili, 3, super anda x, 1, cunctam xiv, 1, compulsus ib. 4, expedire xv, 1, simplicts- sima e actionum xvi, 4, dicendum xvii, 1, quod ib. 2, libra- tura xvm, 3, versific'^ versificatum est, quidem, ergo II, l, 1, approhauimus iv, 1, ergo ib. 7, iuHiumy non nunquam e asuetos VI, 6, prealto Ylì, 1, rt/inam. .. tTi/tieri ib. 2-3, ^i/a ib. 5, re««- randa xiii, 2; né vediamo aggiunto omnes II, i, 2, né tolto tm- possibilità II, VII, 6 *). Dovendo ricorrere ad altri strumenti, cominceremo dal trovarne uno appropriato nelle lacune e nelle omissioni di qualche parola. Lacune ed omissioni reali: poiché gli editori hanno a volte sappo- sto manchevole il testo anche dove non era; nel qual caso e' in- tende bene che i manoscritti siano sempre d'accordo nel negarci i loro supplementi congetturali'). Una stretta parentela fra il codice Vaticano e il Trivuleiano, ossia, come quind' innanzi gioverà dire, fra V e T, risulta realmente dall'applicazione di questo criterio. Tutte le lacune di T son comuni a V. Mancano in entrambi, e ci son date invece da G, cioè dal ma- noscritto di Grenoble, le frasi e voci seguenti, indispensabili al senso: I, IV, 2 de fructu lignorum que sunt i» paradiso ueseimftr*) VI, 4 et quantum ad uocabulorum constrticiionem XI, intitolaz. ydioma % 1 et dinanzi a ut XIX, 1 et sicut est inuenire aliquod quod sit proprium lom- bardie <) Al modo stesso non si rispecohiano nel Vaticano altre corresioni meno significative, ma illegittime ancor esse, o non esatte : I, iv , 8 pra- JluU$€t, IX, 2 fuit, XII, 8 propter^ xvi, 4 cancellaziono di h\ xvii, i/aeia" mutf II, I, 1 canoellazione di e/, ib. 8 formoicts^ iv, 2 doeirinam, ib. 7, eanendum, v, 5-0 inserzione di quod e penttuyllabum et per racoonciaro un passo laoonoso, ib. 6 eneaùUabunkj vi, 4 «latore, vn, 5 délaiam, xi, 4 muQui, XII, 4 soppressione di mm e$t, ib. 6 ucro, ib. 8 aggianta di ^- cum. Ed anche delle correzioni legittime, se non son poche quelle che trovan riscontro, sono tuttavia in maggior numero le rimanenti. «) V. p. 7 n. 2, 28 n. 2, 28 n. 2, 46 n. 1 , 125 n. 1, 130 n. 1, 181 n. 4, 184 n. 6, 146 n. 2, 161 n. 8, 159 n. 2, 178 n. 1, 177 n. 8, 191 n. 5, 194 n. 9, 200 n. 1. £ si consideri anche p. 18 n. 1, 27 n. 2, 69 n. 2, 106 n. 2, 110 n. 1, 180 n. 8, 188 n. 8, 195 n. 2. ^) Che queste parole siano in G supplite in margino, non conta qui nulla, una volta cho sono supplite in ogni caso di mano antica. Passo bensì sotto silenzio, perchè non punto necessario, V ipavm che G ci offre poco dopo in condizioni analoghe. V. p. 16, n. 2. CONFRONTO DI V CON G E T CXI II, I, 5 rusticana tractantibus hoc dicet esse conueniens conue' flit ergo indiuidui gratta »ed niehil indiuiduo con- tunit IV, 4 inducimus per comediam inferiorem per elegiam stilum Vi 5-6 sequi illud quod maximum est in celebritate post hoc perUasUlabum VII, 2 quedam uirilia ^ ) ib. et eorum que urbana Vili, 5 uocamus E vi mancano altresì le parole e^fl, ix, 5, omnes xiv, 4, licet II, XIII, 8, che sebbene invece non indispensabili, sono ancor esse da ritener genuine. E a queste omissioni V ne aggiunge mi buon numero di sue proprie, poco importanti talune e da potere e perfiu dover essere in qualche caso intenxionali, ma le più realmente sconciatrici : I, 1,4 quia davanti a prima II, 8 uel (mss. ut) X, 6 non in non nisi XI, 5 enormitaie > 6 homines xiu, 2 senenses onche renegata auesse io 8 iena chee chesto XIV, 2 fauentinos XV, 4 raiionabile uidetur esse quod eorum locutio per com- mistionem opposUorum ut dictum est XVI, 2 rerum XVII, 6 glorie n, n, 8 quidam peius » 4 talia IV, 1 extricantes V, 2 et (T t) davanti a moderni VII, 4 urbana dopo hirsidaque » » et dinanzi a membra VIII, 4 ab dinanzi ad alio, e quoque X.3 fiat post diesim tunc dtcimus stantiam habere uersits si anie non fiat repetitio XT, 8 es9ent XII, 8 oc » 4 est dopo frons <) NelU Tersione il Tri asino seppe supplire debitamente (il sapple- mento etm domandato dal contesto a chiare note) i^ aUri virili. CXII INTRODUZIONE XII, 9 etiam xuii 3 tnixtos e unum carmen » 6 in primo pede Indico per ultimo da sola, per la condizione pecnliarissima, l' omis- sione, II, XII (V. § 7-8 e 10), di quelli che dovrebbero essere, e nei nostri codici non sono piti, dei segni di richiamo ^). Se poi dal confronto grossolano passiamo al minuto, dal quan- titativo al qualitativo, troviamo comuni del pari a T e V, o propria- mente conformi, o sotto aspetti di cui il più antico spiega il più recente, non pochi errori, a cui G non partecipa, o che ivi si presen- tano in altra forma. Eccone alcuni'): TV G T, pare, ce, V esse ce lationes lattos irucitantem trucitàtem pores j^ores T gradim\ V gradimus gradimur T y^es (o y^es) norif V ^ses non n non sperando comparando et opprobrium in opprohrium unum uirum T Illud brandinum^ YlllumBranr dinum Ild* brandinum si ergo sig^ Si ripete comunis (V co-) est domus et omnium regni T siVia, Ysimilia silVa discretionis disgressionis disgressionis T rdani^ V romanj ròni T faciandi, Y faciendj fasciandi T idam^ V quedam iad'm T Nam ericus^ V Nam Ericus Namericus suum situm i) Soppressione intenzionale, per non dire di questi segni, ò da rite- nere quella di vel l, ii, 8, ossia dolP ut sotto cui il vel non fu saputo scor- gere ; di enormittUe I, zi, 5, che si lega col mutamento dello spropositato aUenlu» in altentU; e di e^ II, vii, 4. Un proposito deliberato è pur vero- simile per non I, x, 6 e oc II, zìi, 3, ed ò supponibile per extrieanUa (nei nostri codici extrteatea) II, iv, 1 , ed essenl (codd. estet) zi , 8. Taccio di qualche altra cosuccia non menzionabile senza complicazioni. ^ Cosi qui, come poi via via nei casi analoghi , risolvo le abbrevia- zioni che non hanno qualche motivo speciale d^ essere mantenute. I, n, 6 VI, 8 vn, 2 » 3 K, 1 ib. 4 X, 1 xu, S XIV, 2 » 4 XVI, 3 XVIII, 2 II, V, 4 VI, S vn, 2 vili, 1 IX, 2 XII, 8 » 8 CONFRONTO DI V CON G B T CXUl Natoralmente V sproposita anche senza compagnia; e degli spropositi snoi si trova allora per solito una spiegazione ovvia in abbreviazioni di T. Per noi tuttavia il fatto non ha valore se non quando — ed è il caso senza confronto più raro — l' abbreviazione non è comune a G, o non gli è comune in quella forma. Esemplifico qui pure : n, V T G vn, 4 h(Ec &• hoc piutto- sto che hec u, 5 id i" illd' X, 1 inueniamus ttam' inhiamus xn, 1 primum ^m proinde > 8 prò prio a- proprio) PO pmo xin, 8 mtxtcLtn mixtà mixtura Questi dati inclinano ben fortemente a vedere in V una deriva- zione di T. Tale non lo dimostrano tuttavia in maniera assoluta, dacchò V potrebb' essere uscito da un esemplare di cui T sia un'emanazione molto accurata: tanto accurata, da non aver ag- giunto neppure un' omissione a quelle che s' avevano 11 dentro. Un'accuratezza siffatta riesce, per verità, non molto verosimile, e poco concorde colle negligenze abbastanza numerose che appari- scono incontestabilmente proprie del trascrittore, perchè rimediate da lui medesimo. Posta nondimeno l'idea, affinchè l' inverosimi- glianza non s' avesse da accrescere coli' aumento dei fattori prò* babili di un pervertimento che non si vede essersi prodotto, bisogne- rebbe considerare T come trascrizione immediata di quel modello, dal quale invece V, cosi ricco di magagne sue particolari, potrebbe discendere anche mediatamente. Lasciando dunque in disparte gli ascendenti più remoti, dovremmo avere suppergiù questo schema: r" G X r" T Un' ipotesi qual ò questa deve cercare appiglio in convenienze speciali fra V e G, a cui T rimanga estraneo. Se n'hanno, oppure non se n'hanno? CXIV INT&ODUZIONS Se n'hanno, e son molte. Passiamole in rassegna, omettendoi come troppo inutile ingombro, nn numero abbastansa ragguarde- vole di casi in cui dinanzi a vocale V e O contrappongono ti* a un ci' di T, certuni dove T si prestava ben facilmente ad esser letto anche alla maniera come porta V d'accordo eon O, i più tra quelli (serbar qualche esempio toma opportuno) nei quali per man* tenersi fedeli a T, pur trascrivendo da esso, ci sarebbe voluto addi- rittura un gran sforzo, ed altre cosucce del pari o anche più incon- cludenti. I. h 1 ". 5 IV, 2 » 5 vu. a » 6 % » » » vin, 8 » 6 IX, a » 4 » 5 » » » > » 6 » 8 X, 1 » 6 » 7 XI, 3 xn, a » 4 > 7 xin, 2 > a » 4 V G tentabimus rudere V diabolo, Gt dyabolo Quis (G q-) enim equitabis V tiìdlis , G equivocamente tùdlis o tuiUis V operibui, G oj^ibus V et enim, G eteni ad fines Alamanos (G al') gentil prima Rauennates (G ra-) loquela obliuio distaniias exoleium V aliud, G a** cunctamur (V. per G l'apparato) V .vj., G uidj V Triuùtanis corretto poi in Triuisia' nis, G iriuisanis V in tmproperium, G in mproperium fortuna Federici (G /e-) terrigene andonno V omnes fere, Q fere oes V asaerendum, G asserendo T tarddbimus uidere diabido qui seth exquitabi9 tuillU opibus eterù ad ìfines alamànes gentil pa rauenantes loquella a obliuio discistantias exoetum ad cuntamur uidet triui8iani8 in properium fortunam federigi terrigine andomio ') fere ès asserende Poiché andonno non fu saputo qui dentro né vedere nò intrave- dere dal Trissino, è giusto che questo esempio non manchi, nonostante che esso cada sotto uno dei motivi di esclusione indicati di èopìra* CONFRONTO DI V CON G K T CXV V G T XIV, l V Appeninj, Q appenini ape/tntfit » 3 ht (— hahet) W XV, 3 V commilitone, G cornatone comistone XVI, 4 V qualibet, qlibet quelibet » » V hac, G Ac he') XVII, 8 V con^^ruc^tontòiis, G con^^^iontÒT<« consiretonibus » 4 corda vergare cordiuersare xvin, 1 fto^^tum ostìum > > non ne n non ne XIX, 1 V lo^thum, G latìh laiium » 2 uniua unus n, 11,2 perfectum V. r apparato. > > V a<2 victoricR^ G ad utc^orie adiutorie » 6 V danur^ G damir clanur » » V solam, G «o/d solaj TU, 3 «or^i^« sortire » 8 j^orfan^mm poetancium IV, 1 ciim de med- cum med- > 5 elegiace elagiace » 7 confidentes confitenies v,4 columpnis colupnis » > moui noni » » cielo celo VI, titolo poetandi (V-dj) portandi > 1 possimus posscimus » 4 tenue iesnus » » preparata per parata » > eiecta eieta » » de sinu desum o desuni > 6 V vj.f G uidj uidet vu, 1 V presentia, G psentia pncia vni, 3 significatum significai X, 1 Y post modum, G posimod^ post moùs xi,4 V slmatey G sirmate stmaie XII, 3 uoglio uolglo » 5 sic sic xin, 2 V vtden^ur, G unr uur 1 i) i^nohe (inasto ò un esempio ohe si mantien nella serie per raj^ioni specialif vale a dire perchè avendo dinanzi Ae ognuno legge hahere. OXVI INTRODUZIONE V G T - XIII, 2 Amaldus ar^taZdu« » 5 cadant caudati^ » 7 V peruertif G ^uerti ^ u^i » 8 asperorum asparum Namerìcamente queste concordanze, pnr ridotte come sono d'ana bnona metà, appaiono considerevoli davvero : peccato che fra tanta turba, anche dopo aver rimosso la gente più minuta e cenciosa, non si scorga nessuna persona veramente di conto! Si tratta por sempre in generale di correzioni che s'offrivano ben facili a chi non fosse ignorante del tutto e riflettesse qualche poco su ciò che co- piava. Forse il maggior sforzo che pretenda dall* esecutore di V o da un trascrittore intermedio chi ponga T qual esemplare, consiste neir aver capito che I, xiv, 8, al & di òì era da sostituire un' A, gra- ficamente cosi prossima ^). E le correzioni erano a volte agevolate anche da motivi speciali. Al Federici 1, xii, 4 portava, se mai ce ne fosse potuto esser bisogno, il Federicus avutosi poche righe prima; M* Amaldus II, xin, 2, quello che s'era trovato e mantenuto in capitoli antecedenti; nelV exoletum I, ix, 6 reprime ogni pretesa Vexolescere che gli sta accanto. Poi, le convenienze con G, collate- rale in ogni caso, non già progenitore, non valgono se non in quanto si possano estendere ad un suo ascendente ; ed ecco invece risultare da un'osservazione accurata') che l'esemplare di G aveva I, rv, 2 dya" diabulo, IX, 5 a ohliuio o qualcosa di simile, xn, 7 terrigi-, xni, 2 andom-f non altrimenti che T. Quanto al rudere, I, n, 5, non- ché esserci stato uidere nel modello, può darsi, ed io penso, che sia ben tarda l'alterazione per cui G s'è liberato di questo sproposito. Altro caso analogo quis eninif I, iv, 5. Ferma allora forse l'atten- zione il .vj., I, X, 6 e II, VI, 6, in cui si potrebbe credere perpe- tuata la rappresentazione originaria donde sia uscito cosi il uidj di G, attissimo ancora a significare videlicet, come il uidet spropo- sitato di T ? Ma che il senso ripudiasse videt e domandasse videli- cet, era chiarissimo ; e poiché il compendio .vj. era assai comune an- che quando V fu trascritto, non è punto da meravigliarsi che ne fosse fatto uso. £ la condizione da presumersi perchè sia legittimo l'inol- trarsi per la strada su cui s' è venuti a mettersi, è adempiuta real- mente da V. V manifesta proprio la tendenza a correggere'). E non Gfr. lan. 8. ^ Si ricorra air apparato critico. 3) Che a volte le correzioni siano state introdotte anche in T e sia lecito sapporre che Y le ricevesse allora di là, è una considerasione di ooNFBowro DI V CON G E T cxvn già solo per l'ortografia, ohe subisce non pochi ritocchi, come a dire (è il caso d'applicazione senza confronto più frequente) quello por- tato dall'uso, non punto regolare del resto, dell' e caudato o àeWce ed ce, in cambio del semplice e, per l'antico dittongo. Si consideri I, Yin, 8. Correggeva, non trascriveva, pur incontrandosi con G, chi pose in margine meridionalem dopo aver messo nel testo mediola- nwn: una balordaggine quest'ultima, che essa stessa è bene da ri- guardare come una prima cforrezione del mendiolanem portato da T. E correzioni marginali del trascrittore sono parimenti al termine di questo medesimo capitolo un assurdo similiter per un < si » dicunt che s' era nel testo travisato in sidijt, e un più che legittimo anglico mari, da sostituire ad un Aglicomarj che trova rispondenza cosi in O GT Minum mocatum: V Ninum vocatum; dove consi- dero solo il vocatum, dacché il N- può venire da lettura erronea. II, vin, 1 G correttamente comminiseimur , T eommiscimur: V eommisimus. Sicché il convenire nel bene con G non dice proprio nulla. E nulla dicono nel caso nostro neppure le convenienze, per solito ben più significative , che s' abbian nel male. Non inchiudo punto nel nu- mero V AlamanoSj cdamanos, I, vin, 6 (T alamànes), giacché la scrittura con n scempia é tutt' altro che anomala. Similmente non importa nulla ohe T e V contrappongano concordi I, xvin, 1 hostium all' ostium di T quando si sa che l'A era propugnata dall'ortografìa medievale e che anche nel cinquecento continuò ad esser scritta da molti. Bensì II, n, 6 il danur di V convien proprio in parte erro- poco rilievo, dato il piccolo numero di applicazioni ohe in questo caso potrebbe avere. Per tatta la lunga serie presentata qui dietro ne abbiam nove soltanto : I, iv, 5 quii enim, vii, 8 equitabis , z, 6 videlieetf xvii, 4 eorda uenare, II, ni, 8 «or 6 a predictii T ap dèis^ G apd^ dctis rx, 6 a eoeianéìM aecoatenis X, 8 ùtgumetUatur argumentaniur » 4 Oinus G cui' citi' , T etti' » 6 Sardinia sandrinia Xt, 6 cribrémuB G èberefnus'f T ebeimus, o peggio. xm, 1 plebea plebeat > 4 rigiditaté rigUate XIV, 2 cantrarij» T contranSj G cowtrarius » 8 Brixiemeè brixines XV, 2 qu&modoeunque G quomodoej, T quomodo eèj » 6, retiduis rendintSt T residuus XVI, 2 ponderéfUur pondereretur xviii, 2 fietnpB nepe n, 1,8 formose formas » » discreliué G d'seritiue, T desctiue IV, 1 cantionum cantonum » 6 iste quem iste qui quem VI, 6 Plmium G plunuroj T pluuum vn, 4 et enim o etenim et tenj » 6 asperUatem aspitatem f 7 autem aut > » sufficiant suffieiat vni, 6 diéserendum desserendum > 6 resumentes resumente x,2 sine siue » » diesim diesini XI, mibr. dòHndioyié T distìetione, G disttefictione » 3, xn, 2, 5 6 9, epta- èpta- empia- > 5 uincere uieere xiu, 8 unfus un' La lista, come si vede, è qni pare abbastanza lunga; e ben altri- menti lunga sarebbe, se, per cautela, insieme coi fatti meramente ortografici, non avessi escluso tutti i casi dove la lezione legittima è venata anche in altri codici a sovrapporsi alla originaria, salvo ohe non ri trattasse per G di correzioni indubbiamente corbinel- liane. Ora 1' e indubbiamente » ha tolto qui di figurare a non so OXX INTRODUZIONE quanta roba, ohe secondo ogni probabilità ne avrebbe avnto il di- ritto *). S' è dunque risospinti verso l' idea che i dati migliori hanno BVLggento fino dal principio : quella cioè che V emani da T. Reste- rebbe tuttavia nell'animo qualche incertezza, se fortunatamente non fosse dato di raccogliere altre prove. Poiché ce n'ò talune che par- lano un linguaggio ben chiaro, mi limito ad esse. I, IX, 5 aliud è rappresentato compendiosamente da T mediante un a seguito da un d meno sollevato dalla linea di quel che sarebbe desiderabile. Y porta ad, — I, ix, 6 e II, i, 6 a un ettam disteso di O si risponde da T con un et ') sormontato da una lineetta, la quale vien come a confondersi, nel primo caso con un 3, nel secondo con un 9 (= con) della linea superiore. Ed anche questa peculiarità stret- tamente individuale si riflette in V, in quanto non vi s'ha altro che et — I, iz, 8 e X, 8 il trascrittore di T aveva dimenticato, nel primo luogo la sillaba iniziale di consejisuj nel secondo un si. Li aggiunse poi ; ma il con — in forma di compendio —, costretto in uno spazio troppo angusto, riusci poco chiaro; e il si, scritto sopra, fu di let- tera ragguardevolmente più minuta. Orbene: nò il con~ nò il sì hanno riscontro in V. — "Sei flòdif eros (Q fiondi/eros) che T ci pre- senta XIV, 1, la lineetta sull'o ò congiunta colla coda del dy si da poter parere parte di essa. E non accade forse che V ci dia flodi- feros? — !!, n, 1 G T portano astruximus e V invece construximus : divergenza di cui offre spiegazione ben naturale il fatto, che in T r a ò di tal natura, da poter essere scambiato per il segno di con '). — Ne] § 6 del medesimo capitolo V ha uno strano est ea al posto di circa. Ora, che il compendio di un cir-^ cioè un e sormon- tato da un segno, fosse preso per il compendio di eat^ e che un ca fosse letto ea, son cose ben comprensibili; ma perchè lo scambio avvenisse, occorreva che quella prima sillaba fosse disgiunta dalla seconda; il che appunto succede in T, dove, rannodate da un trat- tino da passare agevolmente inavvertito, l' una cade in fin di linea, l'altra in principio; e il modo di rappresentazione del cir è di tal natura, da rendere viepiù facile la scambio. — Più oltre, vi, 5, y ha NazerxcuB de bebiui per Namericus de Belnui, con due errori madornali, di cui il primo non è che il rinsaldamento di quello che <) y. p. zzix-zxx. *) Che 1' €i sia raffigurato da un compendio I, iz, 6, e non sia II, i, 6, & cosa estranea al proposito. 3) Se il motivo non fosse questo, bensì un proposito deliberato, non si sarebbe due parole dopo mantenuto V Mtruere da cui l' cutruxinttu viene ad esser ripreso. CONFRONTO DI V CON G E T OXXI si vede oommesso in T, conaistente nella scomposizione di Nameri- cus in Nam eHeus, rappresentato con un Naj ericus poco disgiunto ; o il secondo ripete il suo perchè dalla circostanza che nel belnui di T Vìe la prima asta dell'ut successiva paiono come costituire un &. — £ guardiamo alla fine dal trattato. S' è detto (p. xxziii) come in T le ultime linee, dopo essere state scrìtte sul f.^ 14^, siano state ri- petute in calce al 13^, dove l' ampio margine apriva loro le braccia. Ed è avvenuto che la replica sia riuscita non esattamente conforme alla prìma copia, la quale — se si tien conto di due cancellature ese- guite di certo subito nel trascrivere — è dimostrata fedele rìflesso dell' esemplare, qualunque esso fosse, dalla convenienza con O. Eb- bene: y s'accorda colla replica inesatta, e non colla forma ori- ginarìa, salvo l'essersi forse cavato qualche partito anche da questa per correggere l'assurdo uasorie in suasorie^ dato che sia poste- riore alla esecuzione di Y V s che in T vediamo aggiunta dal Tris- sino. Che fosse propriamente da scrivere persuasone non si vide ; e non si vide, se si guardò alla trascrizione primitiva, per la ra- gione che il per si trova perduto tra sillabe dovute cancellare. Questi fatti, e l' ultimo in particolar modo, se non dimostrano che V sia proprio copia di T, provano che esso ne deriva. Che la derivazione sia immediata, oppure mediata, alla critica riuscirebbe in- differente. Ma anche quel di più di cui non s'ha bisogno può ri- solutamente affermarsi I grazie ad up fatto che ci è già riuscito altrove di ammaestramento ^). In T al primo capitolo del secondo libro s'era rimessa in fronte la rubrica del cap. xviu del libro primo. Accortosi d' aver sbagliato, il trascrittore dette di frego a questa falsa intitolazione e pose appiè di pagina la vera, rannodan- dola al luogo suo proprio con un segno di richiamo in forma di paragrafo. Delle due intitolazioni V non ci presenta nò la buona nò la cattiva, nò al posto suo nò altrove : bensì vi si vede, di fianco alla prima riga del capitolo e senza che alla chiamata tenga dietro alcuna risposta, lo stesso richiamo marginale di T. ò mai le- cito pensare che quel segno incompreso, e fuori di T incomprensi- bile, si trasmettesse anche attraverso a un altro apografo ? E le circostanze storiche mettono il suggello. Il Bembo e il Trissino erano legati di amicizia. Che se negli anni più giovanili, e propriamente nel 1506, si levò fra loro qualche nube'), essa ebbe poi a dissiparsi. « Il Sadoleto e '1 Bembo sono tutti vostri, ricorda- *) V. p. xxxiv. ^ Per via d' una certa medaglia , che il Bembo desiderava ardonto- mente, e che il Trissino non volle o non potò dare. V. Bembo, Opere^ Ve- nezia, 1729, III, 221 e 502; Pahfilo Pjcbsico, Segretario ^ Venezia, 1620, p. 240 e 246. CXXII INTEODDZIONE tevi di scriver loro ») diceva in uaa nota lettera del novembre 1515') Giovanni Rucellai al Trissino, che viaggiava, quale inviato ponti- ficio, alla volta della Germania. Ed era allora scorso più che un anno da quando il Trissino era andato a vivere a Roma all'om- bra di quello stesso papa, che già prima aveva dato al Bembo l' uf- ficio di segretario. La trascrizione della copia bembina dall'esemplare trissiniano o non apparisce pertanto una cosa al di là di naturale ? Stabilito il fatto, non resta che da dar conto del modo come la copia fii eseguita. Questo modo risulta già fino a un certo se- gno da quel che s'è visto. In gei\erale è a dire che abbiam fatti contradittorii : il trascrittore frantende spesso le abbreviazioni del suo modello, tanto da convertire non pochi circa in assurdissimi essCf segnatamente negli ultimi capitoli '), e più di nnproprius in primus^). In pari tempo riesce talora a decifrazioni, di cui non lo crederemmo capace. £ cosi, mentre ripete senza muover ciglio molti strafalcioni^), corregge, come s'è visto, non di rado a dovere. Que- sta disuguaglianza può bene spiegarsi con un grado ora maggiore ora minore di attenzione e riflessione, senza che per nulla ci sia bi- sogno di far intervenire il Bembo, immaginando che talora si scri- vesse sotto la dettatura sua. Certo la co adizione della copia è quale si conviene ad un uomo, che le sue funzioni stesse ci fanno supporre infarinato di lettere, ma non letterato profondo. Di greco, per esempio, non sapeva; sennò non avrebbe, credo, conservato sempre a sillah- l'i, e, quel eh' è peggio, non avrebbe surrogato egli medesimo t ad ^ in physicorum^ II, x, 1, né tolto l'A a cithare- (ÌU8, II, vm, 5. Quanto alla strana sua abitudine di scrivere nen non per nec non^), fa ch'io mi domandi, se sì trattasse mai d'un na- tivo della Spagna. Voglionsi poi rilevare certi arbitrii. Accade parecchie volte che sia mutato l'ordine delle parole: I, xn, B, xvi, 4, xvii, 1, xviii, 4, *) Tbissimo, OperCj 1, xvi. *) Un esempio di siffatto travi riamento s^ ha anche in G e T ; II, u, 1. £ T ci ricasca v, 1 e iz, 3. 3) Cfr. qui pure G T (compagnia di cui non e' ò da gloriar^ii, corno apparirà poi;, I, xv, 5 e xix, 1. V cade poi anche ncir errore opposto, e di un primo fa 2'roprio (che si scriva prò prio non è che un^ inesattezza di più), II, XII, S. *) Chi crederohbe mai di veder perfino mantenuto da lui, I» xvi, 2, uu paulioraf a cui le sue abitudini ortografiche non lo dispone van per nulla? £ cosi, oltre a richiamare ciò che s'è visto a p. cxii , indicherò, percorrendo i primi nove capitoli, loguente v, 1, istorum vm, 5, eadem ix, 6, in luoghi dove la grammatica domandava a squarciagola loquenlenij istarum, eandem. Curioso anclie il non aver corretto vi, 5 hahel in bahel, ^) P. es., I, IV, 1, vili, 1 e 4, ecc. CONFRONTO DI V CON G B T CXXIII II, iv, 6, VI, 6, X, 4, XII, 7. Sì tratterà per lo più di fatti non proprio intenzionali. Che s' alterasse talora senza intenzione, indica un est scritto e cancellato II, v, 5, da spiegarsi supponendo che al posto di elueidandum remaneat si stesse per mettere, lasciando sopraffare la mano dal pensiero, est elueidandum. Intenzionale è bensì I, XI, 5 la sostituzione di pronuntiant a emctuant, che dovette parer troppo basso; e intenzionale sarà probabilmente anche l' aggiunta di capti accoppiata colla soppressione di glorie I, xvii, 6 {huitis dulcedine capti)] e non improbabilmente altresì la sostituzione di appellant a vocant II, vm, 6, in un luogo dove s'era già avuto vocat poco prima, e fors' anche ài propterea & per consequens II, l, 6. Per ciò che spetta invece a un sermone per ydiomate I, vm, 8, e a conati per nisi II, xni, 8, lascierò la bilancia in condizione di equilibrio '). Ma di tutto ciò a noi importa assai poco, postochè di V abbiam V esemplare, e lo abbiamo fortunatamente integro. Quanto alle cor- rezioni congetturali, esse, per verità, trascendono rare volte ciò che il più modesto editore e ogni lettore non ottuso capiscon subito da sé '), sicché non è da tenerne conto altro che qualche volta in omag- gio alla storia e per non negare anche agli umili quel poco che può loro spettare. Cosi il maggior utile di V consiste nelP aiutarci a volte a discemere ciò che in T sia, o non sia primitivo. b) n codice di Grenoble e U Trivulziano, Reso cosi il campo assai più libero colla rimozione di V, è da esaminar bene, se mai ci fosse il caso che anche ad uno degli altri due codici potesse toccare la medesima sorte. Se ciò fosse, già sappiamo dal numero ragguardevole di lacune che s' hanno in T e a cui Ot non partecipa'), che il manoscritto su cui cadrebbe V aspra sentenza sarebbe il primo, non già il secondo *). ') In eoncUi ci sarebbe anche il caso di vedere una lezione suggerita dal contesto, se mai il nisiy rappresentato in modo alquanto anomalo, non fosse stato decifrato dal trascrittore. Ciò che qui ò affatto dubbio, riesce invece sicuro per aunt, II, vii, 0, in cambio di un videntur travi- sato. Corrosione pretta, per quanto infelice, è raggiunta marginale di linguam, I, xvi, 8, già menzionata a p. cacvn. ^ Che per una parte di siffatte correzioni s'abbia, o no, obbligo a T (Y. p. cxTi n. B e czix), non fa nulla per la questione oggettiva, e solo implica un accrescimento o una diminuzione di merito. 3) y. p. cx-cxr. Non si tenga qui conto peraltro del defruetu lignorum que mnt in paradiso ueacimurf per via della condizione di supplemento marginale in cui ci si presenta anche in G. Di queste parole ci si occu- perà in modo speciale più oltre (p. cxxztii). ^) Essa ò caduta realmente per parte degli autori della riprodosione di Grenoble, p. 16 e 87 del proemio. E. V. anche Giorn. Dant,^ I, 328-29. OXXIY INTRODUZIONE LMdea della derivazione suppoao il fatto di una stretta affi- nità. E che questa ci aia tra i nostri due codici, è cosa di cui ogui osservatore sta poco a convincersi ^). Cominciano dall' esserne pro- va, non dirò in generale gli spropositi assai numerosi comuni ad entrambi, bensì quelli pei quali la correzione si offriva troppo fa- cile e spontanea, perchè potessero durare attraverso a parecchie trascrizioni. . Tali sono, I, i, 1 necessaria {necessariani)^ iv, 4 orrù ficium {horrificum)^ inciperit (inciperet o inceperit)^ v, 1 Opinaies {Opinant€s)f loquente (loquentem)f incunctater {incunctanter)^ ib. 3 locutio {locutionis)^ vi, 5 habel (òaòe/), hac (hanc), loquerUis lo- quentis (loqueniis), vili, 1 euripe {europe), ib. 5 aut (autem), isto- rum {istarum), ix, 6 accoatenis (a coeianeis)^ eadem (eandem), ib. 7 huma (humanis)^ x, 8 argumenianUir (argumentatur), ib. G sandrinia {Sardinia) ^ ib. 8 lomhardina (lombardià), feranenses (ferarìenses) i aliquote (aliqualeìn), ecc. ecc. ')• Dov'è da avvertire come gli sbagli di cotal genere avessero anche una certa probabi- lità d' essere sradicati — senza che il fatto fosse rilevabile altro che neir esemplare originario — per opera di lettori , che , per quanto scarsi, cresceranno pur sempre, dato un numero maggiore di co- pie ^). E tra gli errori di cui la comunanza riesce più significativa, perchè si riferiscono a particolarità che i trascrittori ben poco si curavano di riprodurre , sono quelli che consistono in interpunzioni. Ne registro alcuni esempi nell'apparato critico, p. 4 1. 5-6, p. 9 1. 11, p. 23 1. 1. Alle interpunzioni illegittime s' accoppia qualche iniziale maiuscola illegittima del pari; e ciò è ben naturale; ma non è forse meraviglioso che senza questa concomitanza i due manoscritti ci diano concordemente Existimo I, iv, 1? Meritano di essere segna- late anche le inesattezze comuni nelle sottolineature in rosso delle citazioni volgari, come a dire il fatto che II, V, 4, nel verso per fino amore ecc. non sia sottolineato il per (abbrev.). Ne solo nel dominio degli errori ci son cose notevoli. Notevole parrà certo ad ognuno che II, IV, 7 (G 17'' 1. 3) astripetam sia scritto a'tripetam del pari *). ') Quindi anche il Witte nel solito articolo della Jenaer Ltteratura.y p. 878: «Bei dar zweifellos sohr grossen Verwandtschaft beider HSten.... » -) Ohi voglia aegaitare, scorra nell'apparato la serie delle Lesioni scartate ohe hanno dinaaci la doppia sigla G T. •^) Vari degli errori indicati di sopra sono effettivamente stati cor- retti negli stessi esemplari nostri^ sebbene per lo più. certo solo nel cin- quecento dal Trissino e dal Corbiuelli. *) Non starò a decidere se sia da registrar qui, oppure neUa categoria antecedente, V exiiyat I, xr, 2 (V. p. 57 1. 8), non avendo la sìoureasa, se si credette di scrivere extimant oppure toUizant, Un analogo mimile, II, xir, 7, ò solo in T. RAPPORTI DI Q- E T CXXV E costituisoono una serie innumerevolb le convenienze nel darci le parole per disteso, oppure invece abbreviate, e abbreviate alla stessa maniera. Sicché -la prima condizione dell'ipotesi non manca davvero; e per la derivazione stanno alcune, anom^e, che paiono ripetere la loro ragion d'essere da pecoliari^dfljp. A un opibus di T por operibus I, vii, 6, che si sarebb^BBtati di attribuire alla poca evidenza del taglio nel compendio m per portato dall' altro codice, argomentabile da un successivo ricalco (V. l'apparato alla p. SO), strema il valore, già abbastanza scarso per altri motivi ^), la spinta che a ricalcare potè venir qui da condizioni affatto speciali'). Ma delle anomalie ce n' è tutto un gruppo, da sembrar connesse col modo come in G viene a determinarsi la ripartizione delle linee. Riferisco gli esempi che la riflessione non dissipa troppp presto, indicando il punto che segna il passaggio da una linea all'altra me- diante due a:&ticelle verticali. I, iv, 1, Gt primi\\loguium{2^ 1. 12-13)| T primi loquium ; ib. 2,jGr l^.gl\\ , rappresentazione insolita di legtiur, che si direbbe causata da mancanza di spazio e che è comune a T ; ib. 3, ratìona\\liiery T ratiofuUiier ^ mentre è bene rationabiliier che si richiede; e come qui l'omissione di una sillaba, coincide col termine della linea in G l' omissione di qualche parola I, xiv, 2, XV, 6, II, II, 4 (V. p. 78 1. 9, p. 88 1. 1-2, p. 118 1. 7), ed un gua- sto ehe mi ha fatto tribolare non poco II, ii, 2 (p. 115) '). Sennonché gì' indizi di questa fatta possono essere molto fal- laci. Ce lo dica V, nel quale la lacuna costituita dalle parole de *) Supposto un trascrittore accorto ed attento, il senso, rincalzato altresì dal replicato ricorrere che il vocabolo opu$ vien faoendo nel testo, non avrebbe consentito P abbaglio o avrebbe portato a correggerlo pron- tamente. Che 80 invece si dà luogo alla disattenzione ed alla malaccor- tezza, non c^ ò ragione di meravigliarsi. Anche I, zvui, 4 (p. 101 1. 8) T ci pcesenta ditpsùi II , xiix, 8 a9p9rum (p. 199 1. 8), nonostante che qui V omissione produca dei mostri. £ comuni a G T sono I, ix, 8 putr in- vece di ^ uer (p. 42 1. 1), e II, vti, G (p. 161 1. 4) awpitmlem. Si tratta in realtà d' un errore molto ovvio. *) La parte inferiore della pag. 4^ ha in Q molto sofferto, e certo da un pesco, sicché la scrittura vi riesce assai pallida. Per eocesione aXVopibtu o a ciò che la fiancheggia questo non è seguito ; e il contrasto avrà, credo, fatto parere iosofficlente il taglio, sottile di norma. Del resto ricalchi analoghi ne ocoorron parecchi nel codice (V. p. xz) , senza che perciò corrispon- dano in T irregolarità di nessun genere. ') Un Ild' hrmndinum di G, I, xiv, 4, che è lo stadio intermedio per cui dall* Udebrandinum o Ud'brandinnm originario s* è venuti all^ lUud brandi* mm di T (V. p. 81 1. 2), si trova in messo alla linea; e però, se mai dipen- desse dalla ripartizione, dipenderebbe da quella di un ascendente, dal quale T potrebbe derivare senza nessun bisogno di passare per O, I CXXVI INTRODUZIONE ^) Essa oocorre del pari alla fine del rigo, in T 1^ 11. 28 e 27 nelle pa- role proprioa (I, m, 1) e $ua8 (ib. 2), 12^ 1. 1 in didmus (II, xi, 2); in G, 17^ 1. ultima, nella voce imunes, precedente di pooo ad mtripetamy 22^ 1. 11 (II, XT, 5) in duoSf e 24^ 1. 4 (xiii, 8) in mixtoa. Quale aggiunta o corretione viene ad aversi neìV identitas di T, 4« 1. 30 (I, ix,8), e nel disgresgionù di G, 18^ 1. 5(11, VI, 8; y. p. xvii). L^intento di risparmiar spazio ò segnatamente manifesto nell* Imunesj ohe premeva di dar completo senza costringere a voltar pagina e in cui già Te la faceva da usurpatore. Che V $ alta si trovi usata largamente in altri codici senza nessun motivo speciale, non fa nulla per gli amanuensi nostri. *) B il ae, seguito da un punto in G, non se ne vede provvisto in T ; il che sarebbe un indizio in favore dell' originarie tà di T,in quanto parrebbe ohe ivi il vocabolo fosse rimasto monco inavvertitamente. Sennonché, guar- dando bene, mi pare di scorgere che il punto ci fosse, e sia rimasto soffo- cato sotto il 6 del bum aggiunto dal Trissino. fruciu ecc. I, iv, 2 cade precisamente là dove dal recto della carta 19 si passa al verso^ sicché chi non avesse altri criteri che il testo, sarebbe tratto a ritenere V ascendente di T, ed anche di G, dovuto supplire nel margine; molto conformemente alla verità, come sap- piamo ! E venendo al caso nostro specifico, agli esempi che parlano per l' emanazione di T da G , se ne possono contrapporre taluni, che parrebbero indicare il rovescio: I, xvi, 4, T unum\\i pari^ G unum i parif per unum in impari (p. 95 1. 1); II, V, 3, T multipli' cantur \\ et pondus y G multipli cantur et pondus^ per muUiplicaninr multiplicatur et pondus (p. 188 1. 3-4); vii, 4, T JÌ^ten^j G et ten^, per etenim (p. 158, 1. 4). Cosi si noti, qual riscontro al legt, come II, IV, 7 la grafìa già menzionata a'tripetam, che la viva tendenza dell' « (/*) a costituire un nesso grafico con un t seguente fa subito apparir curiosa in G, sia invece naturale in T, dove la sillaba as cade in fin di linea, e di una linea che coll'« scritta alla maniera solita • avrebbe ecceduto il sao vero confine; e nell'idea di riportare a T { la ragione di siffatta peculiarità, si sarebbe confermati dal vedere che l' s alta, od esponente, non occorre, per quanto mi pare, in nes- | suno dei due codici altro che nella condizione stessa in cui T qui ce la offre, salvo che non sia addirittura una giunta ^). E in fin j di linea sta in T anche II, i, 5 il vocabolo monianiniSy a cui segue una grave corruzione (V. p. 110 1. 18 sgg.); che se poi un guasto peculiare a questo manoscritto manderebbe presto a vuoto la con- seguenza che se ne cavasse , ciò non toglie che il fatto abbia valore per noi, non intenti per nulla a voler derivare G da T, bensì unicamente a mostrare, su qual terreno infido ci si muova. Quanto * qui possa il caso, dirà un esempio davvero singolarissimo. non | segue forse II, vii, 6 che uno strano uè per uerbum (p. 162 1. 5, G 20** 1. 8) si trovi all'estremità del rigo in entrambi i codici *)? I BAPPORTI DI G K T CXXVII £ a conforto di ciò ohe si vien dicendo, allegherò una materialità apparentemente più significativa che non abbiano da sembrarci ora- mai quelle che si collegano colla divisione delle linee. II, ix, 5 è in G curiosamente erroneo un habitudinè (21^ 1. 5) per hahitudiney da cui il vicinato stesso doveva distogliere (V. p. 172 1 3). Orbene: in T 1' 6 finale di habitudinè si trova aver sopra nella linea antece- dente un se, del quale la coda gli posa sul capo, in modo da poter dare all' occhio l'illusione che s' abbia qui e' (12^ 1. 12). Pareggiate per questo rispetto le partite, cerchiamo altri dati che valgano a chiarire la questiono. E scrutando, ne troveremo di quelli, in forza dei quali rimane escluso che T possa esser copia diretta di O ^). Sul fatto generico che in un numero ragguardevole di luoghi T sia il solo a presentarci la lezione corretta, o ce ne pre- senti una meno scorretta che G o comunque preferibile alla sua, non voglio, dopo quanto s' è sperimentato por V , fondarmi troppo, nonostante il rilievo che vien fin d' ora ad aggiungergli la conside- razione della poca accuratezza di cui T ci ha già dato segno colle omissioni a lui proprie. Sorvolo qui dunque sul più dei casi '), com- presi quelli dove G ci lascia mancare qualcosa di necessario, o press' a poco, datoci da T, se questo qualcosa era di natura da po- ter essere supplito congetturalmente: m, II, ii, 3 ^) e vir, 6 (p. 117 e 163, 11. 1), quod II, v, 5 (p. 141 1. 1). Ma un supplemento con- getturale non 80 chi potrebbe vedere nel regulabant^ I, vii, 6, in un passo guasto anche altrimenti , e che rimase monco nelle stampe fino a che il Torri non ebbe ricorso a T e alla sua copia V, pur continuando a esser guasto fino al Witte ^). Posto che T proveuisse da G, converrebbe dunque ammettere che il regulabant fosse stato preso da qualche altro manoscritto; e ciò non potrebb' essere segaito 1) Gli è in qaesta forma che V ipotesi ò concepita o propugnata noi luogbi indicati a p. czxiit, n. 4. «) V. p. 28 1. 2-8, 84, 5, 35, 6, ♦86, 4, 'iS, 5, 47, 1, 58, 4, 54, 11, *78, 1, 75,4, n?,!, ib.,4, 78,8, ♦90.2, ♦ib.,3, ♦94,1, 108,2, ib., 4, ♦11G,2, *181,2 8, ♦134,4, ♦136,11, 140,1, 142,1, 144,8, ib.,9-10, ♦ib., 10, ♦140,2, ♦155,1, 156,7, 158,2, ib.,6, 159,2, 160,2, 161,4, 163,2, ib., 13, 167,8, 172,8, 174,1, 179,2, 194,18, ib.,17, 199,4. Ho tralasciato i casi prettamente ortografici, e insieme parecchi altri di correzione troppo ovvia. Con un asterisco ho distinto ciò che par meritevole di segnalazione speciale. ^ Si noti tuttavia come qui il Corbinelli, che aveva pure la guida della versione del Trissino dove V in si rifletteva, supplendolo, lo facesse nel margine del manoscritto precedere da un /[ortitan], 8i fa dunque molto onore alP antico amanuense, immaginando che a lui V in si affacciasse senza bisogno di aiuto. *) y. le note 2, 8, e anche 4, della p. 80. CXXVIII INTBODUZIOIVB altro che in un esemplare intermedio, nel qaale esso rivelasse la sua orìgine col presentarsi in forma di supplemento interlineare o marginale; che, quanto alla possibilità che V autore di T nell' atto stesso di eseguire la copia si fosse valso insieme di un secondo co- dice indipendente da G, non vuole cHe ci si pensi l' esiguità delle divergenze per cui G e T sì distinguono anche nei luoghi più pa- tentemente viziati e difettosi ^). £ il ragionamento e le soppoai- zioni che qui si fanno trovano conferma efficace in un altro passo : II, VI, 3. Ivi al disgressionis di G vediam contrapporsi da T disoretionù diagreaaionia (V. p. 144 1. 9-10), che costituiscono due lezioni, buona la prima, peculiare a questo codice , falsa invece la seconda comune all'altro ^). Ora, si potrebbe comprendere che, avendo G davanti, V autore di T ne prendesse dapprima disgressionis , e quindi, avvistosi in qualsivoglia maniera dell' errore, vi soggiun- gesse discretionis ] ma non si capisce in nessuna maniera che la lezione genuina preceda la spuria. Per renderci conto dell' ordine che qui abbiamo, e inoltre della circostanza che nessuna delle due parole sia stata cancellata in origine (se attualmente apparisce cancellata, com' era dovere, la seconda, l' essere passate entrambe in V mostra che la cancellazione avvenne solo nel cinquecento ^}, dobbiamo riportarci a un esemplare dove delle due lezioni Tana stesse, al modo indicato, nell'interlinea, o nel margine. Allora si spiega subito come, per un errore comunissimo, ciò che aveva a surrogare, venisse a confluire. À queste prove se ne aggiungono non so quante altre. Che del sènar di G, I, vii, 4 (p. 28 1. 10) non possa esser tìglio un sencar^ da doversi concepire di necessità come frantendimento di senear; che avendo dinanzi apemunij I, x, 6 (p. 52 1. 8, G 7^ 1. 18) ci fosse luogo bensì a correggere apennini^ ma non già a scrìvere apenium; sono argomenti viziati dal dubbio — sia pur minimo nel secondo caso — che invece di senear e apenium si riesca anche in T a leg- gere senear e apcnnini, E a forza d' argani si potrà forse lasciarsi tirare ad ammettere che I, vii, 6 (p. 31 1. 2) il trascrittore di T abbia creduto di leggere in G il suo eterum in luogo dell' etenim che vi s'ha chiaramente (5* 1. 4), e che xix, 2 (p. 103 1. 5) egli ^) Si noti tra questi II, i, 2 (V. p. HO 1. 4), dove la mancanza di una parola, non difficile da supplire in modo ragionevole, è indicata in ambedue i codici con uno spazio vuoto. ^) V. nella pagina citata la nota 8. 3) £ avvenne, diciam pure, per opera del Trissino, argomentandolo, do! pari che dalie ragioni generiche, dalP essersi egli attenuto al dùere* iionit nel volgarizzamento. EAPPORTI DI G E T OXXIX paia solo aver scritto, e non abbia inteso di scrivere in realtà, nU tentio o tu tentiOf non potuti uscire che da una grafia in ientio, lad- dove O Ha 2 tentio (13^ 1. 12). Ma chiunque metta gli occhi su Q o sul sao facsimile, vedrà che non ci son scappatoie I, vm, 2 (p. 33 1. 5) por il mendiolanem a cui in G, 5^ 1. 2, corrisponde meridionalem; non òi sono ix, 4 (p. 44 1. 6) per il mostruoso y*' o y'' *), di cui il n di G, 6^ 1. 2, ricusa la paternità; non II, vi, rubr. (p. 143 1. 2) per iVporiandi di fronte a poetandi^ 18" *); non xiii, 2 (p. 193 L 4) per ariialduSj di contro ad Arnaldus^ 23* 1. ult.\ E proprio si tratta qui sempre di spropositi che voglion essere ricondotti a pe- caliarità grafiche del modello. Guardiamo le cose un po' da vicino, tralasciando l'ultimo caso, per il quale, ogni schiarimento sarebbe superfluo. Che ri, come accade in mendiolaìiem^ sia letto n (la deforma- zione nella seconda parte del vocabolo è una metatesi dissimilatrice prodottasi per conseguenza), è cosa frequente; G stesso si trova per tal modo ad aver avuto nella sua condizione schietta I, v, 1 (S'* 1. 2 dal basso, p. 20 1. 9) sentiri^ deformato ulteriormente da T in sentimi per sentiri, e I, x, 8 (S" 1. 13, p. 55 1. 5) feranenseSf nell'altro co- dice non corretto neppure, per ferarienses ; ma perchè lo scambio avvenga, bisogna che delle due forme di r che anche G adopera pro- miscuamente, sia usata quella di cui invece per il mèri" esso non si è servito. Quanto al y^ o ìf, se le accidentalità che generarono lo sva- rione non sono precisabili, che s'abbia a fare con un'n, o con una sua emanazione, letta ^ ^)y e però con qualcosa di ben diverso da ciò che troviamo in G, è chiaro dalla lettera accompagnatrice posta in alto. Riguardo a portandi^ V essere portare un vocabolo quanto mai comune avrà favorito di certo il traviamento ; ma che un altro fatr tore siano da ritenere le apparenze simili ad r che un e viene in certi casi ad assumere, non par da mettere in dubbio. E mentre in condizioni come la nostra le assume facilmente in T, e le assu- meva del pari in un ascendente delio stesso G, come indica il por- iatttium, anch'esso per poetantium, II, ni, 8 (V. p. 126 1. 6), in G invece, nò le assume in questo luogo, nò inclina ad assumerle in *) DalPaltro sgorbio che s^accoppia con questo, giova far astrazione por Don complicare lo cose. ^) Nella riproduzione e' ò qui della nebbia, per essersi rimediato alla meglio air errore dell' aver dapprima stampato in nero ciò che doveva es- sere in rosso. 3) L' ipotesi più verosimile per rendersi conto del fatto, mi par es- sere che Vn sia stata creduta ti, diventando per conseguenza, giusta il costume, ij\ donde poi Vy in uno stadio posteriore. GXXX I»TRODUZIO»R generale^). Gli è T addossamento alla lettera antecedente che di- spone all'abbaglio; tin addossamento per cui, se un trascrittore tanto quanto sbadato può esser condotto a confondere oe con or^ anche l' osservatore più attento non riesce a volte a discemere se r intenzione sia stata di scrivere oe oppure ee, oc od ec*). A que- sta medesima causa sarà pertanto naturale che si riporti I, xvi, 3 (p. 92 1. 5) l'assurdo hec di T, di fronte all'hoc nettissimo di O, 12^ 1. 1. Che se invece si preferisse immaginare che T amanuense dì T abbia avuto dinanzi un equivoco h\ la conseguenza sarebbe pur sempre identica. S' abbia ancora un rinforzo. Con Q non e' arriva a spiegare in che maniera in una delle due frasi che esemplificano la parlata senese y I, xiii, 2 (p. 74 1. 2), T abbia i chesto in cambio di chesto (10^ 1. 3): una spiegazione che un codice dove ciò che precede cadesse in fin di linea ci somministra senza alcuna diffi- coltà *). I, XVII, 3 (p. 98 1. 6) il constretonibua di T suppone bene un consftònìbus^ anziché il constHionibus che G ci presenta (12^ 1. 9). Il curiosissimo prof edum-perf ecium che abbiamo in T n, II, 2 (V. p. 116 1. 2) dev'essere nato da una correzione sovrap- postasi al fifectum che in G rimane incontestato (15^ marg.); ora, la correzione non può essere stata introdotta primamente nello stesso T, dacché ivi l'abbreviazione che dice prò é originaria, e se mai sarebbe il taglio, fattore dei per, che comporterebbe di essere creduto posteriore. Cosi senza dubbio V en de eadem, ancor esso di T, II, V, 2 (p. 137, 1. 1), per risalire aW eirdeeadem di G (17'' 1. 10) avrebbe bisogno, nella migliore ipotesi, di im mediatore dove si fosse corretto a dovere endecadem dando poi luogo a un frantendimento per parte di T. E terminerò con un indizio di ge- nere diverso, molto significatilo ancor esso, se ben si guarda. L'esem- plare di T dovrebbe darci ragione, e G non ce la dà in nessuna 1) Si confronti nella pagina di saggio il poetando di T, 1. 13, con quello di G-, 1. 4. E la somigliansa del poe di T con por sarà subito ac- cresciuta , non appena s'immagini che la curvatura inferiore delire si prolunghi meno, come segue spesso. Bensì neppure in G ci sarebbe, vice- versa, da meravigliarsi di or presi per oe, come subito dice il eorada, 1. 3. ^) Non riuscirebbe in T, cosi noi poetando indicato dianzi come nel poetasse dell* ultimo rigo, se non fosse il rimanente del vocabolo ; e que- sto sussidio venendo a mancare, non c^ò verso di riuscirci per ben duo volte II, XII, 7 (p. 188 1. 7 sg.)* ^ ^osl non ci sono riuscito in G-, per solito non ambiguo, I, vii, 4 (p. 2S 1. 10; 4^ 1. 18 nel ms.). Dell* ambiguità in un suo ascondente G ci fa sentire gli effetti II, iv, 8 (p. 181 1. 2-8 ; IG^ 1. penultima). ^) Si vedano le ultime due righe della nota 6 nella pag. cit., e si cfr. p. 154 n. 1. RAPPORTI DI G B T OXXXI maniera (13' 1. penultima), come mai nella rubrìca del capitolo I, xix (p. 101 1. 9) il trascrittore abbia lasciato un vuoto, capace di un vocabolo di ben tre sillabe, tirandosi con ciò addosso il guaio di dover poi riversare sul margine V ultima parola tutta intera ^). Ma se T non è copia immediata di G, c'è sempre adito a pen- sare che ne sia nondimeno emanato attraverso a qualche altro apo- grafo. Certo, ridotti a considerare le cose in questa maniera, l' essere le apparenze di T un poco più arcaiche che quelle di G'), comincia ad essere d'inciampo. Poiché, se in cose di cotal genere bisogna diffidare e del giudizio proprio e dell' altrui, e se V arcaismo è ben lontano dall' esser tutt'uno coli' antichità, potendo dipendere da con- dizioni geografiche e individuali, la corda, colla necessità in cui si viene di aumentare l'intervallo nessuno saprebbe dire di quanto, corre rischio di esser tirata in maniera da finir per strapparsi Ed anche per l'antichità assoluta di T s'ha un argomento nella serie de' suoi vecchi possessori';, della quale, si badi, non è neppur ve- rosimile che noi si conosca proprio il principio. Ma per quanto ra- gioni siffatte vogliano esser tenute a calcolo, non sono esse di certo che posson bastare a risolvere questioni come l' attuale. Occorrono dati d'indole più positiva. Bensì è da riconoscere che qualche suffragio alla stessa causa è dato da taluno dei fatti che son venuti ad escludere l' emanazione diretta : dal regulabant, se si considera la scarsa probabilità che supplendo di proposito questo vocabolo non si provvedesse a cor- reggere in pari tempo l'attiguo tuillis o tiullis] dall' en de eadeniy ben maggiore verosimiglianza della spiegazione addotta avendone un' altra, che cioè l' en in cambio dell' eir^ in un vocabolo rimasto pur sempre corrotto, e che nella corruzione concorda in parte con G, provenga dalle radici, e non da un innesto. E condizioni analoghe a questa, e da non permettere facilmente di svignarsela, ci si offrono altrove. I, xviii, 1 (p. 99 1. 10, G 13* 1. 1-2) exiupa poteva correg- gersi in exHrpat'f ma non è lecito attribuire la restituzione dell'ir a chi della mancanza della consonante finale non s'accorgeva e dell'ex faceva et*). Similmente non ricondurremo II, i, 7 (p, 112 ') G£r p. xzziv. Se non erro, s^era prima creduto di terminare con ofpeUatury e scritto un punto (P asticella che lo avrebbe dovuto seguire, non ancora), dì cui mi par di scorger le tracce nellW di lalinum. Mi son domandato se tra le due anomalie potesse esserci un rapporto ; ma non ne ho scorto il come. *) V. p. zxxxii. 3) V. p. XXZIT. *) Che surrogando ir air u neppure il CorbineUi aggiungesse nel co- CXXXII INTRODUZIOKB 1. 15) sAV epiphyaru7n di G (14* 1. 12) V epiphytum di T, ancor esso più corretto per un verso, più erroneo per un altro. Troppo naturale che prenda sempre maggior consistenza l'idea della de- rivazione indipendente da un ascendente comune, atta a spiegare in maniera semplicissima le cose che si vengono osservando. E gl'indizi si moltiplicano. I, vri, 2 (p. 26 1. 11) Vatui di T, per ad tui, mal si lascia ricondurre a,\V actui di G (4* 1. 5), errato del pari, ma che costituisce almeno un vocabolo latino. -^ x^ 4 (p. 51 1. 3) una conciliazione verosimile tra V ad e V et dei nostri codici non so vederla se non in un ac^ da collocarsi più su che G. — a chi potrebbe mai essere caduto in mente, XI, 3 (p. 58 1. 2), di convertire il siate di G in sciotej dentro ad un contesto incom- prensibile, che il sciate non contribuiva certo a snebbiare? Natu- rale invece, per la ragione opposta, il passaggio da sciate a siate, — XIV, 2 (p. 77 1. 3) il mollitine datoci da T, ancorché meno di- scosto del suo competitore inullitine o che altro si voglia (10^ 1. pe- nultima), dall'originario mollitudinem, ne ò pur sempre troppo remoto per potersi gabellare come correzione'). Ma c'è di meglio. S' incontrano casi in cui la lezione originaria esce propriamente ni- tida di sotto a uno sproposito di T, e di sotto ad esso soltanto. I, vili, 3 (p. 34 1. 1) imundice diventa senza lasciare alcun residuo e senza che nulla manchi in uindicef mentre l' inundice di G (ò'' 1. 5) contiene un'asta meno del dovere. Che se per so varrebbe meno, perchè sepolto in strati meno profondi, il contrarus = con- trariì's I, XIV, 2 (p. 77 1. 1-2), lo rende oltremodo prezioso il ca- rattere di alterazione, altrettanto naturale quanto disgraziata, del contrarius che G gli mette a fronte (10", 1. 4 dal basso). Non dis- simile la condizione del pose, II, n, G (p. 121 1. 2), se tale è real- mente'), per posCj di fronte al posse (15* 1. 18); che se mai in T si fosse inteso di scrivere pose, la piena ignoranza del prò ven- dico il l, nasce dalla circostanza peculiari sei ma che ivi T ultima sillaba della parola cada in un^altra linea. ') Dal mcttiriB-motine^ che sta por lo stesso vocabolo e per la stessa forma xv, 3 (p. 83 1. 4), non e* è invece da cavar nulla. Chiaro come il ri sia pervertimento di n (cfr. il fatto inverso, p. cxxix), e come dunque por questo rispetto G si trovi incontestabilmente in vantaggio. Quanto air«, potrebV essere stato sostituito a uno 3 inteso erroneamente per 9 anziché per m; e allora T conserverebbe ancor esso un suo proprio residuo della parola primitiva ; ma è senza confronto più probabile che in quolP s non sia da vedere se non con frantendimento di e, sicchÒ si faccia capo in tutto alla lezione di G. 2) Che sia, osservando e riosservando, mi pare anche graficamente probabilissimo. RAPPORTI DI G R T CXXXra zale che domina al modo stesso in ambedue i codicip ci coslrin- gerebbe sempre a ravvisarvi una lezione trascritta, non già rista- bilita. E di cotale ignoranza raccogliamo altri frutti non meno succosi. Nel paragrafo stesso (p. cit., 1. 3) il clanur di T, non pago di correggere il d iniziale del damir di Q (1. 20), si dà la briga d' illustrarcene il nascimento colla forma stessa delle sue lettere *). E più oltre, vi, 6 (p. 149 1. 2), sono sgorbi preziosi sobf^ fan e soht fan (Q 19^^ 1. 2). Che sa in questi due ultimi casi alla restituzione dei primitivi clairir e sobraffan partecipano entrambi i manoscritti, e dal ravvicinamento di ciò che essi ci presentano risulta qualcosa che somiglia molto al vero, ma non proprio la ve- rità schietta, la dimostrazione dell' indipendenza non fa che riuscire viepiù stringente e sicura. E ai dati forniti dal provenzale ne sog- giungo uno di genere analogo, ancor più conclusivo, se è possibile. I segni di richiamo, che hanno pervertito in due punti il testo II, XII (p. 188 1. 7 tìg.), pur essendo anche in T divenuti delle sillabe, vi si sono alterati meno che in G. Il primo di essi vi apparisce quale ce, non come oc; che se il secondo par divenuto oc ivi pure, in questo luogo G ne ha fatto ce (23* 1. 8), vale a dir circa. Un'azione coscientemente correttrice per parte di T, o di chi al- tri mai si voglia della sua stirpe, è qui, come si vede da ognuno, fuori affatto di questione. Coscienti bensì le azioni pervertitrici, più manifeste in G, colle quali si tende a dare un senso a ciò che non ne aveva. Questi argomenti sono di tal forza, da non ammettere dubbio. Ma in questioni di cotal genere non si abbonda mai abbastanza. Uiescon dunque ben graditi dei luoghi, dove T ci offre la chiave degli errori che troviamo in G. Come mai G, II, ii, 5 e vi, 1 (15* 1. 10 e 18" 1. penultima, p. 120 1. 6 e 144 1. 2-3), ha uidet per uidelicet? — Per nessun altro motivo, che per una falsa risoluzione dell* equivoco uidj che ci è presentato da T, macchiatosi esso stesso della medesima colpa I, x, 6 e II, vi, 6 (p. 54 l. 3-4 e p. 153 1. 2). E come mai II, ii, 6 (p. 121 1. 3), in un verso di Girardo di Bor- nelh, sola (15* l. 20) per solaz? — Perchè qui al segno j, che an- che stavolta T ci mette sotto gli occhi inalterato, s' è attribuito il valore di m, che esso aveva sempre noli' uscita delle parole latine quando valeva per una lettera sola, cioè per quel motivo stesso per cui qualche parola innanzi ambedue i manoscritti portano brancu invece di brancuz. <) E un complemento d' illustraBione raggiunge V, convertendo an- cor osso in danur il clanur del modello. OXXXIV INTBODUZIONE Più spesso accade che V errore sia bensì comune ai due codici, ma che esso venga ad aggravarsi in G mediante lo scioglimento od una modificazione di compendi, che lasciati invece stare quali si presentano in T , ci conducono molto prossimi alla lezione corretta : G T Lezione da presumere I, m, 2 contemptiones contèptiones conceptiones vili, 3 si è (= si est) stè ( — 8 ine) siue », 6 quoqj h V. p. 63, n. 4 *) XIX, 1 est e €è ( — esse) II, n, 2 esset enim eèt enim è et enim » 3 qui « a> IV, 1 sicut 5 te sii 7 hanc hòc haey hde ( — habere) VII, 2 qui admod* ^ admod' i admod^ XII, 10 habitudinè kabùudie^ habitudie qj Qui parlano gli errori: talora trovan modo di parlare anche le correzioni buone, o almeno ragionevoli, sfingi mute per solito. Parlano, cioè, quando risulta propriamente che esse siano state in- trodotte da uno dei nostri trascrittori, dipartendosi da una lezione che neir altro codice si sia mantenuta. E in G che quest'azione correttrice si rivela. Che se gli esempi, già accennati in parte ad altro proposito ') , non son molti , né tutti sicuri , è un gran che il poterne assodare qualcuno, mal sapendosi desiderare una prova più luminosa. Non mi affiderò troppo al dijabolo I, iv, 2 (2^ 1. 17, p. 14 1. 4), corretto su un dyabulo^ che riscontra col diabulo di T ; non mi ci affiderò troppo, potendo dir solo probabile, non sicuro, che la correzione sia originaria^). Un'incertezza d'altro genere mi vieta di fare assegnamento su I, IX, 2 (p. 39 1. 1), dove l'ultima let- tera del gradimur di G^) dà qualche sospetto di essere uscita da un pentimento ; il che se fosse davvero , ci sarebbe molta ragione di pensare che si stesse per darci gradtmusj a quel modo che gradim* — suo equivalente — abbiamo in T. Ma poco più oltre, IX, 5 (p. 45 L 11), quando ci s' imbatte in un obliuio di cui Vo iniziale 1) C è fors* anche la possibilità di pensare a un compendio in oui nemmeno il j mancasse, qaal rappresentante delP m finale di quidem, *) V. p. cxvi. ^ Un dubbio consimile, per quanto tenue, vizia le conseguenze a cai darebbe luogo Vinierpelratur-inlerpretatur I, vi, 5 (p. 25 1. 9). *) G" 1. 18; ma qui non o^ è da scorger nulla, altro che sul codice. RAPPORTI DI G E T CXXXV si ò sovrapposto a un n (6^ 1. 12), e si vede che T porta a ohliuio, non si può rattenersi dalla persuasione che in G pure si stesse per mettere a oblìuio, ossia che cosi leggesse l'esemplare. Né dubiteremo che nella rubrica del capitolo xi (p. 56 LI) l'esemplare non avesse ìncomtunif che, al modo stesso com'è la scrittura di T, era pur quella di Q prima che V amanuense aggiungesse sopra la linea un p da inserire dinanzi al t (8"'). Anche xn, 7 (p. 68 1. 10), se ora abbiam terrigene (9^ 1. 7), s' era scritto dapprima terrigi-f che ri- sponde al terrigme di T ^). Pare che l' i sia stato convertito in e prima ancora di soggiungere la lettera segaente; e ciò che qui pare, può dirsi sicuro *) II, xu, 8 (p. 190 1. 2) per l' a mutato an- cor esso in e di un extra- (23^ 1. 13), che ci avrebbe dato extrama, non altrimenti da ciò che reca l'altro codice: circostanza di rilievo, perchè toglie assolutamente di mezzo ogni dubbio che trascrittore e correttore non siano qui tutt'uno. A questo grado di certezza non s'arriva invece per il ^, surrogato a un quo^ comune a T, che ho tenuto^ per ultimo, e che nel codice invece ha il primo luo- go, I, i, 4 (1* 1. 25, p. 5 1. 2). A me par dovuto esso pure a chi trascrisse. Oltre air indizio deUa lineetta ondulata che riempie lo spazio vuoto '), suffragano l' identità i confronti con altri ^, I, xn, 6 (9* 1. 4, p. 68 1. 7) e H, xi, 5 (22* 1. 10, p. 181 1. 1). Ma quand' anche la mano fosse diversa, poco ci si perderebbe per l'uso attuale. Dei due termini di paragone che si sono addotti, il secondo, che ci dà il 93 come sostituzione dì un quosj riesce in tutto so- migliante a tal segno, da non potersi staccare dal ^ nostro altro che con violenza^); ed ivi T non porta per nulla affatto quos, bensì quoque {quoj)] mentre, posta la discendenza da G, dovremmo li aver quos, oppure dovremmo aver quoque^ cioè la lezione seriore, anche nel primo capitolo, a seconda che T si supponesse derivato da G prima o dopo che l'azione correttrice vi si esercitasse. <) Che poi r esemplare portasse terrigine, o invece terriginie, corno si stava scrìvendo in T, per noi fa il medesimo. ^ Si badi come nel primo caso V n sia un pochino più lontana di ciò che converrebbe ali* », e nelP altro V m incontestabilmente troppo ad- dossata all' a della scrittura originaria. 3) V. p. XV. *) Alla somiglianza grafica, s* aggiunge che in entrambi i casi si sia ricorso al compendio qj , mentre il quo- della scrittura primitiva invitava a un quo3, che avrebbe anche avuto il vantaggio di non lasciar spazi resi- dui; inoltre, che avendosi questi residui, si siano riempiti al modo stesso colla lineetta ondulata. Mi duole che nella riproduzione fototipica la cat- tiva riuscita della prima pagina, e 22^ la troppa evidenza che la fototipia ha ridato alle lettere cancellate, non permetta a chiunque di veder netta- mente le cose cogli occhi proprii. CXXXVI INTRODUZIONE Son cosi venuto a mettere il piede sul terreno delle modifica- zioni subite dal testo primitivo di G: un terreno di natura particolare, e dove, come sappiamo da un pezzo ') e come s* è visto anche ora, i rami crescono tutti < nodosi e involti >, sicché è tornato oppor- tuno di serbare all' ultimo la notizia (la notizia, beninteso, non l'ac- certamento) delle risultanze che 1' esplorazione di questa parte viene a dare. Le conclusioni, per essere più involute, non sono tuttala diverse nient' affatto da quelle che si ricavano d'altronde. Siano quali si vogliano le mani da cui le modificazioni provengono, non e* è verso di immaginare ragionevolmente un tempo in cui il testo rappresentatoci da T sia potuto uscire da Q. Si guardi II, v, 2 (p. 137 1. 3-4, G 17^ 1. 12). Nella trascrizione originaria dall'enu- merazione dei versi maggiormente usati dai poeti italiani erano spariti l' ettasillabo e l' endecasillabo, rimanendo solo a spadroneg- giare il pentasillabo. L'errore madomalissimo fu voluto correggere; all'endecasillabo fu dato luogo nello spazio interlineare; ma in- vece di provvedere alla stessa maniera, oppure approfittando del margine, all'ettasillabo, si converti in eptasilahum il pentasilàbum^ sicché quest'ultimo si trovò espulso. Cosi G ci offre una fase col solo pentasillabo, ed una coli' ettasillabo e l' endecasillabo senza pentasillabo , cui potrebbe aggiungersene una con pentasillabo ed endecasillabo senza ettasillabo, quando piacesse di supporre che la correzione di penta- in epta- accadesse indipendentemente, dopo l'aggiunta fra le linee. Ora, di queste fasi nessuna corrisponde a T, che ci presenta debitamente tutti e tre i versi, senza titubanze, senza ravvedimento di alcuna sorte, sicché l'unico scampo dovrebbe cercarsi nella supposizione che al guasto si fosse rimediato a do- vere in un manoscritto intermedio. E diamoci a scorrere tutte le altre giunte interlineari e mar- ginali colla miglior volontà di mettere d'accordo i fatti coli' idea della figliazione. Delle varianti, compresa la seconda rubrica per il e. XV del 1. I, (p. 47 1. 3, 48 1. 14, 56 1. 4, e 81 1. 7), e simil- mente delle note intose a segnalare il contenuto (p. 45 1. 4, 55 l. 3, 79 1. 2 e 7), non s'ha nulla in T ? — La cosa comporta, nonché una, due spiegazioni: il derivatore, se cosi posso chia- marlo, non so le trovò ancora davanti, oppure, per quanto soglia mostrarcisi lavoratore materiale, non credette che fossero roba di cui tener conto. — Solo la prima spiegazione apparisce ragionevole per la mancanza àeM^ incipit secundus liber (p. 107 1. 1)? — C'è da contentarsene. — Quanto ai supplementi '), T in generale non li «) V. p. XV sgg. 2) Si veda p. xv-xvi, o p. xvii. EAPPOBTI DI G E T CXXXVII ignora per nulla : e noi tie deduiTomo che erano già stati introdotti in G*). — Per contro, trovando che il de fructu lignorum que sunt in paradiso vescimur e V ipsum del capitolo IV del libro I (p. 14 1. 4-5 e p. 16 1. 1) in T non sono passati, ci limiteremo a dichia- rarli posteriori alla trascrizione. — Sennonché s' è poi costretti a rammentarsi come nel de fntctu ecc. ci siano tratti che accomunano in modo assolutamente indubitato questa giunta colle più cospicue dell'altra categoria*). £ allora si vede come dalla stretta non ci sarebbe modo di cavarsi altro che con arzigogoli, come a dire sup- ponendo che l'autore delle giunte ne apponesse talune prima, ta- lune più tardi, e che proprio nel frattempo la ramificazione T ve- nisse a rampollarne. E le due che s'affacciano prime dovrebbero esser venute le ultime, nonostante l'imperiosità colla quale la maggiore era domandata dal contesto. Questa imperiosità, aggiunta all'evidenza materiale del modo come il supplemento è introdotto nel codice, svoglierà, credo, ognuno dall' appigliarsi ad un altro partito, concepibile per essa soltanto, non già per 1' ipsum scritto fra le linee : che cioè fosse poi saltata sbadatamente. Ma qai è pur doveroso domandare a noi stessi, in che modo, posta l' indipendenza di T da G, si spieghi il fatto che parole man- canti in T siano mancate anche nella trascrizione originaria di G. — Se s'avesse a render conto solo del de fructu ecc., di cui l'omis- sione, trae il suo perchè dal ripetersi a breve intervallo dell'espres- sione appunto de fructu, non sarebbe illecito supporre che il me- ') Di semplicemente difensiva, questa dedazione tenderà in qualche caso a diventare offensiva. II, viii, 7 (p. 167 1. 8) 1* amanuense di G aveva scritto solo exceUntiam, tralasciando un super ; e il super fu sup- plito nell^ interlinea. O non parrebbe naturale di vedere in ciò la ra- gione per cai in T s' ha super excellerUiam ben staccato ? — Parrebbe : ma lasciando stare che lo scrivere separate lo preposizioni nei composti è frequentissimo nei nostri codici, avviene per buona sorte che proprio il medesimo vocabolo occorra del pari alcune righe prima e alcune dopo, e che i due codici ce lo presentino spezzato ambedue le volte (§ 6 e 8, p. 167 1. 2 e 169 1. 2). Cosicché ciò che viene inculcato anche stavolta (cfr. p. CZX/-V1]) è la necessità di una grande cautela e oculatezza. Ed es- sendo oculati, non ci sarà neppure da lasciarsi pigliare air amo dalP* di disgressionis (Y . p. zvii) , data V ipotesi, non molto probabile, ma da met- tere pur sempre in conto, che appartenesse ad altri che al trascrittore. Certo, considerata di per se, una grafia cosi anomala ha tutta V aria di un^ aberrazione individuale, sicchò il suo specchiarsi in T par fornire un indizio non lieve di derivazione. Ma nel caso presente essa costituisco invece un residuo fuorviato della lezione genuina (V. p. 144 n. 3) ; e poro, quand'anche la mano che ce la dà fosse quella di un correttore, vorrebbe sempre credersi presa dalla tradizione. *) V. p. XVI. OTXXVni INTROIXJZIONE desimo effetto si producesse indipendentemeate due volte, a quel modo ohe qualcosa di affatto analogo stava bene per seguire LE, iv, 4 (p. 182 1. 8-4), se il trascrittore di G non si fosse ravveduto a tempo. Sennonché è desiderabile ohe V ipsum , accomunato col de fructu dalla prossimità locale e dall'identità della condizione di fronte a T, non sia abbandonato a so stesso. E allora si può pen- sare che le due giunte siano congetturali; il ohe toglierebbe ogni valore eAVipaum, non necessario^), mentre non ne scemerebbe punto al defrueùu, complemento indispensabile in un passo preso testualmente dalla Bibbia. Ma ò altrettanto ammissibile che entrambi i supplementi provengano da un altro codice, a quel modo che forse ne provengono più oltre il comunicasse^ il venemur, V eQoUteute^ e la seconda rubrica del capitolo I, xv. Che se qui, invece ohe delle va- rianti, si volessero vedere delle correzioni personali'), sarebbe al- l'altra ipotesi che il riscontro verrebbe in appoggio. Per noi, venga poi all'una o all'altra, esso torna gradito del pari, contribuendo sempre ad allargare un passaggio, ohe deve semtouroi ben ampio al paragone delle fessure attraverso a cui bisognerebbe forzare Tipo- tesi della derivazione. E si forzerebbe, perchè poi, uscita all' aperto si trovasse subito fatta a pezzi dalla numerosa e poderosa schiera degli argomenti che si son prima passati in rassegna. Sicché i rapporti di Gt con T sono d'altro genere che di asoen- denza. Diventa allora viepiù verosimile che non siano fallaci gl'indizi da cui si sarebbe inclinati a giudicare T di qualche poco anteriore. Ma quand' anche a Gr non spettasse il primato del tempo, gli reste- rebbe incontestato quello, che solo importa davvero, della lezione. G ci dà un testo più integro : le lacune sue particolari sono ben pic- cola cosa al paragone di quelle peculiari a T. Che se la nuiggiore integrità è 1' effetto dei supplementi interlineari e marginali *), di cui rimane incerto a che mano siano dovuti, ciò non distrugge il fatto quale risulta dallo stato attuale delle cose. Ed anche si badi essere più frequenti nell'amanuense di T i casi di errori tolti di mezzo soltanto da un ravvedimento non tardo *). Stabilita la coUateralità dei nostri codici, nasce desiderio di sa- pore, se essi siano, oppur no, copia diretta di un medesimo originale. V. p. 16, n. 2. ') Jj^ aliterf ohe fa in duo casi da introdattore, non si opporrebbe por nulla;. dacché cosi questa voce, come la sua sorella cUias^ si adoperavano indifferentemente sia ohe uno prendesse d* altronde, sia ohe corrogg:esso di suo capo. L* uso proprio, che é manifestamente il primo, produsse r improprio. ^) Cfr. p. xv-xvi con p, cz-cxi. ■*) V. p. iixiv. n RAPPORTO DI Gr E T CXXXIX La loro affinità quanto mai stretta ^) inclinerebbe a credere che si ; eppnre, aguzzando bene gli occhi, si è tratti a dubitarne assai. Si paragoni un opetW di Q, I, xvi, 2 (11* 1. 20, p. 90, 1. 3), col os^r di T, legìttimo compendio della lezione buona comparentur. Chiaro che il 'pet' è da ritenere lettura erronea di un -per- disteso *). Ora, si vorrà mai credere che l' ascendente comune avesse ^perèCj e che il ^, mediante il quale il -per^j nel tempo stesso che compendiato, veniva anche ad essere implicitamente corretto , sia opera di T ? La cosa è assai poco probabile : ben altrimenti verosimile che colà si avesse la rappresentazione portata da T, la quale, si badi bene, dobbiamo di necessità trovare in un progenitore, se vogliamo ren- derci conto dell' offesa patita dal -par-. Sicché per O sarebbe da ammettere un anello intermedio. Un altro caso accenna a un intermediario per l'uno o per l'altro codice, senza determinare per quale. U, vili, 1 (p. 168 1. 10), al posto di uelut o uelud G ha Vnd (20^ 1. 20), che presuppone Vudj T ilVd^ da riportarsi, par bene, a ul'd. Però, a seconda che il pro- genitore comune avesse Pud oppure uVdj la probabilità somma di un anello in cui si presentasse l'altro compendio si manifesta per questo per quel manoscritto. Questo dato e l'antecedente sono anche nuovi rincalzi per la non derivazione di T da G. L* importanza di siffatto problema è quasi solo teoretica. Bon altra ne ha la certezza che il comune progenitore — che chiamerò x — rappresentava già una tradizione assai turbata, come provano, insie- me colle non poche lacune , lievi e non lievi ^) , i tanti spropositi a cui G e T partecipano del pari. E degli spropositi esso ne conteneva sicuramente in numero maggiore. Già, che chi trascrive s'ingegni poco tanto di correggere, pur riuscendo molte volte a ben altro, è cosa che sempre avviene e che sempre si deve supporre, anche se in generale la copia abbia carattere di materialità ; che i trascrit- tori rassomiglian tutti più o meno a quello di V ^), ossia son gente in cui sonno e veglia, lavoro incosciente e cosciente, si vanno alter- *) V. p. CXXIY-ZZV. «) Si ofr., per quanto sia superfluo, II, vii, 2 e 4 rehurta (p. 15G 1. 7 e 158 1. 3), ib. 3 eribaU (p. 157 1. 3), comuni a a T, per rehuì^a, cribare, E si badi altresì a cosa abbia dato origine immutabili^ se, come non mi par dubbio, ò questa la legione vera, I, ix, G (p. 47 1. 2). s) V. p. 21 n. 3, 27 n. 2, 31 1. 10, 44 n. 1, 78 n. 5, 8G n. 8. 88 n. 1, 89 n. 8, 92 n. 1, 110 n. 1, 117 1. 1, 118 n. 1, 119 n. 2, 12G n. 2, 129 n. 2, 183 n. 1, 170 n. 6, 179 n. 1, 183 n. 1, ia5 n. 5, 18G n. 4, 187 n. 3, 188 n. 4, 190 n. 1, 197 n. 2, 199 n. 5. E V. altresì p. 18 n. 1, 66 n. 2, 117 n. 7, 14(3 n. 3, 190 n. 3. <) V. p. cxxii. CXL INTRODUZIONE nando. Ma poi, una tendenza correttrice noi F abbiamo in G colta proprio sul fatto ^). E anche la tradizione peculiare di T ci presenta di cotale tendenza qualche traccia da potersi dire sicura. Tale ò a mio credere il nariy che II, i, 7 racconcia senza restituire '). £ un esempio di correzione da attribuirsi con molta probabilità al- l' esecutore stesso di questo codice , sono i segni di richiamo diretti a riportare II, vi, 5 (p. 150) nella sua vera sede l'allegazione di Amerigo di Peguilhan. Posteriori non parrebbero; e presi dall'esem- plare non son da credere, perchè il posto di cui si devono conten- tare indica che furono inseriti dopo scritte le parole a cui si rife- riscono. E qui soggiungo un corollario. Una volta che in x avevano ad esserci errori che i nostri due codici non hanno più comuni (pa- recchi probabilmente tra quelli che si rilevano nell'uno o nell'altro soltanto), non è da meravigliarsi che i comuni restino molti pur sempre ancorché il rapporto tra i codici non sia di discendenza. ') Quanta parte nel pervertimento — un pervertimento nel quale già figuravano anche correzioni indebite *) — abbia avuto il trascrittore di X , è impossibile determinare ; ma eh' egli copiasse direttamente dall'autografo, nessuno vorrebbe credere. E se ne possono scorgere anche indizi speciali. Tale sarebbe l' aohliuio od a obliuio che vi si doveva leggere, se la genesi dell' errore fu quale ho avuto a imma- ginarla; una genesi ch'io attribuisco analoga (V. p. 19, n. 2), con analoghe conseguenze, anche agli strani personeatf fulgoreaty I, IV, 5. Si considerino inoltre le rubriche. La mala rispondenza col contenuto le chiarisce nel modo più patente roba tntt' altro che dan- tesca ; e frattanto in x si leggevano già alterate in più di un caso. Se le alterazioni fossero solo del genere di quella per cui I, xni, a proposito del parlar toscano, fu sostituito excelens a un aggettivo di significato diametralmente opposto ^) , potrebbero attribuirsi a un lettore, e però non ci sarebbe qui da ricavarne nulla *) ; ma II, V. p. cxxxiv-ixxv. <) y. p. 112, n. 5. Un altro esempio, ma non cosi sicuro, sarà bene il per nel verso di Girardo di Bornolh II, ii, 6 (p. 121, n. 8), dovondofti ritenere affatto inverosimile che venga da Dante, e poco verosimile che sia ripetizione del per con cui il verso principia. E si veda altresì oiò che è detto nella n. 1 della p. 179-80, verso la fine. 3) Cfr. p. cxxiv. '*) Esempio sicuro il diere»im per diesim II, xix, 9 e xiii, 4 (p. 191 1. 2 e 19i 1. 16). Alquanto diverso ò il caso déìVexeeUnSj di cui parlo sotto. 5) V. p. 69, n. 7. ^) E nulla oserei ricavare neppure dalla cacografia àélV exfelens j quan- d'anche risalisse propriamente a un nativo della Toscana. E nulla altresì dalla inverosimiglianza che le rubriche , por infelici che siano , spettino a RAPPORTI DI Gr E T CXLI IX ^) ci troviam proprio in cospetto di un errore di trascrizione. !Nò davvero io mi saprei neppnr contentare di mettere fra l'autografo ed X nn solo mediatore. e) La tradizione diplomatica e i suoi intpgramenti. Studiata a questo modo la schiatta, toma opportuno metterne sotto gli occhi la rappresentazione grafica. Chiamo a l'autografo, e segno con linee interrotte le figliazioni indirette, o che non si la- sciano accertare dirette. Di quel pochissimo che in G venne forse a confluire d'altronde che da x (pochissimo, giacché i supplementi comuni a T sono da ritenere fomiti da un confronto coli' esemplare stesso su cui era stata eseguita la copia), non istò a tener conto, riuscendomi impossibile precisare le cose. Includo, naturalmente, nello schema anche l' edizione principe e le versioni. a I I I I \ ■ i I vero, del Tr« 0(1. Ckirb. yen. dol Citt. Chiare troppo le conseguenze che emanano da questo stato di cose rispetto al metodo da seguire per la costituzione del testo. Il confronto di O e T ci dà modo in generale di ricostmire a?, a cui possiamo attribuire con sicurezza, o press' a poco, tutto ciò che è comune ai due codici, e tutto quello del pari, che, essendo portato un trascrittore, che, inetto sempre, apparirebbe pia inetto che mai, se dovesse rimaner solo a sopportare il peso di tutta la corruzione venutasi a introdurre nel testo; giacché nulla vieterebbe ch^ egli lasciasse soltanto lo spazio, e che le rubriche fossero aggiunte da altri, come a dire da chi gli aveva commesso la copia. P* 169, n. 5. y. anche II, in (p. 122, n. 5), vii (p. 154, n. 5). CXLTI INTRODUZIONE da uno solo, ci rende nondimeno ragione della lezione dell'altro. Tale è il caso di molte forme abbreviate , causa ben ovvia di errore. Ma arrivati ad Xj non abbiamo ancorai come e' è detto, che un testo molto viziato. Per spingerci più su, salvo qualche caso rarissimo, dobbiamo ricorrere alla critica congetturale. Alla critica congetturale : non a quella sua falsa parente , che un tempo non si sapeva neppur distinguere da essa, e che ancora qui da noi ne usurpa tanto spesso l'ufficio. Costei si permette di sostituire a ogni cosa qualunque altra cosa che le paia star meglio ; la vera crìtica congetturale , e non si crede lecito d' intervenire se non quando l'ermeneutica abbia dovuto riconoscere la propria insuf- ficienza, e si fonda fin dove può sulle r&giooi paleografiche. Ogni- qualvolta, cioè, s'ha dinanzi uno sbaglio, bisogna domandarsi (mi si conceda di dir cose superflue per certuni , poiché , pur troppo , non son superflue per tutti) cosa possa avergli dato nascimento. La ri- cerca dell'origine si deve fondare, parte sulla conoscenza dei feno- meni generali che si producono in qualsivoglia lavoro di trascrizione; parte invece sopra lo studio di condizioni speciali Sono dunque da distinguere due classi di erròrì. Appartengono alla prìma le omis- sioni a cui dà luogo il ripetersi a breve distanza di una medesima frase o parola e i fatti che chiamerei di anticipazione, di attrazione, di reminiscenza. Spettano alla seconda gli sbagli che ripetono il loro perchè dalla forma delle lettere e dal modo in genere della rappre- sentazione. E qui ha importanza per noi un fattore, al quale ho ac- cennato di già , e che vuole ora essere considerato attentamente. Ho toccato e ritoccato per incidenza delle abbreviazioni di O e di T ; ed ho anche indicato come un gran numero di esse siano co- muni ai due manoscrìtti. Questa comunanza cosi frequente, sommata col fatto che lungo il secolo XIV e venendo al XV l'abitudine dello scrìvere compendioso tende a scemare, appena ci lascia dubbi che generalmente s'abbiano da attribuire ad x le abbreviazioni portate da entrambi i codici. Ma sarà anche da ritenere probabile che vo- gliano del pan credersi derivate di li la maggior parte delle abbre- viazioni che a noi siano pervenute solo in ano di essi : piii frequen- temente in T che in O, anche in ciò nn poco meno arcaico ; ma che pur T, un mediatore fra esso ed x, si sia lasciato andare a risol- vere, indica con probabilità, per non citar altro, un aliud venuto indebitamente II, m, 4 (p. 124 1. 7) a occupare il posto di un ad, dovuto parere a^ '). E allo stesso modo rìterremo che in x fossero ') Che V aliud fosso in rr o elio sia invoco correEione Vad di G, ò certo meno verosimile di gran lunga. TRADIZIONE B linxaBAMENTI CXLIII disciolte abbreviazioni anteriori; e un buon esempio ne vedremo nella rubrica del capitolo IX del libro II, dato che principales sia pro- prio, come credo , sgorgato dal compendio di partes (p. 169, n. 5). Non s' immagini tuttavia che il moto avvenga unicamente nella direzione che ho detto. La tendenza complessivamente progressiva a disciogliere non toglie punto che in casi singoli e per opera se- gnatamente di certi trascrittori abbia altresì preso forma di com- pendio ciò che era dato prima per disteso '). Che tra i due codici nostri il fatto deva di preferenza essersi prodotto in T, parrà ben naturale dopo ciò che ho rilevato dianzi. Segnalerò I, vi, 4 (p. 25 1. 5) 1 — Qin — per ni; x, 8 (p. 55 1. 2) dns per un admin^ balordamente inteso dominus; II, vi, 4 (p. 147 1. 2) adfU per adiuU\ xiii, 2 (p. 193 1. 8) staV — Q itatiis — per un anteriore stàtiis^), E casi di questo genere s'offrivano anche in X] come ò lecito dedurre da diuersifieaì I, vii, B (p. 31 1. 1), Uescit II, xiil, 8 (p. 199 1. 4), e dal già citato 8iè e si è I, vili, 3 (p. 34 1. 8), subentrati a dinersifictUi^ HÌiescUf 8ÌU€, Gli occhi devono dunque essere tenuti bene aperti in due direzioni opposte. Chiamando in soccorso la critica congetturale noi non le do- mandiamo pertanto che essa ci trasporti propriamente a volo : per solito alle ali di cui essa è fornita non chiediamo maggior aiuto di quello ohe diano allo struzzo le sue. Di slanciarci senza sentire in qualche modo la terra sotto i piedi non proviamo nessun desiderio, e fortunatamente neppure il bisogno ; che , se il testo del De vulgari Eloquentia quale risulta dal confronto di G e T è, come s' è visto, pieno di malanni , i mali suoi sono di carattere poco più che epider- mico. Certo preferiremmo d'assai che invece di due manoscritti cosi legati fra loro ne possedessimo due che fossero emanati indipen- dentemente , se non proprio dair autografo , da un apografo imme- diato. Quanto volentieri, nonché T, daremmo G, per un codice nel <) Nello stesso V, amioissimo dolio scriverò sciolto, accade che il com- pendio ,v3» prenda il posto di rappresentazioni meno compendiose. V. p. cxvi. *) Forse h dovuta alla tradiasione peculiare dì T anohe la frequenza del oomi^endio di et di fronte alla rarità somma che riesce caratteristica per Q. In quest'ultimo io non ne so indicare se non quattordici esempi , com- presi quelli dove il compendio è più complesso e dice e/tam, e computati due casi, che distinguo con un asterisco, spettanti ad aggiunte marginali o interlineari: h" 1. 1, 6'* 1. 8 e 4, 10» 1. 28, *10^ marg. infer., *17'' 1. 12, IS'' 1. 4, 19*» 1. 1, 14, 16e 17, 23* 1. 22, aS*» 1. 18, 24« 1. 18. T ce ne otte in- veeo sedici (di fronte a tre él e un eiia) nella stessa pagina di saggio; ma esso pure non ha che et distesi nelle prime tre pagine e messo,* il che appunto dàforsa al sospetto detto di sopra, avvalorato un pochino anohe dall' accumularsi che gli esempi di G fanno verso la fino. GXLIV nrrBODUZIONB quale mancassero o fossero differenti le rabrìche, e che in cambio dell' intitolazione De vulgati eloquio sive idiomate avesse in fronde o da piedi De vulgari eloquential Che a questo modo e non all'altro, portato da tutte le edizioni salvo quella del Giuliani, chiamasse Dante V opera sua, è cosa da non mettere in dubbio, come fa ben visto dal Fontanini^), dal Witte^), dal d'Ovidio '). Lo dice il trat- tato stesso cosi al principio come alla fine del primo libro; lo attesta un passo troppo noto del Convivio^ I, v; lo confermano il Villani^) e il Boccaccio ^). I due più antichi biografi di Dante danno cosi a vedere che l' opera era penetrata nella Toscana in una forma più schietta della nostra. E se nella Toscana si fosse poi nei secoli suc- cessivi rinvenuto qualche manoscritto, esso sarebbe stato probabil- mente un ramo di questa propaggine, se non la propaggine stessa. Cosi avviene che si pensi con rinnovato desiderio (un desiderio il cui oggetto arrischia di non essere stato mai altro che un puro fan- tasma) al codice venuto forse alle mani di Rinaldo Qianfigliazzi % 2. L'Obtoo&afia Poniamo che noi si fosse arrivati a stabilire dappertutto, non solo quali vocaboli si leggessero in origine nel testo, ma anche, ogniqualvolta si tratti di parole soggette a flessione, in che numero ^) Eloquenza italiana, od. del 1786, p. 196-97. ^ Cento, e piìi Correzioni ecc. , p. 18. 3) Areh. Qlottol., II, 62; Saggi Critici, p. 884-85. *) Mentre non solo i codici, in quanto abbiano il passo, ma altresì le udizioni viste da me hanno eloquentia, il Torri riportando questo luogo 110^ suoi Preliminari a p. zvir, scrisse Eloquio. Da lui, m^ immagino, sarà stato tratto in errore il d'Ovidio , 11. citt. S' avverta bensì che il capitolo biografico intorno a Dante (ix, 185, o press* a poco) manca in vari mano- scritti; che in taluno ò affatto diverso ; ohe in certi altri non vi è fatta men- zione del trattato nostro. Ciò porterà forse taluno a dubitare dell'autenti- cità, mentre in me induce solo l'idea che s'abbia a fare con una giunta dell'autore medesimo. ^) Le parole del Boccaccio nella Vita a me paiono eoo del Villani, ed hanno quindi un valore molto relativo. Che il Boooacoio conoscesse peral- tro il trattato altrimenti che per udita, risulta dall' ultima stanza della Tt^teide, se ebbe ragione il Trissino di scorgervi un' allusione a II, ii, 6, e ragione il Oaspary di approvare la sua idea {LiteraturlL fUr germ, u. rom, PkiL, II, 25; Oesch. der ilalien. Liter,, II, 689). Scommetterei invece cho cogli occhi suoi propri non aveva visto nulla Leonardo Aretino , del quale pertanto poco m' importa che dica De vulgari eloquentia ancor egli. £ meno che mai m'importa che dica cosi il Filelfo, il quale ebbe, come si sa, l'im- pudenza di attribuire all'opera un principio di sua invenzione. ^) Y. p. zi.ix e Lxvin-Lzix. O&TOaBAFIA OXIiY e caso, in che modo, tempo e persona, esse vi occorressero : dovendo esercitare l'ufficio di editori resterebbe por sempre a darci noia una questione molteplice : la questione ortografica. Da ogni dubbiezza non basterebbe qui a toglierci neppure l'au- tografo. Vi sono punti nei quali il sistema di scrittura del secolo xiv ed il nostro differiscono, senza che la differenza importi nessuna di- versità intrinseca; noi usiamo un'interpunzione più ricca e infor- mata in parte ad altri criterii, ci serviamo più largamente delle maiuscole, e sogliamo distinguere certe lettere che un tempo anda- van confuse. Per queste e simili altre parti la fedeltà non riesce se non a imp'edire che gl'intendimenti degli scrittori appariscano a tutti ben perspicui; ed io non so quindi approvare l'arcaismo — imperfettissimo del resto — che molti ora trasportano fuori del dominio delle edizioni diplomatiche. Quanto a me invece vinco an- che l'ostacolo che nel De vtdgari Eloquentia suscita alla distinzione di ti e t7 un luogo (I, xiv, 8; p. 79 1. 5), dove Dante nomina 1' < t< consonantem » : espressione che non ha ragion d'essere, se v ed u sono rappresentati in modo diverso. L'incoerenza in un passo unico pare a me il male di molto minore^). Che se all'incontro ri- nunziò a valermi — salvo che per il provenzale, dove le condizioni sono diverse — dell'altra distinzione di i ej, gli è che qui si tratta solo di atteggiamenti vari di qualcosa di sostanzialmente identico, e che limiti precisi dei rispettivi dominii mal si posson segnare. Fin qui i criteri miei non differiscono nella sostanza da quelli degli editori moderni che m' hanno preceduto : quind' innanzi le no- stre vie si dividono. A loro, insieme col modo della rappresentazione estema, parve opportuno di modificare anche gli elementi costitu- tivi, conformandosi per solito, sebbene con inconseguenze, alle norme vere o presunte del latino classico: a me pare invece do- veroso di conservare inalterato al testo il suo carattere medioevale. E in verità, se si corregge l' ortografia, o per che ragione non cor- reggere anche la sintassi, il lessico, la fraseologia? Certo il metodo adottato finora è quanto mai comodo, libo- ') Per riuscir conseguenti, e nel tempo stesso distinguere, bisoguo- rebbe togliere il eonaonantem : un partito a cui non potrei piegarmi di si- curo. Quanto allo stampare, come s^ è fatto finora, v eonsonaìU^mf è un'as- surdità manifesta. Solo nell' edizione principe V assurdità non viene ad esserci, dacché ivi il v sta a rappresentare indifferentemente cosi il t; come V u quando sia iniziale, a quel modo che 1* t» li rapppresenta en- trambi nell* interno delle parole. Un uso siffatto era comunissimo anche nel medioevo ; ed io domanderò ai fautori della fedeltà superstiziosa, se si sentirebbero di adottarlo ; sì che la doppia forma si ripudiasse in quanto serva a distinguere, e si accettasse in quanto venga solo a confondere. CXLVI INTBODUZIONE rando d' un tratto da uno sciame di vespe, moleste in sommo grado. Giacché, se l'antichità stessa non ebbe davvero un'ortografia uni- forme ^), quella del medioevo fu titubante in modo singolarissimo. Rari i casi in cui le cose si presentino nette come avviene per i dittonghi ae, oe, che nò il secolo XIII (dell'età precedente non curo), né, con qualche eccezione alla fine, il XIV, scrissero mai al- trimenti che col semplice e portato dalla pronunzia. E chi si metta per la strada mia assume l' impegno, non già solo di scrivere — che sarebbe facile — come poteva scriversi nelFetà dantesca, bensì di accostarsi propriamente, per quanto sta in noi, all'orto- grafia di Dante. Impresa ben ardua rispetto ad un uomo, di pugno del quale non possediamo, o come tale non abbiam ravvisato finora, neppure un rigo*). Ciò che non si può conseguire direttamente, dobbiam cercar di ottenere per vie traverse. Naturalmente bisogna muovere dai nostri due manoscritti, i quali, fino a che non risulti qualcosa che ne scuota l'autorità, avranno ragione di voler esser creduti. L'ap- partenere a territori dove l'azione delle parlate potò riuscire per- turbatrice, non ci dà altro diritto se non d' essere ben vigilanti. Ma essi stessi ci obbligheranno a dipartirci dall'uno o dall'altro di loro quante volte discordano. Troppo chiaro che nel valutare le attestazioni sia da aver riguardo a quello che potrebbe chiamarsi € il temperamento personale » di ciascuno. La personalità ò minore in T; di cui d'altronde s'è inclinati a presumere che renda con discreta esattezza 1' esemplare suo, vedendo che, mentre nella prima copia delle ultime righe s' era scritto debitamente appeterej dissuasorie y nella seconda, eseguita sulla trascrizione propria, non sul modello'), s'ha appetterei disuasorie. Ciò par bene indicare che, se in fatto di consonanti doppie e scempie non spadroneggia l'anar- chia, il merito non ò attribuibile al trascrittore. Per suo conto co- stui raddoppierebbe dunque e scempierebbe a casaccio: in G at- tirano 1' attenzione certi raddoppiamenti di Z ed «; di 7, tra vocali 1) Quindi Cassiodoro, Inatii, dtvin, leet.^ Prae/,^ presso la fino: « Or- thographia siqnìdem apud Qraecos pleramque sine ambiguitato probatur expressa: inter Latinos vero sub ardua difficultate relìota monstratur ». *) Come si vede, non consento nelP ipotesi mossa avanti dal Salvadori, La Poesia giovanile è la Cantone d'Amore di Ouido Cavalcanti^ Roma, 18(fó, p. 85, che siano molto probabilmente di mano di Danto soi canzoni o sessantuno sonetti nel canzoniere vaticano 3798. Ma se anche V ipotesi stesse, Futilità sarebbe tutta perle solo citazioni italiane che occorrono nel trattato. Kispetto alle quali il codice ha pur sempre anche ai miei oo chi una notevole importanza, come si indicherà più oltre. 3) V, p. XZXIII. ORTOQBAFIA CX^iVlI (amieabille I, II, 4, elloquentie XI, 2, nohilliss- XVI, 4, II, ni, 4-7, vi, 1, protullerunt I, xii, 3, ecc.); di «, in particolare dopo nna liquida od una nasale {diaperssionem I, vii, 7, disperssos vili, l^falssissi- mum II, I, 3, remanssit I, vn, 6, consenssu ix, 8, senensses x, 8, cfissentinensses XI, 5, ecc.). Ciò non toglie che anche G pecchi al- tresì nell' altro senso, si da avere, p. es., excelentius I, vìi, 6, exce- lenlÌ98imo xix, 2, excelens II, i, 4. Con ciò s' è già detto che la testimonianza dei codici non vuol essere considerata isolatamente luogo per luogo , bensì ravvici- nando tutti i casi affini. Certo non è presumibile che 1' ortografia dantesca fosse in tutto e per tutto costante. Se è ben raro il tro- vare attualmente chi per questo riguardo non sia soggetto ad oscil- lazioni, nel secolo xiii e xiv lo oscillazioni erano di tutti, e l'arco da esse descritto era di gran lunga maggiore. Si ammetta pure che Dante — mente ragionatrice per eccellenza — fosse il più coe- rente tra i contemporanei suoi: una coerenza assoluta non ci sa- rebbe mai lecito di attribuirgliela. Tuttavia, una volta che non ci troviamo dinanzi lo scritto suo proprio, sarebbe irragionevolissimo che come norma fondamentale non si mettesse il principio dell'uni- formità. Come norma fondamentale : che da questa norma è a volte anche ragionevole che ci s' abbia a dipartire. Ma i due codici, per quanto studiati razionalmente, non po- trebber mai bastare da soli. A quel modo che, dubitando per conto nostro , ricorriamo a grammatiche e lessici , a grammatiche, lessici e roba simile è da ricorrere anche per determinare come sia presu- mibile che questa e quella parola sia stata scritta da Dante. Benin- teso, le fonti dell'insegnamento dottrinale a cui conviene accostarsi sono quelle a cui s' abbeverava il medioevo : provenissero poi dal- l'antichità, oppure spettassero al medioevo medesimo. Per queste ultime, molto si trova raccolto o indicato negli utilissimi Notices et extraits de divers manusct'its latins pour servir à Vhisioire des doeirmes grammaiicales au moyen dge di Ch. Thurot^). Fra i testi da avere alla mano non va dimenticato il Doctrìnale famoso di Ales- sandro di Ville -Dieu coi relativi commenti'), né il cosiddetto Gre- <) Notieeg et Extrait9 de» Mantuerils de la BibL Impér. et auiree Bibl,, t. XXII , p." 2*, Parigi 1868. ') Dell' opera di Alessandro s' ha un* edizione recente per inerito del prof. Dietrich Beichllng, qual tomo XII dei Monumenta Oennaniae Paeda- gogica^ Berlino, 1833 : Va» Doctrinale dea Alexander db Villa-Dm : Kritiach- exegeiitehe Au$gahe mii EinUitung , ecc. Essa è fondata soprattutto (V. p. Lviii) sul codice Laurenziano 47 del Pluteo xxxiv, finito di scrivere nel febbraio del 1259, che ò precisamente quello di cai ero solito servirmi an- che prima. In questo codice il testo di Alessandro è accompagnato da un CXLYni INTBODOZIONB cismus di Ebrardo di Béthone ') ; ma rendono ben maggiori servigi Papia, Ugaccione'), e soprattutto poi Giovanni da Genova, il cui Catholicorij oltre a costituire un corpo grammaticale e lessicale completo, ha il gran vantaggio di offrirci il lessico in ordine rigoro- samente alfabetico, liberandoci cosi da non so quante incertezze '). L'opera del frate genovese fu condotta a termine nel 1286, sicché ci toma opportuna anche per il tempo, sebbene meno oppor- tuna di quel che sarebbe se fosse anteriore di qualche decennio. £ Giovanni, Uguccione, Papia, sono degl'italiani, e rispecchiano quindi una tradizione nostrale. Sennonché le reti hanno bisogno di essere strette maggiormente, ed è necessario indagare come pro- priamente il latino fosse insegnato e scritto là dove imparò a scriverlo Dante. Che se egli fu esposto più tardi ad azioni eso- tiche, il e Quo semel est imbuta recens, servabit odorem Testa dia >, mai non fu più vero che in cose di questo genere. Trattati grammaticali per P apprendimento del latino che ri- velino la loro origine toscana col nome degli autori e soprattutto col linguaggio delle voci e frasi volgari che vi appariscano, se non ne ho avuti alla mano in abbondanza, ne ho pur sempre potuto stu- diare taluni^). Tarde troppo per noi due grammatiche contenute, l' una nel codice riccardiano 999, V altra nel magliabechiano 3 della Classe I, da assegnarsi al quattrocento. Appartiene invece al tre- cento quella, notevolmente ampia, che s'incontra del pari nella serie magliabechiana sotto la segnatura GÌ. I cod. 2, attraente ap- punto per la rozzezza sua. La citerò come e grammatica Maglia- bechiana » senz' altra aggiunta. E risaliranno al principio dello stesso trecento, od anche alla seconda metà del secolo precedente, commento amplissimo, diverso, parrebbe (lo deduco dal silenzio del Boich- ling a p. LXii-LXiii), da quelli che s* hanno in altri manoscritti. ^) 8^ ha questo pure, largamente commentato ancor esso, in un esem- plare Laurenziano (PI. xxv sin., 10), compiuto il 1^ febbraio del 1274, ohe loh. Wrobel nella sua edizione (Ebkbhabdi Bbthdnibitbis Oraedtmu* , Vra- tislaviae, 1887, qual voi. I di un Corpus grammatieorum medii aevi) ha avuto il grave torto di ignorare, mentre ne conosce solo un altro da assegnare al sec. XIII. ') Per Papia mi son valso di due altri codici Laurenziani, PI. xxvii sin., 8, e Ashbumham 68. E la Laurenziana mi sovvenne altresì per Uguc- cionOi coi codici 1, 5, 6 dello stesso Pluteo xxvii sin. 3) Giovanni pure adoperai in codici Laurenziani : il 2 del Pluteo citato e il Fiesolano 172: ricopiato il primo in Italia, ed anzi, vorrei dire, in Toscana, il secondo in Francia. *) Non ho visto intera — e temo di non aver cercato abbastania — la succinta Ortografia di Bartolommeo da S. Concordie, che il Thurot al- lega più volte. OBTOGBAFIA CXUX certi scrìtti contenati nel codice Fanciatichiano 68 ^): Vocabula — manchevoli in mezzo — Magìstri Oori de Aretio; Regule parve — ima grammatichetta di cui abbiam solo il prìncipio — dello stesso Maestro Gero; e un trattato acefalo delle costrazioni verbali'), ap- partenente forse esso pure air autore medesimo. Ma una divulga- zione ben maggiore dovette avere in Firenze un altro trattato delle costruzioni, o, come dicevano i più saputi, di Dyasintastica '), che, tutto o in parte, m' è occorso nelle biblioteche fiorentine in più esemplari , atti a dimostrarne il molto uso colle stesse diversità che presentano: due alla Laurenziana — Gadd. Rei. 203 e Ashb. 243 ^) — e due alla Biccardiana — 2795 e 720 — . Pare sia da reputarne autore un Maestro Filippo^), che forse potrebb' essere il « Fhilippus quond. Naddi doctor gramatice pop. S. Laurentii >, che occorre in documenti del 1320, 1324 e 1327^). Se mai fosse costui, sarebbe scarsa la pro- babilità che sia dovuto a una reminiscenza degli studi fatti su questo medesimo libro l'incontro che viene ad aversi tra l'esempio di stile e insipidus », da gente indotta, Petrus amai multum dominam Ber- tanif nel De vulgari Eloquentia U, vi, 4, e questo luogo del trat- tato grammaticale, giusta la lezione del codice Biccardiano 720 (15^), là dove si discorre della costruzione dei verbi neutri passivi: e Et nota quod si eorum significata proferantur in significatione activa, debent reduci ad significationem passivam; ut si dicatur Piero à maritalo monna Berta, reducatur ad passivum, scilicet monna Berta l stata maritata da Piero ; [et] dicatur domina Berta 1) f)8 giusta la numerazione nuova, 137 stando alla vecchia. Y. / Codici Pancialiehiani, I, 128, nella raccolta degli Indici e Cataloghi pubblicata dal Ministero della Pubblica Istruzione. ^ La descrizione del codice nell' opera citata non vede qui se non la continoasione delle ReguU parve, il che, secondo me, ò erroneo. 3) Giovanni da Genova: « Dy asin tasti ca dicitar a dya, quod est c^^*, et 9Ìntaa%», quod est construciio. Inde dyasintasticat idest tractatus de con- structione perfecta. » È una delle quattro parti in cui si divido per lui la Grammatica. Le tre altre sono V Ortografia , V Etimologia e la Prosodia. *j In questo secondo e' ò in fine altra roba, dove fa sentir la sua voce Bologna. ^) A lui già V assegna il Bandioi, nel Supplemento al Catalogo Lau- renziano, II, 199, fondandosi sul codice Gaddiano. Se non avessimo altra autorità, ci sarebbe forte ragione di dubitare che il nome fosse da rife- rire soltanto air ultima parte , che non lega con ciò che precode. Ma il nome apparisce anche alla fine del testo Ashburnhamiano, a cui quella parte ò ignota; e il confronto induce nella persuasione che Maestro Fi- lippo ria autore di ogni cosa, e che nel codice Gaddiano si trovi collo- cato neir ultimo posto ciò che in realtà dov]rebbe stare da principio, in ufficio d'introduzione. ®) Notati, Nuovi Studi su Albertino Muttato, in G torti. 8tor, della Leu. iLf VI, 189, nota. CL INTRODUZIONE nuxit (sic) a Petro, » Il riscontro tuttavia, per quanto osteggiato anche dal non ricorrere l'esempio negli altri tre manoscritti, che nell'insieme costituiscono una triade più arcaica, merita pur sempre di attirar l'attenzione^). Questi nondimeno non sono in realtà che rigagnoli, intorbi- dati altresì da infinite scorrezioni di trascrittori. Ma noi abbiamo anche un fiume strabocchevolmente copioso a cui attingere con piena fiducia. Autografi di fiorentini vissuti sul declinare del se- colo XIII e al principio del XIV ne troviamo quanti mai si possa desiderarne, solo che in Firenze ci si volga all'Archivio di Stato. Oltre alle innumerevoli pergamene spicciolate, vi abbiamo non so quanti volumi di protocolli notarili spettanti a quell' età. Che se molti convincono di crassa ignoranza i notai da cui emanano e uoi\ devono fermarci a lungo, altri appartengono a persone, che de- vono bene reputarsi fra le più colte del tempo loro'). Menzionerò Benedetto da Firenze (1303-1304), Francesco di Nuccio (1303-1319), Uguccione di Berto da S. Casciano (1311-1319). E non abbiamo noi forse il protocollo, comprendente un intero trentennio (1298-1327), di un notaio -poeta, di un amicissimo dell'Alighieri, di un uomo col quale Dante nel periodo della gioventù ebbe certo molta affinità di coltura? Intendo parlare di Lapo Gianni, da cui stetti in forse se non fosse addirittura da prender norma ne' casi dubbi, ogniqualvolta si potesse. Certo mi sarei tolto da molte beghe. Sennonchò, pur fa- cendo capitale di Lapo più che di chicchessia, mi parve doveroso — e non solo per le inconseguenze che in Lapo stesso appariscono — governarmi con criteri più larghi. Di un altro notaio e rimatore contemporaneo che anch' egli desta di se desiderio, Francesco da BarberinO| i protocolli sono sventuratamente perduti; e a me non è riuscito di metter la mano neppure sugli originali di documenti suoi isolati. S'avrebbe di meglio, dato che sia realmente autografo, come ne ha fama, il codice barberiniano dei Documenti d* Amore. e del loro amplissimo commento. Che se anche autografo non fos- se, esso resterebbe sempre una fonte molto attendibile (non altret- tanto edificante) per l' uso colto fiorentino del tempo che a noi sta a cuore *), ') Gli altri manoscritti non contengono neppure quest^ altro esempio, che può dirsi segnato con un marchio di fiorentinità (14^) : « simili ter io digiuno la vilia di sco Giovanni dicatur ego ieiuno in vilia sancii lohanni», » ') Sulla coltura de* notari d^ allora V. nel bel « Saggio » del Ii^ovati, La giovinezza di Coluceio Salutati^ Torino, 1888, le pagine 6(>-85. 3) Ho spogliato i brani pubblicati dalFAntognoni, Oiom. di FU, Mom., IV, 93-98, e dal Thomas, Frane, da Barber. et la Littér, prov., p. 169-197; ma pienamente, dovendo esser sicuro d'ogni minuzia, non mi ORTOGRAFIA CU Tra le ricchezze dell'Archivio di Stato sedurrebbero assai i volumi solenni che contengono le Consulte e le Provvisioni del Co- mune, se, per la parte che ci tocca, fossero fiorentini i notai che le scrissero; ma tali non erano, nò potevano essere ^). Con fiducia ci volgiamo invece ai Capitoli, scegliendovi i documenti dove la fio- rentinità del notaio trascrittore riesce ben sicura. Quando chi tra- scrive non fa menzione espressa di sé, è da ritenere che sia il ro- gatore stesso. Di ciò mi sono accertato positivamente mediante con- fronti per un atto rogato il 25 agosto del 1254 da Brunetto Latini '). Sugli autografi di Brunetto è opportuno rivolgere l'attenzione; poi- ché, se ora non si crede più dover vedere in lui un maestro di Dante nel significato consueto del vocabolo e se si giudica altresì esagerata l'importanza che, sulla fede del Villani, gli si attribuiva per la storia della coltura in Firenze '), nessun miglior rappresen- tante ai saprebbe trovare di certo per la generazione da cui quella dell' Alighieri fu preceduta ed educata. Però insieme con questo au- tografo son da considerare gli altri : la procura dell' aprile di quello stesso anno 1254^); una pergamena del giugno 1257, contenente tre atti fra loro strettamente legati, che appartiene all'Archivio Capito- lare di Santa Maria del Fiore e che a me fu indicata dal prof. Um- berto Marchesini; per ultimo, il documento vaticano del 1263^). In queste carte Brunetto apparisce scrittore singolarmente corretto. Tale non apparisce invece davvero ancora il Boccaccio nel periodo della sua vita a cui appartiene lo zibaldone laurenziano, PI. xxix, cod. 8, non più a lui contestabile dopo gli studi dell' Hauvette *). sono fidato cho di ciò che ho visto coi miei occhi sulP originale. Cito per brevità anche il commento coli' indicazione Doc, d* Am, <} Nel periodo che ci riguarda tennero V ufficio Ser Bonsignore da Modena, nominato nel 1280, e Ser Antonio suo figlio, prima coadiutore (12U))| e poi euccesaore del padre. Ho le notizie dalla fonte più pura che si possa desiderare: Alessandro Gherardi, che una parte delle Consulte vien pubblicando in modo esemplare. , «) T. XXIX, f." ISS^-lUl». Di questo atto si dà notizia (p. 205) noi prezioso contributo di documenti brunettiani, che la versione pubblicata dal Benieiv (Firenze, 1884) del Brunetto Latini del Sundby deve al Del Lungo. 3) No VATI, Op. cit., p. 80. *) Suhdbt-Brnikr, p. 20S-205. ^) Fu pubblicato nella Rassegna Itcdiana^ Anno V (1885), t. I, p. 859. Lo riscontrai sulP originale, dopo aver avuto alle mani anche una colla- ziono del Del Lungo, da lui gentilmente comunicatami. ^) Notes sur des manuserits autographfs de Boceaee à la Bibliothèque Lanrentienne : nel t. XIV (1894), p. 85 sgg., dei Mélanges d' Archeologie et d* Bisloire publiés par V Ecole franqaise de Rome, Cf. Bahtom, St, della Leti, ital.f Y, 201 sgg. Olili INTBODOZIONE A lai pure giova tuttavia aver V occhio, soprattutto in quanto ci dia trascrizioni di epistole dantesche. Con questo arredamento, e non con questo solo, affrontai la questione ortografica; ed ora mi faccio ad esporre le soluzioni che mi son parse da adottare. Comincio da alcuni problemi più o men comprensivi; indi discorro di quelli particolari, attenendomi air ordine alfabetico. Raggruppamenti e disgiunzioni. — Rispetto alla conve- nienza di scrivere unite o divise le voci che, senza subire modifi- cazione alcuna e conservandosi atte ad essere concepite come ele- menti distinti, tendono nondimeno a costituire un'unità, non si chiedano in generale norme ai manoscritti: né ai nostri, né ad altri. Già, in un gran numero di casi non si riesce nemmeno ad accertare se l'amanuense abbia inteso di unire o disgiungere: ma poi la nessuna attendibilità risulta dalle contradizioni perpetue in un manoscritto medesimo, e dall' unirsi bene spesso <- sempre, s'in- tende, senza regolarità nessuna — ciò che incontestabilmente vool esser disgiunto, e viceversa. Cosi, per esempio, la preposizione si salderà con una parola, talora neppur retta da essa, a cui si trova solo andar innanzi, e sarà invece separata da un elemento col quale forma propriamente un composto : procedere questo che illustrerò con un deuulgaris eloquentie doctrina e un decelis comuni a 6 e T sabito nel nostro primo capitolo, e con un ad suefiunt ivi peculiare a T. Aiuto migliore danno pertanto i lessici e le trattazioni dottri- nali intorno all'accento e alla « figura composita >, come quelle che ci son fornite dalla seconda e dentro alla terza parte del- l' opera di Giovanni da Genova. Tuttavia anche le risposte che s' ottengono da cotali oracoli sono non di rado incerte e contradit- torie; ed ha una gran ragion d'essere il titolo De dubio accentu sotto cui uno scritto speciale di Uguccione è più noto che sotto quello di Eoaarium, Ciò che molte volte noi riusciamo semplicemente a co- noscere, si è che i grammatici del medioevo questionavano, taluni propendendo maggiormente a separare, altri invece ad unire; ma uè a questi né a quelli veniva fatto di togliere da ogni incertezza neppure sé stessi. Gli è che i dubbi sono nella natura delle cose; che, se si possono segnare abbastanza nettamente i limiti dei com- posti veri e propri, cosi non avviene per quelle che da Giovanni da Genova sogliono esser chiamate opportunamente e vocum congeries », « aggrega tiones ». Qui gli stessi elomenti si atteggiano diversa- mente a seconda dei luoghi; ed è inevitabile che varie persone giudichino in modo vario ; e accadrà non di rado che in modo va- rio si trovi a giudicare la persona medesima. £ guai a chi si figu* rasse di trovare un rifugio nell'uso moderno, quanto mai indisd- OSTOGBAFIA CLia plinato esso pure ! Però non mi è troppo difficile consolarmi di qaalche inconseguenza in cai mi è avvenuto di cadere. Ciò premesso, delle dubbiezze, dopo aver bene guardato e ri- flettato, non ne rimangono, comunque poi i codici si contengano, per le enclitiche -que^) e -ne (per noi solo in nonne\ per aJAtfc*), proni j quapropterf idcirco^ dumtaxat, sese, E quapropter si tirerà dietro hucusque] e Giovanni da Gen. gli presterà mano forte, dac- ché, se di esso non fa parola, considera come una voce sola l'ana- logo quousque, — Per tanquam, la grafia a cui mi attengo e della quale si dirà poi la ragione, esclude le incertezze; ma questa ra- gione, rincalzata altresì dall'analogia di quanqtiam o quamquam^ basterebbe a mostrare come neppure tamqtiam sarebbe da dividere. — Dì verumtameny attamtn e simili (a noi non occorre che verunUa- men II, XII, 6) si disputava: Uguccione ci vedeva due parole distinte'), mentre altri ritenevano che quand'hanno il valore d'una congiun- zione semplice siano da considerare come un vocabolo solo, da ac- centarsi sulla terzultima ; e questo parere fa suo Giovanni da Gen., col quale staremo, e sive velis dicere quod sint vere compositiones, sive mavis dicere quod sint irregulares vocum congeries fungentes loco onius dictionis. » — Anche senza Giovanni uniremmo siquidem I, vn, 6 e xn, 8. — Egli stesso invece ci piega a quodam modo, I, vili, 6 e XII, 1 ; e contribuisce, pur non dichiarandosi nettamente, a determinarci per ullo modo e nullo modo ^), I, ix, 7 e 8. Quali le sue intenzioni rispetto a dummodo^ non apparisce: probabilmente perchè neppur pensava che ci fosse luogo a dubbio; bensì risalta anche da lui — nonché huiusmodi — cuiuscunquemodi^ che abbiamo n, vili, 6; come possiam dire che risulti quemadmodum^ posto che si considera un tutto quamobrem foggiato alla stessa maniera, sia por vedendoci « quedam irregularis aggregatio dictionum >• — Per unumquenque U, IV, 3, unamquanque I, i, 2, abbiamo le attesta- zioni positive. — Di paterfamilias , avuto riguardo alla mancanza di un familias isolato , farà meraviglia perfino che si potesse mai ^) Nei codici nostri la separazione & assai frequente. Là dove la oon- giunxione s^ offre la prima volta, I, vi, 8, s^ ha anzitutto concordemente raiioeinantet que ; indi in G firmiterquty ma in T firtniUr que^ se dobbiamo fidarci della mancanza del segno di rannodamento, in quanto tra i due elementi cade la divisione delle linee. £d è bello che G — non T — scrive poi subito anche plera$ que. Y. 4^, 11. 8, 11, 18. *) Dal fatto che questa voce non figuri al suo posto alfabetico nel Ctttholieanj non s* indurrà nulla, quando si sia visto che ivi manca lo stesso Atte. Curioso e spiegabilissimo come non siano registrate molte voci tra le più comuni. >) Ne riporta le parole anche il Thurot, p. 404, n. 6. ^ Cfr. qui pure Uguooione, ib., p. 408, n. 6. OUV IUTACXDUaiOVE ammettere aeparato: di rado tuttavia, e in un senso che non fa per noi ^) nel nostro solo esempio I, xvui, 1, dove assolatamente si richiede un concetto unico. — £ un concetto unico, di avver- bio, come ohi dicesse superfieiciHter ^ 'oraliter, vuol bene ricavarsi da superjide-temts II, 1,2 e vi, 4, e da ore-ienus 11, xiii, ;i, sicché qui il tenus viene in certo modo ad assumere ufficio di suffisso. Inoltre, indipendentemente dalla fumàone, il mecut» te^ cum ecc., per non dir di quapropter e simili , erano atti a favorire l'idea che una preposizione posposta venisse ad aggregarsi alla voce a cui si riferiva. Aggiungendo a ciò che l' accento sulla ter- zultima, da cui l'unione è messa fuor di dubbio, doveva consentirsi per quaienits nuUatentis e ohe altro so io anche dai più renitenti, non ci sentirem troppo portati a metterci oca Giovanni da Gemeva e con quelli che da lui son detti e moderni » , avversi perfiiK) ad hàcte>mu8 ^). £ per seguirlo, a meno che poco logicamente egli Boa si contentasse di volere accentato il tenua senza staccarlo, conver- rebbe rinnegare una condizione di fatto, che stavolta ha il suo va- lore. In tutti e tre i luoghi ì nostri due manoscritti, cosi pooo si- stematici, s' accordano nel darci l' accoppiamento ^), ancorché non favorito da tendenze consuete. -^ Viceversa, Giovanni ci ooadur- rebbe, e ragionevolmente, a Urbeveteri *) ; ma io, dopo lunghe incer- tezze, mi sou deciso invece, I, xiu, 2, per Urbe Veterif mantenendo ivi pure la condizione dei codici , in parte perchè un Urbsv^tu» di 1) « ... Quando suut due partes, signifioat illum cuius proles iam ost una familia », dice GioTanni (sotto Pater). Ma anoho per lui il compo- sto & talmente la regola, da fargli ammettere, con paUr/amUiaa e mater' familicu, anche un JUiuàfamiUaB (a Familia), ^) A questo argomento molto dibattato « De compositis a r«ii«« » è dedioatio un lungo capitalo del secondo libro. 3) Che II, VI, 4, in cambio di superficie-^ T abbia $uperficiè-j G super- fieien- (Y. p. 146» n. 1), non importa al caso attuale, se non in quanto il superficien di G indica quanto sia saldo il proposito del congiungere. £ anche in T è notevole .come, cadendo superficie in fine di rigo, non sia Btata dimenticata la lineetta congiuntiva. *y Vi ci porterebbe per via analogica, dacché del resto egli ha in- torno- al nome di questa città un passo curioso, che reco nella lesione del cod. 2 PI; szvii sin., mettendo fra parentesi le variaati del Fieoo- lano: «Similiter est una mirabilie oompositio OrbiumneH (F.hmì), quod est composi tum ex integris diversorum generum et numerorum; et decli^ natur Or&ttiiNn£Ì»(F.-net), genitivo Orbiineiorum (F. Orbiumneiomm)^ dativo Orbitmeia (F. OrfttumwetM), etc. Civitas euim est quo vocatur Orbium et voeatur Ntii. Sed oorsupto nomino uuno dioitur Orbevetus (F. Urbeteimm), £t inde proprie dicebantur cives Orbici ^ si ve Feten^om*, vel coninnctioL Orbicivegentani (F. Orbicit*eierUam) \ qui nuno diountur UrbewfUani (F. Or- bivetani), > Dove i codici hanno neii^ na», sarà da oonreggere' «eu, ueù OBTOOSAFIÀ CLT nominativo riuscirebbe ostico, e più perchè ostico riusoirebbe un Civitateeastellana , a cui la logica ci costringerebbe subito dopo* £ se i CapUolL, U XLIV, 50^, ci danno per mano fiorentina del 1287 Vrbeueiftri, ecco in compenso Vrbe ueteri nel Protocollo di Lapo Grianni, 98^ — Qui m' ò stata forzata la mano ; ed essa mi è stata forcata altresì I, yii, 6, dove non mi sarei indotto a quot quot, con- tro ciò che con Giovanni vuole di certo anche il trattato di Maestro Filippo ^), se il tot tot suo correlativo non respingesse il congiun- gimento. — Ragioni locali, cioè i vicini ab isiOf ctb ùtièy hanno del pari contribuito a determinarmi I, vili, 4 per ab inde^ nonostante Vexindé I, I, 1 {proinde^ II, xii, 1 , ancorché diviso nei manoscritti, è fuor di questione) , un altro motivo essendo somministrato dal fatto che abinde non apparisca presso Giovanni, nò tra i composti di inde (detnde, exinde^ proinde^ subinde), nò al suo posto alfabetico. £ presa questa determinazione nel luogo indicato, mal si sarebbe potato adottarne un'altra nel primo paragrafo del capitolo medesimo, quand'andie li non paresse (e può invece parere) ohe ragioni lo- cali ci fossero. — Similmente l'aver unito necnon I, vii, 5, dov'esso sta al servizio di un semplice aggettivo e la divisione potrebbe per- fino dar luogo ad equivoco, non m'ha impedito di lasciarlo diviso negli altri casi (I, x, 7 e 8, xiii, 2, II, n, 2, vi, 6). — Bmsi ò dovuto a inavvertenza Tesserci nonnisi I, i, 8, non nisi x, 6, pur es- sendo legittimi ambedue i partiti. — £ cosi potevasi scrivere I, xiii, 3 tanto nonnulloSy come ho fatto io, quanto non nullos. Questa seconda grafia sarebbe, pare, sofiragata da Giovanni da Genova, che di non- nuUus non parla'); la seconda ha l'appoggio di Papia, che dò luogo nella sua collocatone alfabetica a e Nonnulli : aliquanti, pene omnes, multi >. — Se mi fossi attenuto a quamplures (I, vni, 3, xi, 3, xin, 1, II, Yt, 4), avrei qui avuto da allegare Uguccione, e GKovanm da (Ge- nova okiiò lo trascrive'); ma anche il quam plures mio ò più che am^- missibile. — Maggior ragione ho avuto tuttavia di dividere ante quam^ II, lY, I, tenuto conto altresì di ciò che soleva farsi nel vol- gare. — Finalmente, per benegenitus I, xii, 3 rimanderò alla n. 4 della pag. 65, aggiungendo che se Giovanni non registra questo composto tra quelli ohe menziona di genitus {ingenihiSj priMogeni' 1) Oadd. Bel. 203, t*' 85^ Ash. 248, 23^ *) Né al posto sao proprio, nò sotto nullus, nò nella P.^' 8% là dove ai tratta De eompoiitis a non, ^) Oiovanni « « A f^tM dicitar hie et hee pìmrtB et hoc plure. £t com- ponitor quamptmrÌB -re, cótnplurÌ9 ^re, perpluris -rs, omnia prò valde pluriM, flecandam Ugu. » ; e in Uguocione leggiamo difatto le medeftime cose e parole. OtVl INTRODUZIONE tu8, unigenitus), ci presenta un benelinguatus, che ha certo assai mi- nore ragion d' essere. Assimilazioni. — Un altro semenzaio d'incertezze simile a quello visto or ora con un riscontro consimile d' incertezze mo- derne, sono gì' incontri di consonanti nelle composizioni ed in ogni altro genere di aggregati. Fino a che segno sono da praticare le assimilazioni, parziali o totali, e le espulsioni, che s' insegnano dai grammatici antichi , e di cui a me è giovato ascoltare le norme dalla bocca di Giovanni da Genova e dall'autore anonimo della gram- matica Magliabechiana ? — La risposta non può essere che molte- plice ; e avanti di rispondere bisogna riconoscere che qui la testi- monianza dei manoscritti comincia ad aver molto peso, e che, entro i limiti del lecito, l'uniformità non è ragionevole se non per le voci di uso frequente. S'intende che dove la tradizione diploma- tica non presenta dissensi o dubbiezze d'interpretazione e si trova d'accordo coll'uso nostro, mi valgo volentieri del diritto al silenzio. Principio dai composti di cui la prima parte è una preposi- zione, e per mostrare a che segno T oscillazione arrivasse, citerò dal Protocollo di Lapo Gianni, 29^, la frase « se . . aggravari et adgravatum esse », la quale ci condurrà a rinunziare all'idea che abbia almeno a richiedersi coerenza in luoghi vicini. AdsuefiurU e ad8ÌgterUibu$ I, I, 2, adsooiandi xi, 6, adsumendum II, iv, 5, ad' sumptum ib. 6, adseendere I, vii, 4, adsciscunt XV, 2, adspira- tionis II, VII, 6, dati da ambedue i codici^), rimangono insieme con asserimus I, i, 2, xiii, 4, e U, xii, 9, asserendum I, xiii, 4, as- serunt xv, 2, assiduitatem I, l, 3, assiduitate II, IV, 7, asaumat V, 5, assumptum xii, 7, assumunt xiii, 3, aspirante I, l, 1, aapiratione II, vii, 5, astruxìmus il, 1 e xii, 2, asiruere il, 1, astruimus XI, 7, aseiseere I, xii, 2, asciverit II, x, 4, che possono vantare ancor essi la medesima concordia. £ al modo^ stesso adfi- nitntem I, xiii, 2 non ha alcun bisogno di ritirarsi dinanzi ad affla- tti8 1, V, 1 e 3, afflando ib. 1, affereniium Vili, 2, affirmando ib. 3 e 5, XIV, 2. Bensì trovando U, vii, 3 in G attende^ e vedendo comuni a T, per non curar d'altri vocaboli, atiendentes I, i, 2, atlenditur II, XII, 4, attendendum ib. 8, non ci sentiremo davvero nessuna tentazione di riportare V actende che T ci dà in quel primo luogo al frantendimento di un adtende — possibile, ma duro — scritto in modo che ima sola asta ascendente servisse per il d e per il K ^) Che II, IV, 6 in cambio di ad$umpium scabbia spropositatamente q^ìu» premum e ad «upremiiin, non fa che provare come Vadg- risalga ben alto; e similmente ò ben lontano dal costituire una dissonansa Vad aspireUùmU di G, II, VII, (S. OBTOOBAFIA OLVn £ altrettanto illegittima sarebbe nel caso nostro la preferenza che sì desse all' ac^endfe, nonostante gli esempi non umili che s' hanno d'una grafia cosifiFatta'). Quanto all'erroneo asueta I, yif, 5 nel solo G, basterebbe a distoglierci dal convertirlo in adsueta V as- siteta di T, qnand' anche non s' aggiungesse il motivo che l' assimi- lazione prevale ; e la prevalenza numerica del dileguo del d da- vanti a un' 8 seguita da altre consonanti, con esempi specifici della nostra parola medesima, condurrà a trasformare in astructum piut- tosto che in adstructum anche un abstructum II, vi, 1, senza nem- meno invocare la maggiore probabilità che il b sia uscito da un'integrazione fallace, simile a quella per cui amoveant I, xviii, 1, amittunt II, v, 4, furono travisati in admoveantj admittuni ^). Tutto ciò per i composti di ad : la brigata di gran lunga mag- giore. Analogamente non immolerò davvero II, iv, 5 obmiitamus^ copiosamente suffragato, per non dir altro, dai Doc, d'Am,^ seb- bene nel primo paragrafo dello stesso capitolo T abbia omiUentes, G ommitentes. Piuttosto è da dubitare (e a questo dubbio corri- sponde una indeterminatezza della nostra stessa ortografia italiana moderna), se in quest'altro luogo sia da preferire Vm scempia o la doppia. Giovanni da G. nel Glossario inculca la doppia^); ma in os- sequio a Prisciano e alla metrica, si trova costretto ad ammettere anche la scempia *). E poiché il codice che ha la doppia regala al vocabolo l'inesattezza di un solo ^, sarà più ragionevole stare col suo competitore^). Gol quale anteporremo anche I, xii, 3 Voppro- biium, voluto altresì da Giovanni e preferito da Papia, tiìVobprobrium ài G. L'assimilazione ci è data concordemente dai due manoscritti in tfpiineat II, Y, 6; donde si sarà condotti a determinarsi per optinuit If vui, 3, in cospetto di un obtinuit di T e di un optimuit di G. E se i manoscritti lo chiedessero, non ripugnerei troppo neppure a un mssistawt II, vi, 6; ma poiché é un erroneo isusistat che essi ci mettono innanzi, non mi faccio scrupolo di inoltrarmi fino al più *) P. es., nel codice dei Doe, d*Am, trovo aelende 8", 9^, attendere 8^... Ivi stesso tuttavia ailende 6^, atlendena 17", allendunt 38^... ^) Anche I, xiii, 4 abbiamo in G ammitterent , attenuato un pochino dall* essere am- in fine di linea. ^) Nella prima parte delPopera, ossia in quella che può chiamarsi una Fonetica, non si manifestano invece preferenze : « Si autem sequatur m, » (si parla dei composti di ob) « subtrahitur b, ut omitto, vel mutatur in m, ut omtMUo. » *) Immagina che appunto si tolga talora al vocabolo un^ m « ut pri- mam corripiat». L'o é rappresentato breve senza riserva da Alessandro di ViUe-Dieu, v. 1908. ^) Se G non avesse o6inì/amti« II , it, 6, penserei anzi ohe i. dne fatti stessero in rapporto, in quanto m e t giocassero come all' altalena. OLYUI nmftODUSEIOKB regolare subsistaniy confortato anche da siiJ>8tantia I, xvi, 2, e dal vedere che Lapo Gianni scrìve, p. ea., substinuerint 27^, tvbstinuii 30^, substinere 55^, subèteniabat 95^ Dopo le cose dette, nessuno immagina neppure che trovandomi dinanei conlocare II, vii, 4, io voglia surrogar collocare, mentre al- l' altra grafia accresce ancora autorità F occorrere in manoscritti che I, XVI, 5 arrivano a presentarci iUatio^ tllat'o, per in Laiio. Quanto al cireùstantibus di T, I, XV, 2, ci darebbe indifferentemente ctrcum- e ctrcun- ; e una terza foi*ma, circonstattòus, sarebbe fornita dal ctr^- stantibuSf di G, suscettibile tuttavia d'esser letto anche in una qualsiasi delle altre maniere^). Ma poiché quest'ultima grafia oo* stituirebbe una scorrezione, abbastanza comune, se si vuole, ma qui ad ogni modo gratuita, la scelta si può limitare tra 1' altre due; ed io mi decido per la seconda, che è quella voluta dal Ca- tholicon*). S'è qui cominciato ad avere un saggio delle difficoltà a cui dà luogo la rappresentazione delle nasali per mezzo di segni atti a significare al modo stesso ed n ed m. Ma a nessuno verrà in mente che della libertà di scegliere noi s'approfitti per scrìvere in ma* niera diversa da ciò che portino concordemente la fonetica, le abi- tudini nostre, gl'insegnamenti dei grammatici antichi, quelli dei medievali : còpilando I, i, 1 non si vorrà di certo risolvere da chic- chessia altrimenti che compilando, f)ceptum I, ii, 2 altrimenti che conceptum. Ed anche trovando in G, I, xi, 3, t inproperium non ci si periterà a mettere nel testo in improperium, tanto più che T ha solo t properium% il che, oltre a togliere un voto, accresce anche il motivo di pensare che si risalga a i tproperium *). Direm noi il medesimo per inmediatis I, xix, 2 e preinmtdiaio II, xiu, 6 in am- 1) Si ofr. nel medesimo codice 12^ 1. 1 (I, zyr, 8) quanlTujque, e 20^ 1. 3 (II, vili, 4) 9ttt99t4€, non potendosi, naturalmente, fare assegnamento alcuno sul eirfjiflexo 19^ 1. 21 (II, vii, 5), ohe fa il paio col eiro9tantibua, E cosi non ò da fondarsi sul tjpenaemus 10^ 1. 12 (1, ziii, 8), che sebbene uscito da cum pemeviuMf intende certo di essere compenaemui, e che d* altronde è comune a T. Un errore inverso, comune del pari, è I, vi, 4 eum ereattnn per con- creatam, dov'ò assai verosimile che si faccia capo del pari a 9. Sul valore molteplice del segno, Y. anche Paoli, Le abbreviature nella Paleografia laima del Medio evo, Firenze 1891, p. 25. *) L'ordine alfabetico impone di leggere nel Glossario Cireuneieio, Cireundo, Cireunseribo, Circunscriptua, Circuneeptue, Cir^ eunapieio» Che anche un trattatista di età e naxione incerta, allegato dal Thurot (p. 585), dica « eircunato,.,»» eireuneido, drennapieio,,.. non per m, sed per n scribenda et pronuncianda», poco rileverebbe per noi. ^) Ofr. Pi pari di entrambi i mss., I, xvi, 4. ^ Nel paragrafo successivo anche 0- ha iproperimm. OKfOQMAWlA GLIZ bedue i codici, cai s' aggiunge inmediaio (propr. i» tnediaio) I^ x, B nel solo G (Ti)? — L'ostinazione singolare colla quale in questo vocabolo r in ci è dato in modo esplicito, obbliga a riflettere; e ri- flettendo si vede che si tratta dell' tVi negativo, che ben si capisce si tendesse a trattare in modo speciale, lì leggiamo anche proprio in ano scritto ortograflco presso il Thurot: €lmpedity„ imperator per m scribendnm, inmaculaiusy vnmobUis per i et n, quia in prepositio, addita m evaeuatnr, et non addita, innocens redditar > (p. 522); dove gli esempi rimediano ai gnai dell' espressione ^). Ne viene di conse- gnensa che io risolva inmediaie anche Viinediate diplomatico U, vii, 5; e analogamente inmerUo Vi merito I, xi, 2. Di ìmunes II, iv, 7 fac- cio invece immimes ; che lo stesso ortografo citato dianzi dice, e Itìit niunes per dnas m > ') ; e la divergenza ha un buon fondamento in ciò, che nn munis non era in oso '). Usitatissimo ò bensì par; e non- dimeno pongo impari Ij xvi, 4, II, xu, 4 e xai, 6^), impar II, xii, 4. GH è che la forza assimilatrice del p ò maggiore di quella dell' tn; e ai casi in coi segua m par limitare il mantenimento del- l' tit, cosi nelPesemplificaziotte come nella teorica, anche lo scrittore allegato^); inoltre, le condizioni stesse dell'accento venivano in una parola cosiffiitta ad osteggiare l'tn; e ancora s'aggionge che II, xu, 4, G abbia impar spiattellato. Lascio le preposizioni e ciò che suona com' esse, senza laseiar le nasali. Dice Frisciane, i, 38: e itf transit in n,. et maxkne d vel e vel q sequentibus, ut tanium tantundem^ idem ideniidem, eorum eorundemj num nuncubi, et, ut Plinio placet, nunquis, nun^- quam » ^). Cotale dottrina tenne il campo nel medioevo. Giovanni da G. nel suo primo libro ripete queste stesse parole, senza la li- mitazione dell' e ut Plinio placet » ; e quindi in un altro passo inse- gna, cEx predictis patet quod ante e, d, t, q, /, non est scribenda m, sed n; ut nuncuhi^ tantundem , eundem identidem^ nunquis^ an- i) Non rimedierebbero che in parte, se non avessi sucrogato dei pun- tini ad fsimemoir, tmfHW, che considero come intrnai. ^ Il sentire * Immuni» imbutuB, impiut, per m» àxy un'altra bocca (TaeaoT, p. 565), conterebbe invece ben poco, e servirebbe solo a mostrale, 8« oe ne fÒ8S« bisogno, che da taluni si scriveva inmunia» 3) Lo stesso Giovanni da G., ohe sa in digrosso oome il vocabolo sia costituito, lo afferma composto « ab in et munium ». £ poiché ho no- minato Giovanni, soggiungerò, sebbene il silenzio stesso potesse oramai ÌB4Ìicarlo abbaaiamui, ohe presso di lui V in negativo- si assimila non altri- menti che la preposisione. ^) Qai proprio col pari alle costole : « pari vel impari ». ^) 8* intende ohe riferendomi all' esempUflcassione, non fo assegna- mento snll'tfnpitM. Cfr. n» 1. ^) lì, 29 noi Grammatici Latini del Keil. CLZ INTBODUZIOKE fractus. Et matatar in predictìs m in n. » Ed anche nel Glossario si legge sotto Idem, a proposito di ideniidem: « Mutatur enim m in n ante d eaphonie cansa ; ut eundem, eandein ; quod in aliis quoque compositis fieri solet propter eandem consonantem ; ut quendam , quandam, quorundam^ quarundam ». Utile sentir riassunta la teorica in uno di quei versi che tanto giovavano a ribadire nella memoria gl'insegnamenti, scritto a questo modo nella grammatica Maglia- bechiana : e M mutatur in n de quinta fece sequente > ; dove col « de quinta fece » vengono ad essere indicate le lettere d, q^ t, f, e. Che colla teorica non s'accordi neppur qui sempre la pratica, non c'è bisogno di dire; ma intanto si possono considerare come indubitate per conto nostro le grafie eundem, eandem, dacché quando la nasale è espressa è sempre n che i nostri codici ci dan- no^); e appunto cosi sono soliti scrivere i fiorentini colti, e tra loro Lapo Gianni'). Le medesime ragioni devono determinarci, sebbene con fondamento meno saldo, per quendam, quondam, quo- rundam^). Mantengo invece II, xii, 6 a verumtamen (Corbinelli ve- runtamen) le sue sembianze etimologiche, avuto riguardo alle con- dizioni peculiari del vocabolo ^) ; e le mantengo, anche a dumtaxat II, XIII, 6, considerato che l'm s'ha in T in modo esplicito, sebbene con qualche concomitanza che ne attenua il valore ^), e che non es- sendo frequente la parola, e frequentissimo invece il dum isolato, la spinta all'assimilazione era scarsa, forte invece il ritegno^). Mi risolvo poi anche per quamvis I, Vi, 3, xil, 7, II, vii, 6, posto che all'n, destinata in origine a una parola ben diversa, offertaci da G nel secondo di questi luoghi ''), non si può dare se non un valore più tenue di gran lunga che all'omissione del v tra le consonanti dinanzi alle quali l'm si muta in n nelle dottrine esposte di sopra, ') Per eundem co la danno ambedue II, xii, 8, il solo T xiii, 2; por eandem, entrambi I, is, 7. ') eumdem 14^ o IO'' può dirsi una rarità, nonostante che soorrondo tutto il Protocollo abbiano da trovarsene di sicuro altri esempi. 3) qu€mdavi s^ ba in G I , x, 1, e in T (propr. qnday) II, xii, 7, mentre por quendam e per quorundam (questo secondo solo II, vi, 4.) ci si devo contoutaro doli* analogia. Negli spogli miei di Lapo Gianni a tre quindam a quattro quondam si contrappongono due soli quamdam (15^ e 20^). ^) V. p. CLIII. 5) V. p. 196 1. 13. ^) £ un corto ritegno potò esercitarlo ancho V affine dummodo. Sia come si vuole, non ò caso di certo che mentre la collocazione tra Dumut e Duo ci assicura che Giovanni da G. si attenne a Duntaxat, ambedue i codici del VatkoUron usati da me, di nazionalità diversa come 8*ò detto, rechino Dumtaxat, 7) V. p. 68 1. 10. OBTOGBAFIA CLXI mentre ivi apparisce bene 1' / sua sorella : un' omissione della quale i composti del genere di cotiveniOf converto ecc. hanno ra- gione di dolersi ^), e sotto la quale e' ò nondimeno una percezione fonetica non falsa. Gerto un nonnulla — e non è un nonnulla l' aversi una saldatura, anziché una fusione — può bastare perchè l'm abbia a rimanere. Ita saldatura e le condizioni toniche ci conducono a scrivere senza titubanza, per ciò che spetta al primo elemento, I, i, 2 unam- quanqucy XVI, 2 unumquodque^ II, IV, 8 unumquenque] e la seconda di queste ragioni, insieme colle apparenze esteriori del vocabolo che ad essa si collegano, determinano per quantumcunque I, xvi, 8. n quantun- che Y contrappone in quest'ultimo luogo, e l'tintin- che porta nel secondo, non eccitano all'imitazione, pur non essendo privi di ammaestramento. E cosi parrà giusto che l'm sia conser- vata dinanzi al -gue = e^ pur dove non le accresce le ragioni del rispetto l'essere investita di un ufficio flessionale, tanto più che essa è data per eademque I, vu, 6 da G e T, per eodemque I, vm, 5 da T, per cumque I, xv, 6 da G (I, in, 2 e xi, 5 cu- entrambi i codici), e che per abmotimque I, ix, 7 è richiesta anche dal disiunctim con cui la voce è accoppiata. Ma ogniqualvolta l'unione è propriamente intima, ragion vuole che ci si conformi ai precetti, visto che real- mente s'accorda con essi la pratica migliore medievale, per quel tanto che le abbreviazioni le permettono di parlar chiaro. Di cotal norma si son già cominciate a vedere di sopra le applicazioni nella seconda parte di unumquenque, unamquanque, quantumeunque ; ai quali vengono ad aggiungersi quicunque I, vi, 2, II, vi, 3, e Tiu, 4, uhicunquc II, V, 3, plerunque I, i, 1 e II, iv, 2, utrinque I, XV, 4, e, dopo essersi mostrato un poco restio, lUrunque I, vi, 3 e vili, 1. Nò da nunquam I, vn, 2 e 6, xm, 1, ecc., unquam xiv, 4, che sono le forme colle quali presso Giovanni da G. i vocaboli prendono posto anche nel Glossario, ci distoglierà, nonostante le preferenze moderne, V umquam di G, che il medioevo non avrebbe davvero saputo in che maniera giustificare. E la tendenza a volere che il q sia preceduto da n, da nulla ò cosi bene illustrata come dalla grafia tanquanij che la grammatica Magliabechiana insegna % ohe da Lapo Giamii si vede attuata con una costanza che non ci aspetteremmo da Di essi e di quelli con in si tiene bensì il debito conto parlando dell*n. Giovanni da G. : « ^ terminat anteoedentem sUlabam, sequentibus e, vel dj vel /, vel ^, vel altera n, yel 9, vel a, vel t] vel «, vel u, etiam prò oonsonantibus positis ; vel x ». *) Gli dà posto tra gli esempi nel luogo donde s* è ricavato il verso citato nella pagina qui accanto . u GLZU IKTBODUZIONB loi^}, e che da Oiovannì da 0. vien bene ad essere imposta anche in maniera più diretta di quella vista addietro '), quando, s. v., egli dice, e Quanquam etsimiiia habentia m ante q per n scrìbuntur >. A qoestì impulsi cederemo anche noi. Che se i nostri manoscritti contengono dei iamquarOj va considerato che, ali* infuori di I, i, 1, essi sono (I, II, 5, XI, 6, II, VI, 1) del solo O, che s'è qui scemato credito col- 1' umqt*am, e discendono ben probabilmente da un <à di x. £ risei- tici per tanquam^ ci siamo con ciò stesso risolti del pari per quan- quam. Che se ci rimanesse qualche scrupolo di aver forse concesso un po' troppo all'efficacia assimilatrice del g, ce lo dissiperanno quicqtuim e quicquid. Cosi, e non mai altrimenti (qui, se Dio vuole, non e' è luogo ad equivoci), portano dovunque i codici nostri, che dei quicquam, compreso un nequiequamf ne hanno tre per ciascuno (I, IV, 4, . n, XIII, 8 ; 1,11, 2), e dei quicquid nientemeno che quat- tordici (I, IV, 5, VII, 2, X, 2, XII, 2, e 3 in due esempi, xvni, 2 e 8, II, I, 5, II, 4, lu, 8, 4, 7, 8); e queste grafie hanno anche la riprova dell'uso specifico fiorentino. Dove è da notare che se al quicquamy voluto da Prisciano in modo esplicito, nessuno osava opporsi a viso aperto, il quicquid trionfa nonostante che a lui i ne- mici non mancassero^). ti e ci dinanzi a vocale. — Già fino dall'antichità ti e et seguiti da vocale ebbero la tendenza a confondersi; e ne vennero dittografie come condicio e conditio, nuncius e nufUiìis, ocium ed otium. Coli' andar del tempo le due formolo si rìdussero ad avere nella maggior parte dei territori romanzi uno stesso esito sibilante; e siccome la pronunzia delle parlate volgari faceva inevitabilmente sentire i suoi effetti su quella del latino, ne venne che il medioevo non sapesse più bene, quando, nella condizione indicata, fosse da *) I miai spogli non mi fornisoono nessun tamquam, mentre di regi- strare i tcmquam mi dovetti stancar presto. E qualche tanquam — non fian- cheggiato da tom^uam — ho raccolto anche dai Doc* d*Am.^ dove son pnr notevoli dei nanque^ che s* affacciano fin dalla seconda carta. Doveroso avvertire che hanno tamquam i Protocolli di Matteo Beliotti e di Bene- detto da Firense ; ma il primo porta anche mimdem SG'*, il secondo qmondo' eumqut 4^, ubicumqìkt 8^. £ la coltura di Matteo mal corrisponde aUa aiti- dessa della sua mano. *) Parrà singolare ohe xA al suo posto alfabetico, nò a 7*am, il vo- cabolo non appaia. Ma V. p. oliii, n. 2. 3) Si senta Giovanni da G., P.^^ 1% parlando del d: «... Hoo dico, quìa quandoque mntator in e causa euphonie, ut quicqvkam^ et eiiam quic' qvÀd^ ut diount quidam. Alii vero diount quod quteqHÌd scribi tur per d, non J>er e, onde non mutatur ibi d\ siout nec in qwodqìÈt^ vel q^Mqpt; neo Priscianus ezemplificat nisi de quieqì^am^ ut patuit. Dicit enim: *Z> transìt in e, ut <»ùo\dU^ quitqiMim.^ Kt sic ex Prisciani verbis non habetur quod quidquid soribatur per e. » OBTOGBAFIA GLXIII scrìvere ti, e quando et. Per la lettura faceva il medesimo : si scri- vesse poi viiium, viciunij era sempre un vizium ohe si profferiva, a meno che non intervenissero i grammatici, come Ugnccione (sotto rtncto), a pretendere che s'avesse anche da pronunziare vUium^ per mantenere una differenza, quando si trattasse del genitivo plu« rale di vUis,^) — Come regolarsi dunque ? — Giovanni da Q-. (P.** 1*) vuole insegnarlo. « Si queras quomodo cognoscatur an facio scriba- tur per e, dico quod ad secundam personam cognoscitur, quia per e pronunciatur, ut facioj facis^ et ita de aliis similibus. SerUio et si- milia Bcrìbuntur per i licet pronuncientur per e ; quod potest co- gnosci ad secundam personam et pluraiem numerum ; dicimus enim quatto qtiatia quatimuSy seniio sentis sentimu»; et ita de similibus dioas. Amicicia vero, tusttcta, pudicicia, trisHeia^ et huiusmodi, per e scrìbuntur sicut proferuntur, quia formantur a genitivo si veuiunt a nominibus secuude declinationis, vel a dativo si veniunt a nomini- bu8 tertie, addita eia. Violentia vero et astutia scrìbuntur per f, sed pronunciantur in sono de e, quia formantur a genitivo violenti^ astuiif addita a. PntderUia autem et negligentia scrìbuntur per ^, licet pronuncientur in sono de e, quia formantur a dativis prudenti, negligenti, addita a. Et sic de similibus dicas. > Come si vede,.Oiovanni ara diritto là dove l'analogia di forme prossime gli può esser di guida; ma fuori di 11 anch' egli devia, concedendo al et* più che non gli spetti. E in generale è a dire che ootesta confusione medievale si risolveva per lo più in una spogliazione, pressoché totale in certi paesi'), parziale in altri, dei diritti del tu I nostri due codici molte volte s'accordano; e in quanto discor- dino, sogliono farlo in modo sistematico. G- inclina al ^i, T al et. Esempio caratteristico, da poter bastare da solo, tertius -cius e le varie sue forme, sempre con ti nell'uno, sempre con et, nell'altro, salvo che una volta (I, viii, 2) s'ha in T uno spropositato terrij] e il vocabolo ritorna nientemeno che undici volte'). Anche il £Ettto in- verso è possibile: I, V, 2 G r^uereneia, T rei^ren^ta, Vi, 1 G ne- gocium, T negotium, xv, 8 G iudicio, T iuditio, zvi, 2 Stpauciora^ T, per quanto pare, pautiora, xix, 1 G tocius, T totius, II, xiii, 8 G mUicie, T militie; e cosi in qualche altro luogo; ma sono Vedi anche Thobot, p. 78. *) Cosi segue, per non allontanarmi, nei CtUholieùn del codice FieBo- lano, di nazionalità francese, eome s^é detto. Neppure il contenuto serve di freno ; tanto da dirsi nel passo dianti rìferìto, « eto^encù» vero, tulueia, seribuntur per I .... prudateia .... per i ». ^ I, vn, 8 (bis) e 7, nn^ 2, 6, z, 4, ziz, 1, n, vtii, 6, iz, 8, zni, 8, ziv, 1. CLnV IKTRODUZIOKE anomalie. E ciascuno dei due mas. dà prova di poter trascendere nel senso della sua propensione : G- forse soltanto con un elitiendufn I, xn, 6; T, con ben altra frequenza, dando il ci a terminazioni e a parole scritte altre volte, e anche in luoghi assai prossimi| con ^t, tanto da trascorrere perfino I, v, 1 in un sentiaiur et senciat^). Quest'ultima osservazione, e l'essere un gran numero di ti consentiti anche da T, porta a giudicare l' ortografia di O più pros- sima a quella di x. Con ciò non è ancor detto tuttavia che essa ri- specchi l'uso dantesco. Sennonché ci soccorrono Lapo Gianni e gli altri fiorentini, mostrandoci che a Firenze si propendeva risoluta- mente al ti. Lapo, nonché nei casi voluti da Giovanni da G. e in quegli altri che potevano comunque essere rischiarati dall'etimologia, scrive, costantemente, o almeno abitualmente, negotiunij offiihtmj offitialis^), hospitium, pretium^ palatium, iustUia^ malitia^ sotiusy sotietaSf ecc. ecc. £ con lui son d'accordo i suoi concittadini. Gli ò dunque al ti che per doppia ragione anche noi dovremo propendere. Ma non lasciamoci andare all'eccesso di volerlo intro- durre dappertutto. Quella che il confronto di G e T — più auto- revoli ciascuno quando depongono contro le proprie tendenze — conduce a ritenere essere stata la grafia di as, ci rappresenterà a un dipresso il segno a cui ò bene arrestarsi. A un dipresso : giac- ché che X abbia potuto esser fuori di strada e a destra e a sini- stra, provano per un verso conUio I, vii, 7, e per l'altro tocius I, zviii, 2, serUencia II, v, 3, ripudiati da ragioni morfologiche e ana> logiche troppo patenti. Stabiliti questi principii, la massima parte dei casi si trovan risolti senza bisogno di discussioni speciali. E si capisce ch'io m' inchini subito I, vu, 2 a dditiarum, I, vi, 8 a delitiosusj ib. 2 a delitiosiasimunif che son anche di T; e che, per non dire del tertiu8f preferisca I, vi, 1 il negotium^ I, xv, 5 e II, xii, 5 il /a* bnditis -tium, I, i, 1 il potionare di G, al negociumjfabrucius -cium^ pocionare di T ')• Rispetto la tradizione anche per eommertium (del eomm- si parlerà poi), I, ii, 4 e vii, 6, dove le spinte fiorentine, se A) Qualche altro esempio I, ii, 6 imilaeio ; ma poco dopo repre»enUMiio e — sotto le sembianze alterate di muiiUio — imitatio. — tu, 6 eoseroMi;', e 7 extreiHum. — II, ui, 8 eaneto, mentre per solito è canOo che si scrive, e anche subito dopo ci si dà eantonet (per eon^ònet). — ix, 1 ttaneia nello stesso periodo ohe ha ttantiarum, *) Solo 18' e 20^ mi sono imbattuto in offidalibuM. ^ ') L* aiuto che poeionare chiedesse a poeulum che nel nostro testo gli sta vicino (ofir. Agreoio, nei Oramm. del Keil, VII, 116, «Pooulum vas est, potio quod hauritur ») non vale certo quello ohe potionare riceve da potare, V. anche Thubot, p. 78* OBTOO&AFIA OLXV avevano contro di sé le ragioni etimologiche, erano favorite dalPana- logìa dei tanti neutri in -tium. Viceversa la tradizione è da me vio- lata, per amor dell'ambiente, con spatium e stiUtitiam, che am- bedue i codici ignorano. Scema a spacium autorità l'occorrere in un luogo solo, I, 1, 3. E sia pure che Giovanni da O., come prova Por- dine alfabetico, si attenga a spacium : di tutti i suoi spaci^, che sono ben venti, il trascrittore italiano, anzi probabilmente toscano, di uno dei due codici di cui io mi valgo ^), ha fatto altrettanti spati-. Quanto a stuUiciamf ritorna due volte: I, vii, 3 e II, iv, 7; ma è avversato dall'avariate, letitia (qual voce italiana), e mUitie, che l'applicazione dei criteri che si son posti obbliga ad adottare I, xn, 4, n, vn, 5, xm, 8. Che se noi si fosse timidamente ligi ai manoscritti, dovremmo inevitabilmente piegarci a pocius, che l'accordo di G T I, i, 4, xi, 2, II, i, 7, prova essere stata la le- zione abituale di a?, salvo il non sapersi cosa pensare I, ix, 4 di fronte a un potius di T bilanciato dal poctus che G — G, si badi bene — reca qui pure. E il piegarci ad esso, mentre dalle penne fiorentine è potius che suol uscire, mentre il legame del vocabolo con poiioVj rappresentatoci I, i, 1 da un poiiora comune, era ben noto, e mentre era voce d'uso anche il superlativo potissime^ sa- rebbe davvero cosa assai ostica. In compenso il iudiiio di T, I, xv, 4, non mi desta davvero il più piccolo dubbio contro vudicio^ iudicium — che qui è di G^ e che I, xn, 5 e XIV, 5 è comune all'altro codice r- troppo bene protetto da index e famiglia. E anche i Doc. d^Am,^ Lapo Gianni, i suoi confra- telli in notariato Berto di Nuccio e Matteo Beliotti, scrivon ludicio. Al modo stesso il consenso che viene ad aversi II, i, 2, e vi, 4, e la trasparenza dell'etimologia, o almeno il fattore analogico, non permettono che abbia efficacia il superfitie dello stesso T, II, vu, 2. Meno ancora II, vii, 1 il presentia di G potrebbe mai aver forza di indurre a scrivere provirUia la voce che vuol bene sostituirsi, di fironte alla sanzione che G stesso dà ^ provincie I, xiv, 2, a Pro- vindalìbus I, vm, 6, rinfrancata da quella che aggiungono Lapo e i Doc. d'Am. £ si che Lapo e i Documenti vorrebbero tirarci I, X, 6 a sotiande II, n, 4 a sotiatur; ma del sociande, sociatur dei mss. prende subito le parti Brunetto Latini, dal quale abbiamo soeii e eonsocii nel documento vaticano, societatem nei Capitoli, Né sarebbe facile distogliermi I, i, 4 da artificialis^ difeso da artifeXf quand'anche Lapo non infirmasse egli stesso un suo he- nefitium 69* {beneficiis i Doc. d' Am, 15**) con un hedificium che 1) y. p. GXLTIII, n. 8. CLXVI INTRODUZIONE lo segae dappresso 70^. E contro V oso consueto di Firenze rispetto perfino preciosissimum II, li, 5, in vista dell'abitudine che s'aveva di derivarlo da prex precis ^). Per ultimo, dovendo integrare la rap- presentazione costantemente abbreviata che i manoscritti ci danno per species nei vari suoi casi (I, ii, 4 spèi, splrum^ ecc.), crede- rei di meritar biasimo se lo facessi in altra maniera che secondo richiede l' uso corretto , che nella stirpe numerosa dei vocaboli notoriamente affini, tra i quali segnalerò specimen II, v, 8, tro- vava un aiuto efficacissimo per ogni mente riflessiva. Fosse dunque divulgata quanto mai si voglia la grafia spetiesy e abbia pure tra gli altri il suffragio dei Doc. d'Am. {spetiei 96 , spetialiter 2* spe- Hosissimam 17° e 17^, ecc.)i essa nel caso nostro è da scartare. Uso dell' A. — Che nel porre o tralasciare una lettera am- mutita nella pronunzia comune da molti secoli, e fonte già per i romani colti di non pochi dissensi e per gl'incolti di molteplici er- rori'), il medioevo dovesse inciampar di continuo, era cosa inevita- bile. Bisognava prender norma, allorché si prendeva, dalla tradizione e dall' etimologia ') ; e le acque della tradizione erano deplorevol- mente torbide, e in fatto di etimologia mancava assolutamente ogni criterio per discemere il vero dal falso. E vorrei vedere chi osasse qui muover rimprovero, leggendo presso Velie Longo che « non nulli harenam cum adspiratione, sive quoniam haereat, si ve quod aquam hauriat, dicendam existimaverunt >, mentre «alila sino ad- spiratione videtur enuntiandam > ; e sentendo da Velie stesso rim- proverar l' A ad hortus^ detto cosi € quod ibi herbae oriantur > ^) ; un' accusa che in forma anche più recisa era già uscita, come rica- viam da Carisio, nientemeno che dalla bocca di Vairone'). Tra i vocaboli nostri pervertiti nell'uso medievale da pretese ragioni etimologiche, indicherò anzitutto Oratius (II, iv, 3), venuto a scriversi a questa maniera per via di orare, orator, oratio, — In Elicon (II, rv, 7), registrato in cotal forma da Giovanni da O., la cor- ruzione potrà dipendere dalla sua condizione esotica; ma perlomeno valse a ribadirla il credere che (lascio parlare lo stesso Giovanni) « dioitnr ab elido -ct>, quia olim elìciebatur inde sapientia ». — Ciò che qui s'è perduto, guadagna hosHum (I, vin, 3 Ao- G T, xvm, 1 ') Qaetta derivazione abbiamo in Papia, Ugucoione, Giovanni da O., e Dio sa quanti altri. Giovanni ne soggiunge due altre, da pre e dare e da pre e vteìt, di oui solo la prima suppone la grafia pretium. «) V. SsBLMANN, Die AuBspracke dea Latein, Heilbronn, 1885, p. 256-2(]8. ^ « Nunquam ponetur h in derivatione, nisi sit et in primitivo », si diceva saviamente anohe allora (Thobot, p. 588). 4) Kbil, Gramm. lai., VII, 69 e 68 (Putsch, 2280). K) Kbil, I, 82 (Putsch, 62). OBTO0BA9IA CHiXVII ho- O <>- T) , che per dirla con Ugnccìone si chiama cosi < quia ho- stem moratur; ibi enim adversariis nos obicimus » ; il che non è se non nn ripetere amplificando — e le amplificazioni seguitano del- l'altro — ciò che s'ha in Isidoro, xv, 7, 4*). — Un'^ mwio salda*) ò quella di hausterus : gliela dà Ugaocione, gliela rifiata Giovanni da G.; ma dell'essergli data la ragione sta nella derivazione da {h)auster^ denominato — parla qui pure Ugaccione e ai fa capo a Isidoro, xui, 11, 6 — e ab hauriendo aquas; quia ventos est plnvio- aos >. Nel trattato dantesco la famiglia ò rappresentata da {h)auste'' rUatem^ II, vii, 4; con ^ in T, senz'A in G; ed io, considerando che in G c'è maggior propensione a correggere, sto coli' altro codice. — Ma mentre austerus si arricchiva, haurire all'incontro s'impoveriva, divenendo frequente lo scriverlo auT^re '), non so se per un'azione rovescia di auster^ o per via di aura, E c'era altresì chi riconosceva ambedue le scritture, insegnando, < Auriij hoc est aquam levat, sino hj haurii, id est bibit, per h > (Thu&OT, p. 621). E con distinzione diversa Ebrardo di Bóthune : « Haurio fontis aquas..... Aurìo percu- tiens >. A noi , dopo aver accettato haitsteritas , parrebbe imporsi haurire f insegnato anche dalla grammatica Magliabecbiana ; sen- nonché, trovando concordemente nei manoscritti aurientts I, i, 1, aurientium II, vi, 4, ci si guarderà bene dal toccar nulla. Né que- sta sarà una contradizione, poiché non è da immaginare che Dante dovesse andare al fondo di ogni cosa; contradizione c'ò bensì nel- l' haurire e austerus di Giovanni da G. , perché accoppiati espres- samente colla dottrina etimologica che si é sentita esporre da Uguccione. Un' A di cui ignoro l' origine é quella di hedifieare e della sua stirpe, dacché 1' etimologia da cSo^, sebbene ovvia non meno che erronea, parrebbe messa innanzi solo di recente % Da Papia, Uguc- cione, Giovanni da G., pei quali non aveva seminato invano Isidoro XV, 3, 2, riferendo che taluni credevano essersi detto € aedificium, eo quod fuerìt prius ad edendum factum, dantes exemplum de Pianto, 9i voeassem vos in aedem ad prandium », quest' h non é ricono- scinta; come non é ammessa da Bartol. da 8. Goncordio (Thurot» p. &S4) ; ma é predicata da Boncompagno (Thueot, ih.); e quel che più vale, ha per sé Lapo Gianni, cogli altri notai Francesco di Nuc- ') Otitmn sarebbe invece rimasto, se fossero prevalse le altre etimo- logie qui addotte, « ab obstando >, oppure « quia ostendit aliquid intus ». *) Bottium vedo registrato anoora nell' edizione aldina del lessico ca- lepiniano con data del 1560. 3) Che esempi di questa grafia apparisoano di buon^ora (Y. FoucKLLiiri- Dk-Vit, 8. y. e ad BauMiua)^ é troppo naturale. *) 11 Dk-Yxt, sotto aede$f par darla come cosa sua. CLXVni INTRODUZIONE ciò , Matteo Beliotti , Uguccione da S. Casciano , Grimaldo di Compagno, e coi Doc, cT Am, Posto ciò , quando nel De vtdgari Eloquentia si vede che è costante in G-, e che se T l'ignora I, VII, 4 e IX, 2, V ha ancor esso I, vi, 6, non si può a meno di ac- Gettarla. Molto antica e di£fasa , e dovuta più che probabilmente a un'azione greca, ò 1'^ in archa^ e conseguentemente in archanus. Siccome si credeva che il vocabolo venisse da arceo^ Giovanni da G. ed Altri maestri (V. Thubot, p. 583) la respingono; ma di certo non respingeremo noi Varchanaj concorde, I, v, 2. Ciò che riesce a un ^ immaginario, non riesce ad un vero: seo- larium II, vi, 4, cartulis II, vili, 5, sono sanciti da Giovanni da G ^), e trovano indulgenti gli stessi lessicografi del latino classico. — Si- milmente hanno Giovanni per so armonta e derivati'), II, vii, 6, vin, 5 (due es.) e 6, x, 2, xin, 8. — Altrettanto si dica di ende- casillabus, II, v, xi e xii, passim, xiii, 6; accanto al quale non ha motivo di vergognarsi, meno che mai potendo richiamarsi a Papia, neppure eptasillàbus^ II, v, xi e xii, passim, ancorché Giovanni — sotto sillaba — abbia ^fp^a-. — H vocabolarista genovese, illumi- nato da Prisciano, insegna anche a scrivere debitamente rhetoriea^ pur continuando colla tradizione comune a dare con semplice r- iniziale molti altri vocaboli di origine greca; ma avrà trovato poco ascolto; e noi ci terremo beu paghi di retho-^ portato dai due co- dici II, VI, 4, da G n, IV, 2 (T retorica), che è la grafia rituale del- l'età media*). — E con rethorica metteremo rithimus II, v, 4, rx, 4, e xui, passim, di cui sarà da ritoccare altrove. L' ^ — in quell'unica sede, beninteso — s'ha costantemente, salvo nel primo esempio, dove riptimiis costringe in ogni modo a correggere. — Essa non manca neppure ad ethera^ II, rv, 7. — Manca invece in Tomam, I, xrv, 2, senza che ci si senta punto spinti a correggere, trattandosi special- mente di designare un contemporaneo (cfr. Lapo Gianni 51^ tomasiy e passim invece s. Thome)^ più di quel che vorremmo fare per 1' Ugolinum , che gli sta al fianco , troppo avvezzo qui da noi ad essere scritto a questo modo. — Quanto ad Ungaros -orum I, vili, 8 e 4, e Adriaticum, I, x, 6, non hanno bisogno alcuno di giusti- ficazioni. i) Per lui « Caria ^te dioitur a Careo -rei, quia careat pilis et car- nibus ». *) « Videtar», dice Giovanni, ^armonia esse compositum ex ac{ .... et monoif quod est unum ». ^ Y. anche Thubot, p. 472, n. 8. Frequente tuttavia — e troppo faoile da intendere — ohe si scriva rectorica e reetor, per tacere del più vixioso reUoriea, ORTOQBAFIA OLXIX DelPA indebita di racha, I, xii, 4, si fa garante il CathoUcon; ed essa è da ritenere di provenienza greca, poiché codici tra i più autorevoli della versione dei Settanta hanno p^a/a — Associata col e, che sempre le spiana la via, Vh si presenta anche nel franchoriim di T, I, vili, 8, e néìV anchonitaneis di G e T, I, x, 7; ma sebbene si tratti di grafie tutt' altro che insolite, il f rancia cornane, I, vili, 5, VaneonitaTui e anconiiane^ comnni del pari, I, x, 6 e xi, 8, a cosi breve distanza dalle altre forme e con più largo fondamento, vo« gliono che da noi quell'A non sia accolta; e per ciò che spetta al secondo vocabolo, allegherò altresì un ancon\itana\ dì Lapo Gianni, 97^, ed un Ancone di Matteo Belletti y 56^, soggiungendo tuttavia, a mostrare quanto si oscillasse, che nella linea antecedente costui scrive Anchone *), Dopo le cose viste, non farà meraviglia il sentire che, per ef- fetto di azioni analogiche, anche os orìs e ora orae si videro spesso regalata nel medioevo un' A; e cotale grafìa è inculcata espressa- mente da Boyoompagno (Thubot, p. 534). Cosa agisse su ora^ è troppo manifesto; per os è da tener conto altresì del ravvici- namento, già isidoriano (XI, i, 49), con ostiuin^ ossia, medioeval- mente, con hostium. Siccome peraltro a noi i manoscritti danno I, vin, 1 m oris orientalibusj e siccome hora (volti) e hore (bocca), vii, 1 e XII, 5, oltre a mostrarsi nel solo G, hanno contro di so un ore co- mune, che di poco precede il secondo esempio, non ci passerà nem- meno per il capo l'idea di attenerci ad altro che alla scrittura cor- retta. — Dell' orrificium invece manoscritto I, iv, 4 ci si limiterebbe a fare orrificum^ trovando in Papia registrata la stirpe a cui il vo- cabolo appartiene non meno col semplice o- che con Ao-, se per Vh non intercedesse dbhorret I, ii, 1. — Uh non ci tenterà punto nel circha di G II, xi, 1, da reputarsi mera soluzione del solito compendio (T cc)j e meno che mai ci potrem sentir portati ad estenderla. Essa trionferà bensì II, x, 1, dove, avendosi a scegliere tra V inhiamus di G e Viniamus di T, sarebbe un curioso capric- cio quello che facesse preferire il peggio al meglio. — Quanto ad hiij hiiSj si veda la serie alfabetica. 1) Aneo-f duo volte, se ò esatta la stampa, altresì in un lodo fioreu- tinu e steso da un notaio Ferentino (propr. di Signa), che fu pronunziato nel 1298 per controversie tra 1 Marchesi d' £ste Obizzo YIII o Francesco. V. MuRAToai, Ant, EaLj ed. orig., II, 5G e sgg. Nei documenti pubblicati in quest'opera/ il vocabolo, per effetto di un* investitura conferita prima- mente da Innocenzo III nel 1208, si mostra non so quante volte (si scor- rano nel t. I le p. 387 sgg. e nel II le primo conto) ; e accade di rilevare che l'ortografia estense ò in generale Ancho-f mentre quella della cancel- leria imperiale e pontificia suol essere Anco-, CLXX INTRODUZIONE Uso deir ,y. — « In multis dictionibua grecis voi barbarla est dubium an debeant scribi per 1 an per Y apad nos, cum nesciamua illas lioguas perfeote.... Et ideo superius in nona litera tractavi mix- tim de dìctionibus que incipiont ab / et de illis que incipiunt ab y. » Cosi, sulla fine del Catholicon^ Gio. da Q., soggiongendo che un certo numero di vocaboli e communiter scribuntur apud nos per ^ » ; e di questi soggiunge la lista. In essa, per limitarmi a cose ohe ci toccano da vicino, comprende del pari Ydromellum e Ydioma, in quanto in ogni parola greca anche l'c, sopra tutto se iniziale, correva gravissimo rischio di essere creduto u. A ciò s'aggiunga che, seguendo un' antica ubbia non dissipata ancora del tutto (si pensi a si/Iva), si propendeva a credere greco anche ciò che non era per nulla; e si giudichi delle conseguenze. L'y apparisce dunque nel latino medioevale in modo quanto mai irregolare: s'ha dove non do vrebb' essere, e in compenso, sebbene più di rado, manca dove sarebbe richiesto. Nel testo del De vulgari Eloquentia io lo ammetto in generale se la tradizione diplomatica lo vuole, colla tendenza tuttavia a restringere l'abuso, piuttosto che a favorirlo; e dicendo « abuso » ho detto altresì la ragione. Ed essendo qui necessaria una rassegna, distinguo quattro categorie : I. Voci greche che hanno y debitamente, o che indebi- tamente non l'hanno ; IL Voci greche dove Vy ha usurpato il po- sto di t; III. Voci che hanno y senza essere greche; IV. Voci a cui l'f^ non è stato da me consentito. Ogniqualvolta non specifico, s' intende che G e T sono d' accordo ; e questa norma s' abbia sempre presente quind' innanzi. I. ydromellum I, i, 1 ; physicorum II, x, 1. — Costantemente i in sillaba e nella numerosa sua*stirpe (II, v, sgg.); e cosi i in cataclismo I, vii, 2, sincoparUes xiv, 3, asìlis xvm, 2, rithimtis II, v, ecc., sirma X, 3, xi, 2 e 4; nò è già ti/renum, iyreni^ bensì tirr-f che la ragione grafica fa sgorgare dal probabilissimo turenum di G, I, X, 6 (T tirènu7n)f e dal sicuro tureni di ambedue i codici che lo segue dappresso, una volta che della lezione diplomatica, nonostante qualche esempio antico e la possibilità teoretica di un' in- tromissione di Tuscus e del preteso suo etimo tus, non lasciano che ci si contenti l' uso medievale e la somma facilità di spiccicarsela di dosso (V. p. cxxxi e cxxix). Attenendomi all' uso, non do Vy nemmeno al poli^ di polisillaba ^11, vii, 6, ancorché la vocale sia so- stituzione mia propria (mss. polo-). II. ydioma in un'infinità d'esempi, colle sole stonature di idio- matey comune, I, iv, 1 *), e di due eccessivi ydyoma in G, I, vili, 2 e <) Quanto alle eccozioni noUo rubriche, non contan nulla por Dauto. OBTOGBAFIA CLXXI 5; — ydiotas II, VI, 3; — y storie I, X, 2, a cui aggiungerò la con- ferma dei Doc, d'Am,, e dove rileverò per la prima volta il fatto che air y iniziale s' accoppi la mancanza di un' h. — Epiphyatum II, I, 7, con uno storpiamento di cui si toccherà più oltre, non ci suscita se non il dubbio, se mai, conformemente all'uso più solito, Dante non potesse aver scritto epyphiatum^ od anche epyphycUum, — Copiose testimonianze (molti esempi anche solo i Doe. d'Am, dianzi citati) indicano che deve integrarsi phylosophatus il pKoso» phaius n, VI, 2. — Avuto riguardo al vocabolo, parrà giusto pre- ferire I, X, 2 il troyanorum di G al troianorum di T. Lo scrivere Troya era veramente comunissimo. — Di Italia dice nel secolo XV r aretino Giovanni Tortelli — nel suo lessico ortografico, parecchie volte stampato, delle voci derivate dal greco — che < graecum voca- bulum est » ; e se gli antichi erano solo in parte di questo parere, i moderni consentono quasi tutti. Vogliono dunque inchiudersi in questa categoria i nostri Ytalia ed Ytalus, numerosissimi e costanti, salvo l'eccezione di italia I, xv, 1 (per itala\ xvni, 6, xix, 1, in G soltanto, dove abbiamo anche I,xii,8 un ibrido yitaliayZoWi espunto'). L' Y per questa famiglia è realmente la scrittura più consueta. E per allegare qualcosa che abbia un'opportunità particolare, menzionati qui appena di passaggio i Doc. d^Am,, segnalerò ytaliciSf ytalis^ yta- log, ytalia nella lettera ai cardinali italiani di Dante stesso giusta la trascrizione del Boccaccio nel cod. laur. xxix, 8 (60^-61**). E che più? La grafia passò nel volgare, ed è comunissima anche nei co- dini toscani della Divina Commedia (p. es., /»/., l, 106). III. yspidwn, I, xrv, 8, è pur sempre preferibile, se si riflette ad ystorie e agli esempi che qui subito soggiungo, all' isp^ di cui in ogni caso ci si dovrebbe contentare; ed è anche pensabile che in antico abbiano esercitato su di esso un'azione oq e hystrix, — yupant (due es.), -os^ I, vili, 5 e II, xii, 3, come yspania, tra una turba, i Doc, d'Am,; e si cfr. ybernia in Lapo Gianni, 5^. — Dati questi riscontri, vuol bene essere conservato ystriauos I, xi, 5, pur non dovendoglisi immolare iatria e istriania nel cap. preced., 6 e 7. — La tendenza che vien cosi a rivelarcisi nei nomi geografici saf- fragherebbe di già ymolensibus I, xv, 2 e 3 ,* e dissipa ogni incer- tezza Vymola di Lapo, 38**. — In amysibus I, vii, G, l'idea che il vocabolo fosse esotico, e conseguentemente Vy, poterono esser fa- Ivi oXV id~ 8Ì può anche concedere di prevalere sulPj^cZ- so i codici si di- vidono, considerando che i trascrittori erano più avvezzi a questa seconda, che alla prima grafia. 1) Come per idioma^ Vi abbonda maggiormente nelle rubriche, sema che a noi deva importarne. CLXXIT INTRODUZIONE voriti dall' uso infrequente. — Invece non so donde abbia il sno y^ osteggiato nel medioevo (Thubot, p. 520) e pur nondimeno cornane; la voce ymo, A noi s' o£Pre in due casi, I, v, 2 e II, i, 7, di fronte a un imo II, vili, 4, cui scema forza anche T insolito raddoppiamento della nasale (V. nella serie alfabetica, e p. 165 n. 2), ma che nondi* meno mantengo ancor esso. Per assodare la toscanità dell' y alle- gherò la grammatica Magliabechiana e il Boccaccio (cod. cit.). — Strano y, né consueto, quello di ytinera, I, ix, 1, al quale doveva far guerra la derivazione abituale del vocabolo da ire. Tuttavia la singolarità della flessione potò agire in senso opposto; e ad ogni modo basterebbe a vietarci di alterare ciò che ci ò offerto il tro- vare ytineriSf per mano di un notaio fiorentino assai attendibile — Ruggero degli Albizzi —, in un documento del 1276, trascritto nei Capitoli, XLIV, 20\ Cfr. anche Thubot, p. 520 1. 26. IV. Il dy obolo di G I, iv, 2, che rientrerebbe nella seconda classe, dovrebbe vincerla sul dia- di T, se G e T non portassero concordemente l't I, n, 5. Le due grafìe sono entrambe frequenti. — Molto titubanti si rimane tra yrsutus e irsutus, dopo aver con- chiuso che ursuta, datoci da G II, vii, 7, e da T ib. 6 avanti che l'amanuense dell'in che aveva scritto dapprima feu^sse F, trova un sostegno insufficiente nella pretesa derivazione di ursus da questo nostro aggettivo ; registrata con altre due da Gio. da Gen. Yrsuta^ dopo il mutamento accennato, viene ad essere la lezione di ambe- due i codici n, VII, 6: e s'ha del pari in entrambi ib. 4, e in T ib. 7. Un tr- schietto non troviam mai ; ma esso risulta in modo assai più efficace (cfr. p. cxxzi e cxxix) à&ìVusutum I, xiv, 3, e dal doppio tisuta, II, vii, 2. E a ciò aggiungendo che anche gli ursnia saranno assai probabilmente degli usuta voluti correggere, e però degl' irsuta, ne viene per l' ir- una prevalenza incontesta- bile, la quale induce a introdurlo dovunque, posto che la troppa prossimità del piò tra gli esempi non permette una doppia grafia. — Più prontamente ci si decide I, xii, 4 a dar luogo nel testo a tihie^ essendo tybie solo in T e costituendo una grafia non usuale. — £ anche più facilmente ci si risolve I, x, 2 per prosaieìim^ II, i, 1 per prosaicantes, dacché, oltre ad essere Vy limitato a T, prò* saycum si trova rinserrato ivi stesso tra un prosaice e un prosai' cantibuff. — Un y a cui sarebbe assai difficile piegarsi sopra un esempio solo, è quello che i mss. recano in ynsule, I, x, 6. Uso del ph, — In phyloaophatus II, vi, 2, e physicortitn II, X, 1, il ph è rispettato a dovere; in epiphyatum II, i, 7, ha scam* biato il posto col p; e questo scambio, dovuto alla preposizione tTii, come apparisce assai bene da Uguccione, è costantemente por- tato dalla tradizione medievale. — Che si scriva tripharium -riOy OBTOGBAFIA CLXXIII I, Vili, 2 e 5, IX, 2, X, 1, è manifestamente un effetto del greco òifà'3iot;y tpifasLo;. — Un ph è perduto — né ci è lecito ristabilirlo — in meiamorfoseos I, n, 6 e II, vi, 6. Uso del k. — Ancorché superfluo, il k ebbe nel latino vita assai durevole nelle parole principianti dalla sillaba ca, sillaba ch'esso bastò anche a significare. Un filo di questa vita, riuscito in certi luoghi e tempi a rifarsi singolarmente vigoroso, si per- petuò nel medioevo. Una sua salvaguardia consistette nel prin- cipio propugnato da Isidoro (I, xxvii, 13), e generalmente ricono- sciato sebbene non altrettanto generalmente praticato, che fossero da scrivere con k tutti i vocaboli greci. E voce di derivazione greca si credeva, come continuò per molti secoli a credersi, carus] e a dare una speciale padronanza al k su questa parola contribui- rono le sigle k. per carissime (vocat.), kk, per carissimi , che tro- viamo registrate anche da Papia. Due kme (sempre voc.) noto nella trascrizione della lettera dantesca e Exulanti pistoriensi > di mano del Boccaccio (Laur., xxix, 8, 61''); e che il k non si limitasse ai casi di abbreviazione, dirà karissimis nei Capitoli^ XLIV, J45''. Quindi al karissime (avv.) non si potrebbe certo rinunziare là dove i codici lo portano, II, iii, 6; e non essendo ammissibile un disac- cordo a distanza di poche parole, s' è indotti a sostituire il k anche nel carissime che gli va innanzi e che è legato con esso nel modo più intimo. Invece non oseremmo toccar caritate I, xvii, 2, quan- d' anche il Boccaccio stesso nelF intestazione della lettera detta dianzi non avesse caritatis : argomento corroso da un karitas ac- canto a earitas nell'altra lettera « Cardinalibus ytalicis » (60^). — Quanto a Karoli I, xii, 4, si tratta d'un nome che per il k costituisce un acquisto medievale posseduto con tenacia particolarissima: tra i nostrii al modo stesso come Matteo Beliotti 56**, glielo riconosce Lapo Gianni 96^; e, pur dando esempi anche dell'altra grafia, glielo ri- conoscon del pari i Capitoli* — Di un ke nella frase volgare lucchese I, xrii, 2 nel solo T, toccherò altrove. -mpn- = -Win-, — Gli esempi sono per noi dampnosa I, ii, 4, Columpnis II, v, 4, sompniando vi, 4. I codici portano nel primo caso ddpnosa (il dapnosa della riproduzione fototipica di G è una inesattezza) ; nel secondo G ha colùpnis, T colupnis ; nel terzo en- trambi recano corrottamente soprimando. Come si vede, il p non manca mai. Ed è questa per il nostro gruppo consonantico la grafia consueta medievale, che sgorga da una vena ben profonda ; grafia riprovata dai più saputi (alle parole di Aimerico e di Bartolommeo da S. Concordie riferite dal Thurot, p. 535, metterò accanto la pra- tica costante di Giovanni da G.), ma con poco effetto. Ad essa, ben inteso, s'attengono anche i fiorentini, come a dire Lapo Gianni, nel CLXXIV INTRODUZIONE quale noto dampnumy condempnatus, dompnus, soUmpni^ ecc. ecc. Presso taluni accade altresì d' imbattersi sporadicamente in nn semplice -pn esemplificatoci anche dal colupnis di T — che non sarà sempre mera inesattezza materiale. a; -H », aj~h t, — Nella composizione di ex con sistere un'j» spari- sce : existat I, i, 4, existant II, ili, 7, existeret I, v, 2, extìtvf- set I, iv, 5 : testimonianze che non lascian laogo a dubbio sul modo di risolvere il compendio exms II, xni, 6, e di correggere exUat 1^ VI, 3. Ma accanto ad existere non ci si meravigli di exnurgenu I, VII, 5, in cui V s h domandata dal minor grado di fusione. Per una ragione analoga V extitisset non mi dissuade I, XYlii, 1 à^LÌ" Vexstirpat (Giovanni da Q, extirpare\ gridato dai codici in modo tanto più efficace, perchè con mescolanza di spropositi (Q- extupa, T *ìt stirpa) f ossia inconsciamente. Un dissenso ben maggiore si rileva tra V admixta e mixta II, i, 8, e il eommistio I, xv, 3, 4 e fi, dacchò eommistio parrà legittimo per coloro soltanto che, per servirmi delle parole di Gio. da G., « dicunt quod misceo -es facit mistum per s » ; ma chi ben guardi vedrà non esserci ragione di meravigliarsi che l's, favorita per una parte da tutto il resto della coniugazione di questo verbo, per V altra dalla tendenza fone- tica di xt a diventare st^ prevalesse di preferenza là dove all' a; se- guiva -M NoLOAG, Fae9ÌmiU9 de l'éerilute de Feirarque, tav. iii, nel voi. Vn, dei Mélange^ d*ArcìUol. et d'HUt, della Scuola francese di Borna. GLXXVni INTRODUZIONE sibìlissimo. Con ciò veniamo, quanto a pereontari e cunc^arif a tro- varci d'accordo con quel che si legge in Gio. da G.: e Contor,ei contuSi prò instnimento piscatoria.... Et est oontari conto aliqaid perqoirere.... Et componitnr Percontor -am, idest inquiro vel per- qoiro, interrogo. Et soribitur per o, Invenitor et cuncior -aris per u, prò morari, vel dubitare. Unde quidam: ^Oontor, perqoiro; cunctor, dubitoque mororque'. Et in Ghecismo dìcitur: € 'Percon- tor notat id quod perscruptor, per o scriptum; Percunctorqoe per u dicitur esse moror \ » E la distinzione grafica e semasiologica si ribadisce sotto cunetor^ che si deriva da cunctus o dal sost. cunda, Contanier né cunctanter (bensì cunctatim) da Giovanni non si regi- stra ; e cosi V una come l' altra grafia, col senso che ciascuna porta seco, potrebbe convenirci I, xiv, 1; il che vai quanto dire che non ab- biam ragione di ribellarci al contanter che esce dal coniàhU dei mss. contemptive II, xrv, 2 — Curioso che il corUerUive della tra- dizione sia stato abbandonato dal solo Giuliani. Esso e certo un per- vertimento prodotto per istrada da contentus; dacchò è facile figurarsi se il p poteva mancare dinanzi a ^ in un sistema di scrittura che portava coniempnere (V. p. GLXXili). cum, passim — Sempre cosi: non mai quum. Ed anche Gio. da G. registra cum soltanto. Analogamente cotidie I, xviu, 1, locuniur^ se- eurUur (V.). deeasillabum II, V, 4 — V. sillaba. diabolus I, II, 5 e IV, 2 — Il -òo- che s'ha nel primo luogo, deve vincerla sul -bu- del secondo, dovuto a un'attrazione analogica troppo ovvia e ad una falsa reazione contro il volgare. Replicata- mente diabolus anche i Doc. d*Am» diffinio n, IX, 1 (due es.), x, 1 (due es.) — Sempre cosi, e non definiOj che anche nei classici mi è sospetto di averla molte volte fatta da usurpatore. Meno male che nel testo nostro, salvo un balor- dissimo deffiniens (accoppiato nella frase stessa con diffinientia]) che fu corretto solo nelle edizioni del Giuliani e del Moore, il dif- finio è riuscito a mantenere il suo posto. distinxit I, IV, 5 — n distincxit che s'ha qui nei mss. e che costitusce una scorrezione non infrequente, nel De vtdg. Et. ò il solo esemplare della sua specie, ed oltre a molti casi analoghi, ha contro di sé distinximus II, iv, 6. duodena II, vii, 6 — Non saprei certo imputare a Dante il duedena de' codici, quand'anche a generarlo, insieme col due volgare, avesse contribuito tredenus (V.). eicio — V. iacio. endecasillabuirij eptasillabum^ II, V e Xl-xiu, passim — V. sillaba. OBTOGBAFIA CLXXIX Eneidorum II, iv, 7, vui, 4~ V. p. 135, n. 2. epiphyatum, II, I, 7 — V. p. CLXZii. U -yatum esce limpido dal confronto di G e T. eruetare II, IV, 2, eructuant I, xr, 5 — V. p. 129, n. 1. Europa I, vili, passim — Se euripe nel § 1 è nn semplice er- rore, europie nel 2 è qualcosa più, e non può dirsi del tutto immerite- vole della protezione che, dopo aver stampato Europee nel testo, gli concede il Corbinelli in una nota (p. 21), che il Torri, ristampan- dola (p. 86-36), ha accresciuto. Europio è una forma reale, frequente nei nostri antichi testi volgari, da imputarsi all'analogia di Italia j Sicilia, Grecia f Asia ecc. ecc. Ma quanto al De vulg, Eloq,y cinque esempi di Europa (-a, -6, -am) in questo stesso capitolo, tolgono ogni possibilità di dubbio. exacerare I, xii, 1, II, vii, 3 — Il e scempio, non altrimenti che dal latino classico, è voluto da Gio. da G. ; ed avendosi nel se- condo dei nostri luoghi, mal si può dubitare di ristabilirlo nel primo. 11 procedimento opposto fu applicato alle ultime edizioni per colpa del Witte, tratto in errore dal Torri (V. la mia n. 2 a p. 64). excellens ecc., passim — Excele- solo in G e mescolato ad exceUe-, Ferrarienses I, x, 8, xv, 2 e (con due es.) 8 — La doppia r, di coi sarebbe difficile dubitare, è attestata in quattro luoghi. Invece in questi luoghi medesimi s'ha costantemente -re-. Ma il feranenaes del e. X chiude in sé un -rie- (cfr. p. cxxix), a cui il modo stesso come ò dato aggiunge autorità. £ cosi pongo -rte- dappertutto, fa- cendo anche notare che tutti i -re- sono raggruppati in assai breve spazio. Improbabile Ferrarenses in un testo al quale ò assicurato IVivisianus dall'accordo delle voci in due luoghi, I, x, 6 e xiv, 3, e da ona di esse nel terzo, x, 6 (G triuisana), frutiees I, XI, 1 e xvili, 1 — Poiché abbiam frutiees nel primo luogo, ò da ritener verosimile che l' analogia di fruetuB, donde il fruetices del secondo, abbia esercitato la sua efficacia sui trascrit- tori soltanto, più che mai rammentando il bructalia di G. L'errore era frequente. Quindi Gio. da G. : < Scribitur frutex per t solum ; corrìpit enim fru- >. fulgor et I, IV, 6 — Il medioevo non distinse mai bene fui- gurare e fulgor are^ e declinò tanto fulgur -uria, quanto fulgur -óris, come del resto ebbe a fare poco o tanto anche l' antichità. ^rama^tca I, I, 3, ix,8(bis), X, 1 e 4, xi,6 — L'incon- trare il vocabolo con doppia m, è cosa rara nell'età di mezzo. Ora-- matiea portano costantemente, nel loro stato genuino, i due codici, cosi flcrìve Lapo Gianni (1^ 42^), cosi Gio. da G. £ gramatica era ancora la grafia schietta dell'italiano nel secolo passato, e cosi si GLXXX INTRODUZIONE pronunzia tuttavia in certe parti della Toscana (V. grama ti co nel vocabolario maggiore del Petrocclii). Ouinizelli I, IV, 3 — V. p. 42, n. 8. guttura I, Vili, 1 ^^ Dato solo da G, guciura va respinto. hedtficare I, vii, 4, hedificatio Vi, 6 e ix, 2 — Dell'^ si è parlato a p. clxvii. Quanto a una doppia /, costante in T, è sa- bito ricusata, in condizioni di parità, da quelle stesse voci 6oren- tine che ci hanno confermato Vh. Plur. di hi e e di t», passim — < ^t et his plurales debent scribi per unum t; item he pluralis per unum e scribi debet et aspirati; sed ii et iis plurales huius pronominis », «a, id^ per dno % scribuntur. » Cosi saviamente Gio. da G. ,* ma la realtà si è che invece un uso, riconosciuto qual legge dallo stesso Alessandro di Villedieu (v. 2306, e hi profers et di \ debet tamen t dupla scribi >), portava che, graficamente, hic facesse al plurale hiì^ hiis, V. Thu- BOT, p. 139-140. Ha bene ad essere dal plurale di is che il doppio t trae origine (V. Prisciano, vii, 1 5) ; e con ciò si collega dunque an- che il fatto, poco punto avvertito, che alla loro volta ti ed tt> si trovino assai spesso coli' A, in maniera da confondersi in tutto e per tutto colle forme corrispondenti di hic, E invero gli è ad ù che vanno riportati i seguenti hiis di Lapo Gianni: 3^ < cum hiis omni- bus que in agendo et defendendo requiruntur » ; 96' < ad respon- dendum prò eo et eius nomine, super hiis de quibus fìierit interro- gatus». Si senta del pari il commento dei Doc. d'Am.: 1^ cUtilitas autem colligitur ex hiis que supra iam in intentione sunt dieta; ex hiis etiam que continent penultima et ultima partes libri; et ex eo » ecc.; 9' < Cum olim Trayanus imperator in equum adscenderet profecturus ad bellum, vìdua quedam, apprehenso pedo illius, mi- serabiliter lugens, petiit sibi fieri iustitiam de hiis qui filium eius innooentissimum iuvenem iniuste occiderant > ; e meglio ancora nella versione latina dei Documenti stessi, 8^ € tractare te convenit de hiis que magis eorum esse conveniant », traducendo la frase ita- liana € tracta di quelle mene ». Ecc. ecc. Strani, se si vnole, questi hiif hiis accanto a t^, «o, eos^ et.? ecc. '); ma non più strani dei no- stri hOf hai^ hOf hanno, accanto ad abbiamo ed avete, — Messe in sodo le cose (e non so se io m'illuda credendo di trovar qni una *) Solo presso i più ignoranti neppar qaeste forme si salvano; come ad esempio nella nota iscrizione nepesina del 1181, che ci dà heorum. Poiché ho ricordato et«, non tacerò che mi domandai, se forse della doppia for- ma hiis ei9 si approfittasse per una distinzione di generi. Ma alla domanda rispondono negativamente i passi citati, col presentarci hii9 ooid neutro come maschile , e negativamente il De vulg, EL^ ohe altrettanto £a per Peiff, I, ZY, 5 e li, I, 2. OBTOGBAFIA CLXXXI chiave preziosa anche per ì testi classici), possiamo, qaanto a noi, procedere spicci Trattisi poi di hic^ o di t>, i nostri codici hanno hitj hiis; e sarebbe irragionevole il ribellarsi, come, spropositando più volte nelle sostituzioni, s'è fatto dagli editori passati. Piuttosto non può esser lasciato sassistere un unico hia I, ii, 3, che per soprappiù vien di seguito a un hiis. Invece non era da toccare iidem nel paragrafo successivo. — Kestano, a dare quedche noia, i nominativi femminili. Analogamente ad kit per hi ed iV, s'ebbe hee per hae ed eae. Ma questo hee, per una ragione grafica, stuzzicata inoltre dal neutro, diventò spessissimo hee^). Siccome tuttavia i grammatici insegna- vano a dir hee, noi s* avrebbe torto, se I, ix, 4 tra Vhee di Q e Vhec di T si preferisse il secondo (V. p. 45, n. 2), e se non intro- ducessimo hee anche II, xii, 4. h^hec si contenterà dunque di essere ammesso col suo vero ufficio I, xvi, 4 Composti di iacio — L' antico dissenso, attestato da Velio Longo (Kbil, Gramm. laL, VII, &4 e 72), sul modo di scrivere que- sti vocaboli, continua nel medioevo, fomentato dalla metrica. Uguc- cione vuole àbiicio, adiicio, ecc.; e lui segue, tra gli altri, Gio. da Q.; ma l'uso consueto (V. anche Beda, Eeil, t. cit., p. 285) portava un solo t; e con quest'uso troviamo conformi e Lapo Gianni e i Doe. d^Am, ecc. '). Anche dai nostri codici risultano, o direttamente per passaggi sicuri, abieimus I, xi, 3, adicimus xvii, 1, coni' eio VII, 7, eiciamus xi, 6, obiciaiur ii, 8 e 5, obieiens v, 2; e avrebbe poca verosimiglianza l'idea che si risalga ad eìieiamus 1, XI, 1, perchò ivi G (T eiciatnus) ha eicijamus. Piuttosto ad adiicien- ie9 ci conduce Vaducientee xvii, 1; e non è improbabile che ci sìa ettetmu« XI, 5 sotto 9,\V eincimue di G e ^.Weuicimus di T; ma è troppo chiaro come queste voci rimangano soflfocate dalle altre. ideniitas I, ix, 8 — La grafia idemptitas, portata da G e che spesso s'incontra, è sovrabbondantemente spiegabile, sia qual falso integramento prodotto dalle equazioni del tipo pronto = promptus (e già nel latino classico abbiam tentare e temptare), sia quale ef- fetto dell' idemiidem — e conseguentemente idemptidem — Dio sa quanto antico'), che ancora serpeggia, e che ritrae la sua forza dalla '} Un esempio abbastanza istruttivo. Avendo riscontrato un passo di Orosio, I, 1, 18 (« hae a septentrione habent montem Gaacasum »), dove occorre il nominativo plurale femminile, in tre codici lanrensiani, PI. lxv, dò (sec. X) , LXV , 87 (sec. XIV), lzzxix sup., 21 (id.), ho trovato nel primo haeCf negli altri due hee. Solo, una mano posteriore ha nel codice più an- tico corretto poi in e il e finale. 1) Anche il Petrarca, in una delle lettere autografe della Lanrenziana, tubieit (PI. un, 35, 8«). 3) A buon conto ce la viene ad attestare Alenino, Kril, Gramm.,yil,308, CLXXXTI INTBODUZIOKB etimologìa idem et idem, volata anche da Friscìano (xii, 21), op- pure iiem e itidem. Idemptiias non avrebbe dunque nulla che ci potesse offendere. Ma al confronto dell' identìtas dì T dovrà ce- dere il campo, rendendo in certo modo il ricambio al eotUentive sfrattato per sostituir contemptive. Che se ydemptUas scrive di norma la grammatica Magliabechiana, gli ò invece iderUitas (talora ydentitaa) che leggiamo nei codici dei trattati sintattici da attri- buirsi a Maestro Filippo. illegiptimos II, in, 2 — Non essendoci invece contrasto, man- tengo qui il 'pt-, promosso dal -tt^ dell'italiano. € Legitimn»,... scribitur per unum t et sine p », era costretto a raccomandare Gio. da G. (Ofr. Thubot, p. 686), deducendolo dalla ragione metrica. E se in Lapo Gianni s'incontrano molti legiti-, vi abbondano altresì i leffipti', con cui giova accomunare anche i legitti- suoi ed altrui. imitavi I, I, 2, II, 6, XI, 6, II, IV, 2 e 7; imitatio I, li, 6 (bis) — La falsa analogia dei composti di in con temi princi- pianti per 971 fa che imitari e derivati occorrano assai spesso con mm. E a noi la doppia è data in tre casi (I, xi, 6, II, iv, 2 e 7) : sui quali nondimeno è giusto che prevalgano i quattro colla scem- pia, tra i quali ha speciale autorità, perchè risale più su che il ms. donde i due nostri si sono spiccati, quello che ci si offre deformato in mulatio. inf toniti I, xni, 1 — L'incertezza fra l'etimologia da /rti* meìi e da un preteso fronos (*9póvoc) =pruden8, sapiens, faceva che s'ammettesse del pari infrunitus e infroniius, con una certa tendenza nei più dotti a preferire il secondo. Quindi Gio. da G., che la sa lunga in proposito: e Infrunitus ... idem est quod infreni' tus,9 A noi la tradizione dà infroniti] e non c'ò dunque alcun mo- tivo di mutarlo in infruniti, come s'è fatto dal Witte in qua. interpetratur I, vi, 5 — In un vocabolo d'indole cosi schiet- tamente erudita la forma metatetica non sarebbe riuscita a prevalere nell'italiano, se, nonostante l'argine opposto da inéerpres {t^rg^ne non ben solido, poiché a questo nominativo poteva darsi per genitivo in- terpeiris), essa non si fosse udita di frequente anche nelle scuole. E in realtà interpetror gareggia con interpretar nei codici di testi grammaticali latino -toscani, su cui ho fermato l'attenzione^). Però, ^) Tra i mas. del trattato delle costrusioni verbali che denomino da Maestro Filippo, hanno Interpetror i Biecardiani 2796, che è il più antico (f.** iSG^), e 720 (IT'^), con più di un esempio ciascuno ; mentre V esempio è uno solo neirAshbarnhamiano 248 (5''), che reca Interprefor (e qui, contro Taso consueto, interpretare anche nella versione italiana), ed uno solo nel Gaddiano 208 (6^), il cui Interpitor sarà forse da ricondurre a Inter- pretar ancor esso. £ interpretar scrive anche la grammatica Magliabe- ORTOGRAFIA CLXXXIII ancorché propenso a credere che Dante evitasse Terrore, tanto più che Lapo Oianni ha interpretai[ione8] 3^, non mi decido a dipartirmi dall' ifUerpetratur che il confronto di Q e T attesta per il loro co- mune ascendente *). interro gationis I, iv, 4, interrogante ib. 6 — La rappre- sentazione abbreviata int''og- sarebbe un povero sostegno per unV semplice, da non potersi ammettere, in opposizione altresì colla pronunzia, per un composto cosi trasparente. litteram I, ziir, 4 — Lapo Gianni, i Doc. d^Am., ecc., lictera; Uguccione e Gio. da Genova vogliono un solo t; ma questo secondo si vede costretto a difendere cotale precetto contro certe ragioni dedotte dalla quantità, che parevano favorire la grafia < per gè- minum t, sicut multi scribunt » (V. anche Thurot, p. 536). Dai < multi » non ci sarebbe motivo di togliersi. Ci dà litterarum anche Brunetto, litteras Uguccione da S. Gasciano. locutioj passim; loeutus^ -uti, I, vi, 5 e xii, 7; locuntur I, VII, 6, viu, 6, IX, 4, XI, 3 e 6, xiii, 2, xiv, 2, xviii, 2; lo- quuntur I, II, 6 — I -cu-j messi fuor di dubbio dalla loro stessa moltitudine, hanno inoltre per so Uguccione e Gio. da G. '), e V analo- gia di cura e secuntur. Però l' unico loquuniur riesce sospetto , ed è semplicemente tollerato. loquela, passim — Loquella^ la grafia ora in maggior cre- dito, sarebbe ammissibile, quantunque respinto da Gio. da G. e messo in mala luce dal loquela italiano e dantesco (V. Par.^ xxix, 131), se si fondasse sopra una tradizione concorde. Livece è quasi unicamente in G, che si toglie credito col darci anch'esso in ben otto casi loqtiela: tra questi I, ix, 5, nell'unico luogo in cui T ab- bia loqueUa, e vi fosse quindi V occasione d' indurci a ritenere che cosi leggesse l'ascendente comune. £ ancora s'aggiungono le in- duzioni a cui suir origine del loquella in questo codice può dar ' luogo il suo apparire in una glossa e in una rubrica duplicata (V. p. xix); e inoltre la poca fede che il codice si merita in fatto di doppie l (p. cxLVi-vu). Marchia I, X, 6 (tre volte), xi, 3 — Un solo inarca^ chiuso chiana; ma in compenso ò bene inierpretor che si ricava di preferenza dalP interpetor del codice che contiene i trattati di Siaestro Gero (20^) , dacché altrimenti si sarebbe, pare, scritto interptot. y. p. 26, e ofr. p. cxxxtv, n. 8. ^ Uguocione: : « Loquor et eias composita.... iti omnibus verbalibus et in participio preteriti temporis mutant <; in e. > Oio. da G. : « Loeutus.,,, scribitur per e... £t a genitivo loctUi, addita o, fìt hee loeuiio. » Che di lo» cmnlur non si parli, è da avere in conto di una mera inavvortenia. Loeun- tur anche i Doe, d'Am, GLXXXIV INTRODUZIONE tra due marchia nel e. x, non meritava davvero il rispetto che gli editori gli hanno sempre portato. E chi credesse che il inarca po- tesse avere una ragione qualsivoglia nell' anconitana che lo accom- pagna, sarebbe presto disingannato dall' anconitane morchie del ca- pitolo successivo. Nò altrimenti Lapo Oianni, Marchia ancon^ 97^. mediastinis I, XV, 5 — Qio. da O. mediestinus^ e, nel senso di « balneator », anche mediuatinus. Noi ci terremo sodisfatti di avere, senza cercarla, la forma che s' ha in conto di genuina , favo- rita altresì da una delle etimologie che Giovanni stesso riferisce, e di cui va probabilmente debitore a questo verso del Ch'ecismus: « Ut mediastinus probat, aaiin denotat urbem ». E la grafia con a ho ri- scontrato di gran lunga più comune nei mss. di Orazio, Ep.y 1, 14, 14. medituliuml^ xiv, 2* — Per un vocabolo di questa fatta, l'ag- giimgere un7, quantunque paia che il vocabolo si scrivesse anche al- lora più solitamente colla doppia, confortata altresì dalle etimologie che correvano {toUo^ teUus\ mi parrebbe arbitrio. Composti di mittere ^) — L'abitudine italiana ondeggia tra mit* tere e mietere : questo secondo dovuto, come ognun vede, alla falsa induzione che il -tt- avesse in mettere la medesima origine che in infiniti altri casi {dettOj fatto^ otto ecc. ecc.). A cotale oscillasdone s' aggiunge poi anche un annebbiamento d' ordine meteriale, tt % et essendo molte volte graficamente impossibili da distinguere. Ciò non impedisce tuttavia di stabilire che nell'uso di Firenze le forme con et prevalgon di molto, e che devono ritenersi costanti per Lapo Gianni e molti altri notai'). Quelle con -tt- non mancano tuttavia neppur esse; e non già solo per mano di gente, che, come ad esem- pio Bonaccorso Bernardi, scrivendo anche ottavo^ settemhris^ perdono ogni diritto di essere sentiti. Che non sono prive di valore le testi- monianze notarili di Uguccione da S. Oasciano, di Berto da Pontormo, di Buggero degli Albizzi^); ai quali aggiungerò Brunetto, che, in- sieme con dei et indubitati e delle rappresentazioni equivoche, ci dà un promittit ben sicuro , poiché scritto ^imiit ^). Premesso tutto ciò ') Il semplice nel De vulg, EL uon ocoorre. Solo, i codici ce lo danno per errore I, zviir, 4, invece di mutire, ') Non posso tacere a questo proposito un fatto notevole. In un co- dice, tatto corretto e rimaneggiato, d* un* opera del Bocoacoio, ohe altri riuscirà probabilmente a dimostrare autografo, e tale forse in ogni sua fase, la scrittura primitiva dava e/, non altrimenti da quel che porti il Laur. xxiz, 8; e quei et furono poi sistematicamente trasformati in U, ^) Di Buggero considero un documento nei Capitoli^ t. XLIY, f.° 18-22, già allegato a p, clzzii. Vi ho raccolto ben sei esempi di -il-^ sensa al- cuna. eccezione. ^} Dei Doc. D*Am, non parlo; giacché, se negli estratti pubblicati OBTOGBÀFIA GLXXXY guardiamo ai codici nostri. Ivi troveremo il -c^- in un permictit co- mnne I, i, 1 e in un pretermictendum. di G II, xi, 6. Ma come qui T, cosi anche G ha -tt- nella voce medesima qualche rigo dopo; e col suo ommitentes e ohmitamus II, iv, 1 e 6 viene a confermare 9I- \s^V omittenteB e obmiUamus dell'altro ms. Diplomaticamente il U prevale dunque di non poco ; ed essendo la scrittura corretta, deve accettarsi, nonostante il forte dubbio che Dante seguisse V uso più consueto de' suoi concittadini. Si cfr. del resto anche liti era. Navarre — I, ix, 3 nauarre T, nauarie G; II, V, 4 nauare T, nauarie G; Vi, 5 na, G T. Chiaro per i pratici come dal confronto risulti nauarre. In nauarie il frantendimento grafico potè essere fa- vorito da Nottaria. Le edd. dappertutto Navariae prima del Frat."; indi Navarriaef salvo uno strascico di r scempia nel Torri, II, vi, 5. neasillabum II, V, 6 — Papia: « Nea greco quod nos in nume- risnovem dicimus ». Gio. da G.: € Neapolis, A nea^ quod est no- vem, et polis ^ civitas, componi tur hec Neapolis ». Quanto al resto si veda»i7^a6a. nichil, passim — Sempre così il medioevo. E V. Thubot, p. 142 e 533. obicere — V. iacto. Occeano I, vili, 3 — Il doppio e, comodo per risolvere ogni dubbio sulla quantità dell' 0, s'insinuò di buon'ora e tenne general- mente il campo. Esso è sanzionato anche dal Catholicon, oculos I, VII, 3 — G occulos; e il doppio e era favorito, cosi dall'italiano, come dal ravvicinamento etimologico consueto con oc- cultus e occultare^ mentre la quantità serviva fino a un certo segno di schermo. Chiaro, separandosi i codici, qual partito s'imponga. omittere (e obmittere) — V. mittere, opptnari — I mss. s'accordano nel jD»p I, iii, 1 e XV, 2; nel ;> I, V, 1 e vili, 1 j e si separano I, ix, 6. L' equilibrio è perfetto, come si vede; e stando ai criteri generali cotale condizione dovreb- b' essere interpretata in favore del p. Ma la realtà è che in Toscana r abitudine era di scrivere oppinor^ oppinio, a quel modo che oppe- nione — vivo anche oggidì in certe parti — si diceva nel volgare. Ed anche fuor di Toscana quel pp, dovuto certo a un falso ravvicina^ mento coi composti di oò e di un tema che cominci per p, aveva larga divulgazione ; tanto da vedersene il riflesso grafico anche in ^sti provenzali, nonostante la ripugnanza di questo linguaggio per le doppie. parisillaba Ilf V, 6 — V. sillaba. dftl Thomas i -U- non son pochi, a me, in ciò che ho scorso nell' origi- ^Oi non sono venati sotto gli occhi che dei -et-. V CLXXXVI INTBODUZIONB percontari — V. contanter. permittit — V. mittere* perscruptemur I, IX, 6 — Scruptineo, scruptinio iu Lapo Gianni (61^) ed in altri notai, il ravvicinamento con acruptts e scrvr pulus in Uguccione e Gio. da G., e lo squittinio italiano, non mi per- mettono di dubitare che sia genidno anche nel caso nostro il pt^ assai frequente per questo vocabolo. plebeo I, XII, 3, plebea xiii, 1 — L'aversi due esempi (che il secondo nei mss. ci si presenti corrotto in plebeat non nuoce) to- glie quel lievissimo dubbio che per una forma suggerita cosi natu- ralmente dal volgare e confortata dalle analogie (iudeuSf hebreus, e sim.) potesse sussistere. pò li citi I, XIX, 2 — La somiglianza di poUicitus con solUcUus ò tale, che, ammessa la scempia per solicitantes (V.), non potrei osare di imporre a forza la doppia a policUL polisillaba II, vri, 6 — L'abbondanza di composti con poli- (normalmente poli-y non poly-) m'induce a supporre non dantesco il polo- dei mss., in luogo di ritenere che Dante stesso fosse tratto in errore dal contrapposto monosUlabus, Si tratta di vocaboli soggetti ad essere straziati dagli amanuensi, che anche a Gio. da G. fanno òìv^ polo88illabÌ8 e che altro so io. — Si veda inoltre sillaba. predecessores I, xu, 3, II, v, 2 — I mss. predi- nel primo caso, ma prede- nel secondo. preterniittendum — V. mittere, promuntorium I, Vili, 6 — Se l'ovvia etimologia da mons do- veva spingere a promontorium, un'altra, che aveva per so Isidoro, XIV, VII, 1, da promineo, lasciava libertà alla vocale. £ il fatto si è che promuntorium — una grafia che ci ravvicina al promunturium ora ritenuto la forma più genuina — s' incontra assai spesso. Esso mi e dato in più esempi dal solo codice di Papia che qui mi soccorra ; ed è cosi che portano in un passo di Orosio che ebbi a riscontrare (i, 2, 13) i due mss. del trecento citati a p. CLXXXI, n. 1. Che se l'altro del secolo X ha promon-j ci fu qui pure chi sopra all' o scrisse v, pulcerrimuslj li, 2, x, 2, xii, 8, XV, 6; pnlcerrime avv. II, XIII, 5 — Sul -ce-, nessuna dubbiezza. Alla costanza ne' codici no- stri, alla pratica che riscontro anche fuori di essi, s' aggiunga Qio. da G., che, richiamandosi ad Apuleio, prescrive espressamente « non debet aspirari pulceri^. Ma i codici sono altresì costanti nel darci -eri-^ sette volte per disteso, tre, in G (I, x, 2, xii, 8, xv, 6), sotto forma di -eì] e che si tratti di cosa comune, già ò indicato da Giovanni, inculcando oh^ pidcerrimus va scritto € per duo rr ». Non per ciò mi son saputo indurre a credere che Dante ignorasse qualcosa di cosi elementare come la formazione del superlativo negli OaXOGKAFIA CLXXXVII aggettivi in er- , insegnata tempre correttamente anche dai gram- matici medievali; e attribuisco l'errore, o a un difetto di rappre- sentazione compendiosa cui avrebbe potuto partecipare lo stesso Dante, o più verosimilmente all'ignoranza e negligenza dei copisti, che spessissimo, e perfino nei testi dove s' ammaestra in proposito, pongono -erimus per -errUnus, Richiamerò qui anche l'altro esem- pio analogo II, v, 5, avvertendo che se il celeberimum di G s'ag- giunge agli -eri'^ il celebrimum di T potrebb' essere uscito da celeb'rimum, che sarebbe un celeberriììium irreprensibile. pupillarem I, Vi, 1 — Troppo comune e noto pupilVus perchè sia imputabile a Dante il pupilarem dei mss. referre II, Xlli, 6, refert impers., xiv, 2 — Si potrebbe be- nissimo mantenere il referref e scrivere reffert con G. A proposito della lunghezza del re- in questo caso, ammette infatti Gio. da G. che essa avvenga forse < positione ». Ma le doppie di G sono so- spette; ed è da avvertire che anche il trattato delle costruzioni verbali di Maestro Pilippo considera l'uso perdonale e l'imperso- nale come funzioni del medesimo referre, rithimus — Cfr. p. CLXviii e clxx. Il secondo i è accertato da tutti quanti i casi; e rithimus porta sempre un trattato di versifi- cazione ritmica pubblicato dallo Zarncke nei Berickte dell'Accade- mia Beale di Sassonia, GÌ. Phil. - Hist., 1871, p. 55 sgg. ; e non al- trimenti, nel codice, uno più breve edito dal Thurot, p. 453 sgg. Insomma, ò questa la forma schiettamente medievale^), Dio sa quanto spesso alterata dagli editori, accanto alla quale tuttavia trova modo di perpetuarsi anche quella senza l't. Quanto alla que- stione etimologica dei neolatini rim e rima^ essa non ò da trattar qui. saliim I, li, 2, II, T, 1 ; saUem I, vili, 1 — € Saltim saltando, sed saltein diminuendo », diceva un verso che Gio. da G. riporta come espressione della dottrina sua propria. Dottrina non conforme al- l'uso abituale, che ammetteva per la congiunzione ambedue le forme. V. Papia, e cfr. anche Thubot, p. 532. scilieet I, I, 1, XIII, 3, xvi, 2, II, ii, 6, ix, 1, xn, 2 — Risolvere con silicei, perchè cosi trovo scritto in testi relativamente baoni (Prot. di Frane, di Nuccio, Capitoli t. XLIV), il compendio .r. dei codici, sarebbe cosa contraria al principio che sempre seguo, di non rifuggir dagli errori, ma di non li preferire senza bisogno. ScUicet portano i Glossari, e scilicet risulta dalla formazione che Gio. da G. insegna, e che doveva insegnarsi in molte scuole. 1) Già in un codice del secolo Vili, di cai lo Zarncke deve la oo- gniaione al Keil, AìuU. gramm,, p. 36 sg., rylhemon. Non tralascerò ricthiniea nella trascrizione boccaccesca di una lettera che è bene boc- caccesca del pari (Laur. xxix, 8, 68^j. ClXXXYltt INTBODUZIONB secuntur I, X, 7, XU, 3, II, IV, -7; cecìdi I, xu, 3 — Cfr. lo- cutio ecc. Anche Ugaccione e Oio. da G. professano per sequi la medesima dottrina che per loquL sed passim — Salvo, se non erro, tre casi, i nostri mss. haano un equivoco /3; e non avrebbe peso un unico set del solo T, quan- d'anche non fosse in una rubrica, II, vui, e non gli si contrappo- nesse nel testo un sed di T stesso I, vii, 5, ed uno di Q I, xiii, 1. Meritano bensì considerazione i non pochi set ohe trovo in testi di mano fiorentina: uno anche in Brunetto. Non ne meritano tcmta tuttavia, da darci diritto di contravvenire a ciò che nelle acaole sMnsegnava. Papia, < Sed per d scribi debet »; Gio. da G., « Sed..,. debet scribi per d ». E si noti come i set, ben più probabilmente che alla perpetuazione di quelli dell'antichità, siano da ritenere do- vuti all'interpretazione del compendio abituale. Senne ar I, vii, 4 — ò la lezione che risulta dal ravvicinamento del sennar di G, e del sencar, cioè senear, di T; ed essa appare, tra varietà non so quante, anche in qualche ragguardevole ms. della Div, Comm,, P^^vg.^ xii, 36. La lezione più legittima sarebbe sen- naar^ datomi da quasi tutti i codici della Bibbia che ho interrogato. sillaba e composti, II, v, vii, ix sgg., passim; sillahicando II, V, 2; trisillabitati II, Vii, 5 — G ha più spesso silab-j che sillah'^ e trova un alleato nei Doc, d^Am. Ma poiché ancor esso è ben lontano dall' ignorare la doppia, o perchè mai ci allontane- remmo dalla grafia corretta, che in T non patisce, se non erro, al- tro che quattro eccezioni? E ciò che s'è osservato rispetto a O a p. oxLVi-vii prova come delle sue Z, e doppie e scempie, non sia da fidarsi — Bensì seduce dapprima in G la doppia ss di IrissUabum e trissill'j II, V, 6, VII, 5, XII, 2 e 7, xiii, 6, rispondente a una pre- scrizione espressa del Catholicon. Tuttavia, poiché a questi cinque esempi se ne contrappongono altrettanti dove anche G ha « semplice al pari di T (II, v, 2, tre volte, ib. 6, vii, 5 trisilabitati)^ si è tratti a dubitare della genuinità della doppia ; e si finisce per respingerla, trovandola data sporadicamente anche ad endecasUlabum, epta-, jpetUa-, ed all' unico pari- (II, v, 6). sirma — V. p, 175, n. 3. solicitantes II, i, 1, sollicite ni, 1 — Per Gio. da Gen., e non altrimenti per Bartolommeo da S. Concordie (Thubot, p. 537), 1'/ è una sola; ed i motivi sono etimologici. Conservo dunque religio- samente solicitantes. In pari tempo non mi sento l'animo di re- spingere il sollicili dei mss. Ambedue le grafie s'ammettono anche per il latino classico. stilus II, IV, 4-6 — Uno stillorum comune e uno stillo dei solo G sono sopraffatti da un numero doppio di attestazioni contrarie. OBTOaBÀFIÀ €LXXXIX sumere^ per un^ azione, certo, di summus e famiglia, si scri- veva spesso, e non già solo da indòtti, con doppia m. Da ciò la ne- cessità in Uguccione e Gio. da G. di inculcare espressamente la scempia. Ma per noi un sùmit II, ix, 2 nel solo G, un resumat II, XII, 8 nel solo T, non possono valere contro i casi in cui Vm è con- cordemente una sola: II, IV, 3, ib. 5 (tre es.), xiii, 3. suppremus II, VI, 3, 5, 6, vili, 6 (bis) — Nei cinque esempi abbiam sempre ppj salvo che nel primo caso G reca supina. E si tratta di un uso molto frequente; tantoché Gio. da G., nell'atto stesso in cui insegna a scrivere il vocabolo « per unum p » (il me- desimo precetto in Bartolommeo da S. Ooncordio, Thubot, p. 537), si vede imposta prevalentemente la doppia in quello tra i codici da me adoperati che per ragione geografica ha maggior peso per noi. Strano certo che la falsa analogia dei composti del tipo suppo- nere ecc. valesse più del legame cosi manifesto con supra. tenticulis I, xvi, 1 — V. p. 90, n. 1. teotuntcQS I, vili, 3 — Le forme più comuni sarebbero theo-, ieo-, theU'y teutonìcus" {ieotonici anche i Doc, éCAm.y 50^); ma poiché s'incontrano altresì quelle in -tunicusy mi piego alla volontà dei mss. iintinabtilum I, xil, 4 — La facilità con cui un'n si lascerebbe aggiungere e il tintinno del Par, xiv, 119, non sono ragioni suffi- cienti contro i codici, una volta che tinttno é nei classici, e che iin- tindbulum é ammesso anche dai lessicografi moderni. Né altrimenti il Grecismus coli' antico commento, stando al cod. Laur. (65*). tirrenus — V. p. CLXX. ir eden a II, vir, 6 — Ciò che i codici danno, è conforme a quanto porta Gio. da G., che scrive del pari tredecimus^ iredecAea^ sempre per via di tredecim. trilingues I, IX, 3 — V. p. 40, n. 3. l^rivisianus I, X, 6 e 7, xiv, 3 — V. Ferrarienses. Tuscia I, VI, 3, X, 6 e 8 — La pretesa e assai divulgata de- rivazione da tus^ venendo in aiuto a false induzioni fonetiche, po- trebbe puntellare il lusiam che s'ha nel primo caso, se non si op- ponessero gli altri due, d'accordo con ciò che abbiamo per solito anche negli stessi documenti ufficiali fiorentini. ve hit — Abbiam uelud ne' codici I, xviii, 2 e II, xiii, 6; e la stessa grafia, frequente negli scrittori e trascrittori non troppo cor- retti (i Doc. d^Am, tuttavia uelut) risulta per x II, vili, 1 (cfr. p. oxxxix). Ma uelut ci ò dato I, vi, 3, xvii, 4, II, xn, 7, xiii, 2. I uelut prevalgono dunque; e sono anche rincalzati dai tanti sicut e ut, ydromellum I, i, 1 — Son con noi Uguccione e Gio. da G. ymo — V. p. CLXXii. Uguccione: « ...est scribendum per unum m ». Gio. da G. : e Quidam.... dicunt quod imo scribitur per duo m ; GXO n^TBODUZIONB quos non sequor ». Gramm. Magliab. : < Iste dictiones numus et ymo corrupte scrìbuntur a qnibusdam per duplex m, cum debeant scribi per unum. » Nella sua convinzione Giovanni veniva ad essere rafforzato da un'idea etimologica, che ha pur sempre fautori: « Imo dicitur ab imuSj tma, imum ». Con tutto ciò II, vili, 7, essendo data la doppia e trattandosi di una frase su cui c'è da disputare (p. 165, n. 2), rispetto la lezione diplomatica. y spani — yspani^ yspanofi II, xii, 3, liberano dall' ^9/>antt I, vili, 5, dovuto ad y spanta. Con ciò s' è, credo, reso conto sufficiente per la parte latina del- l' ortografia del testo; che quanto alle rubriche — non dantesche per nuUa^) e che si lasciano al loro posto solo perchè in un'edizione come questa non si potrebbe permettersi di surrogarle con altre, e perchè anche infelici quali sono qualche servigio lo rendono — i criteri da seguire son ben più semplici. I codici devono spadroneggiare volta per volta, e luogo a una scelta c'è semplicemente dov'essi discor- dano; nel qual caso è da aver riguardo alle tendenze che si rivelino altrove nelle rubriche stesse'). Rimane quindi da parlare delle cita- zioni volgari, in quanto non ne sia detto abbastanza nelle note, che più di un motivo indusse ad entrare anche in questo campo. Si consideri anzitutto che qui la lezione non dev'esser chiesta unicamente a G T e alla critica congetturale : quasi tutte le poesie di cui nel De vulgari Eloquentia si allega qualche vorso, noi le possediamo per disteso altrove, spesso in moltissimi manoscritti. Anche di questo materiale è dunque da valel'si. E non è già lecito limitarsi per le allegazioni provenzali al solo gruppo di codici che si soglion designare colle sigle A^D^I^Kj*) per le italiane che si contengono nel codice Vaticano 3793 a questo canzoniere soltanto. L'idea del Bartsch che Dante penda per i trovatori da un unico co- dice da ascriversi a quel gruppo sebbene non suscettibile d' essere identificato con nessuno degli individui che ora lo costituiscono^), potrebb' anche essere vera (e si tratta invece d'un vino dov'è da mettere acqua non poca), che l'obbligo di estendere l' osservatone al di fuori sarebbe sempre imposta dal fatto che quel presanto *) V. p. cxL. Ofr. anche Pbompt, in Oiorn, Dani,, 1 , 56-57. *) V. p. OLXx, n. 1. 3) Si ricorra per la spiegasione di qaeste sigle al OrundrU» Mur Gè* »ekiehte éUr provenz. LiUratur del Bartsch, p. 27-28. ^) Die von Dante benuizten provenzalUchen QuelUn, nel Jahrbueh der detiUehen Dante -OeselUcha/t, II (1869), 877-84. In questo articolo il Bartsch designa con L il codice che poi chiamò 7, e non tien conto di iT, creden- dolo ancora col Raynouard mera copia di / (p. 378 n. 1, da cfr. con Orundr, p. 28). OBTOOBAFIA GXGI esemplare occuperebbe nella famiglia un posto indipendente'). E cosi per ciò che spetta alle rime italiane, se il codice Vaticano è da tener molto a calcolo e se può consentirsi di buon grado al Sai- vadori*) una grande probabilità che sia stato tra le mani di Dante, esso non fu davvero unica fonte delle cognizioni dantesche nemmeno per il periodo siculo ^)^ poiché, su cinque poesie, Dante ne allega una che non v'è contenuta'*), e taluna che ora conosciam solo da esso cita con lezione diversa ^), come con lezione diversa che trova corri- spondenza fuori di li ne cita qualcuna che non gli è peculiare ^). I confronti estrinseci ci conducono facilmente a scorgere, cosa nella sostanza venga ad esserci sotto alle deformazioni materiali che per l'ignoranza del provenzale e del francese ebbero a subire dai trascrittori i passi in questi linguaggi. Quanto all' ortografìa e alla grammatica, essi ci ammoniscono invece di proceder guardin- ghi, mostrandoci come delle scorrezioni rimproverabili alle lezioni a cui si assurge, le più abbiano riscontro anche in questo o quel codice; e T ammonimento ci è ripetuto nel Purgatorio^ xxvi, 140-47, per bocca di Arnaldo Daniello, alle parole del quale le rime vietano di diventare perfettamente corrette ''). Volendo rettificare a ogni ') Glielo riconosce lo stesso Bartsch, p. 884; e il confronto accurato delle lezioni (quelle ài £ e K devo alla preziosa amicizia di A . Thomas , mentre per A mi sovvenne la stampa diplomatica negli Studj di FU, rom., fase. 7-9, e per l> mi bastò, con qualche piccolo complemento avuto da C. Frati, V accuratissima descrizione del Mussafia nei Silzungsber, del- rAcc. di Vienna, CI. fil.-stor., LV, 340 sgg.) ne fornisce buone prove. Alla pretesa di prendere sotto le sue ali il codice supposto, A è imperiosamente costretto a rinunziare dal mon che si trova avere nel verso di Bertran de Born II, II, 6 e dalV Er in quello di Gir. de Bor. II, v, 4; la triade DIK meno imperiosamente dall' enchaìxUirn in questo secondo verso medesimo. Altri indizi minori o più disputabili passo qui sotto silenzio. *) Noi lavoro già indicato (p. cxlvi, n. 2), p. 83-85. Limitando a questa maniera V ipotesi , faccio grazia al Salvaduri di ciò cho direbbe V essere dalP Alighieri, I, xi, 8, assegnata a un Castra una composizione, che, comunque poi la cosa si spieghi, nel codice Vati- cano porta in fronte un nome affatto diverso. *) Quella che comincia Ancor che l' aigua ptr lo focho la$siy I, xii, 2 (V. p. 60, n. 2), come il Salvadori stesso non ignora nò dissimula. ^)ir(»gemi noi Contrasto di Cielo, I, xii, 5 (V. p. 68, n. 2): un tragemi che contribuisce a motivare la frase «non sine quodam tempore profertur >. ^) y. p. 69, n. 4. Il 8alvadori fu condotto inconsciamente a veder le cose in modo imperfetto dal desiderio in cui era di trovar conferme alla persuasione di cui ho toccato nella nota della p. czlvi. Quanto poco la conferma valesse, gli avrà dotto anche la scoperta d'un frammento di un codice che del Vaticano sembra esser stato gemello (Giom. 6'tor. della UU. t/., XXVI, 141 sgg.). ^) A un infinito cohrire Dante si sarà acconciato come a qualcosa di OXCII INTRODUZIONE costo, si correrebbe dnnque un pericolo grandissimo di attribuire & Dante ciò che non usci dalla sua penna ^). Che da essa non sia uscito per nulla il j^ e che nondimeno io lo introduca, avviene in servigio della pronunzia, e non è un arbitrio maggiore che la distinzione di u e V nel testo latino. E altreiBÌ per le citazioni italiane è da regolarsi in generale con criteri conservativi. Siano poi esse state suggerite unicamente dalla memoria, od anche dagli occhi'), nulla sarebbe più contrario alle dottrine che si professan nell'opera, che il volerle conformi sempre all'uso fiorentino. £ la rispondenza che trovano negli antichi canzo- nieri scritti in Toscana, e parte verosimilmente anche proprio in Fi- renze ^), per le poesie stesse o per altre, mette ben al sicuro, per non dir nulla di core^ perpetuatosi sempre nel linguaggio poetico, aigua I, XII, 2 (V. p. 65, n. 2), lungiamente ib. e II, v, 4 (p. 65 n. 3 e 140 n. 5), meo I, xv, 5 e II, xii, 5, eo II, il, 6 (p. 122 n. 1, e cfr. p. 183 n. 3), repara II, V, 4 (p. 140, n. 3), movi ib. (p. 140, n. 10) e XI, 4^*), conven II, vi, 5 (p. 151, n. 5). Rispetto al non dittonga- mento di ó ed e segnalerò particolarmente il fatto che ce ne dia pa- recchi esempi, e tra essi anche proprio movay chonvene, aven, la copia della canzone Donne ch^ avete intelletto cP Amore nel codice Vaticano: inevitabile; ma il deman per demans è una sgrammatioatura colposa. Che se 8i scrivesse -ana, la soorreaione sboocerebbe nel gerundio. ^) V. p. 121 n. 2 e 3, 149 n. 1 e 8, 150 n. 1. Correggo bensì quando scorgo ragioni speciali per farlo: p. 189 n. 4, 149 n. 3, 151 n. 1, 184 n. 5 da cfr. con 150 n. 1. lì fin perone che ho rilevato a p. 42 n. 6, si lascerebbe sanare, come mi fece osservare il Mussafia, con un semplice apostrofo. A questo rimedio tuttavia non ricoiTcrei, considerato che dei tanti codici che hanno la canzone di re Tibaldo nessuno porta altrimenti che fine o bone, e che il verso contiene un altro errore , che non ci sentiremo il co- raggio di togliere, vedendocelo dinanzi ancora tal quale II, v, 4. ^) Ohe Dante citi a volte a memoria, come ama credere anche il Sai- vadori, p. 84, ò indubitato (V. p. 43, n. 1 e 2). Che cosi faccia sempre, non risulta. 3) Oltre al Vaticano, considero il Laurenziano- Rediano 9, il Palatino 418, e il Ghigiano L. Vili, 305, anche questi due ultimi (la stampa del pri- mo À nota a tutti) accessibili a chicchessìa grazie alle riproduzioni diplo- matiche nel Propugnatore^ delPuno nelle annate 1881, 1884-85, 1888, delKal- tro 1877-79. Specialmente ciò che è dato dal Ghigiano, meno arcaico, può sempre dichiararsi ammissibile per Dante. Superfluo V invitare a valersi, come me ne valgo io, del prezioso sussidio che ofifrono Lt Origini e nulla più; con Oeu. A. mi riferisco alle Oeuvret latines apocrypheSf p. 69; con 0,D, al t. I del Giornale DanUneo, Quanto al testo di Dante, si precisa di norma la pagina e la linea àéiV edizione presente. ~ P. 4 1. 2. A »ed si surroga antequam (Oeu. A.). Ben più ragionevole sarebbe stato, se mai, V aggiun- gere ante omnia o primum dopo oportet, — Ib. 1. 9. grammatieam (p. 37). — P. 5 1. 2. Si crede che la lezione originaria di Qt sia qtMruni, e si ripristina (G. D., p. 824). — P. 8 1. 13. Si giudica irreprensibile P ut diplomatico, soppresso dagli ultimi editori (p. 37). ~ P. 11 1. 5-G. quia éumdem a raliom aeeipere deheat (p. 89). — P. 12 1. 6. Si respinge 1* esBe del Corbinelli (p. 40); il che era già stato fatto. — Interpolazione il brano et ubi profiHÌ$9e^ dap. 18 l.6ap. 14 1. U(G.D.,p. 59-tìO). — P. 19 1.7. aquam gelei {O^n, IlX - P. 2U 1. 8 — p. 21 1. 1. Interpolato il tratto Nam in homine eco. fino a oepint^ salvo le parole «» ... faber ille atque perfeetionÌM prineipium et amiator afflando primum nontrum omni perjeeiione complevit (G. D., p. oià-iX)). — P. 21 1. 10. In eambio di letamurf loquamur {Oen. A.). — P. 21 1. 10— p. 22 1. 4. Inter- polazione anche quest^ ultimo paragrafo (G. D., p. 60). — P. 28 1. S. Non so se dicendo V huie « Note marginale de Corbinelli, inutile d^ailleurs > (p. 48), si sia o no capito come le cose stanno. Y. la mia nota 2. — P. 28 1. 5. Adam (p. 42). — P. 27 1. 8. Si approva il poenae ma/oriun qua del Corbi- nelli (p. 44). — P. 88 i. 8. indigne (Oeu. A.). £ V. inoltre la mia n. 2. — P. 85 1. 12. Si conserva ietorum (p. 45). — Avrebbero a trasporsi dopo Sia- ALTRE AVVERTENZE CXCIX Con rincrescimento non ho potato menzionare al laogo loro, per ragione cronologica, due proposte di correzione messe innanzi da Fran- cesco Torraca in un manipoletto di Noterelle dantesche (p. 21-24) pubblicate per e Nozze Morpargo-Franchetti (Firenze, 1895). I, i, 4, a nobUior .... nobiliori (cfr. p. 6, n. 1 ), il Torraca vorrebbe sostituire ìnobilior .... mobUiori; e II, IV, 2, al posto di casu mettere usu. Ho esposto nel BvUeitino della Società Dantesca, II, 165-67, le consi- derazioni ohe m'inducono a rifiutare recisamente il mio assenso, no- nostante il valore e l'autorità del proponente. Per il medesimo motivo ó taciuto del nuovo accurato esame a cui il de Lollis, prima nella Nuova Antologia^ e quindi proemiando /t'ofli, p. 86 1. 6, le parole ohe terminano il oapitolo, el moììUbus ecc. (p. 21>. ~ P. 43 1. 1. 8i disapprova a ragione il fu del Gorbinulli , ma si credo a torto che sia motivato solo dal Trissino (p. 46}. — P. 65 1. 12. suam/ortiter in cambio di suae formcte (Oeu. A). — P. lOL 1. 5. gratioso vimine (Oeu. A.). ~ P. 101 L 18 — 108 1. 8. Si crede che si siano intrusi dei glossemi, e che il testo genaino sia, Nam sieut quoddam vulgare est invenire quod proprium ttt Cremonae, tic quoddam est inoenire quod firimum est Lombardiae , et sieut ìUud cremontnse ae illud lombardum voeatur, sic isttid quod totius Italiae est UUinum vulgare (G. D., p. 61-62). — P. 118 1. 6. eum orncUus muliebres (Oeu. A.). — P. 114 1. 1 — p. 116 1. 1. Interpolazione da Dicimus ek terminu$ (G. D., p. 60-61Ì. — II, III. Tutto, o pressoché tutto il capitolo (deir opinione che scabbia rispetto al cominciamento fino a ut inferius ostendetur, p* 123 1. 5-(j, non mi tengo ben sicuro) ò un intruso (G. D., p. 321-22). — P. 128 1. 4. Punto fermo dopo assumplus (p. 49). — P. 142 1. 7-8. Parisgllabis..,, non raro retinent (Oeu. A.). — P. 144 1. 9-10. Si ritorna ài digressionis (p. 50). — P. 147 1. 1-2. doetorum (p. 50-51). — P. 156 1. 6-7, pesca ei lubrica; 1. 7, hir- tata vero et reburra] p. 158 1. 3, tiròana hirsula et reburra\ 1. 8-4, pexa Ubrioa que urhana\ p. 159 1. 2, posi muiam locata; p. 160 1. 2, Lubrica quo- Y««; p. 163 1. 2, pexis lubrica (p. 28-31). — P. 161 1. 3-4. Si credono inter- polate le parole sic (in cambio disto, sieut, per una inesattezza della foto- tipia) leetio, passio Vel aetus legendi (G. D., p. 61). — II, xi. Qui ci troviamo a fronte di un* opinione progressiva. Si cominciò dal ritenere apocrifo il primo periodo, e il resto, da Ineipientes in poi, da trasporre dopo il cap. SII, qual cap. xni, avendo in testa le parole del nostro xiv, Nunc de tertio videtur esse tractandum, videlicet de numero carminuni et sUlabarum [iì. D., p. 54-56), rispetto alle quali si veda anche qui sotto, « P. 199». Più tardi si giudicò spurio il brano Quandoque versus.... fino al termine del paragrafo (p. 178 1. 2— 179 1. 1), salvo la frase quomadmodum dieimus de frorUe et [de] versibus, ohe sarebbe solo fuori di posto (G. D., p. 826-28). " P. 183 1. Mj quattuor asrmina; p. 184 1. 1-2, et heptasyllabum , pentasyl- lahumque ei irisgllaòum. (p. 34). — P. 187 1. 5. Minime autem pentaeyllabum tnU trisytlabum (p. 85).— P. 193 1. 2. sine ritfdmis (Oeu. A.): correzione buo- na, sebbene a mio vedere non esatta, ma adottata di già. — P. 196 1. 7. de ptiUaaytiabo et trisyUaòo (p. 36). —P. 198 1. 4. praeUrire didum (Oeu. A).— P- 1^8 1. 8. Nam de Urtio videtur esse tractcUum (Oeu. A.); e s* abbia inol- tro presente ciò che riguardo alla collocazione di queste parole s^ è detto «opra. — P. 200 1. 2. cavenda (p. 86), ce INTRODUZIONE alla sua bella edizione delle poesie di Sordello ^), sottopose il passo intricato concernente il trovatore mantovano, I, XV, 2. Egli è con- vinto che ci sia guasto o lacuna, e forse « l' una e l' altra cosa in- sieme >. Quanto a me, rimango ancora del parere manifestato nella nota 3 della pag. 82 ; e respingo affatto la congettura che le parole Creinone^ Brixie^ atque Verone confini possano essere un' interpola- zione'), a quel modo che respingo l'idea manifestata dal Ferrers nella sua versione inglese^), che a quoslibet sia da aggiungere la li- mitazione (non credo che gli abbia a parer possibile il sottintendere) e scrittori in volgare illustre »^) : idea inammissibile, dacché, una volta che si ricorre al volgare illustre, nulla più importano i vicini secondo la mente di Dante. Bensì mi accordo col de Lollis nel ritenere che il passo sia ben lontano dal dire che Sordello abbia composto anche poesie italiane; e rompendo un poco il ritegno voluto serbare nella nota citata di sopra, pregherò di badar bene, ricorrendo per lame anche al capitolo antecedente, § 3, tra che razza di vicini Mantova si trovi rinserrata. Il Ferrers, ricordato qui e non mentovato invece al posto suo vero, dice che io non posso giustificare con ragioni altrettanto buone tutti i miei silenzi. Cosi mi avvidi tardi, lo confesso, che le Cento e più Correzioni del Witte (V. p. cu) avevano dato luogo a un esame critico da parte del Fanfani. Lo scritto venne alla luce nel primo fasci- colo di una Rivinta Ginnasiale pubblicatasi a Firenze nel 1856; e fu poi ristampato nel volume che s'intitola Stndj ed Osservazioni sopra il testo delle Opere di Dante j Firenze, 1873, p. 315-338*). Son nove le correzioni wittiane al De vidgari Eloquentia di cui vi si discorre^). A sproposito in un caso, perchè si crede introdotto dal Witte, e si giudica superfluo un Italiae^ I, x, 6 (p. 54 1. 3), che era stato omesso per semplice errore materiale nell* edizione Torri. Sono bensì respinti a ragione il Tarn I, xr, l (V. p. 50, *) Sordello di Goito, N. A., 1 marzo 1895, p. 77-80; VUa e Poesie di Sordello di Gotto, Halle, 1896, p. 111-16. *) DK Lollis, p. 79 n. 2, e p. 115 n. 2. 8) V. p. CVII. *) « writers in the Illuatrious Valgar Tongue »: p. B4, colla nota ri- spettiva a p. 106. ^) Dove e quando fosse avvenuta la pabblioazione primitiva, risciiiai *ìi non saper preoisaro, perchò nulla ne e detto nella ristampa o non ab- bastanza (p. 167) nella Bibliografia che delle cose proprie il Fanfani pab- blioò nel 1874 (Firenze-Roma, Tipogr. Cenniniana), e perchè d'altronde la Rivista Oinnaeiale, vissuta certo assai poco, non s^ ha nelle biblioteche iiorontine. Ma fortunatamente mi sovvenne la Marucelliana con un suo estratto. ^) P. 832 Bgg, nella ristampa. ALTBE AVVERTENZE CCI n. 2) e il nodum II, ni, 2 (p. 123, n. 2); e con ragione del pari, ma non cosi manifesta come si crede (V. p. 93, n. 4), l' aggiunta di signa I, xvi, 4. A torto invece, secondo me, si ritiene che la mancanza di un sostantivo con vegetabili^ animali et raiionali II, II, 4 (V. p. 118, n. ly sia spiegabilissima mediante la < figura che i grammatici chiamano Sillessi o sintesi^ e che alcuno chiama sin- tassi di pensiero -k, E a torto il Fanfani s'acquieta, solo giusta- mente respingendo l'introduzione di id^ nel rimaneggiamento prò- posto I, XVI, 2 (V. p. 92, n. 2). Troppo meritata all'incontro la viva approvazione a regtdahani e tridUs (quanto ad amussihus so- stituito ad amysibus si tratta di mera ortografia) I, vii, 6 (p. 30, n. 2 e 3); e meritata quella si dà all'interpunzione II, in, 2, ren- dendo qui al Fraticelli (V. p. 124, n. 1) la dovuta giustizia. Il Fra- ticelli alla sua volta nelle edizioni Barbèra, I, in, 1, là dove, pro- prio solo interpungendo diversamente che non si fosse fatto in addietro, rimise le cose in sesto (V. p. 10, n. 4), avrebbe fatto bene a citare il Fanfani; giacché il merito della correzione, e non solo la precedenza, par qui essergli assicurato dall' aversi già in lui quel punto e virgola, che a me parve eccessivo. Negli altri casi non si capisce invece se il Fraticelli abbia, o no, badato a questo prede- cessore, col quale ora conviene, ora non conviene'). Colpe di questo genere ne avrò commesso parecchie ; tanto più che mi sono già accorto d'essermene macchiato qualche volta an- che verso autori che avevo alla mano. Non doveva davvero essere taciuto che II, i, 1, senza aiuto di codici (cfr. p. 107, n. 3), il Ber- nardoni ') ebbe a dire, € forse si Beve leggere sollicitantes ». Né avrebbe dovuto passarmi inosservato che il Fontanìni, Eloquenza Italiana^ p. 164 nell'ed. del 1736, riportando un passo II, rv, 6, scrive e et per consequens (oportet) cantionem ligare », precorrendo una correzione mia (p. 133, n. 1), sia poi che V oportet si sia da lui voluto supplire, o semplicemente sottintendere. E li subito dopo lo stesso Giuliani avrebbe motivo di rimproverarmi 1' omissione sba- data di im suo illustre surrogato a mediocre, che costituirebbe una < yery happy emendation » a giudizio del Ferrera, p. 115, mentre invece agli occhi miei è un mutamento non meno inopportuno che arbitrario. Altre cose che furon taciute potevano tacersi anche di pro- posito deliberato, perché staranno meglio nel commento illustrativo. Passo ai casi in cai le omissioni mi rendon colpevole solo D'ocoordo con lui respinge il signa I, xvi, 4, e il nodum II, iii, 2; ma aooett» invece il Tarn I, xi, 1, Vid xvi, 2, lo 9pirilu II, if, 4. •) V. p. xcix. 1 con INTRODUZIOKB verso il lettore. I, xiii, 3 era desiderabile qualche parola per re- spingere recisamente l'idea che un rimatore di poca fama quale fu Lupo degli Uberti^) — un Lupo che si vuole d'altronde essere stato un Lapo lui pure cosi soprannominato — possa mai servir di sostegno al Ivpum dei codici. — E I, xix, 1 (qui la causa dell' omis- sione è d'indole tipografica) era bene avvertire che quantunque paleograficamente il sicut quod quoddam di T si presti forse meglio a spiegare il BÌcut quoddam di G anziché viceversa, non ò tuttavia da scostarsi per nulla dalla lezione adottata finora, come apparisce anche solo dal confronto del modo come son costrutti gli altri sicut che tengon subito dietro. — Poi, II, il, 4, giovava negare ogni vero- simiglianza all'ipotesi che prendendo angelice come avverbio si po- tesse esimersi dall' aggiunger nature : ipotesi che suppongo essere stata nella mente del trascrittore vaticano, argomentandolo , non tanto dalla mancanza del dittongo in angelice^ che da sola nulla pro- verebbe essendoci per questa parte in V moltissima indisciplina- tezza, quanto dalla sostituzione di associatur a sociatur. Restano alcuni scrupoli e rimorsi concernenti la lezione adot- tata. Il Orecismus col verso e Retro pedem iaciens repedas, re- peditque reverteus » mi fa dubitare di aver fatto male a sostituire col Witte I, vili, 2 repedassent a repedisaent (V, p. 33, n. 2). Vero tuttavia che Gio. da G. sembra ignorar perfino repedere in altro senso che in quello che offende il naso ; e il verso stesso di £brardo cita erroneamente in questa forma : < Retro pedem iaciens repedat, ropedatque revertens >*). Però ben s'intende che a scrivere repe» fiere anche I, xil, 5, dove i mss. portano repadare, non è da pen- sare nò poco nò punto. — All'incontro temo di esser stato troppo reciso I, IX, 5 contro il Pratenses trissino-corbinelliano. O se l'al- terazione di un />, o minuscolo o maiuscolo, in /, poco verosimile pa- leograficamente, fosse mai dovuta a proposito deliberato per parte di qualcuno che ne avesse ragioni speciali? £ torna a mente Vexee- lens venutosi ad intrudere in una rubrica assai vicina (I, xiii ; V. p. 69, n. 7). — Mi domando altresì se surrogando II, iv, 4 dltcre- *) Y. Renikr, Liriche edite ed inedite di Fazio dboli Ubkbti, Firenze, 1888, p. XCY 8gg. ^) Ecco V articoletto tutto intero: « Jlepedù -da$ -davi -dare compo- nitur ex re et jf>e«, et dicitur rexìedare, retro pedem dare, remeare ; unde oquus dicitar repedare cum retro pedem iaoit et percutit. Unde versus : ^Kotro pedem iaciens repodat, repedatque revertens*. Invenìtur etiam re- Xìtdo -dii, et tunc producit pe, sicut pedo -dit, Unde quidam : 'A pede die repedo, sed dat tibi pedo, repedo \ » Che nella citaeione del Oreeitmus an- che il secondo repedat venga da Giovanni, argomento dal oontesto, ben più che dair a( cordo dei duo codici che ho alla mano. ALTBE AVVERTENZE OGIII iionem a diseretione io non abbia obbedito a una tendenza anacro- nistica, supponendo che potiri coli' ablativo dovesse avere difficoltà a spogliarsi di quel significato più intenso che noi siam soliti attri- buirgli. — II, VII, 4 ragioni di senso e di parallelismo mi dispongono a surrogare cetra volgare (e ut greggia et cetra >) al cetera latino. — Similmente II, xiii, 8 s'è fatto strada in me un sospetto non lieve che nella frase e nam lenium asperorumque rithimorum mixtura ipsa tragedia nitescit» il rithimorum sia supplemento inopportuno d'un correttore poco accorto. Sopprimendo questo vocabolo il concetto acquista, senza perdere di precisione, una larghezza che ne accresce di molto il valore, e viene a richiamare e comprendere anche ciò che fu detto II, vn, 6 del contemperamento di parole « pettinate > ed aspre ^). — Poco male se i ravvedimenti fosser qui tutti! Ma le fiamme mi salgono al viso quando penso alla fine del cap. v del 1. II. Come mai affaccendarmi tanto dattorno a quell'tu^re dei mss. e non accorgermi che esso ci dava subito un uiere^ viere ? Gli è che dell'esistenza di questo verbo proprio non mi rammentai fino a che, stampando le mie osservazioni ortografiche, non mi costrinse a fis- sarci su gli occhi quel che dice Giovanni da Genova discorrendo di ancior ed autor (V. p. CLXXv). Ciò che li si legge scema già di molto la meraviglia che Dante possa essersi servito di un vocabolo cosi ra- ro ; ma tutto poi diventa chiarissimo quando in Isidoro (VIII, vii, 3) si trova: e Vates a vi mentis appellatos, Varrò auctor est: vel a ^endis carminibus, id est flectendis, hoc est modulandis.... Viere emm antiqui prò vincire ponebant. » M' auguro che errori del ge- Qere ^ questo non abbiano da manifestarsene parecchi. Che se mai Ci A ^^ venisse, tanto peggio per me, tanto meglio per Dante. y^ C3fr. anche I, xr, 4. APPSVDIGB OOY APPENDICE I. DlYEBGBlfZE DBL CODICE YaTICAKO DAL SUO BSBM PLABB 11 confronto è istituito colla lezione schietta di T, sicché è sempre da intendere che, salvo una menzione espressa, non ha riscontro in Y ciò che nell' apparato è messo tra parentesi quadre. Parentesi quadre si osano qui pure, e servono a distinguere le annotaaioni marginali di mano dei Bembo (V. p. xlv e xLyi)^ mentre tra parentesi tonde si ri- portano spasso le gratie di T da cui Y riesce spiegato. Gol segno || si indica anche qui il termine di una linea. Gli ^^ ^^ — Qualche volta an- che ae — ed oe^ sostituiti in molti casi ai semplici e dell* esemplare, non si stanno a raccogliere, salvo che siano ille^^ittimi ; e dovendo le pa- role esser citate per qualche altro motivo, si scrive per ragioni tipo- grafiche (B anche m luogo del più frequente ^. Riguardo alle maiuscole e minuscole, alle interpunzioni, alle unioni e divisioni, ai compendi — sciolti in gran parte dall' amanuense — valgono le norme indicate per G e T a p. cxcvi-vif. Delle nasali davanti a consonante si dà conto quando s' abbia un dissenso esplicito con T o colla mia stampa. Per ciò che spetta ai nj di T, taccio ognic^ual volta si riflettono in Y con nee non ambigui. Qualche esuberanza mira alla chiarezza, od ha la sua ra- gione neir apparato. Libro primo I. P. 8, 1. 1-2 Manca ; ma V. p. xlv. — 5 tiecessariam — 7 discreciionem "-iJ to»^iMzm— 10 ientabimus '■^ \\ haurlenies — 4y 1 poiionare — 5 ap- peUamus — adstiescunt — 5, 2 haruin quartim — 6, 1 tum [\ prima — 3 sit — 7, 1 potius. II. 3 commertium — 5 nostram — 7 fuerit — 8,1 perspicaciter — 2 prù mum in luogo di patet (T pi). — 7iiAi7 — 3 ptindeiidas — 7 pulcherrimi — 9 olf\fciaiur — his — corruet'e — 12-13 ìioluerunu Secando — 9, 6 sunt idem — 9 damnosa — cominerUuin — 10 ohijciatur — 13 mouerent — 15 rudere '— IO, 1 esse — 2 Metatuorph, — 6 iinitatio — 9 hoc uel representaiio — mutatio. III. 13 fuerit — commertium — 15 esse discr- (T ce) — 18 neminem — 19 opiììomur — U, 2 specie — 3-4 communicaìtdum — 6-7 cunquc (T cu-) — 7 mhU^diffèrH, IV. 18, 2 Nunc — 6 nen non — 7 primiloquium — 14, 1 legi || (T legt) — 4 diabolo — 9 fuisse locutum — 10 ceyregium — 16, 1 Ratioiuibiliter — a Beo — 10, 4 interrogationis — 5 ìwrrificum — 17, 1-2 preuaHcatioìiem — 3 ince- i^-tl — 18, 1 DJEr^ — 4 ad eum fuit^Vè^ 1 interrogante -- Z Quis enim. V. 80,4 OpiììUìUes — 8 iìicunctanter -^9 sentirj -^ 10 sentiat — 81, 1 otrijtiones — 6 imo — - 9 credetidum — 88, 3 locutioi\j. COVI APPENDICE VI. 7 idiomatUfUS — 8 excitaiur (T ei\)citatur) — 9 intelligantur — idio- maU — dd, 2 lùcus — 4 idem — 84, 2 uoluptatem — 5 uniuersalis (T -air) — 5-6 rationantes que, il que, abbreviato, su rasura. — 9 Thusciam — 10 Fio- rentiam — 25, 1-2 primum coticreaiam — 4 constrtictionis — 9 interpì-eUUur — forma — 26, 1 v* — 4 td (T i^) — Un solo loquentis. VII. 6 generis ignominiam — 9 semper natura nastra — 10 initio — 10 sgg. nun tutte e tre le volte (T nu). — 11 od en; — corruptìonem — 12 e/u- minata — 27, 2 ium — 3 et ^Mod misera tua ammalia — 28, 2 tertium — equitabis — i licei Mitus (T l*obl-)^i-ÒauertenS'~b ter ito insurreicit '^ 6 stultitiam — 8 superare — 9 edificare — 10 Senear — Jubc (T 7i*) — 20, 1 ascenderesti assurgens — hostili — 6 correctione nen non — 8 pars archi- tectabantur — 80, 1 amisibus ^ tiullis lineabant — 3 operihus — 81, 1 di- uersificaii — % et enim — 6 exercitij — 6-7 idioma tibus — 10 ìtec exercì- tium — 12 sem — coni;tio — 82, 1 tertius. Vili. 5 precedenti (T precedetU*) — 9 tien twn — 38, 1 uel totius Eu- ropos — Tra Va e Tu di auenas s'è aggiunto sopra, probabilmente dallo ste&so trascrittore, un d. — 4 idioma -* contulerunt — 5 mediolanum, colla corre- zione marginale meridUnudem ^ d'inchiostro più pallido, ma della mano stessa. — 6 tertij — 7 europee — 84, 1 serm/me al posto di ydionmte, — 3 hostijs — siue — 4 od fines — Italorum Franco^que — 5 idioma — 86, 1 Teu- tonicos —3 deriuatum — 5 idiomate — 7 nen non — 8 autem — 8-9 tertium — 9 idioma — trifarium — 10 alij ,oiL ali; »oe. — Hispaty — 11 latini — 11-12 idiomate — 12-13 im\\prompiu — 13 Dopo aver scritto per multa eademque^ si corresse, rannodando, aggiungendo e cancellando , permulta per eadem. — 14 terram, mare — 86, 1 uiuit — 2 meridionales (T meridUmal's) — 3-4 sid*yt, non intendendo V esemplare né sapendo cosa si scrivesse ; e in mar- gine, della stessa mano, simili', cioè similiter, — 4 a predictis — 5 promon- torittm — 6 Scils^ vale a dir Scilicet^ in cambio di Sed (T si). — 7 Alamanos — 8 Aglicomaty, colla correzione marginale originaria anglico mari. — 9 terminati — IO prouiniialibus — apennini, IX. 97f2grammaticas^i /it^— 88, 1 idiomatis -^ ìwtiora ^-^ 3 idioma —80, l gradimus idioma-^trifarium -^40^2 quod conuemmt»— 4-5 delictus — 5 edificatione — In Terlingues il primo e è correzione originaria e irnme* diata di un' r. — 41, 2 [.Amor,] — 42, 1 /?ei— [/Jea? Nauarrw]~^2 suuent — Guidinj;eUi — [Guido Guiniz.] — 48, 1 Pritna.... prima — 44, 3 Italiop — 4 loquuntur — 8 y'fes iwm — 45, 1 in\\ in — neapolilanj — 2 Rauennates — 3 Non si riflette, beninteso, l'errore, subito riparato, che si stava commet- tendo in T. — 4 accidunt-^l nihil^S ergo -^ loquela --IQ ad{Y, p. cxx) — 10-11 prioris ohliuio — 46, 3 distantias — uariari: potest oportet — 5 per- scrutemur — 7 a coetaneis — 11 exoletum — 47, 2 mirabìlj specificasse (T iitUrabilisp ciuicasse)—ò et ipsa (V. p. cxx) — 8 abìnotimque'^9varùF — 48, 1 humano beneplacito — 2 grammatica! — 3 grammatica nihil aliud — 5 commuta; sensu (V. p. cxx). X. 12 idiomatis-^ Italia-' 14 THfario -^idiomate — 40, 2 cunctamur — 3 Sopra sperando è supplito d' altro inchiostro un e, da fVapporre tra le prime due lettere. L' intenzione, imperfettamente attuata, del correttore (la tinta pallidissima porta a vedere in esso il Bembo anziché il trascrittore) fVi certo di ftir diro al testo separando, — 5 Sul secondo aduerbium, separato con una virgola dal primo, fu, non so bene da chi, tirato un frego. — 50| 1 italis — 5 prosaicum — 7 puXcherrimoB — historice — 8 argwnentatur — 9 sg. IProuenzali priini poeti,] -^ ÌO-II [Pier daZtteniùi.]- 11-61, 1 Teriia nero Latinorum est ; qua! se duobus priuilegijs — 3 oc — CVniw— 62, 1 comm^ APPENDICE COVII nis — 3 tentatum (T ictatum) — 6 primum ^ bipartitum'^l queret'-S appenini — 58, 2 intera — 3 Hrenum — 64, 1-2 Triuisana — 2 lulij — 3 Italice — potest — itisulce Tyrenj — .«5., cioè videlicet — 4 Sardinia nisi — Italias — 5 Italiani — 6 his-^S Thuscis — 10 Anconitanis — 11 Triui- sanis, supplendo poi sopra un t che ci mette d' accordo con T. « 12 II testo dava aquiliensibìis come X- ^& i^ Bembo (parla per lui più d'un in- dizio) sovrappose al secondo i un e, che, aiutato da un richiamo, fa che ora si legga aquileiensibtis,'^Mf 2 Quare dictis .xiiij,^3 Italia^' 4 Thu- scia — Loìnbardia — 5 Ferrarienses ^ 5-6 aliqualem — 7 inmediato — Manca il si (V. p. cxx). —8 JtoKcp — 8-9 uelimus — 10 venire contingerit, d* accordo con T dopo il ritocco. XI. 66, 1 incomplum — 4 veneremur — Manca et. — 67, 1 ^micalem — 1-2 perplexor — 2 eiciamus — 3 existiniant — 6 [Romano Volgare,^ — ergo — 7 potius — Italorum — 9 cunctis — debent (T dnt) — 68, 2 loquuntur^ 69, 1 ab\)cimus — 1-2 in improperium — 5 /ì^rmaMa —60, 1 già — finiti- èìios ^- 61, 2 del uerspecio — 3 Istrianos cribremus — 62, 1 crudeli f (scam- biato per f il t con virgoletta abbreviatrice dell' esemplare). — pronuntiant invece di eructtuxnt. — eijcimus — 3 attentis dissonare — 4 Sardos et — lateri — eijciamus^ 2 grammaticam — 4 simia^ imitantes, XII. 64,1 idioma — 3 [Siciliano Idioma in ambedue i margini.]— fiirac^ra- tis — Italis — 66, 1 seligamus — 4 /toO' — 6 foco — 6-7 [I due versi son segna- lati in margine con una grappa.] — 7 Un solo che. — nihai — 9 Italorum — 13 fortuna — 66, 1 Latinorum excelleìites — 4 predecessores — 67, 2 Fede- rici — tintinnabìdum — CJarolJ —3 Asonis — 4 tihice f nunc (T n*) — 5 alta- pfices — auaritias — 7 sed quod — 68, 2 puta. Intra gemi — 4 sed quod — 5 nihU — 6 ostendemus — 7 [Pugliese] — 10 quanuis (T iuis) terrigene — Il loquuti — 12 cantionibtis — 69, 1 dir — [Accanto alle linee contenenti i due versi, una grappa.] — 3-4 neqtie Apulum — 4 Italia ptdcfierrimum — 5 a primo. XIII. 6 idiomaie — 7 Thuscum — excellens — 8 hos — Thuscos — 9 in fronte ^ 70f l plebea -^3 [Guittone]^4 [Bofiagiunta.] ^ [Gallo Pis**.]^ 4-5 Ninum vocatum '— [Nino Senese] ^-b [Brunetto] ^^71, 1 si rimari "^2 inuenientur — Thusci^ loquuntur ^72, 1 andonno — 78, 1 Io fo-^che-^ 74, 1-2 Manca Senenses chesto. — 76, 1 nen non; e sopra Vn finale, espunto, di nen^ un e d'altra mano; se di quella del Bembo, rimane in- certo. — 2 affinitatem — 3 nihil — 3-4 omnesfere Thusci — 4 turpiloquio — sunt chiusi -^ vulgares '-^ 5-6 Sul primo u di Lupum un a d'altra mano. — 6 Cinum — 7 quemnec; e in margine, del trascrittore stesso, la correzione nunc (T ?*c). — 10 quin adsit (cfr. G) — 11 Thuscanorum — Thuscis — 12 asse- rendum ^76, 1-2 .C. le due volte (T .p.). — 3 rigiditate. XIV. 4 idiomaie — 6 Appeninj — flodiferos (V. p. cxx) — 7 Italiam — 8 [ Romagniuolo] — 77, 1-2 contrari; s — 3 moUitiem — 5 romandiolos — 78, 1 Fbroliuienses — nouissitna — 2 totius — 3 loquuntur — Corda — 5 Tho- ftMtn'^[Thomaso e Vgolino Bucciuola. i?brWt*««] — 5-6 fauentinos manca. — 7 hirsutum et ispidum — 9 Marra — 79, 1 Brixienses — Vincentinos — 2 hi — fiero (T no) — 3 denomina intus — Merco et Bontè cogli accenti. — h prò .F.^1 quidem — 80, 1 errorem — in hor — 2 uerras — 81, 1 nitentem — 2 Illum Brandinum — [Brandino Pad.] — 5 Venetianum — 6 illustre. XV. 8 Italica ^S2f 1 opinantur^ 1-2 pulchriori loquutione^2 Imo- lensibus, Ferrariensibus — 3-4 drcunstantibus ad (T dd) proprium vulgare assiscunt'^i conuicimus — 5 [Sordello] — 88, 2 quomodocunque -^patruum — 4 Imolensihw—A^b Ferrariensibus — 6 commistione — 84, 1 Longobardo- corni APPENDICE rum — hcec — 2 Ferrarietisiuni Mutitiensium et Reg 7-9 Manca il tratto rationàbile oppositori ut dictum est. — 10 tmnen — 12 cousiderat — 80, 2 proferendo — 3 nec et enim — 4-5 [In origino t7 pnassiìno || Guido GiiiniceUi\\ Guido Gisilieri \\ Fabrutio \\ Honesto, Poi si cassò U massinho, per risorivcplo con Af, e fors' anche con /, dopo Guido Guinicelli. Si corresse inoltre Fa- bì'utio in Fabritio, e si aggiunse un Bolog'si, corredato di una grappa, che lo riferisce a tutti i nomi.] — 86, 2 Fabritius — mio — soccorso — 4 sg. Curv- que (T-tt-)— 87, 1 residuis — Acupientes — 6 Italia! — S%^tpulcherrimutn — 3 commistionem ^-^ i latinum. XVI. 89, 1 idiomate — aliqiwd pulchrum '^ 2 pulchra — 3 Italiw-^A pantherani — 6 et ubique — 90, 1 irretiamus — 2 genere — Manca rerum. — 3 ponderentur ^91f 2 pautiora^G et eadem (T et s ad*m) — 9d, 1-2 quoti- bet et de sìibstantia-^2'ò ununquenque — 4 in ilio — 5 quantuncuìique grn- uibus , cancellato poi questo fantastico gìnuibus. — speties ; hoc — 93, 1 homines — • 6 Sul quam (T qtià) s' ha un richiamo, a cui risponde nel mar- gine un Unguam, dello stesso trascrittore. — 5tmpWcw^irM««i ; — 7 laetUionis — 94, 1 actiones; sed nullius — Italia: — 2 communia — 3 discerni — re- nabamur — 4 qualibet — 5 in uìui rtiagis — 8 in ha€ — 96, 1 quam in ini- ÌMìH — 5 in Latto — 96, l ponderantur. XVII. 3 idiotnatibus — fiat unum pulchrum^^^ uocemus ndiicientes; ma Vadii-- (propr. adii) fu bene dapprima adu-, come in T. — 6-7 dispendium — 97, 2-3 hoc quom (T qito3) quod — 5-6 charitate-^^ excellenter le due volte. ^98, 1 Nunia — 4 II compendio del quod^ che sta per gutetem, -diffe- risce solo materialmente da quello di T. — 5 constructionibus — defectiuis — 7 extricatum — 7-8 electum — 8 Ginius — 10 maioris — quam quod—- 11 corda versare '^IS domesti — 15 vincunt col t sormontato dal segno dell* abbre- viazione. — 16 suos — 17 dulcedine capti nostrum. XVIII. 99, 2 Italicis — 5 hostium — 10 quotidie extirpat'^ 10-11 frutices de Italica situa t non ne quotidie plantas — 12 et adtnoneant — 100, 3 Ita{f — 4 totius — communis le due volte. — 6 commune — 8 netnpe — 9 regibus , corretto in regijs. — 10 loquuntur — 11 velut aocola — 18 Italorum — L' in- debito Respondetur qui non fu scritto. — 19 Italorum exceUentissima — 101, 1 nugatorium^^Z Italia — menibrum (T mb*) ; ma suU'-ttm un a della mano stessa. — 4 desunt — 6 est — Italos — 8 dispersa. XIX. 9 Nessuno spazio dopo Quod. — Idiomata Italica ad — 15 Dopo latinum il Bembo aggiunse uulgare. — 13 latinum — quod quodam — IM, 1 proprium est Cremona: — 2 proprium — 4 totius — Italie — sic (T sic) — 5 sic et illud quod — Italie — sic (T sic) — 108, 1 tertium — 1-2 dicitur, sic istud quod, senza errori. — 2 totius Italie — 3 sgg. [Italici poeti, con una grappa che abbraccia tre linee, da uulWgari a ifitentù/]. — 4 ItaH/t'-^ 77iusci — 5 intentio — 6 poUiciti — 104, 1 quod, corretto in qujd — ubi et quando — 2 sit imedwilw- 3-4 curabimus gradatim '- unius ^^ familie proiìrium est. Libro secondo I. 107, 2-3 Manca la rubrica. — Di fianco a PolicUantes 8*ha in mar> gine il segno F (V. p. cxxi). — 108, 1 decere — 2 prosaicanies ^^ auectum^ ma Ve par essere correzione di i. — 4 . V. — 109, 7 grandis — 8 quvtquatH — HO, 2 si quis uersiftcator debeat ipsum uti, qtuinque (il quanque in com- pendio.) — 4 La lacuna è qui riempita con quattro punti. — sic ipsum sic — 9 jfotest — 12 scieniia — 16 eMT ^ ; V. p. cxx.) — 18 montaninus. Ten- gono dietro intatto le parole Sed..,. conuetùt, cancellate in T. — IH, 5 di- APPENDICE CCIX gniores — 112, 1-2 dignioribiis — 9 ìion opthtut loquela non conuenit, nisi c« intclleximus (T inieWinC) — 114, 1 p^*^' id (T £**) — 115, 1 huiìis uhi — 116, 1 esset per disteso. — t pei'fectuinj pure per di- steso. — 4 victori/r — 117, 2 et ut (T £ ut) — quidam bene — 3 Manca quidam 2ieitis. — 9 aliquid le tre volte. — 12 qui..., qui maximus — 13 manifestu iii — 118, 1 sed rerum (T f3) ^ exigentiam — 5 veneremur — 6 euidentiam^' 119^2 co mmunical-^b associatur-^1 quedam m4jx^ — Manca /a^w. — 120, 2 sefl in «> — 3 id (T i'^) — ZA preHoslssimum — A hasa (T //') — 5 Tet^io — 1>-7 veìitis, riXii^? — 7 Nulla d'indebito dopo maxime. — {)-ÌOuoluntatJs, est ea sola que si — 11 s^'g. [Ber tran de Bor. \\ Arnaldo Da. || Gherardo de Born. (I Oino. \\ Dante.] — 11-12 ArìMldum — 121, 2 s^^. fi versi che si ci- tano sono rilevati in margine con una linea scrpegfriantc] — 2 pose-^Z danur (V. p. rxxxni) — 4 solam (V. ib.) — chevt- .y'UabwHf con un^" che è correzione di .v. ^7 Fra utimur e non due punti. — 8-9 numerus in parihus (T l \\ jìaribifs) — 10 recoUigentes — endecasillnhìun — 14 Qui pure ben piuttosto incre che mere; ma non con piena certezza. VI. 143, 1 scientin — 2 poetandj — T) descriltentits — 6 selefjimns — 144, 1 stuninum-^'i lìossinius^h philosophatHs — 6 dictiones — 10 supreìèui — Il qniff .rj., cioè videlicet (T ns). — 12-13 idiotns — 13 aintiones -^ 15 sertamur — 146, I xuperfìcieni tentta — 2 amlientiuìu ^-^'^ pyc]ìarata ^^1^7 , 2 f*icrta-^9 (e di- viso, ma probabilmente non dì proposito (T jfte). — de sinn — 3 s? Dopo aver scritto reburra, si corresse in reburta, come s'aveva poi ri- petutamente. — 8 quemadmoduiit, non si può dir bene se unito o scomposto. — 10 il (T 4) lì in superfìcie — ad censtis — 11 rooìaiìj (T roani) — 167, 2 at- tende ^^ cribrare — A traffici — 168, 1 muliebria — 2 pìacenole — 4 collo- care'^ et eniin, o etenim che voglia essere. ^4-5 irsutaque ^^ h Manca «r- ftrtfia. — S'è omesso et. — (5 In pesa Vs fu espunta e surrojjata con un r sovrapposto, d'altra mano, ma non del Bembo. — 7 trisiUdhitati — aspira- iione — 8 siue — 169, 1 imniediate — 160, 2 letitia — Yrsuta — 3 hcpc — orna- tiua sunt — 161, 2 polosillaba — 3 per exit pulchram — armonia m — 4 asfM:- ritatem — accentus — 162, 2 Non è netto il distacco di marna dalle sillabi^ sedenti. — 4-5 si7ie uè. — 7 duodeno — 168, 1 gramtnatica — 2 nutem ^ hirsuta -^ sunt — 5 sufficiaut. Vili. Ci eloqìientia — 7 cantHlenas^^[) faciendj tempore ^ \0 -lì admis- sionem ^\t ergo (T ^) — 13 commisimus — 164, 3 significatum — 5 A/v— 7 II compendio di secundum portato da T e stato trascritto ..?., vale a dire sci- licei : errore in cui non si eaost modum — 6 stantia — 7 tìiodum (T ìtiod*) —- uidentur ^ S sine-^9 rfieò/m — 10-11 [Volta^ idem flMot/ — meno probabilmente qtmm — Viesùi] — 11 viUgariter (T uulg*) allo- quimur — 174, 1 stanticB — Dan, con un sogno di sospcnt^iono ; dov* è da av- vertire che qui termina la pagina. — fybvia/. Dan.^ — 2-3 poco gùj^ttoetal gran cerchio^ [Al poco gionio.] — 3-4 <Ì£^vi/>i» — 4 patienies — 176, l ne ite- rutio^unius — diesiiu — 4 ai repetitù) ^ 4-6 S'è omesso tutto il tratto fiat povt,,.. repeMtio. — ò stantiam — 10-11 uidebis sola quod dicimus auctoris di- gnitatc t*òift' — 176, l quomodo dall'origine. — €é cantu-s, XI. 3 distinctiane — 5 Videiur — 6 hoc est eniin esse — rithoioritm ^177, 1 diligentiòsime — 2 L'amanuense aveva prima, ben mi pare, scritto insipien- tes, ed ebbe poi a trasformare V-s- in -e-. — Ssirniate — 4 nersihus pedes in- stantia — 8 ubi si — 178, 1 ditneter — 2 eptasillaha — Manca eet, — quando — 3 superai — 4 {Tragemi de la mente] — 5 endecassillabis — eptasillabo — nec (T n) — 9-11 superarci irimeter et eptasiìlnba — 179, 1 quando^lBO, 1 s7- uiate — 2-3 etwlc — 4 et^ontra — sic — 181, 2 instaniia — 3 in , invoce di nec. — 4 limitamus (T lini ita m") -^6 et (T 1) — inter — 7 nincere — 182, 2 et rcpeiitio. XII. 5 ac de — sìHabfirum — 7-8 rationc — 8 prìinum (T rpin) — 10 ui- detiiur (T K/T r)— 183, 1 ucf cpt(uiillabunt — 3 conamu^ (T comi in) — 4 cincendj itriuiiegiuni — 7* stantia — Florentin — uoglio — [ Donna />// prega.] — 7 che hauete intelletto — \ Donne chaueie.] — 184, 1 hùipani.,.. hispanos — 2 Manca ot\ o checché altro voj^lia essere. — Nain Ericus de beimi — | Enrico de beimi.] — 3 ot/ rectiamen — quedam etiuiu (T t) in — 4-5 \V.\*T\s\i.uibuin ubi frons ut^ cntidu., di mano del Bembo, ma d' inchiostro più cupo assai del solito.] — j frous nel — 7 impar — 8 nisi per il primo uhi (T //). — ibi corretto in i>bi dal trascrittore stesso. — 9 imiuiii, — IO stantia — 185, 1 eptasilUilfO formata, sic — 3 qu4UHlam — 4-5 [Guido Ghisif. || F-l Ubi carmina coìisideranda^ habiinanda — 7 esse — 7-180, 1 cid^mur. hoc elio in ecc. XIII. 102, 1 rithmorum — 3 Rithmorum cum rei 3-4 ììihil derithmo —4 modù corretto in modo. — 193,2 videntur — rithmos — 3 rithmorum — .y**- tere^nam ea qtie cum ea quo, con cancellatura originaria di qu4; cum eu. — uel e.s\ve — 201, 1-2 quandoque suasorie, qitandoque dissuasorie. S' hanno inoltre due punti marginali disposti verticalmente (V. p- xlv) accanto ai luoghi seguenti, che si precisano coir indicazione del principio o della flne delle linee : 7, 4 {Ilaec.,., wO — 10, 8-9 {resoìuiret,,, mtt || to«ù>)— 18- 19 {pws\\siones.,.,opinamur)^ll^ 2-3 (corlj^jori.v.... genus) —16, 1-2 {pkumaNe- i'fU,.,. soiwu4n'it)'^^-i{Dem,.., per)^2A,2-3 {sensiui\\liiatis.,^^ reWvduentex) —11-12 {utiUori..,.(ui) -^27 f l-'Z (nniuersalem.,,, t^/i^a) — 28, 4-5 (hotno..,. o||cw/«.>) — 20, 8 {iiìipe\\rabant.,„ moliebantur) ^ SS^ 7 sg. {mw..., rcccpio) — 36, 2-3 (i>er..,. la) — 40, 4-5 {confusioni...,, Jiabel)^A7, 9 sg. {consortio,.,, nm\\gritiiate)~'^9, 1-2 {est.,,, factum) ^Ò\, 3-4 {Cinus,,., niagùì) — 68, 1-2 {hinc„„ Lw.anuii)^bl^ 1-2 {uenationj,... fvHtices) — 67f9 hì:. {ui(le\\atu)\,„ hos) — 60, 5 sg. ( Vna,,., grandi') —66, 5 sg. {et nos,.,. quid) — 67, 4-5 {car- ni\\/ices..,. Sed)-^:ì-6 {prtestaL,,, quod) -^76^ 0-7 {Trameunles.,,, Italiam) — 70, 1-2 ilìrij:i\\en^'fis.,., Padwmos)^ SS ^ 3-4 {pr(efati.,., Fer\\yaricusi- hus)^BAy 12 sg. {con\\Hiileì'at„., siinplicitcr)^9^^ 7 sgg. (m annera,.,, sim\\ ìdicUsinai)^ 96^4-0 [quod.,., auJicum) ^98, 18 {illustre,.,, dehemus) ^122^ 2-3 {lectium,,., que)-^ 127 y 2-3 {Quando,... vulgarj) --IZ^^ 8-9 {fidihus.... i/>Ci/)i||«0 — 136, 8-9 (.vw|!/><;Wiia///.,.. gi«)(i) — 11 sg. {inueni\\tnus,.., tran- scendisse) -^ IMy 15 sgg. {secUnnur..,, ple\\nissiinatn)-~1^6f 1 sg. {sopri- mando,.,, qui). II. Saggio della versione del Cittadini Mi limito a dar saggio della copia al pulito, giacché nell'altra le complicazioni sono tali e tante , che per renderle in modo chiaro bisognerebbe invocare 1' aiuto della fotograiìa. *) In nota metto le lezioni primitive, modificate poi o surrogate. La tinta dell'inchiostro prova come in parecchi casi almeno le correzioni non siano state *) n confrouto dello altimo righe si f» con T^, fAsendo ntAtn qnonto 1* osemplare. *) Esempliflcherò col princiiiin, stampando in carattore tondo la lecìone nscita dalla ])cnna in origine e so(;gituigendo tra parentesi in corsivo le sostitnsloni che l' antore («cogita via via. Nei casi di moltiplicìtà l' online non ì^ sempre sicuro. Chiudo fra asteriacht le paiolo sn cni fNi tirato nn frego : giacoliò spesso accanto al nnovo il vecchio rimane. « Concioslacoaache *noi* non troninmo {Conciotiacotache non trouiamo — Vondonaeotaehe noinonlrouf4»mo — Non trovando noi), che * alcuno (ueruno) unanti di noi habbia * trattato «ìsa al-* {habbia ninna eo»a* — habbia *coga alcuna* — habbia tanto o quanto) di-ll* insegnamento {dflla dottrina) della uolgaro {uìilgare) eloquenza {trattato), e noi nediamo {e uedetido n*n) esaent artatto necessaria a tutt{il tal' oloqnenzi» {tal' eloquenza *a tutti " etterf n«r€s*ar%a a/atto — tal' eloquenza e$9er a tutti necettaHa rifatto) ; da che non pur gli hTiomiui ma le * donne* {femmine) ancora e i fanciulli {faneiuUini) *tu\ casa** si sforzano, qnanto la itarnra {ter- mette, di pornenire {n sforzano.... di perueìiirt ad Mira) e nolendo *noi* {e iMlmdo) In alcon modo il discernimento illnstrar di coloro, che a guisa di ciechi per le strallo i>ai«eveglAiio («■- minano — * fi e non so che altro, da ritener solo cominciameuto <— muowMU} i pas»i — m ne vanno) e le coso che anziano sono estimano esser posciiUe (ant^'riori 9ono posferiorL eg- sere ttimano — atiziane tono pomeiaie e^aer ettimano).... ^" ^^fc»^ I ■■ ^■■■■11. I ■ I. ■»»— »^i^^»^^>^»^-. » ^■■.■W h II.», , ■»■ introdotte sabito. Qaando ci sono abbreviazioni, scrivo in corsivo nel testo, in carattere tondo nelle note, le lettere supplite. Del parlar volgare di Dante <) Proemio Non trouando noi, che ueruno altro habbia tanto o quanto inanzi a noi *) trattato de grinscgnamenti del parlar volgare, e uedendo noi essere af- fatto necessario a ciascuno 3) ; da che non pur gli huomlni, ma le femmine anchora, e' fauci ullinì *) si sforzan, quanto la natura permette loro '), di per- venire ad esso: E udendo noi il discernimento illustrar di coloro, che a guisa di cicchi se no uanno, e le cose che anziane sono, posciaic esigere esti- mano; farem saggio col nerbo, che da' cieli c'è stato «) ispirato, di recar gio- uamewto al parlar delle uolgari genti, non pur solamente a tanta e cosi fatta beuanda deli' acqua') del nostro ingegno attegnendo; ma eliandio mescendo le r»ose migliori, che da gli altri pigliaremo, e compilaremo ;^nde per tal mezzo possiamo dar bere altrui una dolciss»/na acqua di melo. Ma perciò che ej?ìi ò necessario non approuar*) qualunque dottrina, ma aprire il suggetto di ossa, accio che altri sappia ohe cosa sia quella, intorno alla quale ella s'aggira, diciamo in breue, che noi appelliamo Volgar parlare quel ^) nel quale i fan- ciuUini sono da color <0) che stanno loro intorno auuezzati, come prima essi *<) cominciajio a distinguer le ucci ; o nero (il ohe più breuemente dir si paote) uolgar parlare esser diciamo quel <'), ohe noi, senza regola alcuna, imitando la balia, apprendiamo: Doppo il quale noi hauemo un'altro parlare men principale, che i Romani ctiiamauan grammaticale, E^^) questo tal parlare hanno anchora i Greci, ed altri, ma non tutti, atteso che pochi arriuano ad liauerlo ; perciò che V huomo ^*) non diuien regolato, e dottrinato in esso, se non in ispatio di tempo, e per assido u ita i-^) di studio.'^) Hur di questi due parlari si è più nobile il uolgarc, <^) sì, perciò che egli fu il primo ad essere usato da gli huomini'S), sl*^), per ciò che il mondo tutto l'adopera, o si anchora ') Qnetito di Dante fn scritto, eapnnto, riacritto. Nella prima atcìsnra Dfl parlare, o Uicnta uolgare di Dante, con caneellazinno di o iilionta e flostitnzinno in uttlgare di u all'o. ') ueruwt aitanti di noi ?Mhbin tanto o quanto trattato. *) Accanto a qaeate prime lineo, aoUcUneato nel lombo anteriore, a* ha in marginr: Dwté primo a imegnar rtgoXtt di lingua. *} /aneiuUi. *) loro è nn* aggiunta. *) Altra Hggìuntii Mtato. ') V aequa. , ") prouar. ') quello, •) coloro» *'j II brano noi appAlliarno.,.. prima e»»i i* tatto cottoli noat-o : o gli fa rifirontro Ta»' lAttuiofiM marginalo diJUnition dfilla lingua. ^) quello, '^ ehé ttUri. **) ostidmtéL *) Sottolineato diuien.,., Mtudiof ed in margine il Parlar regolato uuol lungo etudio. ^'} Pongo qni ana yìrgola, aelibem) la rilegatnra mi tolgii di accertarne l'esistenza wlma. ^ In maigine Jktgnità (o Di- 1) della lingua Volgnre. CCXIV APPSVP10E perciò che egli a noi è naturale, doue queir altro ci è più tasto artificiale, che nò. E di questo più nobile ò nostro intendimento di trattare Che riiuomo solo ha Tuso*) del parlare — cap i. Questo è il noslTo primo parlare : e non dico nostro, perciò che ui Ria altro parlar, che quello dell' uomo, attesoché a lui solo fra tutte T altre creature^ fu donato il parlare, perciò che a lui solo fu necessario; e non agli Angeli , ne a gli animali inferiori a lui , a' quali sarebbe stato dato in nano, il che la Natura abborrisce di fare. K se noi uolem^) più cliia- TSLmcìiìQ considerare qual sia V intendimento nostro nel parlare, aperta- m^ite appare, che egli niente altro sia, se non di esprimere altrui i con- cetti della noò'(ra mente : Ma, perciò che gli Angeli a dimostrare i gloriosi concetti loro hanno prontis.vi/na ed ineflabile sufficienza dlntelletto , per mezzo della quale 1' uno air altro fa *) noto affatto per se stesso , od al- meno per mezzo di quello splendentisst/ito specchio, nel qual tutti sono bellissimi rappresentati, e auidissimame/^to tutti si specchiano, appar, che es^i non hanno bisogno hauuto di segno alc?/7io di parlare. E se altri a ciò opponesse gli spiriti, clic caddero giù dal cielo, gli pò temo ^) in due mod^ rispondere. Primieramente, che, conci osiacosache noi trattiamo di quelle cose, cbe al <*) ben-essere appartengono, noi li douemo tralassare, atteso che es^i peruersi la diuina cura aspettar non uoUero. Secondaria- mente e meglio, rispondiamo, che essi r>emonij a manifestar fra se stessi la pe^'fldia loro?), non hanno bisogno d'altro, se non che ciascuno sappia dell'altro per qual cagione egli è, e qwmto egli è: il che ossi ueramente sanno percioclìe si conobbero scambieuolmr proueduti del parlare, essendo i^) guidati e retti solamente per istinto di Natura; e tutti quelli che d* una ^ medesima specie sono, hauenosttion del serpente, che parlò alla prima Donna; o dell* asina di Balaam, che habbian parlato, rispondiamo, che l'angelo in quella, ed in qwt'sto il De- monio operaron solamente che essi animali mouessero gli strumenti loro, onde la noce risultò distintamente come uno parlare fosse, auuegna ch'al- tro non fosse quello dell'asina che ragghiare; e quello del serpente non foss* altro, elio fischiare. K se alcuno ci argomentasse contra di quello, che Ouidio nel .5. libro delle Trasformationi dice delle Piche, che parlauano, diciamo., cho egli parla iui figuratamente e intendendo altro. E se mi si di- cesse, che le piche e altri ucelli al presente parlano, rispondo, che egli ò falso ; percioche tale atto non è parlare, ma una tale imitatìone del suono *) ha commercio, *) creature che. ') uogliam, *) gli /a. ') lor ptTJUHn. *) ¥MMnilo loro, •) della. ^ §tato loro di. ; APPENDICE OOXV della nostra tiocc ; o uero, aho essi r' ingognan d* imitare ia quanto noi facciamo suono M« non in quanto noi ragioniamo: la onde, bo ad alcuno espressamente dicente, Pira; essa anchora risonasse*). Pica; questo non sarebbe seno» rappresentare, o imitare il suono 3) dì colui, che prima ha- uesse parlato. E cosi apertama/tto si uede, che il parlare è stato dato sola- mente air lìuomo : Ma per qual cagione gli fosso necessario ci sfor/aremo di trattarlo breuemento. Che r uso *) del parlare fu necessario airhuomo Gap. 2 Conciosiacosa adunque che P huomo now per istinto di Natura, ina per Ragione sia mosso; ed essa Ragione o intorno alla discretionc, o intorno alla elettione si divcM-sìflchi in tutti, in maniera, che quasi ognuno paia della sua propria specie allograrst; ci facciamo a credere, che ninno in- tenda altrui per uiexzo de* suoi pro])ij atti, o passioni, comò fanno gli ani- mali bruti; ne che por spirituale spcculàtio/^e altri S) entri in altrui, come auuiene agli Angeli; perciò che P humano spirito per la grossezza, e den- sezza^) del mortai corpo ne uien ritenuto: La onde fu necessario, che il ge- nere humano hauesso alcun sensuale e ragioneuol segno a communicar in fra se i suoi concetti, perciò che hauendo egli a prendere alcune cose dalla ragione, e nella ragion portarla ') , gli fu però necessario d' esser ragio- nenole: E perciò che ninna cosa portar si può d'una ragione in unaltra senon per mezzo sensibile, pero sensibile*) gli fu bisogno (P essere; atteso che, se egli pur solamente ragioneuole stato fosse, non hauerebbe potuto trapassare oltre: e se fosse stato solanu*«te sensibile, non hauerebbe po- tuto dalla ragion pigliare, e riporre nella ragione. Hor questo è segnale, che questo nobil subbietto") del qual noi parliamo, è per natura sensibile in quanto egli è suono ed è ragionevole in quanto egli è pur ^ che signi- fichi alcuna cosa giusto il piacer d' altrui. ^) Moni, cancellato avunti di UiveuUr soniaìno. ') 8' era prima ootuiuciatu a scrivere qualcuB* altru, priuciplante del pari per ri-, '*) guotw^ che. *) il commercio. *) l'uno. *) opacità. ^) portarle. Pbr iuavverteitxa si tranciirò ili tfufltifciiire allo stenso modo il nitijtolare in •irane cote. *} Qnenii dne tetmbiie e gli altri duo ohe toiigouo dietru furono prima wtiauaU. ^)gfabieU)o. ^) Sic; e in margino un neguo. J^ella brutta copia mia croco, clie si riitetU» niaixi- vilmente, fu apposta tra egli e purché. Era da scrivere egli par che. Codice va. Grehoblb. c erantemente anche tottu, sul totut del testo fu tirata nna Unea , se non erro, da altri. 3. G T sinl, [con espnvione dell' n in G]. che V inesattezza sia originaria, e dovuta ad una di quelle inavver- tenze, che tante volte si commetto- no nel rattoppare; è mai strano che in quel momento il pensiero corresse ad eloqxiium^ ydioma^ usati anche nella rubrica iniziale, oppure a «ermo f Cosi c'è un certo stimolo a concepire di preferenza ripotesi in questa seconda maniera. A ogni modo poi la lezione hariim è dantesca di sicuro, mentre, che sia dantesco quarum, rimane incerto. E Dante potè benissimo non rav- vedersi dell* harum uscitogli dalla penna; dacché, se di norma i suoi periodi sono concatenati esterior- mente, ciò non awien dappertutto. Si veda, p. es., I, iv, 4 {Absurdum...), iz, 1 (Quta...), XIV, 2 (Horum ali- quo8...)j ecc. ') Dal ginepraio della contra- dizione tra questo luogo e il Con- viviOj I, V, intorno alla quale tanto si è detto e scritto, il Prompt., G.Z)., I, 824, si trae fuori affermando che qui nobilior j sotto nobilio- ri, siano stati scritti per errore d' amanuense in cambio di utilior^ utiliort. Di mero errore, special- mente dovendosi esser prodotto due volte, mal si potrebbe trat- tare; bensì vi sarebbe luogo a pensare a una correzione. Ma io non vedo d'onde dovrebb' esser venuta la spinta a correggere; né alla contradizione (parziale sol- tanto, come già fu osservato da molti, dacché il Volgare è qui concepito in maniera da abbrac- ciare perfino il linguaggio stesso di Cristo), mancano spiegazioni d' altro genere , per quanto più intricate. Contro il ìiobiliorj fosse poi quale mai si voglia la parola da surrogare, sarebbe amie beu altrimenti formidabile l'osserva- zione, che le ragioni addotte a mo- tivare 1' epiteto « non hanno che fare , colla nobiltà. > Sennonché ciò é da contestar per la terza (V. Inf.f XI, 97 sgg.), ed é vero per le altre solo se si vuol procedere concordi con un'altra parte del Convimo stesso, ossia col suo quarto trattato. A chi di un dis- senso non abbia paura e pensi che Dante sia mentre scrive inclinato ad accettare poco o tanto il con- cetto consueto della nobiltà, e la derivazione, usuale ancor essa, di nobilis da nosco o da un suo ram- pollo, sarà lecitissimo di veder le cose in altra maniera. Ofr. d'Ovi- dio, Arch, Gioitola II, 76 {Sagffi Cnt, p. 357). *) Già il Tr. aveva corretto mentalmente, secondo si vede dalla traduzione, sint in sit; e cosi s'è letto sempre nelle edd. Il Prompt (p. 87) vorrebbe invece mantenere il sint e togliere V et dinanzi a vocabula. Ma con ciò si verrebbe a preferire nell'ordine materiale LiB. I, CAP. I, 4; II, 1-2. est nobis, cum illa potius artificialis exìstat. Et de hao nobi- liori nostra est intentio pertractare. u. Quod 8olu8 homo habet comerdum sermonia. 1. Hec est nostra vera prima locutìo. Non dico autem e nostra » *) ut ') aliam sit esse locutionem quam hominis ; 5 nam eorum que sunt omnium soli homini datum est loqui, cum solum sibi necessarium fuit. ') Non angelis, non inferio- ribns animali bus necessarium fuit loqui: *) sed ") nequicquam datum luisset eis; quod nempe facere natura abhorret. 2. Si 1. G T poeiut; [G timùlameiite poUué]. R. noHra, nolnziono rigorosa del nra di T, punrabbe, e parve già al Corb., portare anche G. Ma gnardando bene, si nota che Ivi il Msgno d* abbreviacioue che ha forma di r stiacciata, ai protende orizzontalmente noli' a, ni da potere, od anzi dover rappreaentare altresì una nasale all'oscita, e da indarci a leggere no9tram. ana violenza ad una libertà più che lecita, e insieme a corrompere il senso, poiché i lingaaggi, oltre- ché nel modo del pronunziar le parole, so'n vennti a differire quanto mai anche nelle parole stesse. Gf. i cap. vu e vili di questo primo libro. *) Cosi n nostramf come il tuh stra indiscusso fin qui, possono allegar ragioni in loro favore. Stanno per il nostram la maggior regolarità gpranmiaticale, e un ri- scontro, n, vili, 2: Quapropter, quid sit cantio videamus^ et quid ifUeUigimus cum dicimus cantiO' nem. (Diverso è il caso I, vili, 6, in fine). Ma i riscontri più nume- rosi e i migliori sono per nostra: I, IV, 4, consequens est quod pri- mus loquens primo et ante omnia dixisset € Deus> ; II, viii, 8, Quod autem dicimus^ •tragica coniuga' tio» ..; U, XII, 4, et dico • pedibus»,.; ib., 7, et dico •per se subsistens*,,,, £ allora, considerato che sotto il rispetto genetico le probabilità si bilanciano, s' è indotti a serbarsi fedeli al nostra, da cui viene al discorso una sfumatura, che lo rende più vivo ed efficace. *) H Giul. ut si , per erronea deduzione da un rafiironto col si est dare primum motum esse del Farad, (xni, 100), fatto dal Corb. 3) Non mi tengo certo che Dante non scrivesse fuerit. La grammatica se ne rallegrerebbe, e ne risulterebbe un vantaggio anche per il fuit della linea se- guente. Ma per quanto l'altera- zione grafica che verrebbe in que- sto caso a supporsi si riduca al- l' omissione di un segno sull'i, non mi attenterò di sicuro a tra- durre in atto l' ipotesi. ^) Omesso, senza giusto moti- vo, dal Frat. in ogni sua edizione, e dal Giul. ^) Questo sedy se arresta un po- co alla prima, maturamente con- siderato riesce ad appagare. 8 LIB. I, GAP. II, 2-3. etenim perspicaciter *) consideramus*), quid, cum loqtdmar, intendamus, patet quod nichil aliud, quam nostre mentis enucleare aliis conceptum. Cum igitur angeli ad pandendas gloriosas eoram conceptiones habeant promptissimam atque 6 ìneffabilem sufficientiam intellectus, qua vel alter alteri to- taliter innotescit per se, vel saltim per illud falgentissimnm speculum in quo cuncfci representantur puloerrimi atque avi- dissimi speculantur, nullo signo- looutionis indiguisse vìden- tur. 3. Et si obioiatur de hiis ') qui oorruerunt *) spiritibus, 10 dupliciter responderi potest. Primo, quod cum de hiis'') que necessaria suut ad bene esse tractamus, eos preterire debe- mus, cum divinam curam ") perversi expectare noluerunt. ') Vel ') secundo et melius , quod ipsi demones ad manifestan- 1. T e G, abbreviatamente il primo, ilist«Bam6ut« il aecoudo, protpic-", [G fteTtpit-']. 3. T paudendas; e cosi mi i^are si fosso prima Rcritto anche in G. 6. [G taUùm]. 7. G T puleerìmù 9. G T eornuT. 10. G T bis. 12. G iwluerunt: e uo- par bene aversi anrlie iji T, nonostant<« che nnuebbiuo mi poco !•> cose V inchiostro alqiumto svanito e hi carta in- sudiciata. 13. G T «f al posto ili vel. *) PerspicacUer anche V; sudtil' mente il Tr. ^) Il Qiul. consideremuSf disdet- to poi nelle correzioni. ^) Maffei e posteriori iis. *) L'abbreviazione dei dne co- dici dà luogo a una lieve dubbiez- za. Corruerunt^ o corruere? Ma siccome nò in Q nò in T ho av- vertito casi in cai il segno che qui abbiamo stia per un semplice e finale, e poiché I, vi, 5 e G e T hanno fabrioaf per fabricaruntf mi risolvo per eorrueruni , nono- stante che il corruerCj adottato dal Corb., dia miglior suono. ^) hiSj come i codici, le edd. ^') « .... se già non vogliasi leggere lucem o gratiam >, dice il GiuL; e volentieri si leggerebbe cosi, se leggere si potesse. Il cu- ram di certo non è limpido; e a renderlo tale non basta il ravvi- cinamento col Farad,, xix, 48, che ci dà indubbiamente lo stesso pensiero e che ha comune col no- stro passo l' aspettare, Arram^ che sarebbe una sostituzione le- cita e in cui dovrebbe vedersi 1' arra nuptialis^ non regge ad una riflessione accurata. Solo at- traverso a grandi difficoltà si riu- scirebbe a sostituir eurationetn; e poiché il senso che ne risulterebbe ò contenuto del pari, sia pure in modo ambiguo, nel curam dei co- dici, il mutamento non avrebbe in nessun caso una ragion sufficiente. '^) Correzione evidente, che il Tr. attuò traducendo, il Corb. stampando, e che ò anche portata da V. *) Corb. Il Torri notò che il vel non era in V, e ohe non si rifletteva nel Tr. (duplice effetto deir essersi avvertito Terrore di T senza capire cosa ci fosse sotto). Lo mantenne tuttavia, pur giudi- LTB. I, GAP. n, 3-5. dam inter se perfidiam suam non indigent nisi ut sciant qui- libet')de quolibet quia est et quantus est: quodquidem sciunt; cognoverunt enim se invicem ante ruinam suam. /4. Inferiori- bus quoque animalibus, cum solo nature instincfcu ducantur, de locutione non oportuit provideri. Nam omnibus eiusdem 5 speciei sun t iidem actus e t gasgiones; et sic possunt per pro- prios alienos cognoscere. Inter ea vero que diversarum sunt specierum, non solum non necessaria fuit locutio, sed prorsus danapnosa faisset, cum nullum amicabile commertium fuisset in illis. 6. Et si obiciatur de serpente loquente ad primam 10 mulierem, vel de asina Balaam, quod 'locuti sint, ad hoc respondemus, quod angelus in illa et diabolus in ilio taliter operati sunt, quod ipsa ani malia moverunt *) organa sua, sic ut ') vox inde resultavìt distincta tanquam vera locutio : non quod aliud essefc asine illud quam rudere,*) neo quam 16 1. Si potrebbe credere cbe G portasse pftdiam e che il p sia Rtaio tagliato dal cor* n»tt«rp ; ma è molto piti pwbabilo che 1' azione correttrioe si rio ridotta a rinforzare il tai^lio. 2. [G. di fianco a de quolibet.... corjìw-, *Fra 7ac"*]. 6. G T I idem. 7. G diverggarwn. 9. G amicabilU. G T eoiìiertium. 11. G T gitU, ad hoc. lietp-. 13. G T movert. 13-14. T ne et. 14. G tamquam. 15. T uidere; e uidere era anrho la scrittura origìiiaina di G, corretta in ru- raschiando la prima asta e riscrivendo. Graficamente non sarebbe e«clTUO che la correzione potesse risalire anche all' amauaense. G T nj. candolo non necessario. Ma gli editori successivi andarono più in là, ed eseguirono la soppressione. *) Male il Giul., e senza al- cuna avvertenza , qtddHhet (Tr. qualche cofa). *) La grammatica classica por- tè il Corb., come già V, a leggere mover entf non modificato poi più. Ma le norme paleografiche vo- gliono invece moverunt, (Tr. mos- serai), tntt' altro cbe ripugnante alla sintassi dantesca. ^ Cbe il sic ut di G, mala- mente convertito in sicut dal Corb., sia da preferire al sic et, adot- tato snir autorità del Tr., di T e di V dal Torri, e mantenuto dai posteriori, dopo molta riflessione mi par poco dubitabile. Si provi a sostituire a et V eUam , cbe do- vrebbe pure esserne l'equivalente per il senso: può mai la voce cbe inde resultavit distincta essere con- cepita come una specie di conse- guenza accessoria? Le cose pren- derebbero, è vero, altro aspetto, se, discostandosi dagli editori pas- sati, si trasportasse Tinterpunzione dopo sic; ma quel sic collocato li alla fine fa nascere un'altra e grave obiezione; e sempre s'aggiunge che venga per tal modo spezzato un pensiero, internamente connesso da un legame intimo in sommo grado. Quanto al resultavìt, non ce ne maraviglieremo troppo più che del moverunt, conscii bensì che col congiuntivo il senso pren- derebbe un colorito un po' diverso. *) Tr. raggiare; e anche V ru- dere. 10 LIB. I, GAP. II, 6-7; III, 1. sibilare serpenti. ') 6. Si vero centra argumentetur quis de 60 quod Ovidius dicit in quinto Metamorfoseos de piois loqaentibus, dicimus qnod hoc figurate dioit, aliud inteUi- gens. Et si dicatur qnod p ipe adhuc et alie^ves loquuntur, 5 dicimus quod falsum est; quia talia actus locutio non est, sed quedam imitatio soni nostre vocis; vel, quod nituntur imitari nos in quantum sonamus, sed non in quantum lo- quimur. linde si expresse dioenti « Pica » resonaret etiam « Pica » '), non esset hoc ') nisi representatio vel imitatio soni 10 illius qui prius dixiaset. 7. Et sic patet soli homini datam fuisse loqui. Sed quare necessarium sibi foret, breviter per- tractare conemur. in. Quod necessarium fuit homini corner cium sermonis. 1. Cum igitur homo, non nature instinotu, sed ratione 16 moveatur, et ipsa ratio vel circa discrefcionem vel circa in- dicium vel circa electionem diversificetur in singulis, adeo ut fere quilibet sua propria specie videatur gaudere, per pro- prios actus vel passiones , ut brutum animai, neminem alium intelligere oppinamur ; ^) nec per spiritualem specula- 1. In luo^ di cantra, G ha ce, osma circa,- T, Se, doè ei»é. 6. [T */aUù , che rima a essere mera rijwlnziouo del fi' in del tosto], 6. T imit(tcio. 6 ^, in C4Uubio dì j(; e cosi avreblie certo anche T, senza un piccolo lavoro di raAcliiatiini. 0. T ha il compt*n- dio di ubi in cambio di qnello di 7tùi , ossia u , in 1uo]e;o di n , Bormontiito da un segno (* ni9i] • quanto a G , la scrittora vi ò ambij^rua. G mutntio ,- e mu-, corno leme V, dovette bene voler scrivere anche T ; [ma più tardi fu meBSo riparo coUa sovrappotsizione di un punto au ciascuna delle due anta estreme]. 18. G T niminem; [G mun-]. 19. G T «j. *) Il Frat. credette bene di scri- vere sei'pentìs (Tr. del serpinte) ; e il Torri e il Giul. lo seguirono. Che il dativo stia qui ottimamen- te, ha veduto e spiegato a dovere anche il Prompt. 2^ Il Tr. aveva tradotto, Tal che se a qucWo^che al ciin (o expr es- samente dicesse^ anch'ora la picha ridicesse.,.. La traduzione erronea, rimasta senza effetto sul Corb., agi invece, pare, sul Frat. («=» Torri, Giul.), portandolo a togliere il pri- mo pica. 3) Corb. hic» Fu il Torri a ri- stabilire la lezione buona. *) Il Witte, allegando male a proposito il Tr.. propose, affatto ir- ragionevolmente, et per proprios actus... opinemvr; mentre il passo non aveva biriogno che d'essere in- terpunto diversamente da quel che MB. I, CAP. in, 1-2. 11 tionem, ut angelum, alterum alteram introire contingit, cum g rossi tie atque opacitate morfcalis corporis humanus spiritus sit obtentus. 2. Oportuit ergo genus humanum ad comuuì- nicandum inter se conceptiones ') suas aliquod rationale si- gnum et sensuale habere; quia, cum de ratione ') accipere 5 habeat et in rationem portare, rationale esse oportuit; cum- que de una ratione in aliam nichil deferri ') possit nisi per 2. lu T, invece di »pe, abbreviazione frequente, per quanto indebita, di tpirUut, par- reblje di aver piuttosto 9pè, che darebbe ttpecie, come difntti lesse V. 3-4. G cdmuican- dum (T eoicandum) ; ma la forma insolita e la tìnta pih cupa portano a ritenere non ori?:!- Dario il segno Bull' o. 4. T eont^ptdiiet , G eontemptUmet ; [G contom|»lafione«]. 5. G quia eùdem r-, T quia eundem r-. 7. G T defferi. si fosse fatto dal Maffei e dai po- steriori (peggio di tutti dal Torri) , colpevoli di aver legato per prò- prios actus con gaudere, mentre il Corb. aveva pur messo frammezzo ona virgola. Dove stesse V errore, vide poi di Frat.^ tanto da collo- care qui addirittura un punto e virgola, per verità un poco ecces- sivo. ') Il contempìationes introdot- to in G sembra a prima giunta correzione verosimile del contemr pHones comune a GT; ma concep- tiones ò manifestamente un voca- bolo più adatto, ed è messo fuor di dubbio dair ad pandendas già- rio»€Lif eorum conceptiones del capi- tolo antecedente, § 2. (Cf . anche im- mediatamente prima nostre mentis enucleare aliis conceptum). Quanto al fatto grafico , à troppo ovvio come concepì- sia potuto parere eontept-, e come, non significando nulla conUpi-, sarà parso ragione- vole di mutarlo in conteìnpt^. Ben fece dunque il Corb., spinto anche dal Tr. (i suoi camcetti), a risol- versi per conceptiones, dopo essere stato probabilmente egli stesso autore dei contempìationes. ') La correzione mi par troppo sicura, per aver bisogno di com- mento; come di commento non ha bisogno l'esclusione che viene a farsi di quella messa nel testo dal Corb., e mantenuta poi sempre, quia cum aliquid a ratione (Tr. devBndta prendere una cofa da la ragi(one)y che colpiva il bersaglio, ma lontano dal centro. ^) Ho titubato tra il mantenere deferrif che è la correzione intro- dotta dal Corb., e lo scriver dif- ferrij come s' è fatto anche in V. L' uso corretto, ben noto anche ai glossari medievali, vuol certo de- ferri ; ma il di ff erri parrebbe po- ter chiamare in aiuto delle analo- gie, come sarebbe diffinio prevalso assolutamente su definio, E la ra- gion grafica si direbbe stare per esso; dacché sembrerebbe in so meno facile rendersi conto del rad- doppiamento deir f che della sur- rogazione di de- a di-. Sennonché a questo raer l' ant^essore suo, gli appariva, qual era, semplice attributo di subiectum. Quest' esse pensò bene di collocare alla fine accanto ad est; e sulla convenien- za di cotale collocazione s'intrat- tenne in una nota, adducendo va- ri riscontri, mentre tacque affatto che si trattasse di nn vocabolo ag- giunto da lui. Il testo riusci dun- que il seguente : hoc equidem si- gnum est, ipsum subiectum nobiU, de quo loqtiimur, natura sensuale quidem, in quantum sonus est, esse».,. Due punti dopo loquimur surrogati alla virgola furono il LIB. I, GAP. IV, 1-2. 13 IV. Cui homini primum datus est senno ; quid primo dixit, et sub quo idiomcUe. 1. Soli homini datum fuit ut loqueretur, ut ex premis- sis^manifestum est. Nunc quoque investigandum esse existi- mo, cui hominum primum *) locutio data sit, et quid primi- 6 tus locutus fuerit, et ad quem, et ubi, et quando, nec non et sub quo ydiomate primiloquium emanavit. 2. Secundum 3. T Huiìe piattosto ohe Nune. 7. G T idxomaU. Oprimi || loquium; T primi lo- quium. solo cambiamento introdotto dal Frat. in tutte le sue edizioni: cam- biamento col quale non si riesce troppo a capire come nella mente dell'editore fosse conciliabile la conservazione dell* esse. Quanto al Torri , non si diparti dall' inter- punzione del Corb.; ma si figurò di attenersi a T, collocando 1' esse dopo qnidem (natura sensuale qui- dem esse, in quantum soniis est). Bisogna venire fino al Boehmer {Jahrb.)j per trovare chi rilevasse e correggesse l'antico abbaglio riguardo all'interpretazione e al- l' ufficio di siffnum. Ma subito do- po, e indipendentemente da lui, la stessa verità fa vista dal Bemar- doni, nuovo editore della versione trìssiniana (Milano 1868) p. 8, in nota) ; il quale interpretò anche a dovere, ossia, senza tener conto àeìT esse, che vide bene essere di soverchio, il rimanente del perio- do. Solo suo torto fu un residuo di titubanza di fronte all' autorità della tradizione. Recisamente af- fermativo e chiarissimo fu bensì il d' Ovidio, che ebbe l' occhio an- che al Bemardoni, e completò, senza avvedersene ,, il Boehmer. £ dal Boehmer e dal d' Ovidio, o più esattamente da quest'ultimo, con un po' d' intervento del Frat. neir interpunzione, fa indotto il Giul. a scrivere cosi: Hoc equidem signum est ipsum subjectum nobile, de quo loqnimur: natura sensuale quidem, in quantum sonus est; rationale vero,... Ma la lezione di- plomatica è indubbiamente nam rationale quid estf in quanto di leg- ger natura nessuno dei nostri co- dici, date le sue abitudini, vuol consentirci. E un segno d'altra forma che si richiederebbe in tal caso sul na, E anche lasciando il testo inalterato il senso corre be- nissimo , poiché del natura non c'è alcun bisogno. Che se il con- gegno del periodo riesce forse mi- gliore leggendo per questa parte come lesse il Corb., e le modifica- zioni cho a ciò si richiedono sono tra le più legittime, queste non paiono essere da sole ragioni suf- ficienti per dipartirsi comecchessia dai mss. *) Il Corb. primOy verosimilmen- te per farne un aggettivo accor- dato con cui. lì Torri lo mantenne, pur prendendolo come avverbio, ed avvertendo che T aveva, scan- sando l' equivoco, primum. E pH» 14 LIB. I, GAP. IV, 2-3. quidem quod *) in principio legitur Crenesisj ubi de primordio mundi sacratissima scriptura pertractat, mulierem inveni- tur ante omnes fuisse locutam, scilicet presumptuosissimam Evam, cum diabolo soisoitanti respondit: « De^fructu ligno- 6 rum que sunt iji paradiso vescimur; de fructu vero ligni quod est in medio paradisi precepit nobis Deus ne come- deremus nec tangeremus , ne forte moriamur. » 3. Sed quanquam mulier in scriptis prius inveniatur locuta, ratio- nabile tamen est ut hominem prius locutum fuisse creda- lo mus; et inconvenienter patatur tam egregium hnmani ge- neris actum, vel prius quam a viro, a femina profloisse. ^) 4. T diahìdo; G dapprima dyabvlo ; ina 1' u ri fn {>oi nuKhiato, o oomanqne fatto impallidire, a qoauto pare dallo stesso amanuenne, per surrogare nn o. 4-5. Iìb parole de fructu liffìionim que gmU in paradiso vescimur, mancano in T; e in G furono supplite n^l miirgine esterno di carattere più minuto, agganciandole al Uynio con rìchianii, fn^giati di rosso. I^ sinnrginazione avvenuta quando il co abbiamo subito di nuovo nel § 4, e quindi I, v, 1 e xv, 4. (Cfr. anche Par.^ XXVI, 127). Diverso è invece il senso di rationalis: rationale si- ffnuniy I, III, 2, qual contrapposto a sensuale] rationalia guttura^ viii. 1; rationale^ di fronte a vegetabile^ animale f II, ii, 4; raiionale ani- mai, X, 1. Quanto a nn altro esem- pio, I, IX, 1, giova lasciarlo in di- sparte, per essere il passo troppo spinoso. Però, a ragione veduta, s'è condotti ad assentire alla muta- zione introdotta, certo senza guar- dar troppo per il minuto, dal tra- scrittore di V e dal Corb. 2) Se nel testo il Corb. scrisse adeòy più tardi s'accorse dello sproposito, e avverti nelle note, leggi Ada^: lezione debitamente ac- colta dal Frat. e successori. S'in- tende che chi prima scrisse adeo^ intese a deo (V a Deo), non adeo^ messo iiiuanzi dal Corb. per via dell'aò eo che s'ha poi. E a Deo ha trovato un difensore nel Prompt (p. 41), il quale lo salva dall'obie- zione affacciatasi alla mente del primo editore mediante una vir- gola dopo loqui, convertendo cosi Vab eo in una ripetizione vigorosa della formola antecedente. Ma egli non ha considerato che a questo modo si viene ad attribuire a Dante un'inutile ripetizione di quel che già è stato detto; e che lo si riduce a parlare come se l'uomo in ge- nere e il primo uomo fossero una cosa stessa. Ed altro si potrebbe aggiungere, se la correzione Ade non avesse per sé un' evidenza, cui nulla toglierebbe 1' occorrere Adam I, vi, 2 come indeclinabile, quand'anche l'indeclinabilità non avesse colà una ragione speciale, ed ivi stesso non tenesse poi su- bito dietro un Ade. 16 LIB. I, CAP. IV, 3-4. loqui ab eo qui statini ') ipsum *) plasmaverat./ 4. Quid ') au- tem prius vox primi loquentis sonaverit, viro sane mentis in j^rrvmjìf]! fìffpft non t /ì<''nbn^ *) ipsum fuisse quod Deus est, 8CÌ- licet El/) vel per modum interrogationis, vel per modnm & responsionis. Absurdum atque rationi videtur horrificum *) ante Deum ab homine quicquam nominatum fuisse , cum ab ipso 1. ipgum non è iu T ; e in G è a^j^innto nopra nell' interlinea, di lettoni più pic- cola, 8omig1iantÌ8fiimA a qnella del mipplemeuto marjEfinale de frttctu ecc. G T ^ ai»- Um. 4. [G */. fJly. rjwchiato poi, ma ancora leg^biliMirao]. G T iiU'off- che a rigore darebbe iiU^og-. 6. G T orrijicium. [La voce è sottolineata in G, © dà laogo in mar- gine a Hegnalazioui , e ad un Lticr., alluniro al De rer. nai.^ Ili, SM)4, « At noe horrifico ciuefactum te prope busto Insatiabiliter deflorimus»]. ^) Il GiuL, dopo avere stampato a dovere, venne nella convinzione, da lui manifestata nelle note, che qni fosse da correggere loqui a Beo statim ac; e cosi volle che si leggesse nelle correzioni (p. 443). Lo mosse la tradazione del Tr., ignorando che ivi il da Dia) avesse altra ragion d'essere; e il parergli che, data la lezione tradizionale, e non si accennerebbe alla pron- tezza dell* atto , in cui dapprima s'aperse la favella di Adamo, ma vien invece fuor di proposito a toc- carsi il pronto atto del Creatore». Sennonché all'arbitrio, che fa me- raviglia di veder sancito colla sua autorità dal Witte, J, £/., non cor- risponde punto il bisogno. Ogni sti- molo a toccare il testo verrà a mancare, non appena si prenda statini nel senso, che esso ben pos- siede, del pur testé di un passo del Purgatorio (xxix, 26\ che il conte- nuto ci richiama subito alla mente. V. anche Boehmer, R. St, *) T>e\V ipsum, ammesso finora, non ci sarebbe alcuna necessità, e in mala vista lo mette Vipsi che precede, insieme coli' altro ipsum che tien dietro; e si cfr. un caso analogo, I, v, 2, gwi gratis dotaverat ; tuttavia, considerato il legame, sia pure meramente estrin- seco, che unisce questo sappia- mento a quello marginale, mani- festamente indispensabile, che s'è avuto poc'anzi, non mi so indarre a rifiutarlo. 3) Che un quid abbreviato fosse trascritto erroneamente coli' ab- breviazione di un qìtodj è troppo facile da intendere, perchè io mi accomodi a conservare nn quod cosi poco legittimo. La correzione fu accennata in nota dal Oinl., stavolta più timido del dovere. *) Nelle note il (>iul. mostra una certa inclinazione a correg- gere — sulle orme del Tr. — in promptu est, et non dubito. La cor- rezione sarebbe stata inutilissima. s) Eli il Tr., mentre dal suo Ely^ che ripeterà in parte di li la sua origine, ma che una nota dell' ed. ci fa vedere fondato insieme in- dubbiamente sul V. 186 del e. xxvt del Par.^ qual era dato per solito dalle stampe, il Corb. seppe ri- trarsi a tempo. Ma ecco che il Frat ripigliò l' FAi del Tr., e più non se ne staccò. In questo non ebbe seguace il Giul. ^) L'alterazione che il voca- LIB. I, GAP. IV, 4. 17 et inipsam ') faotus fuisset homo! Nam, sicut post prevarica- tionem humani generis quilibet *) exordium sue looutionis in- cipit ab « heu », rationabile est quod ante qui fuit inciperet ') a gaudio; et quod*) nuUum gaudium sit extra Deum sed to- tum in Deo, et ipse Deus totus") sit gaudium, consequens 5 1. imar-, cioè, propriameute , priuar-, 3. G- T ineifU, oaaÌA iìudperit, [ritoccato un poco in 6 eoli' intenzione di fame ineiperft]. bolo ha subito all'uscita ne' codici fu corretta fin dal principio nelle edd. ') Il Tr., interpretando male, ma almeno non alterando, in esato. Un'alterazione, non più rimossa, introdusse bensì il Corb., in quanto surrogò per ipsum^ cbe non fareb- be se non ripetere V ah ipso, *) Il Giul., fuorviato dal da- Kunto ixordUo del Tr., dovette credere errore materiale il quili- betj e tacitamente lo corresse in quicUibetf senza accorgersi che, se mai, sarebbe stato un quodlibet cbe si sarebbe richiesto. Una vol- ta su questa falsa strada, la ne- cessità di stabilire un contrappo- sto tra il prima e il poi lo indusse nella ferma persuasione che e er- rore manifesto de' copisti » fosse anche il qui fuit che tien dietro ; e ivi pure scrisse arditamente quidlibet. Che l'errore fosse in- vece tutto suo, ebbe già a rilevare a Witte, J. L. ^ Mi serbo fedele alla corre- zione voluta introdurre in G, e propagatasi di edizione in edizio- ne. Certo Vindperit potrebbe an- che correggersi in inceperitf come appunto s' è fatto da V; e non è se non dopo una serie di oscilla- zioni che mi decido per inciperet; e mi ci decido, perchè qualcosa bisogna pur rÌHolvere. Latinamen- te ineeperit starebbe meglio ; sen- nonché a questo stile par più con- sentaneo V inciperet: si efr. sotto il dixissety suggerito da un dicesse volgare là dove è un dixerit che ci si dovrebbe aspettare. Che se del pervertimento di inciperet in inci- perit son meno evidenti gli stimoli cbe non siano per ineeperit^ è da badare che Vindperit nostro non è che indpit col p tagliato. *) Non si darebbe mal volentieri ragione al Giul., ohe sostituisce quum. Ma il cambiamento che si dovrebbe supporre avvenuto riesce difficile da ammettere, quando si consideri che Dante dice sempre cum, e non quum. Non è dunque lecito parlare di scambio di abbre- viazioni. E allora, guardando bene, si è indotti a riconoscere che il quod non è fuor di luogo neppur esso. Abbiamo qui, e dobbiamo ave- re, una proposizione causale; e a questa proposizione l'uso del con- giuntivo dà un colorito simile a quello che s' avrebbe col cum : co- lorito che proviene appunto dal modo, e non già dalla congiunzione. 5) H Giul., riprovato già dal Witte, J, Z., scrive e sostiene to- tum. Arzigogoli come vuole, egli a questa maniera fa ripetere due vol- te lo stesso concetto, mentre colla lezione qual è abbiamo due con- cetti che si contrappongono e com- pletano: ogni gioia è in Dio, e Dio tutto intero è gioia. Che a Dio s'ap- plichi l'idea di quantità, è cosa co- mune troppo per adombrarsene. 3 18 LIB. I, GAP. IV, 4-5. est qaodprimus loquens primo et ante omnia dixisset « Deus ». 5. Oritur et hic ista questio, cum dicimas superias per viam responsionis hominem primum faiase locufcum, si responsio fuit ad Deum : nam , si ad Deum fuit, ^) iam videretur quod 5 Deus locutus extitisset; quod contra superius prelibata vi- detur insurgere. Ad quod quidem dicimus, quod bene potuit 4. T, la prima Tolta adeum, la seconda cuieuìti. 5-6. [G *B., eia riferire, oome risolta da una nota dell' edizione, al corUra prelibai^ videtur inmrgere]. ') Questo passo riesce sintatti- camente un poco imbrogliato. Il Corb. lo stampò con interpunzione manifestamente erronea, ossia con due punti dopo locutuìn^ i quali mo- strano aver egli preso il si in si- gnificato interrogativo e credu- to che la quaestio fosse appunto ^t responsio fuit ad Deum, men- tre su di ciò non c'era luogo a dubbio, una volta che la priorità della donna nel parlare era già stata esclusa recisamente. Cattiva anche l'interpunzione del Frat.; ma la vera novità consistette nel- Taver egli raddoppiato il primo /i/iY, scrivendo si responsio fuit, fuit ad Deum^ sulla traccia consueta del Tr., che aveva tradotto, se risposta fu, devette issere a Dia), Accettò il raddoppiamento, ma interpunse me- glio il Torri, in quanto, facendo seguire locutuìu da un punto e vir- gola, isolò nel periodo le parole dianzi citate. Messe le cose a que- sta maniera, non e' era verso di capire come c'entrasse il nam; però il Witte lo surrogò con ety sfrondando in pari tempo il testo del fuit fraticellianOf che il Torri stesso aveva ben visto poter essere sottinteso : si responsio, fuit ad Deum; et si ad Deum fuit ecc. Uet fu accolto dal Frat. nelle edd. posteriori, senza voler rinunziare tuttavia al fttit suo proprio e al- l' interpunzione di prima; e al- l'esempio suo s'attenne il Giul., salvo l'aver mutato in punto e vir- gola (lodevolmente, quanto a lui) la semplice virgola dopo quaestio. — Orbene; è certo che coìV et del Witte, si raddoppi, o non si rad- doppi il fuit, le cose corrono spe- dite, e che tutto il dubbio si ridur- rebbe a vedere, se devono essere fatte autonome le parole si respon- sio [fuit], fuit ad Deum (Torri, Witte), oppure invece Oritur et hic ista quaestio (Giul.). Ma io mi do- mando, se ci sia il diritto di cac- ciare a questo modo il nam, per mettere al suo posto qualcosa che non gli rassomiglia per nulla e che non si riesce a comprendere come diamine dovrebb' essere emigrato alla sua volta. Il diritto non po- trebb' esserci di sicuro altro che nel caso di un' assoluta necessità. Cotale necessità non mi pare che ci sia, riuscendosi pure a cavare un senso ragionevole anche lascian- do le cose quali sono. Dante viene a dire: e Qui nasce quest'altra que- stione, quando noi diciamo di so- pra che l' uomo abbia parlato per via di risposta, posto che in tal caso la risposta do vett' essere a Dio >. Se il discorso non procede snello, si regge e cammina. Che LIB. I, GAP. IV, 6. 19 respondisse Deo interrogante, nec propter hoc Deus looutus est ìpsam. quam dicimus locutionem. Quis enim dubitat, qnicquid est ad Dei nututn esse flexibile ? quo quidem facta, quo conservata, *) quo etiam gubernata sunt omnia? Igitur, cum ad tantas alterationes moveatur j^ imperio nature infe- 5 rioris, que ministra et factura Dei est, ut tonitrua personet,*) ignem fulgoret, aquam gemat, spargat nivem, grandines lan- cinet, ') nonne imperio Dei movebitur ad quedam sonare ver- 1. G- T iiU'og-. 2. T qui «eiH, [* quù enim] ; e non altrimenti che cosi , o prea- r' ft poco, doveva recare in origine anche G ; sennonché ivi , raschiando e riscrìvendo , si surrogò quit eìj. Se il correttore sia tntt' ano col trascrittore, rimane dabbio. 6. Non sono ben certo che in G la lineetta abbreviatrìce snir oe di cUteratòè» sia originaria, dacché ne è insoUta la forma. [T *nature, snodameuto abbnstinza snperfiao deU'abbreviatnra che s'h» nel testo]. 6. GT persQìieat. 7. G T /ulgoreat. 7-8. [G * Cot, vale a dire CatuUo — 20,18 —, con BottoUueazione del lancinet, a coi la glossa si riferisce]. l'interpretazione data al si fuit non sia illegittima, risulta da quel che ho osservato sopra a proposito del Corb. ^) D quo conservata fu saltato per errore nell'ed. Ginl. *) Personet^ fulgoret aveva già scritto nelle annotazioni il Corb.; e la lezione fu introdotta nel testo dal Oial., richiamandosi ad un al- tro luogo, I| zìi, 4, in coi abbiamo personal per la voce corrispon- dente dell'indicativo. Naturalmen- te alla forma secondo la prima co- niugazione dà una gran forza la convenienza coli' uso universale. E si veda il sonare che segue, e si rammenti che abbiamo avuto so- namus^ resonaret, ii, 6. Si consi- deri poi bene il sonave^Ht trovato in questo stesso capitolo (§ 4), che toglie di cercare in personeat il portato di una falsa analogia. Im- maginare che su chi infletteva re- golarmente il verbo anche nei tempi passati, sonui potesse aver tanta efficacia da portare a supporre od ammettere un soneo di presente, è addirittura un assurdo. E se non assurdo, è quanto mai remoto da ogni probabilità che il soneo sboc- ciasse da una vaga nozione del so- nare arcaico, noto bensì anche ai teorici del medio evo, ma in ma- niera da non dar adito ad equi- voci. Bandito pertanto il perso- neat, è ragionevole sfrattare anche il fidgoreatj non troppo meno sin- golare, che fa il paio con esso. Le due forme saranno nate for- se dall' essersi spropositatamente scritto io un esemplare per sonai, fulgorai. Taluno sopra gli a do- vrebbe aver messo due e; e gli e e gli a sarebbero poi confluiti in una copia. ^) Non si guardi con sospetto lancinare, usato nel senso di € lan- ciare » perchè il medio evo lo cre- deva derivato da lancea. Si seota Uguccione: Et inde (da lancea).,. lancino, -as^ idest lancels ludere, vel confligere, vd lancea percutere^ vel lacerare, E anche questo /ace- rare, residuo della verità primitiva, nel codice di Giovanni da Genova che ho dinanzi diventa vel lan- ceare. 20 LIB. I, GAP. IV, 5; V, 1. ba, ipso distìngaente qai malora distinxic? Quid ni? Quare ad hoc et ad quedam alia beo sufficere credimus. V. Ubi et cui primum homo hcutus 8Ìt, 1. Oppinantes autem,non sineratione tam ex superiori- 5 bus quam inferioribus sumpta, ad ipsum Domiiium *} primi- tus primum hominem direxisse locutlonem, rationabiliter dicimus') ipsum loquentem primum, mox, postquam afflatus est ab animante vlrtute, Incun ctanter fuisse locutum. Nam in homine sentiri humanius credimus quam sentire, dum- 10 modo sentiatur et sentiat tanquam homo. Si ergo faber ille atque perfectionis principium et amator, afflando, primum nostrum') omni perfectione compie vit, rationabile nobis ap- paret nobilissimum animai non ante sentire quam sentiri 1. 6 T dùtincxit. A. Così 6 come T dovevano portare Opinata. Una lineetta «al- l' a ei dà a conoscere sapplita in entrambi. II trascrittore di O aveva acrìtUt tuperbiorUm*. Accortosi dell' errore, espunse U b; ma l' espuneione non bastò a nn posteriore, che volle anche tirare nn fr^o snlla lettera. 6. [G dm, cioè deum: nn d€um ottenuto raschiando le due ultime aste del primitivo dnm, e conginngendo la seconda colla tena]. 7. G T Io- quenU; [entrambi loquerUS]. 8. T incunetater. 9. T ietUim; [$enHri]. B il -ri all'uscita è corresione su rasura anche in G; ma qui lo spazio obbliga a credere che s'avesse $entin. 10. T $eneiat. 12. G rationabUU. ^) I tanti Deus del capitolo pre- cedente, e quelli che ancor s'ag- giungono in questo, non son punto una buona ragione perchè s'abbia qui da escludere, come, per fatto del correttore di G, eccitato pro- babilmente dal Tr. (a Dia)), è av- venuto finora, il Dominum della tradizione schietta. Ce ne persua- deranno i primi capitoli della Ge- nesi, che Dante aveva qui per la mente. Nel primo la Volgata, ac- canto a un subisso di Deus, ci dà pur sempre un Dominus (« spiri tus Domini ferebatur super aquas »). Nel secondo e terzo prevale di gran lunga la forma complessa Do- mintis Deus, ma qualche Dominus semplice non manca ivi pure; e questo prende poi a spadroneg- giare nel quarto. ') Diximus nella ristampa del Maffei, per effetto della quale il perfetto si trascinò di ed. in ed., finché non gli si oppose il Witte. 3) Tr. il primfo homm: donde V hominem di tutte le edd., a cui potè aggiungere impulso il pri- mum hominem ohe s' ha più su. LIB. I, CAP. V, 1-3. 21 cepisse. 2. Si quis vero fatetnr*) contra obiciens, ') quod non oportebat illum loqui, cum solus adhuc homo exisberet et Deus omnia sine yerbis archana nostra discernat etiam ante quam nos, cnm Illa reverentia dicimus qua uti oportet cum de ') etema volontate aliquid iudicamas, quod licet Deus sciret, 5 ymo presoiret, quod idem est quantum ad Deum, absque Io- catione conceptum primi loquentis, yoluit tamen et ipsum loqui, ut in explicatione tante dotis gloriaretur ipse qui gra- tis dotaverat. Et ideo divinitus in nobis esse credendum est quod actu nostrorum affectuum ^) ordinato letamar. 3. Et bine 10 1. [T /aretur]. T obitionet: lezione che em corto anche in G ; e della qnale è re- Aidao ana lineetta sempre ben leggibile , in quanto la rappresentazione grafica doveva es- sere óbitióèM. Ora ci s' ha oìneient^ per via di rasura , ritocchi, riacrizione ; e ci s' ha forse jier opera dell* amannense stesso; ohe una certa filettatura dell'», se non gli è consueta, non gli è neppure estranea. 3. G diteemàt, 4. G reverenda. 4-5. G T eum etema. B. [G *S., sottolineando gloriaretur]. 0. T eredendendum, annullato poi doppiamente nde, con ponti e con un firego. 10. G T efectuum. T letamini^ [letarnva]. Nò altra cosa, per tracce manifeste, sta sotto al letamur, che ora, per effetto di modificazioni della lettera originaria, ci è offerto da G. ') n f aretur del Tr. {dicesse nella versione), rimasto senza effetto , è una correzione graficamente liscia, ma non necessaria, dacché al fa- ietur può senza difficoltà attri- buirsi il senso di profiietur, * affer- ma , sostiene » ; ed anche V indi- cativo ò ammissibilissimo. I casi analoghi del cap. n, che oi danno il congiontivo bensì, ma in pari tempo il presente {si obicicUur due volte, si contra argumentetur, si dicatur\ non risolvono nulla. ') £ al correttore di G, sia qui chi si vuole, che si deve la lezione buona; dacché il Tr. aveva tradotto cwnira le (obiecziasm, ^) L'omissione del de, cui ri- mediò traducendo il Tr., stampando il Corb., sarà avvenuta perché a un trascrittore sbadato il cum parve preposizione esso stesso. Alla ma- niera medesima cum de mediocri diventò cum mediocri II, iv, 1 nel solo T. *) Corb. (Tr. de i nostri affetti). Il Prompt, p. 42, vorrebbe man- tenere effectuum , immaginando che possa significare « facoltà » ; il che é da escludere. E ad a/fec- tuum ci porta anche V ordinato. Bensì avviene che nelle menti e sotto la penna degl* indotti se- gua confusione e scambio tra a/- fectus ed effectus. Da ciò un idio- tismo effetto per affetto^ di cui i nostri vocabolari adducono esempi (taluni, tuttavia, a sproposito, qual ò quello attribuito ai Borghini, Di- scorsi, Fir. 1585, U, 321); al quale fa riscontro l'uso inverso, vivo e diffuso sempre, diaffetto, affettuare, per effetto, effettuare. Ed anche la fonetica favorisce lo scambio: nel primo caso colle tendenze assimi- latrici, nel secondo colle analogi- che e colle condizioni peculiari dell' e atono di prima sillaba. Ma che a siffatti idiotismi, e segnata- mente al primo, potesse trascor- 22 LIB. I, GAP. V, 3; VI, 1-2. penitus aligere possumus locum illum ubi effutita est prima locutio: quoniam, si extra paradisum afflatus est homo, extra; si vero intra, intra fuisse locum prime locntionis convicimus. ') VI. Sub quo idiomaie primum locuttts est homo; et unde fuit auctor huius operis. 1. Quoniam permultis ac diversis ydiomatibus nego- tium exercitatur humanum, ita quod multi multis '} non ali- ter intelligantur ®) per verba quam sine verbis , de ydiomate 10 ilio venari nos deceii, quo vir sine matre, vir sine lacte, qui neque pupillarem etatem nec vidit adultam, creditur usus. 2. In hoc, sicut etiam in multis aliis, Petramala civitas am- 3. G T locutio ; [G *pritnae loeutionU , spiegando così anche nn compendio del te- tto]. 6. In G s' era Bcritto auUor; poi l' amanaenae stesso raschiò 11 primo ( e congianse mediante una coda l' u coli* altro t. Posteriormente altri inserì in questo ponto an e. Che proprio così andassero le cose , risulta dall' essore in rosso la coda , come tutta l' intitola- zione , e il e invece in nero. 7-8. G negocium. 9. T itUdligatur; e certo luiche in G il segno della nasale sull' a fu aggiunto da altri, secondo prova la forma sua. 11. G T pupilarem, 12. [Accanto alla riga che comincia per Petramala s' ha nel margine di G il segno '^- , certo per richiamar V attenzione sul passo]. rere Dante dopo essersi imbavato di studi filosofici, dorerei gran fa- tica ad ammettere trattandosi di scritti volgari, e nego poi recisa- mente per i latini. Bensì ora si capisce meglio come V effectuum sia venuto a intrudersi nei mano- scritti; se pare non volesse invece ritenersi rampollato per saccente- ria, o per falsa associazione di idee, dall' oc^u con cui si trova stretto. conjieimue il Giul., approva- to dal Witte, J, L. Male : dacché ciò che qui si dice non è semplice congettura, ma deduzione incon- cussa. £ non paia che allora, e per serbare... l'unità del discorso », pos- sa esserci bisogno di sostituire so- pra elicere ad eligere, come il Gioì, si figura che il Tr. leggesse nel suo codice. Eligere di fronte a convicimus sarebbe un po' fiacco di per so; ma si badi al penitus che lo fiancheggia. ^) S' è avuto il buon senso di non supplir qui, come c'era il peri- colo, un a. ^) La sintassi dantesca consen- tiva qui benissimo anche inteUi- guntur (cfr. I, ii, 5; xii, 3): ra- gione ottima per mantenerlo, se fosse dato dalla tradizione diplo- matica, ma non certo per intro- durlo contro di essa. Non s'im- magini tuttavia che l'esserci in- telliguntur in tutte le edizioni mo- derne si deva ad un motivo tanto LIB. I, GAP. VI, 2-3. 23 plissima est, et patria malori parti filiorum Adam. Nam qui- cunque tam obscene *) rationis est ut locum sue nationis delitiosissimum credat esse sub sole, hic etiam pre ounotis pro- prium vulgare licetur, idest maternam locutionem, ') et per consequens credit ipsum fuisse illud quod fuit Ade. 3. Nos 6 autem, cui mundus est patria, velut piscibus equor, quanquam Samum biberimus ante dentes et Florentiam adeo diligamus ut quia dileximus exilium patiamur iniuste, rationi') magis 1. 6 T JUiorum. Adam nam... 3. [G *huié]. 4. G T ide^ , che sarebbe idem (quindi idem Y), da ricondorre, credo, a un ambigao idi, idè. 6. G T 99 in cambio di H» 8. G T ratùme. quanto profondo. Intelliguntur cominciò ad aversi, non certo di proposito, nella ristampa del testo corbinelliano carata dal Maffeì ; e 1' eco obbediente rispose sempre irUelliguntur. ^) Fece bene il Gioì, a conten- tarsi di proporre obcoecaim nelle annotazioni, senza introdurlo nel testo. ^) Qai il Corb., seguendo le or- me traviatrici del Tr. (a costui parimente sarà HcUo) prep(orre il sufo propria) vulgare , cioè la sua maUma l ! Beninteso, lo sfigur amento è rimasto fino ad oggi. Alla censura è da mescolar tuttavia e per il Tr. e per il Corb. la lode del non es- sersi lasciati cogliere al laccio, fosse pur debolissimo, dello spro- positato idem. ^) Se al di sotto del ratione ci sia rationi, oppure invece al di sotto del sensui sensu, è questione dubbia, finché si va solo guardan- do al modo come l'errore possa esser nato. Forse si finirebbe per darla vinta all' ablativo. Ma se si alzano gli occhi, e si domanda con qual caso sia presumibile che pò- diare abbia ad essere costruito, bisognerà bene risolversi per il dativo. Col dativo si costruisce spesso dai latini l'analogo inniti anche quando dice « appoggiar sopra qualcosa > ; si sarà mai voluto imporre a podiare l'abla- tivo, trattandosi di « appoggiar contro »? Le spalle s' appoggia- no « al muro » , non già sul muro , come per noi, cosi per Dante , che scrive nella Vita Nuova y e. xiv, « Allora dico che io poggiai la mia persona simulatamente ad una pin- tura ». E sono persuaso che anche il Corb. avrebbe risolto il problema alla stessa maniera mia, e che però nelle stampe si sarebbe avu- to sempre rationi^ sensui, anziché ratione y sensu, se, discostandosi dal Tr., che aveva inteso ottima- mente lo spatulaSy non ci avesse scorto non so qual « spada » (o come mai il plurale?), per effetto di ravvicinamento ad un luogo del 24 LIB. I, GAP. VI, 3-4. quam sensoi spatalas *) nostri iudicii podiamus. Et quamvis ad voluptatem nostrani, sive nostre sensualitatis quietem, in terris amenior locus qnam Florentia non existat, revol- ventes et poetarum et aliorum scriptorum volumina, qnibus 5 mnndus universaliter et membratim describitur, ratiocinan- tesque in nobis situationes varias mundi locoram et eoram habitudinem ad utrunque polum et circulum equatorem , multas esse perpendimus *) firmiterque censemas et magìs nobiles et magis delitiosas et regiones et nrbes qnam Tusciam 10 et Florenti^m, unde sumus') oriundus et civis, et plerasqne nationes et gentes delectabiliorì atque ntiliori sermone nti quam latinos. 4. Bedeuntes igitur ad propoaitum, dicimos 1. [G *trX^^ f *^* riferire a itpcUulcui]. 3. G T , a mio vedere, ameinor. G T , In- voce di J. hanno q con nn tenue filo trasversale al piede. G T ./. G T exUat. 9. GT tutiam. 10. Qni in ambedue i codici yfor. [G */. tttm]. 12. T, per eoo di re^ioneM e naHone*, die Rtanuo sopra o quasi nelli; due lince preceeri1uo ae vuol esjioiv convriune, del fabrieaT del t^^ato. In T b'ò voluta inserire dopo Jàbrica- la sillaba %tt, che qni, iuvt%H^ che nel vero margino , r' ^ scritta nella parte che rimane in bianco di qut»Hf ultima lin«'a. e. G T • ign-, [espnnto l'I in G]. 8. G hora, [con sbarratnra dell' h], 9. T nro ì7a nra, cancellato, credo dall'orìgine, con una lineetta il primo nra, [ed inoltre e«pniito, per (Mipnip- più]. 10. T. inicio. lì. G aetui, da rii>ort4inù forse a un com]>ondio dove la stessa aula servisse per il d e iH?r il f ; [*ad tvi] : T atui. G coruptioitem , T edrùptionem. 12. T e lu- mituUa, con lieve distacco dell' e-, [G *eliìn-]. 12 — p. 87, 1. G num »atit una volta sola. una semplice virgola e da dna punti interpretatur {interpetratur per me). Ma se questo locutionis è tale che non l' andremmo certo a cercare, neppure e' è motivo dì eliminarlo essendo dato. ^) Le edd. ih\ ^) id le stampe, per effetto di una lettura malaccorta dell' t'' di G. •^) Dell' tn non aveva tenuto conto (e come fare altrimenti ?) neppure il Tr. ^) Nostra natura in tutte le edd. sue il Frati seguito dal Giul. nel testo, abbandonato nelle Correzioni (p. 443). ^) Che fosse da leggere correp- tionem scartando l'assurdo cor- ruptionem durato fin allora, scorse assai bene il Giul. Solo a correp- tionem s'indusse a suiTOgar cor- rec//one7n, per attenersi, diceva « ad una regola ortografica costante >, ossia per ragione di un correctione che occorre più oltre in questo medesimo capitolo (§ 5). Cosa avesse qui a fare l'ortografia, è difficile vedere. Meno male che il Giul. si convinse poi ancora che era da ritornare al correptionem {Correz.y 1. cit.). E a questa lezio- ne dotte il suo suffragio anche il Boehmer, i2. St. ^) Il Torri si lasciò sedurre àfd- Veliminata^ creduto da lui la le- zione vera di G, ed ebbe seguace LIB. I, GAP. VII, 2. 27 num satis') quod per aniversalem familie tue luxuriem et trucitatem, unica reservata domo, quicquid tui iuris erat ca- taclismo perieraty et que ') cominiseras tu animalia celique 2. 6 trucUàiè, T trtieUanfè. T piutto»to uiris. 3. G T et tymUerait; [G, con ri- chiamo dopo ei, *Videtur dée*ie pcena* malorum qutB; e nel margine opposto, tra le duo linee die oominciiuio con iuri» e terminano con prouer^, il segno ^]. il Frat.^ A torto, credo io, sebbene Don cosi a torto come pensava il Giul., che, fondandosi sul Du Gange, volle contestare al vocabolo il va- lore che gli vien dall'origine e che ha sempre posseduto nel latino classico! £d eliminata, se anche un po' tautologico accanto ad exii- labaSj valeva sempre meglio senza paragone dell' eh'mi^a^a che il Giul. stesso introdusse , graficamente assai poco spiegabile, e ideologi- camente infelice; tanto infelice, che egli stesso, dopo essersi mo- strato saldamente convinto della sua bontà, lo ritirò all'ultima ora (V. le Corrcz.)» per ridar corso ad eliminata, — Ma lasciamo stare le aberrazioni. La verità si è che elU" minata non ha bisogno di sostitu- zione. Esso vale « privato del lu- me » ; e conviene benissimo alla condizione in cui furon ridotti Ada- mo ed Eva in conseguenza del loro primo fallo. Da lodare pertanto il Corb., il quale, se da un cacciata del Tr. si lasciò portare a quella sua congettura, nella stampa man- tenne eluminata, adoperandosi a giustificarlo in una nota, sebbene traviato dall'erronea credenza ohe qui s'alludesse a Lucifero. ^) Ognuno può a suo piacere, o accogliere col Torri il doppio num satis di T, o contentarsi del sem- plice di G, come anche dopo di lui piacque al Erat^ e al Giul. Le ragioni diplomatiche fanno egual- mente piana la via all' uno e al- l' altro partito. Nondimeno è certo che quell'impaziente ripetizione ha il vantaggio di darci, di fronte al num fuerat satis^ un « crescendo » , clie riesce tanto più opportuno in un'enumerazione costituita da due membri soltanto. ^) Il Corb. supplì nella stampa come aveva fatto nel manoscritto, e il supplemento è rimasto. Esso non mi persuade. Stava bene e il male > (per il male, che tu havevi ccDmessoì) inserito nella sua ver- sione dal Tr. : non sta troppo bene U mala che n' è venuto fuori. Poi, quelle parole non inchiudono nulla che ne spieghi l'omissione. Sarebbe dunque in ogni caso ragionevole che ci si contentasse di aggiungere lo strettamente necessario, ossia il pronome que. Ed ecco che esso ha una notevole probabilità di es- sere per l'appunto tutto ciò che s' ò perduto, in quanto della spari- zione di un g può dar conto la so- miglianza che col q ha sempre fino a un certo segno, e può avere talora in grado elevatissimo, l'ab- breviazione del con, coìn, da cui comincia il vocabolo seguente, o quella dell' et precedente. E il coni" è rappresentato dal com- pendio anche nei nostri due co- dici. Li cambio del que si potrebbe altresì congetturare quod (»); ma meno convenientemente, e per il ri- spetto materiale e per lo spirituale. 28 LIB. I, GAP. VII, 2-4. terreque iam luerant? 3. Quippe satis extiterat! Sed, sicut proverbialiter dici solet, « Non ante tertium *) equitabis », mi- sera misemm venire maluisti ad equum. Ecce, lector, quod, vel oblitus homo, vel vilipendens disciplinas priores et aver- 6 tens ooulos a vibioibus que remanserant, tertio insurrexit ad verbera per superbam') stultitiam presumendo. 4. Pre- sumpsit ergo in corde suo incurabilis homo sub persuasione gigantis, arte sua, non solum superare naturam, sed etiam') ipsum naturantem, qui Deus est, et oepit hedificare turrim in 10 Sennear, que postea dieta est Babel, hoc *) est confusio, per 2-3. [Le duo linee contenenti il proverbio e la ama applicazione fnrono in G Titolate nel margine]. 2. T tercium. T exfiuitabig ; [e 1' x fa poi sbarrato]. 2-3. In G la prima scrìtiura doveva portJire miseria f [e la riischiatora del t dovett* st^gnire, secondo par da conchindere da un ritocco dell' a, per opera altnù]. 3. H e di lettor è in G scrìtto sopra all' e , pifi probabilmente che per peculiarità grafica, qnnl riparo — originario — di nn* oroia- sione. 4. T pore9 (omesso 1' i che doveva essere sovrapposto al p) et auereiSf o piuttosto aueraèM. 6. G oceulot. T, temo, ittbicibut. T. lercio ingurexit. 6. G T supmrbiann ttulU- eimn. 8. G miperare, [espunto l'i] ; T turperare. 9. T ediffieare. 10. T, a quanto pan? tencar; G tenar. G può parer dire hec ; ma è lecito altrettanto e più leggerci hoc (T A'). *) Il Witte, sulla traccia del Tr. {anzi la terza), propose tertinm, accolto dal Frat.'' Ritornò a tertium il Gial., con osservazioni che non sodisfecero, né potevano sodisfare il Witte, ma che tuttavia non gl'im- pedirono di ritirare la sua propo- sta, in quanto con essa < non si guadagna nulla di e8sen2dale » (J,L,). Il fatto è che Dante avrebbe potuto benissimo dir tertiam, tra- ducendo alla lettera il detto ita- liano; né per ciò si dovrebbe sot- tintendere horarrij come dice il Ginl., bensì il volta volgare. Ma gli potè parere di far meglio scri- vendo tertiurrif che significava av- verbialmente € per la terza volta », e che intanto si presentava in quella forma grammaticale che era richiesta da ante. Però qui tertium , e sotto invece tertio. Esempio di preposizione con un avverbio abbia- mo in db inde, I, vili, 1, e più chia- ramente 4. Vero che per ab abbon- dano i precedenti fin dall'antichità. ^) Il mutamento di superbiam in superbam è certo il più semplice e legittimo per medicar questo luogo j o voglia poi supporsi che nella corruzione sia entrata un poco di saccenteria, oppure invece che, come in altri luoghi, il voca- bolo seguente abbia esercitato sul- r orecchio e sulla mano un' azione assimilatrice. Il Corb. si contentò di ciò che gli dava il codice, inse- rendo dopo superbiam una virgola ; ma cosa di ragionevole poteva qui mai dire presumere stultitiam f Però il Torri, guidato, com'egli dice, dal Tr. (per la /ciocca sua, £ superba pr^funziome), non, come pur crede , anche da Y, e seguito poi dal Prat.** e dal Giul., volle ri- mediare scrivendo per superbiam suam et stultitiam. 3) Uet delle edd. passate viene dal non essersi badato dal Corb. che suir et del codice e' era un se- gno d'abbreviazione. *) Corb. : Babel. Hate est con' * LTB. I, GAP. vn, 4-6. 29 qaam celum sperabat adscendere: intendens, insci us, non equare, sed suum superare Factorem. 5. sine mensura olementia celestis imperii! Quis patram ') tot sustineret in- soltas a filio? Sed exsurgens, non hostili') scatioa, sed pa- tema, et alias') verberibus assueta, rebellantem filium pia 5 correctione, necnon memorabili, casbigavit. 6. Siquidem pene totam humanum genus ad opus iniquitatis coierat. Pars imperabant, pars architectabantur, pars muros moliebantur, 1. [G ^vt^to;, da riferire a intcitts]. 4. 6 T hoitiV. 5. G asueta. 6. T corectùmem, G eoreetìoiMm. 7-8. G ^wmperabant j? tarehUeetc^arUur ^tìnuro», [inserita nn'oAticeUa se» paratrioe dopo il ^t Del 1* e 3« caso] ; T j? tarehi tectabantur, e debitamente diriao il reoto. fusto, per quam.,.. L'errox>ea in- terpunzione, in rapporto col pari- menti erroneo Aaec (cfr. l'apparato), fa rettificata dal Frat.'', e Vhaec fa corretto in hoc dal Torri, coli' aiuto del Tr. *) Il Corb. primum: per mera sbadataggine, dacché il patrù di G non poteva traviarlo. Guidato dal trissiniano qìidl padre, il Frat. pose già nella 1.& ed. pater, rima- sto poi sempre; ma già il Torri aveva avvertito che e Nei Oodd.T. e y. leggesi forse meglio patrum >. Cfr. anche Prompt, p. 46. ') L'abbreviazione dei codici da- rebbe hostUe, che non fu scritto in addietro, e che non scriverò nep- par io, considerato che Tabi, degli Aggettivi in -M -« è di norma, quale dev'essere secondo le regole, an* tiche e medioevali, in >t anche nella nostra tradizione manoscrit- ta. £ si badi come an esempio (me- morabili), col quale riascirebbe par strano U dissenso, ci si offra sabito in questo medesimo periodo. Del- l' altre testimonianze segnalerò specialmente vtdgari, tante volte ripetato. Che se s'incontra an vul- gare, esso sta in una rubrica (II, i), ossia là dove il suo effetto è solo di mettere l'-e in mala vista. E nes- sun aiuto alla sua causa viene da un rationale I, ix, 1, che s'è indotti a ritener spurio per ragioni spe- ciali al luogo e per il confronto con roMonali II, ii, 4; pressoché nes- suno, quando pur si rispetti, da vù ride, I, XVI, 4, in quanto ò da prendere di preferenza come so- stantivo; scarsissimo, per le con- dizioni grafiche, da un naturaV II, IV, 7 di G (T naturalis), E sono questi, se non erro, i soli esempi. Per contro s' ha VA anche in casi nei quali le teoriche permettereb- bero V-e: perfectiorij dtUdori, I, x, 3; pari, impari, II, xii, 4 e xiir, 6; decenti, li, xiv, 2. ^) Alias non sente alcun biso- gno del mutamento in aliis, inflit- togli dal Giul. Non lo sente, non essendo vero per nulla che e A ben considerare queste parole » quali sono € non se ne raccoglie buon costrutto ». Di pensar qui alla pu- nizione degli angeli ribelli, come il Giul. é tratto a fare dal suo aliis, non c'è davvero maggior opportu- nità di quel che ci fosse là dove ci aveva pensato il Corb. (V.p. 27). Po- trà mai chiamarsi e sferza patema » , ossia rivolta a correggere, quella colla quale Lucifero e i compagni suoi furono precipitati in eterno ? 30 LiB. I, GAP. vn, 6. pars amysibus *) regiilabanfc, *) pars trulHs ') linebanfc, *) pars scindere rupes, pars mari, pars terra*) vehere intendebant, partesque diverse diversis aliis operibus indulgebant, cum celitiis tanta confasione percussi sunt, ut qui omnes una 5 eademque loquela deservìebant ad opus, ab opere, multis 1. [G, di fianco alla linea pan amysibut.... para \\ mari, oltre a due punti orizzon- tali, ^Cat.]. Manca in G regulabaiit. In G si può leggt^re indifferentemente tuiUit e tini- Uè; T luillis. 3. T opibus , in quanto il p doveva csaer tagliato, e non fn; e il tafrlio, qnale ci si presenta attualmente , non ò originalo neppure in G ; soononchè da qualche trac- cia a' ò indotti a eroderlo — caao non raro — solo ricalcato, anziché aggiunto. 5. G eadem y (T eadem que). G loquella. E neir ordine materiale, alias ac- canto a verberibu^ correva un gran rischio di diventare aliis; ma do- vrebb' essere stato nn amanuense di specie molto singolare quello che avesse eseguito la surroga- zione inversa. *) Nessuna ed. ebbe mai araysi- muSf come crede il Giul. *) Se dal Torri in qua ha avuto corso un tegulabant, la colpa è tutta del Torri, che si scemò cosi il merito di aver completato il te- sto, monco fìn allora nelle stampe per l' imperfezione di G. In che modo sia avvenuto che egli desse come lezione di T e Y ciò che in realtà non ci si legge, si può igno- rar senza danno. Sia lode al Witte, che aveva saputo scorgere il vero per via di semplice congettura. E di certo non ci potrebb* esser vo- cabolo che facesse qui più al caso di regulare, o regulari, a cui antichi glossari danno per corrispondente greco xavoviC^iv. 3) Cosi corresse il Witte (-^ Fra- tic.^, Giul.) il tuillis venuto alle stampe da G, che il Torri aveva creduto poter significar tegoli, e dal francese tuile t ; e cosi ci si po- trebbe aspettare di veder correg- gere il Corb. stesso, se quel suo Cai, fosse da riferire al De re ru- stica di Catone, dove, tra infiniti arnesi, appariscono trulla e trui- lium (cap. 10, 11, 18). Ma che abbia da intendersi in cotal modo, mi ri- man dubbio, pur non riuscendomi di scorgervi, come ci scorsi altrove (V. pag. 19), Catullo, qualunque sia la parola a cui la nota sia da rife- rire. Potrebbe del resto il Cai, signi- ficare propriamente Catone; ma essere stato scritto quando il testo era beli' e stampato. *) liniebant la ristampa del Maf- fei, durato fino al Torri, che, por ristabilendo il linebantf manife- stava la convinzione che fosse da leggere lineaòant con V. ^) Fin qui nelle stampe s'è avu- to terrae, salvo che nelle Correz. del Giul. (p. 443), per un errore del Corb., che non si capisce come sia potuto resistere cosi pertinace- mente, mentre la versione del Tr., a cui tanto spesso si deferiva a sproposito, traduceva a dovere parte per terra, parte per mare. Che si desse a^errae un valore loca- tivo, mi pare improbabile; però im- magino essersi pensato che Dante volesse dire pars mari, pars ter* rae veheìidae intendebanty usando forse mare per acqua in genere; e me ne persuade viepiù il vedere che del vehere intendebant s^ ò fatto LIB. I, GAP. VII, 6-7. 31 diversificati*) loquelis, desinerent et nunquam ad tdem oom- mertiam convenirent. Solis etenim in uno convenientibus actu eadem loquela remansit : puta, cunctis architectoribus una, ounotis saxa volventibus una, cuncfcis ea parantibus una; et sic de singulis operantibus . aocidit. Quot quot autem 5 exercitii varietates tendebant ad opus, tot tot ydioma- tibus tunc *) genus humanum disiungitur ; et quanto ex- cellentius exercebant, tanto rudius nunc barbariusque '"') lo- cuntur. 7. Quibus autem saoratum *) ydioma remansit, nec aderant, nec exeroi tium commendabant; sed gravi ter dete- 10 stantes, stolidi tatem operantium deridebant. Sed beo minima pars quantum ad numerum fuit ') de semine Sem, sicut conicio, 1. G T dicern/lcaT. G loquellìB. 1-2. G coìnertiuin, mentre T ha f)mertium. 2. In G eonvenireni fu scritto duo Folte. 1a replica fu espunta, sonzn che si poaaa ocoertai'e, se dall'amanuense, o da altri. T eterum. 3. G remwMtU. 6. T exercicij. 6-7. T Vdoinatibtts, 7. T gu9 {G giù). 7-8. G exeelentiHS. 8. G ruìdiii9, con espunzione del- l' asta esuljerante , fatta anche un poco svanire. 10. G T aderant exereUinm ; [T *nee, G*Videtur deeise, nee, col debito richiamo in entrambi i codici]. 12. T teni; e cosi s'ora scritto anche in G. T eofntio. G, secondo me, eonitio ; [ma siccome s'arrischiava di leg- gere eointio ivi pure , ci fu chi provvide a evitar con un punto l' equivoco]. dal Corb. (e però da tutti) intende- bant veliere, dissimulando cosi un poco il grosso sproposito gramma- ticale che s* attribuiva all' autore. *) L'errore patente de* codici fu ben avvertito dal Tr. (diversifi- cando)8Ì)f e corretto dal Corb., co- me del resto anche prima da V. *) « Invece di tunc, tornerebbe meglio di leggere nunc^ come porta il verbo, cui si collega, e l'accordo al costrutto precedente ed a quello che segue immediato». Cosi, senza mutamento nel testo, il Giul. ; e in tal caso si potrebbe anche es- sere tentati di mettere varietatibus al posto di varietates. Ma forse c'è invece della finezza in quel tunc disiungitur: tunc in quanto è que- sto il remoto principio di un gran mutamento, ma disiungitur al pre- sente, perchè il mutamento dura tuttavia. E quand' anche il disiun- gitur si prenda come mero pre- sente storico, e il nunc sia da riferire al tempo stesso della con- fusione, e non all' età dell' autore, si badi che il tunc ci riporta al punto di partenza, e il nunc a ciò che tien dietro, sicché non si può dire che la diversità sia irragione- vole. Irragionevole sarebbe bensì in queste condizioni ogni mutamento. 3) Le stampe et barbarivs, '*) Il sanctum delle edd. pro- viene da una risoluzione non retta del compendio di G per parte del Corb. Siccome T ha sacratum di- steso, non si può dir meritorio il sacratiù del Tr. 5) Si badi bene di non porre qui una virgola, dacché la conseguenza sarebbe che si facesse rappresen- tare da Dante come una sua con- gettura ciò che invece risultava dalla Bibbia. La virgola fu sup- 32 LIB. I, GAP. VII, 7; vili, 1. qui foit terfiias filius Noe : de qua quidem orttLs est popa- lus Israel, qui antiquissima locutione sunt usi usque ad suam dispersiouem. vm. Subdivisio ydioniatis per orbem et precipue in Europa. B 1. Ex precedenter *) memorata confusione linguarum non leviter oppinamur per universa mundi clìmata climatumque plagas incolendas et angulos tunc primum homines ') fuisse dispersos. Et cum radix humane propaginis principalis ') in oris orientalibus sit piantata, nec non ab inde ad utrunque 10 latus per diffusos multìpliciter palmites nostra sit ^) extensa propago demumque ad fines occidentales protracta, forte ') 1. Ttereitu. 3. G dUperttUmem. 5. 6 T precedente. 6.G T opinamxtr 8. G di- »persi08. Gprineipal' (T principàlii). 11. OT /ore, [sottolineato in G; e nel magline due ponti oiizzontali]. posta dal Tr., salvatosi dalle con- seguenze col fare del siad conicio un 8Ì Ciom* i(t) coìmprendù) ; ma dal- l' abbaglio suo seppero guardarsi gli editori del testo. *) PrecederUer è una buona pro- posta del Boebmer, B. St, che i codici sanciscono. Ciò che essi danno poteva essere letto anche precedente; non precedenti, come portan le stampe per vìa del Oorb., e come piacque di scrivere anche in V. Cfr, p. 29, n. 2. 2) Le edd. tunc homines primum. ^) Paleograficamente l'abbre- viazione che G ci ha conservato deve esser risolta come avvenne in T. Il Corb., seguito da tutti , scrisse principaliter, nonostante il principale del Tr.; e anch'io fui per dargli ragione, indottovi dalla collocazione delle parole, dall'ozio- sità che par doversi rimproverare al principalis Ccfr. Pttrg,, xxviii, 142), dall'ambiguità (nom. o gen.?) ch'esso produce: spine da cui ci libera l'avverbio, conseguibile con una semplice modificazione del se- gno indicatore del compendio. Ma il collega Vitelli mi suscitò degli scrupoli ; ed io, pur dubitando as- sai , mi sono indotto a rispettare il prindpalis. La collocazione non dice abbastanza; l'oziosità si può contestare; l' ambiguità riusciva minore assai peìr chi, avvezzo a trovar prindpalis col senso di « primitivo , iniziale > nel linguag- gio, non foss' altro, della gramma- tica, vedeva subito che era questo il valore del vocabolo. Resta tut- tavia, perlomeno, che con pnncipa- li8 il concetto cronologico, impor- tante per il contesto, rimane nel- r ombra. *) Frat.^, senza motivo, fuU, ^) Il Corb. non vide la corre- zione ovvia di fore in fortCf ridot- tosi forse a fore attraverso a ciò che era o pareva forre. Però, se- guendo il trissiniano la tande^ so- stituì unde; e i moderni, perchò il LIB. I, CAP. Vili, 1-3. 33 primitas tane vel totius Europe flumina, vel saltem quedam, rationalìa guttura potaverunt. 2. Sed, sive avene *) tunc pri- mitns advenissent, sive ad Enropam indigene repedassent, *) ydioma secam tripharium homines attulerunt ; et afferentium hoc alìi meridionalem , alii septentrionalem regionem in Eu- 5 ropa 8Ìbi sortiti sunt; et tertii, quos nunc Grecos vocamus, partim ') Europe, partim Asie occuparunt. 3. Ab uno postea 1. Dopo i««Z riappare in T oeddentalea , cancellato poi con nna linea traversa , proba- bilmente domta air amannenae. T tociuM. 6 T euripe; [Q europf]. 2. G gttetura. [T ttàuene.] 3. G T indiffne. [L* e mancante fa supplito aopra in T, nel margine in 6}. 6 T repedUtent. 4. G ydyoma. 6. T vnendiolaTxem. In T sono oorreKÌoiii , a quanto par b(>ne originarie, 1* o, e 1' nltimo e di septentrianalem. Nel posto dell* nno e' era prima ti , o irfatinsto n; in qnello dell' altro sinorainente i. Probabilmente 1' m Anale (in forma di 3) fti nerìtta solo dopo la metamorfosi. 6. T t'rìj^ cioè terrij. [In G, accanto alla linea -pa sibù,,. uocamiu, s'è scritto *C^$., pensando, credo, al principio del De bello ffcMieo^ ancor- ché la ragione del pensarci non fosse molta]. 7. [G partem,... parU^rn], G T eurojHe, [sot- tolineato in G, e volato segnalare ancbe in margine con nna linea]. perìodo si reggesse, aggiansero altri arbitrii. Il Torri, segnito dal Frat.^ e dal Gial., tolse a demumque il -que; e il Prat.** e il Qiul. inseri- rono inoltre dopo protracta un est^ che il Torri s'era contentato di ritener sottinteso. *) Che avene sia mero errore per advene^ come fu ritenuto dal Tr, (V. r apparato) e poi dal Corb., che però dette alla sua e a tutte le stampe ad-j è più che possibile. La caduta di un df esposto, per attra- zione del volgare, ad assimilarsi col V seguente, non è tale da destar meraviglia. E i glossari medievali a cui per solito ricorro danno cor- rettamente advena, mettendolo in opposizione con indigena. Tuttavia, il significato per un verso, e la pro- nunzia assimilata per l'altro, po- terono anche condurre ad un avena ^ interpretato come e che viene da t, ossia « di fuori 9 ; si cfr. forestiero, E se ben si riflette, l' advenissent che segue, al contrario di quel che parrebbe a prima giunta, favorisce V avene, in quanto sta bene che le due parole, invece di consonare, si contrappongano. *) Cosi corresse il Witte, debi- tamente secondato. Ohe repedare è voce troppo comnne nel medioevo, e son troppo rare le forme colle quali repedissent nel senso nostro potrebbe accompagnarsi (Y. repe- dere nel Du Gange), perchè sia le- cito mantenere la lezione dei co- dici. S'aggiunga che in un altro caso (I, zìi, 5) i due mss. hanno repadare: sproposito ancor esso, ma tale nondimeno da far risultare col confronto quale sia in ambedue i casi la lezione vera. E del repediS' sent ci dà facile spiegazione Vadve- nisseni antecedente ; il che è un motivo di più di non adottare per amor suo il repetissent proposto dal Prompt {Oeuvr, lat apocr^ p. 69), che obbliga alla violenta rescissione dell* adf davanti ad Eiir- ropam. ^) La sostituzione di partem a partim^ discesa dal Corb. ai succes- sori, è illegittima e cozza contro ogni ragione di verosimiglianza. 5 34 LiB. I, OAP. vm, 3. eodemque ydiomate in vindioe ') confasione recepto, diversa vulgaria traxerunt originem, sicut inferias ostendemns. Nam totum qnod ab hostus Danubii sive meotidis paludibus *) usqne ad fines ^) ocoidentales Anglie, Ytalorum *) Francoramque fi- 5 nibus et Occeauo limitator '), solum unam optiniiit ydioma, 1. T imtmdice, Q inundiee; [T *immodicce eor\futione9 receda: Q *immunda\. 3. O T ho»ti»i [G^ *o$tij»]. T ite, vaio » dir Hns (non «ic, come parrebbe) ; G «i S diYim, cioè ti ut, [*ni(€]. 4. T ad i/ine*. In G prima forse oeddenUMà; poi -ea, 6 T ytalorum que. T /rancAorum ^u^. 6. G opiimuUy con rMchiatara, probabilmente tarda, deUa pri« ma anta dell' m ; T ofrtinuit. Chi avrebbe mai surrogato partim a par^em f Certo la costruzione è anomala ; ma di un' anomalia in- telligibile. Europe^ Asie son ge- nitivi partitivi. L'irregolarità con- siste nelPaver usato un genitivo siffatto col verbo : forse nella cre- denza di esprimersi più latinamente che con un de Europa^ de Asia, ^) Che in vindice, e non tm- vtunda^ come, dopo aver pensato altrimenti, disse primo il Tr. nella traduzione e come s'è ripetuto poi di bocca in bocca, sia la correzione vera, credo non dubiterà nessuno. Essa sgorga senza nulla aggiun- gere o togliere dalla lezione di T, solo ristabilendo intera l'ambi- guità delle otto aste che precedono il d, e raggruppandole altrimenti che non sia stato fatto da chi non aveva capito nulla. Che Tespressio- ne sia poetica, non nuoce davvero. ^) Si potrebb'esser portati a mu- tare il meotidis paludibus in fne(h Hdispaludis, chiedendone il diritto ad un paltid' malamente inteso. A ciò inciterebbe la preposizione non ripetuta, e il raffronto di Solino, e. 18 : Quartus Europae sinus Hel- lesponto incipUf Maeotidis (altri Maeotis) astio terminatur (Ofr. Plinio, iy,24). Ma a difendere la le- zione qual è, si fa innanzi, testimo- nio quanto mai autorevole per noi, Paolo Orosio, I, 2, 52. L'Europa Incipit a.... ftumine Tonai maeoti' disque jpaZudi 6 tt«.... S'aggiunga Isidoro, Orig,^ XIV, iv: Prima Europae regio Scythia inferior^ quae a maeotidis paludibus incipienSy inter Danubium et Ocea- num septenMonalem usque ad Germaniam porrigiiur. E poco ap- presso: Huius pars pHma Alania est, quae ad maeotidas paludes pertingit. Si veda Maeotidus an- che neH* Onomasticon del De-Vit. 3) L'in che sovrabbonda in T potrebbe rappresentare una cat^ tiva variante dell' od, venuta a se- derglisi a fianco; ma ben più pro- babilmente sarà uno scorso di penna dovuto ad inferius, oppure un riempitivo in fine di lìnea scam- biato per vera e propria lettera. ^) Non istò a riassumere il que^ lasciato cadere dal Corb. Che se a rigore esso è ammissibile, toma certo fuor di proposito qui dove si discorre semplicemente, senza en- fasi nessuna. Che un trascrittore lo raddoppiasse per effetto di anti- cipazione, è cosa da non sorpren- dere chicchessia. ^) e Arruffata lezione % chiama questa il Giul. ; e ci vede un « eni- gma », a sciogliere il quale e s'ado- però felicemente il Fraticelli, po- nendo est dopo ab ostiis^ e limitan- UB. I, GAP. Tin, 8-5. 85 licet postea per Sclavones, Ungaros, Teotnnioos, Saxones, Anglioos, et alias nationes qnam plares faerit per diversa valgarìa derivatala, hoc solo fere omnibus in signum eiusdem principii remanente*), quod quasi predicti omnes io affir- mando respondent. 4. Ab isto incipiens ydiomate, videlioet 5 a finìbus XJngarorum versus orientem, aliud occupavit totnm quod ab inde vocatur Europa ; neo non ulterius est protrao- tum. 5. Totum autem') quod in Europa restat ab istis, ter- tium tenuit ydioma, licet nunc ^) tripharium vìdeatur; nam alii oCf alii oU, alii ài affirmando locuntur; ut puta Yspani, 10 Franci et Latini. Signum autem quod ab uno eodemque ydio- mate ìstarum *) trium gentium progrediantur vulgaria, in promptu est, quia multa *) per eadem vocabula nominare vi- dentur, ut Deum, celum, amorem, mare, terram, est, ^) 1. In T piattoflto teotuineot ohe teotunieo». 3. T diriuatum. 5. wieq^ian* è sap- plito in 6 fra le linee di lettera minuta. 6. G aJMImt. G orietem, [oriStmn]. 8. G T aut; [Q afU]. 0. T tereium. G ydyoma. 10. In cambio di oc, Tòé, od oè. L' emere la prima sola di qneete due Iettare significativa {omru), persuade emer essa la vera. G T ìfapa$dj. 11. T lati$, doè laHm; [G *Latinj itaiianj—pTÌam -ano — ir: qoest' ir da inten- dere 9eUieeC\. 12. G T iitorum ; [G i§tarum], 13. T per muUa eadem, [Solo tardi, come moetra il confronto di V, si cancellò questo per, inserendone uno minutissimo dopo muUa[, U. [G *e«, sottolineando l'è del testo]. tur in cambio di IwiUatur, e poscia racchiadendo fra parentesi: iln^^tCB, Ralorwm, Francùrumque Finibus et Oceano limitantur. » Per essere completo, avrebbe por dovuto ag- giungere l'inserzione di qui al prin- cipio della parentesi. Il vero si è che questi espedienti, che il Frat. adottò fin dalla prima ed., e man- tenne poi ostinatamente, nono- stante la disapprovazione del Torri rimproverato molto fuor di luogo dal Qiul., intorbidano delle acque limpide. « Qaest'arri non ci mis'io *, direbbe Dante se tornasse al mon- do. Cfr. anche Wittb, J. L,^ Bobh- MBR, R, St., Prompt, p. 45. ^) Remanent nel Gioì, è un er- rore da lui stesso corretto a p. 448. ^ Cosi ha correttamente anche il Corb. Sennonché l'aver egli scrit- to abbreviatamente auMette luogo a un aut nella ristampa del Maffei, durato finché il Frat. — fin dalla 1.* ed. — non lo ricacciò. Ecco un caso in cui un errore de'mss, ò riprodot- to per mero accidente dalle stampe. '^) Invece fu colpa del Corb. l'aversi qui neCj corretto final- mente dal Torri. ^) I nomi maschili che prece- dono saranno forse la causa del- l'errore qui commesso da un ama- nuense. E un Istorum legittimo abbiamo poi subito. ^) Al permtUta che si ritrar- rebbe da T toglie ogni peso la mancanza del per dov'era indi- spensabile. Quanto alla prossimità di quest'altro per, non basterebbe come motivo d'esclusione. ^) Poiché Veti sta bene, lo ri- 36 LiB. I, GAP. vm, 5-6. vivit, ') moritur, amat, alia') fere omnia. 6. Istorom vero proferentes oc meridionalis Europe fcenent partem ooci- dentalem, a lannensium finibus incipientes. Qai autem A dicunt a predictis finibus orientalem tenent, videlicet usque 6 ad promuntorium illud Ytalie, qua sinus adriatici maris in- cipit, et Siciliani. *) Sed loquentes oU quodam modo septen- trionales sunt respeotu istorum; nam ab oriente Alanxanos habent et a septentrione ; ab occidente anglico mari vallati , sunt et montibus Aragonie*) terminati; ^) a meridie quoque 10 Provincialibus et Apennini *') devexione clauduntur. 1 . T nivit ; G n. . ..e, e frammczEo qnattit» a«te, forse volatamento equivoche. G itiorum ìw, [nò]. 2. [Si volle in G correggere in *'tium la terminasione tU pro/erenUt; ma poi si cancellò la pretesa correzione]. G ììvendionales, [-nal^i] ; (T meridionaX'È). 3-4. T tid'nt, con un i eteroclito, ohe dà Inogo a dubbi e almanacaameuti. 4. T ap dc%9; G apd' || dcCÌ9, [mu- tato il e in e; *à prcedicti9\. 6. [Sottolineato loquentet in G]. 7. T atamànet. 8. G T aglieoinarif [G tLglieohnan]. G tuUaU. 9. G T etenninaUy in G con espunsitme, forse originaria, dell' 0, [che in T dovett'eBaer-oancvllato da altri]. 10. GT apenini. metteremo ne' saoi diritti, concul- cati finora a favore di et, (Già il Tr é). Per risalire dalF è dei mss. a an et primitivo, occorre una suc- cessione di sforzi, che il desiderio di staccare la serie dei nomi da quella dei verbi non legittima suf- ficientemente. ^) Cosi rettamente il Corb., co- me gìk vive il Tr. *) Il Torri e i posteiiori pre- mettono ad alia un et. Più che inu- tilmente; dacché l'uso latino porta che stiano di regola senza con- giunzione Vaia e gli altri vocaboli di significato consimile {ceterif re- liqui)f che chiudono un'enumera- zione. ^) Sicilia è uno sproposito (V. anche Bo£;umer, B, St) che il Giul. credette senza diritto di ricavare dal Tr., e mise nel testo. ^) Qui e' è bisogno di illustrare, riferendosi alla geografia del tem- po, ma non di correggere, come ritenne il d'Ovidio {ArcÌL Glott^ II, 82. Saggi Crit,j p. 367, in nota). ^) L'è iniziale di eterviinati sarà uscito dall' e finale di araganie. Un eterminare ò affatto inveroai- mile. ^) Lasciando qui stare, anche per ragione di spazio, certe stra- vaganze a cui il Prompt s' abban- dona (p. 20-22), s' ha con lui da fer- mar r attenzione sull' ApenrdnL Dante, come ha ben capito egli pure, ha presente al pensiero un luogo di Lucano, ii, 394 sgg., che citerà poi espressamente nel cap. x, §6. Ivi, descrivendosi l'Appennino qual linea di displuvio dell' Italia, cosi se ne rappresenta l'ultimo tratto settentrionale ed occiden- tale (V. 428): Longlor edacto qaa surgit in aera dorto, Gallica rara vldet devexaaqae afpieit Alpet. (Scrivo aspicU, pur credendo ex- cipit la lezione vera, perchè l'altra, LIB. I, GAP. IX, 1. 37 IX. De triplici varietale sermonis; et qiiaiiter per tempora idem idioma ìnutcUur; et d^ inventione gramatice. 1. Nos autem nunc oporfcet quam habemus rationem pe- riclitari, cum inquirere intendamus de hiis ') in quibus nul- lias aactoritate fnlcimur, hoc est de unius eiusdemque a più facilei aveva di gran lunga la prevalenza nel medioevo, secondo m' ò risaltato daU' esame di una ventina di mss.)- Ora qui il devexaSf dal quale sarà certo rampollato il devexio di Dante, è riferito, come si vede, alle Alpi, non all'Appennino; chò nessun codice, fra tanti, ha de- vexus; quindi si può esser tratti a dubitare che nei De F. El. sia da legger Peniniy da intendersi per le Alpi Pennino, il declivio delle quali poteva molto bene essere attri- buito come uno dei confini meri- dionali alla regione dell' oi7. Gio- verà sentire Paolo Orosio, I, 2, 63: Gallia Belgica habet... limitem,,., ab euro Alpes Poeninas, a meridie provinciam Narbonensem,., Ma poi ecco nascere il pensiero che Apen- ninus stesso possa essere mante- nuto in cotal senso; chò Isidoro (xiv, 8) dice: ApenninìAS mons appellatuSj quasi Alpe 8 Poeni- nae; quia Hannibal veniens ad Italiam easdem Alpes aperml; e la medesima nozione ò ripetuta da molti, come ad esempio da Pa- pia e da Giovanni da Genova. E anche mettendo in disparte questa etimologia e le sue conseguenze, nonostante la probabilità non lieve di potersi richiamare a un passo deiV Inferno (xz, 65), T Appennino era di certo esteso da Lucano si da comprendere il Monviso: lo in- dica il fame nascere il Po (v. 408 sgg.), lo confermano i due versi allegati sopra, che solo dalla su- blimità di quella vetta ricevono una spiegazione piena. E che fìno là almeno protragga la catena an- che Dante, risulta dair/n/ismozvr, 94 96. Dato ciò, la devexio, ossia il versante gallico di quest' ultimo tratto, e le sue propaggini, possono ottimamente essere concepite da Dante, fornito solo di cognizioni approssimative, come un limite me- ridionale del linguaggio soprad- detto. E cresce valore all'idea il gallica mira videi di Lucano, che solo una parte dei lettori dovevan riferire con certi interpreti alla Gallia Cisalpina. Nò si oppone l'origine accennata del devexio, dacché, pur essendo il vocabolo suggerito da Lucano, nulla vieta che possa aver ricevuto altra appli- cazione che non avesse il devexas del poeta latino, tanto più che il senso pare ad ogni modo alquanto diverso; devexas, se inferiores, spiega un glossatore in un codice del secolo xiii (Laur., PI. xxxv, 6); e non altrimenti, quanto alla so- stanza, intendono gli altri. ^) Le stampe iis. 38 LIB. I, OAP. IX, 1-2. prìnoipio ydiomatis variatione secata. Quia') per notiora ytinera salubrius*) breviusque transitur, per istud*) tantoin quod nobis est ydioma pergamus, alia desineutes *) ; nam, qnod in uno est, rationali videtur in aliis esse causa.') 2. Est 1. T noeiora. 2. G i^, che normalineiite non pnò esser che Ulud, mentre T ha i4ftud diateeo. 3. [6 *deMerenUs]. 4. G T rationale. Tra eauia ed ett ambedue i codici pon- gono eesi Bteasi, inaoUtamente, un segno di paragrafo. ') Qni 8i può ragionevolmente desiderare una congiunzione. Non raggiungerò tuttavia, come s'è fatto dal Frat.^ {Et quia\ seguito dal Giul.y mentre le edd. anteriori, salvo quella del Torri, avevano balordamente, d'accordo, senza sa- pere, con T, messo una virgola dopo secutttj un punto dopo transitur, ^) È una « ragion critica » mol- to spuria quella ohe « obbliga » il Giul. a sostituire securius. O che salubrius non racchiude il concetto di salvezza, e però di sicurezza ? ^) Ulud le edd., fino a che il Torri non prese istud da T e Y. E anche diplomaticamente è questa la lezione da preferire; dacché par difficile che sia stato risolto con istud un semplice H^; in quanto, se istudj per chi aveva esto sulle lab- bra, stava meglio, l'impulso a in- trodurlo non era tuttavia tale da poter facilmente allontanare dal sentiero retto e consueto. Ben più verosimile che si sia ridotto a t^ qualcosa che nell'ascendente co- mune di G e T dicesse propria- mente istud. *) Ovvio (V. anche PROMPT,p.45) che questa parola non ha bisogno della correzione deserentes, da cui non s' era più potuta liberare, no- nostante che al Torri fosse nota la lezione originaria de' mss. ^) Il senso che qui si racchiude è chiarissimo; eppure il passo m'è riuscito tormentosamente scabroso. Si dà la ragione del come si possa limitarsi alla considerazione del linguaggio — largamente inteso — che s'ha familiare: gli è che ciò che è vero per esso, sarà vero an* che per gli altri. Ma come s'ada- gia cotale concetto nella lezione dei codici ? — Fino al Giul. quella lezione, con una virgola dopo ra- tionale, si mantenne inalterata, e si fìnse di capir le parole usate dal Tr. per rendere il testo: Ciondò sioy che quella) che ne Vuna è ragtto- nevmle, pare che enandito habhia ad essere caufa ne gli altri. Perchò mai causai E dov'è il paralleli- smo che il contesto richiede im- periosamente tra i due membri del periodo ? — Ebbe dunque ben ra- gione il Giul. di pensare ad un guasto; e provvide al rimedio col- l' aggiunta di un pronome: videtur in aliis esse eadem causa. Ma se la caduta che si vien cosi a suppor- re trova fino a un certo punto una spiegasdone nell' analogia dell' ab- breviazione usuale di eadem {ead') con quella di ccmsa (ca), non accade tuttavia di rimaner sodisfatti. So- disfatti si sarebbe, salvo un certo guaio che si vedrà or ora, se la « causa 9 fosse già stata indicata; ma poiché non è, V eadem mal può qui fare al caso. Però il Boehmer, i?. St.^ propose alla sua volta, Nam quod in uno est, rationale videtur in aliis esse causam, sottinten- dendo causa nel primo membro, e LIB. I, GAP. IX, 2. 89 igitnr super quod gradimur ydioma traotando triphariam, ut superius dictum est ; nam alii oc^ ali! A , alii vero di« 1. T gradini*. Nel gradimur di G 1' ultima lettera preseuta qualche Inoorto indizio di ritoooo : ritoooo, la ogni oaao , da repatare originario. però spiegando, e Perciocché pare ragionevole che quello, il quale ò la causa della variazione nell' uno idioma, ne sia la causa anche ne- gli altri. » Sotto il rispetto grafioo il partito a cui qui si ricorre ò il più semplice che si possa immaginare; e il pensiero che se ne ricava con- ▼ien bene al contesto; e riceve poi anohe questo suffiragio, che più ol- tre nel capitolo (§ 5) ò realmente indagata e dichiarata la « causa » da cui dipende la variazione di un linguaggio originariamente unico. Il Boehmer stesso tuttavia s*ò bene accorto che in cambio di rationale (la medesima osservazione coglie- rebbe anche il Giul.) si dovrebbe aver raUonabile, U mutamento è tntt' altro che arduo; tant'è vero che già altrove (V. p. 15, n. i) ci ac- cadde di dover scrivere ratUma" bilUer dove i mss. davano ratùma- liter; ma alquanto arduo diviene per il fatto del non essere il solo. E allora si ò condotti anche a chiedersi se il causam non sia un po' lontano per servire a doppio uso, e a meravigliarsi che s'abbia da aspettar fino all'ultimo un con- cetto di cui s' ha tanto bisogno. come mai Dante non pose, vice- versa, causa nel primo membro, tacendo invece il vocabolo nel se- condo? — Cosi, senza escludere questa ipotesi, che è una di quelle che mi tentarono di più, a quel modo che mi tentò parecchio anche la soppressione — ahimè, poco giu- stificabile! — del caliga, ho finito col preferire un'altra idea. Che rationale possa qui prendersi come ablativo, non ho saputo ammet- tere, si per le ragioni addotte a pag. 29, n. 2, come ancora e più per la grave colpa d' ambiguità e peggio che con ciò si farebbe ri- cadere su Dante; ma il mutamento in rationali è ben legittimo, dac- ché a scrivere rationale trascinava l' ovvio collegamento col contiguo videtur. Ora nella Bhetorica ad lie- rennium II, 12, e' è un capitoletto concernente la causa rationalis; (che i critici vogliano invece leg- gere raiiocinaliSf a noi non impor- ta, una volta che rationalis ò la lezione consueta de' mss.); ed ecco cosa vi si dice : In causa rationali primum gtiaeretur quid in rebus maioribus aut minoribus atit svnU'' libtis similiter scriptum avi tudt- catum sit. Deinde vtrum ea res si- milis sit ei rei qua de agOur, an dissimilisi La causa rationalis si presenta qui dunque come una cau- sa, che si risolve anzitutto per via d'analogia, per l'appunto come nel caso nostro le conclusioni a cui s' arriverà per l' italiano, potranno qui essere applicate alle lingue so- relle. E il libro dove ciò si dice ò uno dei più familiari all'insegna- mento medioevale ; e il luogo citato é il solo di uno scrittore antico dove la causa rationalis s'incon- tri. Che se il vocabolo causa sa- rebbe stato usato da Dante in un senso che non é esattamente quello voluto dall'autore, è da conside- rare che il capitoletto sulla cau- sa rationalis apparisce come sle- 40 LTB. I, GAP. IX, 2-3. cunt oU. Et quod unum fuerit a principio confusionis (quod- prius probandum est), apparet , quia *) convenimus in vo- cabulis multis, velut eloquentes doctores ostendunt ; que quidem oonvenientia ipsi confusioni repugnat, que luit de- 5 lictum *) in hedificatione Babel. 3. Trilingues ') ergo docto- 2. T 93, In camino dell' abbroriAsione del quia. 4. Cr T ruit; (T ftift, G */uii]. 4-6. G T déliet', dM poterai riBolrere dèUctum. 6. T edifficalione. G Vlinguet, X terlinffiie». gaio, e si prestava a frantendi- menti. ^) Le edd. quod. *) Un delictus stortamente rica- vato da G nell' ed. principe e du- rato fino al Torri, lui inchiuso, tro- vò il suo correttore nel Witte. Ma fu il Giul. ad avvertire che, corret- to Terrore grammaticale, fuit dè- Uctum conteneva sempre uno spro- posito di senso, giacché la confu- sione babelica dei linguaggi non fu e delitto t, si < pena ». Egli s'ap- pigliò dunque al partito, suggeri- togli dal Tr., già suggeritore del fuit anche al Corb. {che fu per il dditUo)y di premettere a delictum un propter. L'espediente non po- teva appagare; mal riuscendosi a intendere cosa faccia qui una ri- petizione cosi fiacca e tranquilla di ciò che s'era già narrato per disteso e concitatamente in ad- dietro. Non se n' appagò dunque il Boehmer ; ma egli non fu certo felice nel proporre, R, St.^ oblitus^ col valore di obìivium, A correzioni cosiffatte sarebbe ancora preferi- bile il ruit delictum de' mss., in cui si potrebbe vedere uno stravit de- lictum^ la singolarità del quale riuscirebbe attenuata dal riflettere che stemere non sonerebbe insolito con superbiam , che è precisamente la colpa da cui fu inspirata l'edi- ficazione della gran torre. Ma un rimedio vero s'ha nel luit (cfr. Orazio, Odij III, vi, 1), voluto dal Prompt, p. 46; il qual luit po- tendo, e dovendo secondo me, es- sere preso come presente, riesce anche a liberare questo passo dalla taccia di ridire il già detto sensa presentarlo in modo tanto o quanto nuovo. E il mutamento di Mn r. difficile da spiegarsi colla paleo- grafia, può trovare una ragione acustica nel precedente repugnat ^) L'intervallo che separa il t'iiìigues di G, da supporre anche sotto al terlingues di T, sua legit- tima soluzione, dal compendio che a rigore si richiederebbe per tri' UngueSj è cosi minimo, che man- tengo ancor io la forma introdotta dal Corb. E ci sono altri casi in cui la virgola maschera un -ri: I, XI, 6 cb per crib-, xv, bpme per primo (checché sia poi da fare di questa lezione), in entrambi i co- dici. Invece, autorità a cui terlin- guis si possa richiamare, non ne conosco. Ci sarebbe bensì luogo a supporre che fosse stato prodotto da tercentum e simili, o meglio forse, in altra maniera, da bUin- guis. Ma se terlinguiSj o perchè trisonuSj solo un capitolo più oltre {x, 1), e non tersonus f E sì consi» deri triphariuSy tripharie^ poche ri- ghe addietro e in più altri luoghi vicini (vili, 2 e 5, ix, 4, x, 1), si consideri trisillabus, trisUlabitas nel secondo libro (v, 2 e 6, vii, 5), LIB. I, CAP. IX, 3. 41 res in multis convenìunt , et maxime in hoo vocabulo quod est Amor. Gerardus de Brunel: *) Sim sentis*) fezelz *) 2. Q T turisenHs/ez Iz. sai quali il bi- di bifariuSj bisilla- bus, anch'esse voci ben comuni, non ha agito per nnlla. *) In un altro luogo in cui Gi- rardo è nominato per disteso (II, li, 6) lo troviam detto latinamente de BorneUo; e ciò è conforme alla tendenza che Dante manifesta in questo trattato a dare, potendo, forma latina ai nomi provenzali : Amaldus Danidxs, Bertramus de Bornio. Ma che in questo primo caso, remoto da ogni altra men- zione consimile, egli possa aver ag^to diversamente, è cosa troppo naturale perchè sia lecito prefe- rire l'idea di un'alterazione. E il de BorneUo non m'indurrà nep- pure a scrivere qui, come s' è fatto dagli editori recenti, de Bomeil (Torri nella versione, per suggeri- mento del Nannucci, Frat.^ e Gial. nel testo), o qualcosa di simile. Certo la forma genuina è Bomeil, Bomeill, o Bomelh: grafie diverse per una cosa stessa ; ma Bruneill (e Bruneng), accanto a Bomeill, s' ha nel codice provenzale Esten- se ; Qir ardile Brunelue^ quando non si limita al semplice prenome, porta sempre il codice riccardiano 2909 (f». 81*, 86% 91% 97*) ; e, me- glìo ancora, Giraut de Brunel dice il commento di Francesco da Bar- berino, gran studioso della lette- ratura di lingua d'oc, ai suoi Do- eumenH d'Amore (f.^ 9 v.^; Tho- mas, Fr. da Barb. et la Littér, prov, en Italie au moyen àge, p. 172). Quanto all'uso simultaneo delle due forme, non è da meravigliar- sene per parte di chi aveva più che familiare l'oscillazione tra Bumetto e Brunetto (V. una nota, I, XIII, 1). Bensì io sospetto che una tal quale incertezza su ciò che fosse da preferire, piuttosto che il solo esempio di canzonieri proven- zali, sia il motivo per cui II, v, 4, invece del vocabolo completo, ab- biamo l'iniziale soltanto; e altresì che II, VI, 5 s'abbia Gerardus e nulla più, mentre le designazioni specifiche non mancano per ben quattro altri trovatori. ^) Dovunque nei passi provenza- li non avverto nulla, s' intende che il Tr. e il Corb., con tutta la serie delle semplici ristampe, non si di- partono dalla lezione dei rispettivi mss.; e del pari è da avere a mente che le correzioni nannuo- ciane, contrassegnate coli' indica- zione Tbm'-A^ann., furono dal Torri, affine di poter dare anche gli spro- positi tradizionali, introdotte solo nella versione, mentre s' alloga- ron nel testo delle edd. successive (Frat.% Giul.). Dicendo pertanto in questo luogo < Si m sentis Torri- Nann. t, ho indicato insieme come si sia letto e prima e dopo. 3) Tr. Corb. ecc. fez les; Torri- Nann., fizels. Conservo il fé- dei mss., che manifestamente deve perlomeno risalire più su dello sgorbio da loro offertoci ; uè di certo il ^, se anche più classico, poteva, accanto a fé, fei, preten- dere a un rispetto universale. Cfr. Mahn, Gramm. der altprov. Spra- che, § 68. E un diritto anche mag- giore al rispetto ha lo z finale , che solo a fatica si potrebbe credere 6 42 LIB. I, OAP. IX, 3. amie*, *) Per ver *) encuaera *) Amor. Eex Navarre: De fin amor si vient^) sen et^) bonté.^) Dominus') Guido Guinizelli:') 1. G aimet, o aunet ; T armet. Q T pu«r, segnito in funì)edne i codici da un ponto. L' a finale di enetuera fa eeponto in 6. G nauarie. 2. G tuuent ; T rimane ambiano. Vet ò dato in compendio nei due codd. G T beute. G parrebbe avere guinuelli ; T ha guinezeli. errore d' amaouense prodotto dal- l' altro e, mentre dopo l sarebbe normale per il francese e non è anomalo nemmeno per il provenza- le. Fidélz stesso (accanto a fUz) è, p. es.,' in nna carta di Nimes del 1174 (Babtsoh , Chrest proveng., 4* ed., 99). *) Air armes dell' ed. originaria trissiniana i successivi editori del- la versione sostituirono l' aimes del Oorb. Il Nann. forni al Torri la lezione giusta. *) Torri-Nann. 3) Tr. Corb. encuser; Torri-Nann. enctisar, mantenuto anche dal Oiul. nel testo; ma questi nelle corre- zioni encusera^ non so da chi sug- geritogli. I mss. della canzone, parte hanno cosi, parte vorrebbero encnser', come scrisse il Bartsch, D. J,, II, 378. *) Tr. suverU ; e non altrimenti il Corb., correttosi in nota, senza evitare con ciò che Terrore si pro- pagasse. Esso non spari che colla 2.* ed. (1841) del Frat. *) Tr. e. ^) Lo svarione de' codici, con o senza accento sull'ultima, non fu corretto neppur esso fino all' ed. oit., nonostante che mss. e stampe avessero del pari bonté II, v, 4, dove la citazione è ripetuta. E qui si badi che il verso, quale risulta dopo corretti gli errori grafici, ne contiene sempre uno grammati- cale : fin per /Sne, che io, considerata la ragione donde muove e il riba- dimento ohe se ne fa nell'altro luogo, inclino a credere dantesco. E in cambio di 9i vieni sen — o piuttosto in territorio francese sen» — che non è in nessuno dei dicias- sette mss. contenenti la poesia di cui s' ha conoscenza (V. Raynaud, Bibliogr. des chans, frang^ II, 42), il testo genuino avrà ben avuto vieni science, che è invece in sei (gli altri seancBf o seanche). Bensì par preferibile il fine^ quantunque se n'abbiano quattro sole conferme, al bone della turba ; ed è poi indub- biamente legittimo il bonté, seb- bene alle sette voci che lo -euffra- gano, se ne contrappongano dieci, che vorrebbero biauté o beauié, '') Il Torri, stranamente, Jlfes». s) n solo Giul. GuinicelH (Tr. Guinizili)'. forma propagata dal Bembo, prima colle edd. aldine della Divina Commedia e poi an- che colle ProsCt che sarebbe pur tempo di veder smessa da tutti, come s' è smessa da parecchi. Essa deve la sua fortuna all'idea che in Guinizelli lo z sia di prove- nienza dialettale ; il che è falais- simo. Gmnizello è diminutivo di un GuìnizOf dove lo z ha la mede- sima ragion d' essere che in Òòtzo, AlbizOf BònizOf Còrbizo. Però, non meno che a Bologna, si diceva così anche a Firenze e nel suo territo- rio. Che se i codici toscani di rime antiche non paressero testimonian- ze pienamente sicure, citerò delle carte. Archivio di Stato di Firenze, pergamene, S. AppoUonia, 20 gen- naio 1151, ffuinizeìli fil, pierì pa* gandH; Badia diPassignano, 22 lu- glio 1190, berardino filio guiniczelli LIB. I, GAP. IX, 3. 43 Né fa *) amor prima *) che gentil corej Nò gentil cor prima che 1. [6 */u\. G T pa ehé g-; eTìukV abbreviazione anche nel secondo Terno, mentre li G porta prima disteeo. T gentìlz, con annullamento dello z. Manca cut nei dne codici. de prato; Poggibonsi, 11 marzo 1324 (1323 stile fior.), Gtdnicgallus baldi. £ gli esempi si potrebbero moltiplicare quanto mai si volesse. ^) Le vecchie edd., e prima il Tr., fu; Frat., Torri (vers.), Giul. fe'j giusta la lezione portata per lo più dalle stampe della canzone del Gnìnizelli} e in primo luogo dalla raccolta Giuntina del 1527, da cui il Corb. stesso riferisce in nota questo verso coi tre che tengon dietro. La voce della tradizione diplomatica domanderebbe fu, o file : fuCj per limitarmi alla triade dei maggiorenti, ha il cod. Yatic. 3793; fu è nel Laur.-Bed. 9 e nel Palat. 418. Eppure non c'è verso di legger cosi; che se il natura potrebbe in qualche modo, consi- derando isolatamente il nostro pas- so, prendersi come verbo e inten- dersi < è generato > {naturare per « generare » è in Francesco da Bar- berino, e dall' uso transitivo al- l' intransitivo il valico è aperto), si sarebbe costretti a ricredersi per il raffronto dei vv. 18-19, dove si vede il cor,,,, fatto gentile proprio da natura. Io dubito che il Goinizelli scrivesse fice^ donde fue, e quindi fìi. Ma quand' anche cotal lenone fosse da supporre nota al- l'Alighieri, mal potremmo aspet- tarci di vederla adottata da lui. Bensi al di sotto del fa non sa^ rebbe vietato di cercare il fé, so- stannalmente legittimo, ohe è por- tato ancor esso da vari codici, sia pur meno antichi, e in primissimo hK>go dal Ghigiano L^ vili. 306 e dal Barberiniano XLV. 47, o piutto- sto un fee. Sennonché, se ciò non è vietato, non è neppur concesso al- tro che a malincuore; e riflettendo si è indotti ad ammettere che, pur richiedendosi qui di sicuro un perfetto, il presente potè parer ge- nuino. Si consideri come sotto for- ma di presente sia messo innanzi il raffronto della petra preziosa^ nella quale dalla stella valor non discende Anti che 7 eoi la faccia gentil cosa, E troppo naturale, si badi, riusciva l'immaginare attuale e continua la creazione dell'amore, una volta che attuale e continua ap- pariva alle menti la creazione del cuor gentile. Alle menti in genere, e segnatamente a quella di Dante, che molt'anni innanzi, dopo aver affermato, appunto sull'autorità della nostra canzone, che Amore e *l cor gentil sono una cosa, ave- va soggiunto. Fagli natura allor ch*elVl amorosa. Questo fa deve aver molto peso anche per chi non sia disposto a ravvisarci un in- dizio che Dante avesse creduto fin d'allora di dover legger cosi nel passo che ci sta a cuore ; dac- ché dalla composizione del sonetto in avanti egli non potè più pen- sare ai versi del poeta bolognese, senza, consapevole o no, rammen- tare insieme i suoi propri. E si tenga ben conto di ciò che risulta probabile dalla nota seguente. ^ L'abbreviazione dataci in am- bedue i casi da T, in uno di essi da G, è da supporre in entrambi per l' originale comune ; e la riso- luzione ovvia sarebbe pria. Ma poiché l' abbreviazione stossa, é 44 LTB. I, GAP. IX, 3-4. amor natura. *) 4. Quare autem tripharie principalius varia- tum sit, investigemus, et quare quelibet istarum variationum in se ipsa varietur, puta dextre Ytalie locutio ab ea que est sinistre; nam aliter Paduani, et ali ter Pisani loountur; et quare 6 vicinius habitantes adhuo discrepant *) in loquendo , ut Me- diolanenses et Veronenses, Romani et Fiorentini; nec non 6. T fiorentini y^fe» (o y^fes) non, con un frego uni /et. L' y^ (o y*) verrà da un n*^. meno notte di qnollo datoci da G ; il /et, credo , dalla finale di mtdiolanenies , da soppOTtd in principio di linea, o da qualcosa di analogo. analogamente jpe, pò, occorrono non so quante volte nei nostri stessi codici, in concorrenza con pma ecc., per le forme latine pH- ma, primey primo, nulla vieta che ai legga prima qui pure, senza che nemmeno ci sia bisogno di richia- marsi air esempio dato una volta da G. Cosi, siccome il prima è pre- feribile per ragioni ritmiche, non mi diparto da quel che s* è fatto finora da tutti, eccettuato il Tr., che, curiosamente, stampò prima nel 1® verso, pria nel ^. Il pria avrebbe bensì motivo di voler te- nere il campo, se fosse tanto o quanto genuino ; ma non è dubbio che il Guinizelli scrisse ajiti o ante; lezione dattorno alla quale s'aggruppano anche tutte le nu- merose alterazioni di molti codici {amij anze, inanti ecc.). Taluno vor- rà imputare la cosa a un trascrit- tore o ad un lettore : io la attri- buisco a Dante stesso, e ci vedo la prova, che, per quanto fami- liare colla canzone, non 1* aveva a mente con esattezza. Precisamente nel citare ciò che più si conosce è facile cadere in abbagli; perchè allora si cita a memoria, e la me- moria è una grande ingannatrice. E posto ciò, ritornando alla que- stione del pria o del prima, av- verto che pna alPinterno del verso s'ha nella Divina Commedia più di venti volte qual monosillabo, mentre è fatto bisillabo, credo, una volta sola {Inf», xxxi, 29; Furg.f IV, 65 pria dev'essere in ben pochi codici). è mai verosi- mile che un' alterazione mnemo- nica avvenisse giusta una prosodia diversa dalla propria? ^) Tr. Ne cuor {cnore anche nel verso precedente) gentU, pria che d'amor natura. Curioso che ciono- stante, e nonostante la conoscenza e riproduzione in nota del testo giuntino, il Corb. stampasse il te- sto monco qual era nel codice. E per avere la parola mancante il verso dovette aspettare il Erat., che scrisse cuor col Tr. nella 1* ed«, cor nelle tre successive, come poi il Giul. — Frat. e Giul. ch'amor. — Il Torri nulla toccò nell'orig^ale; ma nella versione, spinto dal Dio- nisi (Y. alla sua p. 45 la n. e), dette e a questo verso e all'antecedente la forma che gli parve migliore: A^è fé' Amore ami.... Né gentil cor, anzi.... ^) Lasciando stare la ragione grammaticale, su coi non sarebbe da far molto assegnamento (cfr. p. 45 n. s), dopo il quare variatum sit, quare varietur, è un discrepent che qui ci s'aspetta. Eppure non m'ar- rischio punto ad affermare che Dan- te scrivesse cosi. Le parole venutesi LIB. I, GAP. IX, 4-5. 45 con veni entes in eodem *) nomine gentis, ut Neapolitani et Castani, Bavennates etFaventini; et quod mirabilius est, sub eadem civitate morantes, ut Bononienses Burgi sanoti Felicis et Bononienses Strate Maioris. Hee ^) omnes differentie atque sermonum varie tates, quid accidunt, una eademque ratione 5 patebit. ^) 5. Dicimus ergo quod nuUus effectus superati suam causam in quantum effectus est, ^) quia nichil potest efficere quod non est. Gum igitur omnis nostra loquela, preter illam homini primo concreatam a Deo, sit a nostro beneplacito reparata post confusionem illam que nil fuit aliud quam prio- 10 ris oblivio, et homo sit instabilissimum atque variabilissimum l. T ut neapolitani. 2. T ravenarUeM. 3. Dopo il primo boiwmienfes il trascrittore di T era corso a scrivere le parole elio fiegnono al secondo, ttrtUe maiorig, Hee omnes ; ma 8* alGnettò a dar loro di frego, rimettendosi al punto giusto. 4. Accinto alla line» che co- mincia con maiorig, ossia, a rigore, nn rigo piti sotto di quel che sarehbe il meglio, G porta in marjàne, di lettera minuta, con a fianco nna striscia di minio, 1* annotazione, Bonanien$e$ dùterepant in loquella. In loquella (tardi di c^rto) la seconda l fa poi raschiata. T hee; mentre in G s* ha nn « finale esplicito, che non par qui dovere la sua chiarexsa a nn ritocco seriore. [G *differeTUÙK: giA significato dnl differS del testo]. 5. T aeeidi, G aeeidet; [G *qtuK aceidunt\. 6. [G *patebuììt.] 7. G effctun, [aggiunta poi nna virgoh»tta abbroviatrice dopo /]. T effectu» quia, 8. Il eum è snpplito sopra in G. T loquella. 10. Anche il- lam ò in G supplito tra le linee. 11. T a oblìuio ; G abliuio , con oorrozione originaria dell* a in o. a frapporre per nn rispetto, e il carattere di riconoBci mento d' nn fatto che qni viene ad aversi, tale da ravvicinarci al locunturj pos- sono spiegare l' indicativo. ') n Ginl. dnbita che sia forse da leggere ^usdem: nn dubbio al quale non vorremo partecipare. *) Corb. HeoRj divenuto JScb dalla ristampa del Maffei in qua. Che si tratti del pronome hiCj è ben chiaro anche dal senso. Bensì ci sarebbe luogo a titubare tra Vhee di G e r A«c di T. Ma di ciò si discorre nell'introduzione. ^) Il che advtngartuo,,.. saranno) manifBste del Tr. s'è ripercosso nelle indebite correzioni, prima ma- noscritte e poi stampate , del Corb., arrivate fino a noi. Ma come mai non s' intese che quid vale « per- chè > ? n solo punto disputabile è costituito ÙBÌV accidunt. Certo pre- feriremmo acddant; e se T por- tasse accident come G, s'avrebbe, dovendo mutare, piena libertà di scrivere a questo modo. Ma l' ab- breviazione sua deve bene essere la fonte donde emana anche l' ac- cident; e d'intenderla altrimenti che accidunt ^ di certo non me la sentirei. Per arrivare ad acddant occorrerebbero dunque rigiri non abbastanza giustificati, dacché l'in- dicativo nelle interrogazioni indi- rette era familiare a Dante nel volgare: • Or ti dirò per eh' io son tal vicino ». ^) Mantengo, sebbene non ne- cessario, l' est di G, non foss' altro perchè è assai più facile spiegar- sene la caduta che l' aggiunta. 46 MB. I, GAP. IX, 5-6. animai, nec dnrabilis noe continua esse potest; sed sicnt alia qtie nostra sant, puta mofes et habitns, per locornm tempo- mmqne distantias variarl oportet. 6. Nec dubitandnm reor modo in eo quod diximus « temporam » *), sed potius oppi- ^ namnr tenendnm; nam si alia nostra opera perscmptemnr , molto magis discrepare videmnr a vetnstissimis concivibus nostris quam a coetaneis perlonginquis. Qaapropter andac- ter testamur qnod si vetustissimi Papienses nunc resurge- rent, sermone vario vel diverso cum modemis Papiensibus 10 loquerentur. Nec aliter mirum videatur quod dicimus, quam peroipere*) iuvenem exoletum quem exolescere non videremus.*) Nam que paulatim moventur minime perpenduntur a nobis, et quam*) longìora tempora variatio rei ad perpendi re- quirit, tanto rem illam stabiliorem putamus. Non etenim 1. T nj..,.nj; O nj n. 1-2. [G, di fianco alla linoa alia. . . . locorum, *G«iee.]. 3. T diteittantia». Tra vartari ed oportet T ha p ; e no j> Bormontato da qnalcoaa che non rt aatprebhe immaginare oona fonse senza il confronto di T, s* ha anche in G, e fh raschiato. 4. [Le parole modo in eo q. d. t, fnrono sottolineate in G; e ad osw vorrà riferirsi nn -%• marginale, poi cancellato]. G poeiu». 4-6. T opinamur. 5. [G sottolinea pencrupU- fimr.] 7. Q T aedoatmU: [O *à eoetaneU]. 11. [G */• fiipieere] T exòetum. [G *SpieL. di fianco aUa linea iuuenem. . . . ^ii^]. ') Qoi il Torri y non intendendo come Ufmporum fosse citazione te- sioale, (efr. p. 7 n. ») , credette ne- CMBario di aggiungere , sulle orme tri86i»i«iie , distoMa loetdUmem vartari; e lo secondò il Frat^ L' irragionevolesza dell' aggiunta fs riconosciuta dal Boeluner, D, J. B il GiaL se ne persuase ; ma pur nondimeno ritemie quelle parole, per semplice anM>r di cbiarezza (Y. C^tntn.), e solo nelle ultime Corregioni si ravvide di un proce- dere cosi poco ragionevole. ') n parspicere marginale di Qt fu creduto prospicere^ non so se per colpa del bibliotecario Du- coin del Torri ; e questo prospi- cere obbligò d'allora in poi ad esulare il psrcip«re della tradizione schietta, sfuggito nel cinquecento a questo pericolo. D vero si è ohe percipere conviene assai meglio anche per il senso. ^) Più verosimilmente un'inav- vertenza, ossia il non aver badato a un segno d' abbrevisaione so- vrapposto, che un deliberato pro- posito, dette all' ed. del Gorb. un tfidemus, di cui il Frat. nelle prime due stampe fece tndmus. Questo vidifmu fu riaccolto dal GiuL. dopo che il Torri, sul fondamento di T e V e insieme della versione ita- liana, aveva introdotto videremus, e che il Frat. stesso s' era indotto ad accostarsi a lui. Certo non e' è ragione di diseostarsi dalla leziose de' codici, ancorehò meno facile. ^) Le edd. quanto: iautUe cor- rezione del Corb., introdotta per via del tanto correlativo. JiJB. I, GAP. IX, 6-7. 47 a4miremur *) ai extimationes ') hominum qui parum distant a brutiii, putant eandem civitatem sub immatabili ') semper oiyicasse ^) sermone, oom sermouis variatio oivitatis eiusdem non 8Ìne longiseima temporum successione paulatim contin- gatj^ et hominum vita sit etiam ipsa sua natura brevissima. 5 7.|Si ergo per eandem gentem sermo variatur,ut dictum est, successive per tempora, neo stare ullo modo potest, necesse est ut disiunctim abmotimque morantibus varie varietur, ceu varie variantur mores et habitus , qui nec natura nec consor* 1. 6 adminmiur. 2. G T eadem. 6 wbunirabUi; in T leggerei tvb imirabiUf [Q- */• tuo unieabUf}. 3. Nel margine di 6, della stessa lettera dell' altra glossa che occorre più su nella pagina stessa, Bononienaet dUcrepant in loqualla, abbiamo, sottolineato in rosso o con una croce di richiamo a ciuicatte, alUer eomunictute. 5. Non dov' essere originaria in T la lineetta ohe converte ipa in ipta. G ntua: troppo, poiché bastava nà , e troppo poco. 8. T oò inoUque. *) Jjadmiremur di T convien meglio al senso àéìV admiramur di G, che ha dominato fìiiora (cfr. Nec aliter mirum videatur)] e poi- ché diplomaticamente le due au- torità si bilanciano, non rimane dubbia la scelta. *) Perchè il Witte volesse sosti- tuire exUtimationes, si capirebbe poco, anche se non avessimo exti- mantf I, xi, 2; che ci abbia contri- buito exstimcttiones nelle note del Corb., non credo. E non e* è poi maggior motivo di scrivere aesti* mcttianes col Giul. ^ unicabili fino al Torri ; e da indi in qua invariabili, ohe il Torri credette di desumere e dal- l' accozzatnra delle abbreviature » di T, e che gli parve suffragato dal mirabUi (mirabiìj) di V. « Ab- breviatnre » in T non ce ne sono ; ma di certo e il senso e la ver- sione, qui sagace, del Tr. {hab- bia sempre il meilefirìuo parlare ufaiio), inspirarono lui molto me^ glio che il Gorb. Sennonché le so- lile ragioni paleografiche vogliono di preferenza immutabili (}mvr tàbiU), che dovette trovarsi o pa- rer scritto con una sola m, ossia senza lineetta sulP i, quando dette luogo alle grafìe spropositate dei nostri codici, alle quali si passa colla semplice omissione di un'asta fra tante non intese e collo scam- bio ben ovvio di ^ ed r. £ l' immu- tabili riesce il benvenuto anche perchè l'abbondanza che qui ab- biamo di derivati di variua non trascenda i giasti limiti. ^) L'infelice variante comum» eassef lasciata dove stava dal Gorb. e respinta anche dal Frompt , G, Z>., I, 58, sarà dovuta al non es- sersi ben capito, o saputo apprez- zare a dovere il civicasse, ossia suppergiù alla causa medesima che portò il trascrittore di V a con- vertire questa voce insieme col semper (sp) precedente in Mpedft' casse: lezione che, senza sapere cosa ne sarebbe seguito per il sempeì'f destò nel Giul. qualche velleità di patrocinio. Il Fontanini, Eloqu. Uai., Boma, 1736, p. 215, 48 LIB. I, GAP. IX, 7-8; X, 1. tio firmantur, sed humanis beneplacltis *) looaliqae congrai- tate nascoutur. 8. TTino moti sunt inventores gramatice fa- oultatis ; que quidem gramatica nichil ') aliud esfc quam quedam inalterabili s locutionis identitas diversis temporibcifl 5 atque locis. Hec, cam de comuni consensu moltarum geutium fuerit regolata, nulli singulari arbitrio videtur obnoxia et per consequens nec variabilis esse potest. Adinvenerunt ergo illam, ne, propter variationem sermonis arbitrio singularium fluitantis, vel nullo modo, vel saltem imperfecte antiquorum 10 attìngeremus auctoritates et gesta, sive illorum quos a no- bis locorum diversitas facit esse diversos. X. De varietale ydiomcUis in Ytalia a dextris et a sinisiris montis Appenini. 1. Triphario nunc existente ') nostro ydiomate, ut supe- 1. G T huìiMi [(} ''huinaHM]. 3. T ad, in eambio di a**, forse con mera iUi«atU>cxA di i^socnziono. 4. L' amanaonae di T aveva scrìtto ideiUitcUit ; poi corresse egli atesso ; Ir idttnptUas. 6. In G h' om scrìtto hoc ; quindi si raschiò 1' -oc, o si mise aocanto ali* A la solita vir^olottu in alto , rist^ibileudo cosi l' abbroviuzione che troviamo anche in T. 5. G conseiutMu. In T 1' auianuuu.se, probabilmente por via del coi ant'ecedeute , aveva diiuenticato il con; ma inserì poi e^li stesso il seguo che lo rappresenta. G. [-li Hnffvtari arb- ò sot- tolineato in G ; e nel marcine s' ha B.]. 8. G uaiationem , omessa aoU' i la liut^stta ondu- lata. 12 s^s. [Di lianco alle prime lineo del capitolo X s' ha in T nu sej^o in forma di crv- ce, col braccio sinistro uncinato]. 12. In G Vx di dextrit^ di minio ancor esso, è scrìtto sopr;i all'è: certo perchè dimentiaito e supplito. 14. T G exeuìUe ,- e sopra in G, di let- tera minuta, l' (cioì* vel) exUUnle. avrebbe voluto scrìvere civUaase: fondandosi sopra un errore venato al Da Gange, che ancora non se n'è liberato, dalle stampe d'Isi- doro. Civicare è notissimo ai glos- sari del medio evo. ^) L'incompiuto huma e l'ab- breviato bnplaciV di T (G bnpla- citis) generò in Y un huntano bene- placito, ohe il solo Torri, mosso dalla corrispondenza che gli pa- reva di vedere coli' a bineplacitto della versione, ebbe a raccogliere. ^) Il Corb. e gli altri tutti nt7, nonostante che G porti nichil di- steso, forse per via del nil fuU aliud avutosi nel § 5. ^) A\V exeunte comune ai due mss. e adottato finora nelle stam- pe, credo sia da anteporre l'ext- stente, messo li come variante da G, che può essere tanto lezione di un altro codice , quanto corre- zione congetturale. Che exeunte sia la lezione meno facile, non viene in questo caso a costituire un argomento in favor suo; dac- ché è ovvio l'immaginare che esso possa esser nato dal compendio exntef inteso male, o piuttosto di- LIB. I, GAP. Z, 1. 49 riiis dictnm est, in oomparatione sui ìpsins, ^) secandom guod trisonnm factum est, cum tanta timiditate cunctamor lìbran- tes, qnod hano , vel istam, vel illam partem in comparando preponere non audemns, nisi eo quo ') gramatioe positores inveniuntur accepisse aie ') adverbium *) affirmandi ; quod 5 2. T cttntemiir. In G a' era scritto eunetaremur, con un re Intolitamente Btipoto, eipiilio poi (dall' origine?) ranchiando; e furono allora uniti con un trattino 1' a e T m. 8. T tifan- do, cioò aperando , scambiato per « il compendio di eom- ; [T *niperanda]. 5. O inueniu- tur, [inuenifitur]. G T ti; [G *iie]. T G aduerbium (tdutrbium: H secondo adtierbium sup- plito in piccolo in G dentro allo spwEio interlineare. venato, o parso esaere exùte, £ quanto al senso , non e' è da chia- marsene sodisfatti come a prima giunta parrebbe. Si provi a tra- sformare la frase in quest'altra, Cum nostrum ydioma tripharium exeat, che dovrebbe pure equi- valere, e subito il panno mostrerà le corde. Ma poniamo che exeutUe possa legittimamente interpretarsi e venendo ad essere », e che la pe- culiarità sua di fronte ad existerUe sia di aver riguardo anche al pas- sato. Certo sembrerà di vederne una conferma nel secundum quod tri3onum factum est; eppure, guar- dando meglio, la conferma si mu- terà in obiezione, non dovendo piacere che una stessa idea riceva senza bisogno un'espressione dop- pia. E con trìphario nunc existente s'accorda meglio il licet nunc tripharium videatur del cap. viii, § 5, suo strettissimo consangui- neo; e meglio altresì l' in campa' ratione sui ipsius, diretto a far considerare le cose quali si pre- sentano attualmente. ') n pronome riflessivo non fa qui al caso; e ne riesce un poco attenuata la colpa degli editori, che, fino al Ginl., illuminato dal Boehmer, dettero a vedere col- r interpunzione di aver franteso il passo. Sarebbe mai che Dante scri- vesse prima suij e quindi, accortosi dell' improprietà, intendesse di so- stituire ipsiusf — La cosa è possi- bile; probabile non vorrei dirla. ') L'ablativo, mantenuto pen- satamente dal Corb. (V. le note), ripete la sua ragione sintattica dall' eo che precede; e, nonché censurabile, è d'uso classico. Per^ se di una cosa si può meravigliar- si, si è di questa insolita classi- cità. Dante ebbe probabilmente un impulso a scrivere cosi dal de- siderio di interrompere la succes- sione dei quod. Il Giul., non veden- doci chiaro, credette a un errore, e raffazzonò ogni cosa seguendo i barcollamenti del Tr., colla cre- denza di ricondurre la lezione alla forma che aveva nel « Codice, da cui dovette essere tratto il Testo di quel Volgarizzamento »: nisi eo Sic quod Grammaticae positO' res inveniuntur accepisse per ad' verbium affirmandi. Per verità avrebbe almeno potuto astenersi dal mettere un per cosiffatto in bocca altrui. Respinse tacitamente questa manomissione il Boehmer, B. St,; ma accolse l'idea di uno sba- glio , e mise quod al posto di quo. 3) *fc già il Tr. ^) La cura colla quale il se- 7 50 WB. I, GAP. X, 1-4. qnandam anterioritatem erogare') videtur Ytalis, qui A di- cunt. Quelibet enìm partium largo testimonio se tuetor. 2. Allegat ergo prò se lingua oU, quod propter sui faciliorem ac delectabiliorem vulgaritatem quicquid redactum sive in- 6 ventum*) est ad vulgare prosaicum, suum est: videlìcet Si- bila cum Troyanorum Bromanorumque gestibus compilata et Arturi ') regis ambages pulcerrime et quam plures alle ystorie ac doctrine. 3. Pro se vero argumentatur alia, scilicet oc^ quod vulgares eloquentes in ea primi tus poetati sunt, tan- 10 quam in perfeotiori dulciorique loquela, ut puta Petrus de Alvemia et alii antiquiores doctores. 4. Tertia, que*) Lati- 5. T protaycwn. 6. T troianorum, [Gr *romantiorum /]. 7. [G *Af, del quale colmen fosse l'og- getto. Sennonché, dopo aver do- vuto violentare per ciò la mia co- scienza, mi trovavo a veder turbato il parallelismo grammaticale e ideologico dei due termini messi a riscontro. Mi liberò col suo acume dal tormento il collega Vitelli, proponendomi di sostituire fidile. Introdotta questa mutazione, non occorre, perché tutto cammini a meraviglia, che di correggere grondant in grondata distillant io disUUat: due ritocchi quanto mai semplici, il primo dei quali, sulla solita falsariga del Tr. (Y. la nota seguente) era già stato introdotto dal Frat. fin dalla 1* ed. e adotta- to dal Torri e dal Giul., e il se« oondo era necessario per me an- che nell'altra ipotesi Che Dante abbia detto ficiUe colmsn^ e non colmen soltanto, non é punto cosa inutile ; giacché sono propriamen- te i comignoli ed i tetti di tegoli LIB. I, OAP. Z, 6. 63 inde ad diversa stillicidia grundat, aquaa ^) ad alterna ') hino inde litora per imbricia') longa distillai, nt Lucanus in se- cando desoribit. Dextrum quidem*) latus Tirrenum mare gmndatorium habet; levum vero in Adriaticum cadit. £t dextri regiones sunt Apulia, sed non tota, Boma, Ducatas, 6 Tuscia, et lanuensis Marchia. Sinistri autem pars Apulie, 1. 6 grundèU, T ffrùdant. 2. T umbriria ; G forse piattosto innbriria, se pure nelle prime tre aste non c'ò nn* ambi|niità intenzionale. T diftiUàt, 6 dittiUarU. 3. G dMcribiC, doò deterUntur. X yj , G quoq^. G turemim , senza che sia proprio esclusa in modo as< soluto la lettura HtT' ; T Urènum. é. Dopo habet s' era scrìtto in G , e poi si raschiò , Uftìi, certo per emersi litomati al lattu, che si doveva aver dinanai scritto laV^ oom' ò in T. Q Unum, [fotte poi dell' n un tt]. ed embrici che gli offrono un pa- ragone calzante in ogni parte; e si badi aXy iminieia che tien die« tro. Quanto ai fatto gra6cO| ficHley con un et dove il e sia legato, co- me spesso accade, al t segaente da una coda superiore, potò facil- mente parer fisHle ; e da fistile, che non significava nulla, eLfistule^ era, si può dire, inevitabile il ve- nire, dentro ad on contesto con cui fistulaj nel suo valore di tubo per l'acqua, si connetteva cosi stret- tamente. *) Frat, Torri, Giul. (Tr. piove, € V aeque) grundat^ et aqucR, fa- cendo cosi dì aqtuB il soggetto di distUlant, come da loro e da tutti si scrìveva. Cosi si faceva dire due volte a Dante la cosa stessa, dacchò l'Appennino che TUnc inde ad diversa stillicidia grundat e le aquce che ad alterna hinc inde li- tara distillante sono tutt'uno a casa mia. ') O non parve al QiuL nelle ultime correzioni che a' avesse qui pure a scrivere ad diversa? « Ai- tema può restare », gli osservò il Boehmer, B. St,; e vorrei vedere che non potesse 1 *) Lo spropositato umòrtrto, da cui già il Tr. aveva saputo cavare embrici, cominciò a diventare um- brida nel Toni, e, se si fosse dato ascolto al Witte, sarebbe stato imbricia fin dalla 8<^ ed. del Frat., mentre rimase umbricia anche in quella del Giul., che all' tmòn'cia assenti solo nel commento, e in modo non reciso. Imbrida è il plur. di un imbridum, sinonimo medievale di imbrex, più in uso di questo, a quanto parrebbe, dac- ché per imbrex in Giovanni da Ge- nova siamo rinviati ad imbridum, ^) lì quoque portato dai mss« e rispettato sempre, non sarebbe, quanto al senso, difendibile altro ohe cogli arzigogoli che avrebbe- ro potuto far tollerare quello of- fertoci qnal seconda scrittura dal solo G in un passo del primo ca- pitolo che già ò accaduto di richia- mare a p. òì\ E non ò qui ammis- sibilo il quorum, a cui l' analogìa ci indurrebbe a risalire anzitutto. Bensì torna benissimo quidem; e lo suffraga il fatto ohe l' abbre- viazione intensa a cui nell' al- tro caso ebbi già da alludere (p. 5*^), costituita da un 4, di cui 1' occhio fa da occhio anche a un ^, s'ha in tutti e due i codici 54 MB. I, GAP. X, 6-7. Marchia Anconitana, Somandiola, Lombardia, Marchia Tri- visiana cum Venetiìs. Forum lulii vero et Istria non nisi leve Ytalie esse possunt; *) neo*) insule Tirreni maris, vide- licet Sicilia et Sardinia, ') non nisi dextre Ytalie sunt , vel 6 ad dextram Ytaliam sociande. 7. In utroque quidem duo- rum laterum, et hiis *) que secuntur *) ad ea, lingue hominum variantur; ut lingua Siculorum cum Apulis, Apulorum cum Bomanis, Bomanorum cum Spoletanis, horum cum Tuscis, Tuscorum cum lanuensibus, lanuensium cum Sardis; nec non 10 Calabrorum cum Anconitanis, horum cum Eomandiolis, Ro- mandiolorum cum Lombardis, Lombardorum cum Trivisianis et Venetis, ') et horum cum Aquilegiensibus, et istorum cum 1. G T marea aneon-. 2. T liulij o luilij : ingomma, un' asta pih del doyoro. 3. G pòi ; in T 1a lineetta copro e T o e il t. G T yiMuU. G T chiaramente tureni ; [T tyrem\. 3-4. T uidet, rÌAolvendo malo il compendio utdj , a cui G ai tien fermo ; [T *vidtlieei]. 4. G $cieHia. G T $andrìnia. 7. In G il primo a di tuiriantur, o plnttosto la sna parte ante-' rìore, è correzione originaria. 10. G T anchonUaneii , [cancellato 1* « in T con un frego]. 10-11. L' » di romandiolorum è scritto aopra in G, certo per esaere prima stato omesso. 11. G trimtani: 12. G T tumeUj», oon raschiatnra dell' ^ in G. G T harum ; [G Aorum]. T aquilientUnu. per il quidem che s' incontra alca- se righe più sotto {In utroqìie qui- dem). ^) È scusabile nel Corb. l' aver letto potest: ma cosi V abbrevia- zione del sno codice come quella di T danno realmente possunt , introdotto congetturalmente dal Frat. in tutte le sue edd., e accol- to poi dal GiuL, mentre il Torri l' aveva rifiutato. ') Sotto il rispetto grammati- cale avrebbe ragione il G-iul. nel Commenti di desiderare qui et; eppure non e' ò alcuna probabilità che Dante scrivesse in cotal modo. £ ce n' è poca o punta altresì che non spetti a lui il non davanti a nisi dextre. Si abbia a mente che l' italiano poteva dire benissimo, « Nò le isole del mar Tirreno non sono se non.... » 3) Sandrinia nell*ed, del Corb^ ma in essa soltanto. ^) iis cominciando dal Ma£Pei. ^) Il GiuL, commentando il pas- so, è portato dalla versione del Tr. a voler leggere sociantur. £ sociantur avrebbe pieno diritto di essere rispettato, ancorché un po' troppo vicino a sociande, se fosse dato dal testo ; ma non può arrogarsi nemmeno per ombra di scacciare il secuntur. ^) Venetiìs, cittÀ o regione, non può stare in questa enumerazione di popoli, sicchò ebbe più che ra- gione il Tr. di tradurre Venezianij il Corb. di stampare Venetis, Donde Terrore, ognuno vede; e un impulso 1* avrà forse dato anche il passo occorso poco addietro. Conseguen- za di questo primo fallo sarà vero- similmente VJiarum che tien dietro. LIB. I, GAP. X, 7-8. 56 Istrianis: de quo Latmomm neminem nobiscum dissentire putamus. 8. Quare ad minus *) .xiiij. vulgaribus sola vide- tor Ytalia variari. Que adirne omnia volgaria in sese varian- tnr: ut puta in Tuscia Senenses et') Aretini, in Lombardia Perrarienses et Piacentini; nec non in eadem civitate ali- 6 qualem variationem perpendimus, ut superius in capitulo inmediato posuimus. Quapropter, si primas ') et secundarias et subsecundarias vulgaris Ytalie variationes calculare veli- mus, *) in hoc minimo mundi angulo, non solum ad millenam loquele variationem venire contigerit, sed etiam ad magis 10 ultra. 2. In cambio di adtnin', come porta G, T ha dìiit , ossia domintu. 3. [G Itnlia]. Qui accanto in margine, sn due li^hi , di lettera minuta, con sottolineatura di minio termi- nata da nna linea verticale in nero, .xitij. uxUgaria in Ttalia. [Italia]. 4. G éenensteà Aretini. G T lombardina; [G -dia]. 5. G T ferarienset ; [G -ariw-]. 6-6. G T aliqualef [6 ' 43*) da G. A. Cesareo: Lo btuyn ni, sor e meia, chinto stai? £ chinto pose nella bella copia, e aveva già se- gnato nel margine della brutta, il Cittadini: un diinto che ben si vede essere stato propriamente suggerito dal dialetto vivo, di cui lo scrittore senese era praticissi- mo, non appena si considera la dif- ferenza col quinto, venuto alla ste- sura primitiva dal Corb. e dal Tr. *) Il Torri non aguzzò bene gli occhi, quando nell'ed. prìncipe, che rende tale e quale la lezione di G non altrimenti che le succes- sive fino alla sua propria, eccetto la fraticelliana del 1841, vide fiate in cambio di fiate; e questo fiate egli accolse. Siccome poi da lui si diceva ohe T portava sciate , il Frat.^ ebbe forse a credere che lo portasse al posto di scote; e pen- sò bene di scrivere sciate siate, mentre nell'ed. del 1841, seguendo la versione del Tr., e però, senza saperlo^ d'accordo realmente con T, aveva messo scote sciate. Alia sua volta, per una parte, suppon- go, sul fondamento di quella stes- sa nota del Torri frautesa del pari, per un'altra non saprei bene da che indotto, il Giul. s' inunaginò di te- nersi stretto a T ponendo nel testo sciate state. Ma se l'inversione che qui viene ad aversi manca di ogni sostegno diplomatico , è un' idea naturalissima quella di surrogar state a scote; tanto naturale, che stata (proprio -a?) congetturò già il Corb. nelle Annotationi, e che state per l' appunto scrisse il Cit- tadini Con tutto ciò io non mi sono arrischiato a adottare sen- z' altro il mutamento; giacche , per quanto e e ^ si oonibndauo graficamente spesso e il pericolo della confusione si faccia anche maggiore allorché precede s, rie- sce qui d'inciampo la ragione del senso, la quale avrebbe dovuto spingere gli amanuensi a mutar LIB. I, GAP. XI, 3. 69 et Spoletanos abioimus. Nec preterenndam est qaod in im- properinm istarum trium gentinm cantiones quam plures invente sunt; Inter qnas unam vidimns recte atque per- fecte ligatam , quam quidam *) florentinus nomine Castra composuerat. *) Inoipiebat etenim: ^) Una fermana scopai^) da 5 1-2. G i injrtroperium, coli* » di -ium acritto aopra ; T I properium. 4. T castra per dMt«80; G etuT, [o al ea fa sOTrapposta una linea]. 5. G T pogtiercU, [premoaso in T nn rainnaoolo compendio di e&n, eom], G T /erinaiut, [diviso poi in G il primo a AbAVu con nna linea vertioole]. scote in state^ e non viceversa. Né sopra un'azione eseroitata dalla voce che tien dietro oso fare as- segnamento bastevole. Sarà allora mai lecito di cercare nel nostro 8C- nn pervertimento fonetico di st-j o almeno la scimmiottatura inesatta di nna particolarità dia- lettale vera? La còsa mi pare difficile; troppo diverse sono le condizioni del denchi e acomsenchi datici dalla poesia di cui sotto si cita il principio. forse scate sarebbe residuo di sctate^ dove a se si fosse attribuito il valore che ha dinanzi e , t ? Anche questa ò nna mera e tenue possibilità; ma vai sempre ancor essa a gettar ombra sollo staie^ dattorno al qua- le nondimeno mi continuo ad ag- girare. — Più lisce, per buona sor- te, corrono le cose qnanto all' al- tra parola. Che vada preferita la lezione di T, non può esser dub- bio, non solo per essere più na- turale uno sciate ridotto a siate, ohe un siate convertito in sciate ^ ma altresì perchè qui si scorge una caratteristica veramente co- mune dei dialetti marchigiani. E dello sciate o' è da tenersi conten- ti ; che se preso come congiuntivo riuscirebbe strano per via del con- testo, considerazioni dialettologi- che permettono di vederci un in- dicativo. Una cosa poi di cui ò da tenere ben conto per giudicare della nostra frase, si è che essa costituisce un ottonario. Sarà for- se caso; ma è più verosimile che non sia. Sarebbe dunque allora un semplice cominciamento ; il che importa che s' abbia a pesare so- pra un'altra bilancia, che se fosse un tutto compiuto. Ma degli ef- fetti che da ciò risultano si discor- rerà con miglior agio là dove si tratti proprio di interpretare. ^) Gorb. quidem; e non so che r errore sia stato corretto prima del Frat. *) Già cosi il Gorb, (Tr. haveva Ciompostoì), Troppo tenue il muta- mento, perchè non si sia dissuasi dal tentar le difese del posuerat , ammissibile in altre condizioni, ma, secondo me ed a ragion ve- duta, non nelle attuali. 3) Nel cod. vat. 3793, dove s' ha questa poesia, t> 26*, sotto il'no- me di Messer smano ^ i due versi che qui seguono sono scritti cosi: Una formana iscoppai dacascioli. detto detto sagia jngrandaina. (Cfr. D'Ancona e GoMPARBrn, Le antiche rime volg. ecc., I, 485). E nella Tavola: Una fermano scap- pai . dagagioli . gitto citto sigia jngran,,.. *) ferina va sctopai il Tr.: le- zione da cui si diparti il solo Giul., per scrivere col Fontanini, Op. 60 LIB. I, OAP. XI, 3-4. Casciòlif ') Cita cita ') sen già '?i grande ^) aina. 4. Post quos Mediolanenses atque Pergameos ^) eoramqne finitimos erunce- 1. G T cascoli. G T già con sopra nna lineetta, così collocata, da poter (iar Ino^o nll» lettura ffina, pur essondo gian la lej^ttima. 2. G T finiti moit, [rioonginnto in G]. cit, p. 227, ferina vosco poiy colla persuasione nondimeno che fosse da leggere femina, eh* egli crede- va essere in V , mentre ci s' ha fer malia. Di che sia s fi gur amento il ferìnaua^ è chiaro — lo disse pri- mo il Grion nel Propugnatore ^ t. IV, p". l^ p. 152 — dal cod. vati- cano, tanto più che il vocabolo occorre in altri dne luoghi della poesia (v. 23 e 31), e in entrambi ò fermarla ivi pure. E questi ferma- na, e insieme il fermano della Ta- vola (V. la nota precedente), stanno a ben valida difesa della lezione dantesca, senza togliere a /br777.ana il diritto di interloquire, quanto al testo originario. A fatica invece mi sono r attenuto dal raddoppiare colla duplice testimonianza vatica- na il p di scopai. Lo scopare osce- no del romanesco non ha qui che vedere. Si tratta manifestamente d' € incontrare » ; ed iscoppare è stato trovato in questo senso in non so che testo spoletauo dal D^ Naz- zareno Angeletti, che si propone di illustrare ampiamente questa no- stra poesia. Ma chi ci assicura che Dante non cadesse in un errore, in cui più cose lo potevano indurre? *} Assai più verosimile la le- zione della raccolta vaticana che quella dei nostri codici, e però del- le edd. passate. Al Cascoli il Giul. mostra in nota di preferire Caso- li, proposto dal Fontanini, località dell' Abruzzo Citeriore. Che s'ab- bia a fare con un nome proprio, fu creduto sempre, cominciando dal Tr., eccezion fatta per il Gorb., che stampò il vocabolo con iniziale minuscola (MafiPei 6-), e dichiarò di non capir questo verso. Del gagioli della Tavola vaticana non può es- sere questione per noi, di fronte al- l' accordo dello altre voci nel cas-. ^) Questa lezione fu mantenuta dal Corb. nel testo, mentre nelle note pose Qita gita^ accolto dal Frat.*' e dal Giul. Il detto vaticano guarentisce il e, mentre non ci vieta di conservare qual è la vo- cale tonica, che ha riscontro nel gitto citto della Tavola. Quanto air -a 6nale, si difende abbastanza (come lezione dantesca, beninteso.^, anche avendo concordemente con- trarie le altre due testimonianze. 3) Tr., Corb., derivazioni pedis- seque, Frat.", Torri, sengia gran- de j nonostante che già il Corb. avesse capito, se non esattamente, quasi. In quel già egli vide cioè un imperfetto; e solo errò pren- dendo grande aina per un costrut- to mancante della preposizione, alla greca maniera, mentre la man- canza era opera sua. Invece il Fontanini, Op. cit., p. 227, risolse sengia in sen già; e cosi fecero poi, per contagio , il Frat. nella ristam- pa del 1861 (1857 5en già g,)e il GiuL Che la lezione primitiva sia da rite- nere il vaticano sa, in cambio di sen,non farebbe nulla per noi, quan- di anche la Tavola non desse già l'esempio di un'alterazione ana- loga alla nostra col suo si, *) Il Frat già nella 1» ed. Ber- gomates, ostinandocisi fino all'ul- timo; e il Giul. lo segui. LTB. I, GAP. XI, 4-5. 61 mus, in quorum etiam improperium quendam cecinisse *) re- colimus : Enti l'ora ') del vesper, ciò fu ') del mes d* ochiover. *) 5. Post hos Aquilegienses et Ystrianos cribremus, ^) qui Cea ") 1. (^ni pnr© Vi di -xum i^ sovrapposiio iiell' ìpropcrittm di C5. 2. [In G 1' » di enti fn voluto alla meglio oorrejrspre in e]. T deluegpereio, con iujvrziono ili un pnnto tra l' » r>ì\ p, 3. G èbcreimi9. [con edpanxiono di re \] T chr- , indi sci a»t© e nn' s , da pn^ndor fonu» come equivalenti di -itmu, macho parrebbero comporro -uniu. Il e inisialo varivÌjW a rigore cer. 3 — 68, 1. G T Cenfa^tu unito insicroo, senza sottolineatura nnclie in G. *) Verosimilmente in versi di quattordici sillabe, ritmo usitatis- simo nella letteratura dialettale dell'Alta Italia. Ciò che secondo me è un solo verso con pausa in- tema, son due versi distinti per il Tr. e per tutti gli editori. 2) Tr. Iute Vhojra; Corb. En- téilora. Lasciando da parte l'unione o non unione grafica col sostan- tivo, che nulla importa dacché il senso fu sempre inteso da tutti, V Ente rimase al testo, finché il Frat. della seconda maniera non vi pose In te^ per via del Fontani- ni, p. 229. £ lo imitò il Gial. Che enti sia rovesciamento della lezio- ne originaria, sarebbe possibile ; ma poiché contro V en non e' é ra- gione vera d'insorgere, anche l'i viene ad esser protetto. 3) Tr. veaperzitoj Fìi ; Corb. nel testo, «erto per error di stampa, vesper^ io Ouj ma nelle note vesper^ ^ fu. Che l'errore materiale si perpetuasse, salvo varietà insigni- ficanti; nelle edd. che hanno mero carattere di ristampa, non fa me- raviglia ; fa meraviglia bensì che scrivesse Vesperzio Cu il Frat. la prima e la seconda volta. Torri vespeTj Ciò fu ; Frat.^, indotto dal Fontanini e seguito dal Giul., ve- jfper Zio fu. Che il e de' mss. sia uno Q mal ricopiato, sarebbe cosa da ammettere più che di buon gra- do ; ma poiché lo già, o ztò, che ne risulta é una forma scorretta, in quanto é ^o, zo, che noi si dovreb- be avere , tanto vale che nulla si tocchi. Mutare solo per attri- buire a Dante un errore (sia pur più probabile) invece di un altro, non é cosa ragionevole. *) Tr. d' (ockiover. Corb. dochio- uer ; e l'unione grafica — eccezion fatta per il Fontanini — non è stata risolta che colla S^ ed. del Frat. Quanto alla grafia eh, é da mantenere, pur essendo assai dub- bio che si sia qui usata colla co- scienza che le abbia ad essere dato il valore che ha nel provenzale. 5) Corb. crihemus; e non per inavvertenza, come mostra chiaro una nota a eribo sul principio del cap. seguente, sicché é bene da at- tribuire a lui 1' espunzione di re nel ms. E cribemus anche il Maf- fei; ma ha già cinbremus l'ed. Pasquali del 1741. ^) Frat.'' e Giul. ges, traspor- tando nel testo una grafia usata dal Corb. nelle Annotazioni. Di so- stituire g, ossia z, a e, non e' é om- bra di ragione. La palatina, nonché rappresentarci una frase dovuta traversare di necessità per giun- gere allo z (V. Arch. Gìott, I. 624) che ora e da gran tempo suona su molte labbra friulane, costituisce pur sempre, come mi attesta un friulano schietto, il prof. Giovanni Marinelli, la pronunzia genuina: 62 LIB. I, GAP. XI, 6-6. fastuì ') orudelìber acoentuando eruotuant. ') Camque hiìs *) montaninas omnes et rusticanas loquelas eicimos, *) qae sem- per mediastinis ') civibas accentus enormibate dissonare vi- dentur, ut Casentinenses et Fratenses. ') 6. Sardos etiam , 2. [In Q , di fianco all' interlinea a caralcioue di oni sta montontjlnaf , un D» chiarito bene da una nota a stampa]. G eiìusimu», [trasformato in eitetmta]; T, per quel che paro, enieimug, 3. G- T attentus; [G *€KceiUu$]. 4. G eoiMniineMset. Q /rtUenttet , [*/Vl g di vulgarìlnu, che aia propriamente sopni. dominio esercitatovi da Pisa ; ed io credo proprio probabile che di li tragga origine 1' esempio dante- sco. Non m' indaco tuttavia a ritoc- co nessuno, poiché non è punto inve- rosimile che dal plur. Domus novas Dante abbia creduto di poter rica- vare un sing. domus nova. Che qui V s di domus sia di più, non vuol dire : essa è ben di più anche in dominus meus. a meno che non si trasformi in dominos ineos, con un mutamento arbitrario a cui il con- cetto è restio, o che ci si veda un plur. (di forma campidanese), la qual cosa, oltre a dar luogo a que- sto secondo guaio medesimo, to- glierebbe la corrispondenza col la- tino, che r imitazione scimmiesca non dispone punto a credere volu- tamente solo approssimativa ne- gli esempi allegati. Però sarà da ritenere, come propende a fare an- che il d'Ovidio {^Arch. GlotL e Saggi Crii. , 11. citt.), che delle scorrezioni la colpa sia imputabile a Dante stesso, il quale, o per qualche scrittura veduta, o per relazione altrui, o per esperienza auricolare, seppe che i Sardi avevano V s fina- le alla latina, ma credette che la serbassero anche in casi in cui punto non la mantenevano. Cfr. la nota a Ces fastu. ') Questa rubrica non risponde punto al contenuto, e viene ad es- sere un duplicato di quella che sta in fronte al cap. ix, al quale do- vette verosimilmente riferirsi in origine. Si cfr. il fatto di un' ana- loga duplicità offertoci nel cap. xv da G. Ma in che maniera, cacciata, parrebbe, dal luogo suo per il so- stituirsi deir altra, assai più com- pleta, che ora ci si vede, sia ve- nuta a capitar qui , non e' è modo di appurare. Comunque, fece bene il Tr. a surrogare, traducendo, De ho Idioma Siciliana}, e Puljese. Vol- tata in latino (De idiomate Siculo et Appulo\ questa intitolazione ha preso posto nel testo per opera del Frat. (Apulo Torri, Frat^Giul.). ') Ja erronea divisione Ex acce- ratis, di cui il Corb. s^ era fatto reo nel testo per ragione del Tr. {De i crivellati..,), fu da lui stesso corretta nelle note, togliendo in pari tempo il doppio e, con richia- mo bIV exaceranda II, vii, 3, ed a Pesto {Sex. Pomp., com' egli dice). Ciò non le impedi di perpetuarsi fiuo a che il Torri, sul fondamen- to appunto del Corb., uou la respin- se. Il Torri ebbe peraltro il torto di alterare, nel riprodurla, la nota corbinelliaua, raddoppiandovi il e '^) U Corb., lesse e stampò criòo, UB. I, OAP. XII, 1-3. 65 rabilias atque honorificentins ') breviter seUgamas. 2. Et primo de siciliano examinemus ingenium; nam videtnr sicilia- num vulgare sibi famam pre aliis asciscere, eo quod quicquid poetantnr Ytali sicilianum vocatur, et eo quod perplures doctores indigenas invenimus graviter cecinisse : puta in 6 cantionibus illis, Ancor che V aigua per lo focho lassi, ') et Amor, che luagiamente m* ài menato, ^ 3. Sed hec fama tri- nacrie terre, si recte signum ad quod tendit inspiciamus, vi- detur tantum in opprobrium ytalorum principum remansisse, qui, non heroico more, sed plebeo, secuntur superbiam. Si- 10 quidem illustres heroes Federicus Cesar et benegenitus *) eius Manfredus, nobilitatem ac rectitudinem sue forme panden- tes, donec fortuna permansi^, humana secuti sunt, brutalia dedignantes; propter quod corde nobiles atque gratiarum dotati ') inherere tantorum principum maiestati conati sunt ; 15 1. G T «e Ugamitt, [rannodato in 6]. 2. G tcieiliitìio. [In G ni è sottolineBto inge- nium]. 0. T Anehor, G e, aottoliueato in rosao col rimanente. 7. G T che che^ [espmito in G il iffimo che]. 9. [G *tantum, certo per aver letto nel testo /attun, mentre in realtà 8* ha tantum — sotto la forma di tatù — lì pure]. T ha il compendio di et in cambio di in; ['propter abbreviato]. G obprobrium. 10. G eroico. 11. benegenitus (s' avverte solo per ragion ddla nota) si può dire unito in G, e non si paò dir proprio disonito in T. 13. T /oTttnunn. 6 bruelalia. difendendolo in nota col cfr. di Crivello, Crioellare, (Mbellum, Cri- bro dal Frat. in qua. ') Lasceremo al GioL la tenta- zione di sostituire all'uno o all'al- tro di questi due vocaboli decentius o eondecenHuSf per via di quel che è detto al principio del capitolo antecedente. *) Cod. Pai. 418^ Ancor ke laigua per lo foco lassi; Laur.-Bed. 9, An- cor chellaigua per lofoco lasse. U Giul., con infelice risolutezza, acqua, e seguendo il Perticar! » (V. Difesa di Dante, p.* 2*, e. i\) e per un criterio anacronistico. Ob- bedirebbe a una tendenza tanto quanto analoga chi, per via delle parole colle quali lassi deve ri- mare, terminanti in -^ anche nel cod. PaL, scrivesse lasse col cod. Red. 3) Cod. Vat. 3793, Amore che- lungiamente mai menato; Pai. 418, Amor ke lungamente ma menato, Frat** ligiamente; Frat.^ (= Giul.) longamente, uniformandosi al Tr. *) Cosi unito il Corb. ; disgiunto i successivi tutti. L' unione par più consentanea alle condizioni sintat- tiche che qui abbiamo, sulle quali ci sarebbe parecchio da dire, se non fosse meglio lasciarne ad altro tempo la dichiarazione. ^) Il Corb., per amor di gram- matica, annota: forse, gratta tum dotati. La larva non diventò mai farfalla; né doveva, dacché del tum non. sapremmo che farci, e un ge- nitivo con dotatus trova spiegazio- 66 LiB. I, GAP. xn, 3. ita quod eoram tempore quicquid excellentes Latinonim ni- tebantnr, *) primitus in tantorum coronatoram aula prodibat; et quia regale solium erat Sicilia, factum est,*) quicqnid nostri predecessores vulgariter protulerunt, sicilianum voca- 6 retur: *) quod quidem retinemus et nos, nec posteri nostri 1. QTexcHlet^s; [G exceU^teà], 3. [T ^^uod, da inflerìre tra «( e quiequid]. 4. T pre- dieestores ; G predi- di prima scrittura, prede- di Moonda, per opera di non so ohi. G pro- tullennU. 4-5. G T lutcetur. Dinanzi a uocetur e dopo qtiod, G ha due raachiatore, il vano delle qnali fn riempito con lineette ondulate. Nel secondo spazio penso si fosse scritto }M>«; e un' ombreggiatura di $ finale che mi pare di scorgere, mi oonferma nell' idea. Quanto al primo, ci a' aveva forse a nob\ cioè a nobii ; ma tracce qui non ne discemo. 6. [Snll' H fu. in T aggiunta una lineetta che lo converto in etiam]. ne più ohe sodisfacente in quello che il latino classico ci dà con pie- nus^ diveSj e simili. Bensì la ragio- ne grammaticale dà torto al Boeh- mer, R. St, che preferirebbe Gra- tiarum, nome proprio. *) Per possedere il significato che qui si richiedo, nitebarUnr non ha bisogno d' esser cambiato in enitebantury come propose dubita- tivamente lo stesso Corb., e come si fece poi dal Torri e posteriorL *) Il Witte , prevenuto di più di un secolo, senza ch'egli lo sa- pesse, dal Fontanini {Eloqu, lUU,^ p. 237), propose l' inserzione di ut, accettata dal Frat.^ e dal Giul. Ed essa tomerehbe gradita di certo; e si può immaginare che la caduta fosse occasionata dall' essersi l' ut venuto a trovare in fin di linea, precisamente al di sopra della sil- laba finale di protulerùL La di- stanza ò tale, da prestarsi diserò* tamente all'ipotesi. Tuttavia, e questa costituisce una mera possi- bilità, e la svista che si suppone non è tra le frequenti; supplemento qui ben più ovvio, dinanzi a ^egd, sarebbe il quod (a) trissiniano. Sen- nonché lo mette un poco in mala luce l'essersi già avuto ita quod poco innanzi; e un quod che fosse qui uscito dalla penna avrebbe me- ritato un cambiamento anche per via del quodyBÌA pur d'altro genere, che vien poi. Vero che alle man- canze di finitezza siamo abituati; ed io mi domando perfino se ci sia il caso che Dante tralasciasse pri- ma la congiunzione col proposito di scrivere vocari, e poi s'inducesse a mettere più correttamente il con- giuntivo, senza badare a correg- ger più addietro. Ma mi domando altresì, se l'omissione del che, fre- quente nelle proposizioni subordi- nate italiane, specialmente col ver- bo al congiuntivo, non abbia dato luogo a un riflesso latino: ne venne^ H chiamasse sieUianOj non avreb- be nulla di singolare nel nostro parlare antico. Cosi avrà forse ragionato anche il Torri, che am- mette senz'altro T ellissi (V. la nota e). La quale trova appiglio nella stessa sintassi dei classici, che consento di far seguire il con- giuntivo senza ut a molti verbi| e tra essi anche all' imperativo fac 3) Gorb. vocatur, corretto dal Torri in vocetuVj col sussidio di T e V. E vocetur si mantenne nelle edd. successive; ma in fin del vo- lume il Giul. mise innanzi vacare^ tur, e la stessa congettura , senza LIB. I, GAP. XII, 3-5. 67 permuiare yalebunt. 4. Bacha, racha! Quid nane personal iaba novissimi Federici? quid tintinabnlum seonndi Karoli? quid cornua lohannis et Azzonis marchionum poientum? quid aliorum magnatum tibie? nisi, Venite, carnifìces; Venite, altriplices; *) Venite, avaritie sectatores! 5. Sed prestai} ad 5 propositnm repedare quam frustra loqui; et dicimus quod si vulgare sicilianum accipere volumus secundum *) quod prodit a terrigenis') mediocribus, ex ore quorum iudicium 2. T fedérigi. 4. T lybie. 6. [G*.., per via, certo, di aUrìpUcen. V. le noto]. Dub- bio in T, ae avaritie, o -ei«. 6. G T repadare. 7. G uolumus .&. quod, ["ieilieel]; T uo- lumut .f^. quod. accorgersi forse d'essere stato pre- ceduto, propugnò il Boehmer, B-St. fintrambi tuttavia avevano avuto un vecchio predecessore nel Fon- tanini, che riportando il brano nel luogo citato poco addietro scrisse voearetur^ mentre nella pagina antecedente e nella 234 aveva conservato il vocatur. In realtà l'imperfetto è richiesto, come il Boehmer osserva, dal quod qvidem retmemus et no9: un no5, che, se si volesse riferire alla persona sola di Dante, separandola dai contem- poranei, riuscirebbe qui troppo su- perbo, considerato specialmente che altrettanto si dovrebbe fare del nostri con posteri e con prede- eessoree. Potrebb' esser bensì che Dante avesse scritto vocetur prìma di avere in animo quelle altre pa- role, e lo lasciasse stare per pura inawertenxa. Dato ciò, parrebbe, in un caso siffatto, opera pietosa l'adempiere le parti sue; ma ò poi anche più probabile che si tratti di un errore di copisti, che potè originarsi dalla mera omissione di un segno sovrapposto. ^) Corb., leggi f Alterplices: mu- tamento inutile, dacché s' hanno ambedue le forme. Forse V avreb- be introdotto il Torri, se non fosse stata una congettura sua propria, accipitres, che non osò tuttavia di uscire dalla penombra delle note. *) Il Corb. .8.: abbreviazione che risponde al sciHcet marginale, e che in un scilicet spiattellato, pas- sato ai successori, fu poi risolto con pieno diritto dal MaffeL Ma il com- pendio del codice per un buon in- tenditore diceva secundum. Primo e maggior colpevole fu tuttavia il Tr., il quale tradusse cioè, nono- stante che di ciò eh' egli aveva di- nanzi fosse più facile scorgere l'iu- terpretazione vera. Magra scusa sarebbe il dire che neppur V intese, e scrisse sed. 3) Non so cosa mai, se non un mero error di stampa, possa aver dato all' ed. del Torri proditus ter- rigenis. {Vulgare,,. proditus!) Ep- pure ciò bastò perchè il Frat.'', ab- bandonando le sue proprie orme, scrivesse prodit ur a terrigenis. Non se ne contentò, a quanto pare, il Giul.; e tacitamente scrisse prò- ditur e terrigenis. Per ultimo il Boehmer volle proditur terrigenis. £d ecco a quali effetti abbia potu- to dar luogo uno sbaglio materiale di data cosi recente. 68 LIB. I, GAP. XII, 6-7. eliciendom videtur, prelationis minime dignnm est, quia non sine quodam tempore profertur, ut puta ibi '): Tì'ogemi cf este focora se t' este a boluntate. ') Si autem ipsum accipere vola* mus seoundum ^) qaod ab ore primorum Siculorum emanat, 5 ut in preallegatis oantionibus perpendi potest, nichjl differt ab ilio quod laudabilissimum est, sicut inferius ostendimus. ^) 6. Apuli quoque, vel a sui acerbitate, vel finitimorum suoram contiguitate, qui Romani et Marchiani sunt, turpiter barba- rizant. Diount enim, Volzera che chiangease lo quatraro. 7. Sed 10 quamvis terrigene Apuli loquantar obscene oomuniter, pre- fulgentes eorum quidam polite locuti sunt, vocabula curia- liora in suis oantionibus compilantes , ut manifeste apparet 1. O elUtendum. 2. T puta I (G i^). 3. G bolorUaU. 3-4. [G nolumns]. 4. Qnl «i ripete 1' abbreviazione ^ , soatunzialmente ugnale ntavolta nei dne oodid , e in entrambi precedata, ma non aegoita, da nn pimto; [G *»ed]. G hore, coli' h espnnta. 7. G aceerli- taU. 10. In G si dovette scrivere qnd- ^ o quandi-. A, quelito pnnto, ae non earro, ai cor- resse , raschiando il d e mntandolo in nn u , ora poco chiaro , non so bene perchè. Ne ri- salta un qnuU , in laogo del solito ^uit , con qaesta peculiarità , che la linea ondulata ai estende anche snll'n ed è piti complessa dell' ordinario, invece che ad un' n, potendosi ras- somigliare ad un* m stiacciata. T terrigiìie ; ma si stava scrivendo terriginiét e si correste prima che 1' e fosse compiuto. £ terrigi- (frigi-) »' era pur scritto in G; e qui pure 1' i fu, a quanto pare , mutato in e avanti di proceder pih oltre. 12. T eaneionibuM. In G ti -fette, in fin di linea , dovett' esser dimenticato e soggiunto , dacché trascende per intero i limiti consueti. Però si capisce ohe sia anche di lettera un pochino pifi piccola. ^) La buona lezione è indubbia- mente r tòt che da G passò nelle edizioni fin dal principio, mentre il Tr. aveva tradotto, ctume è, in ecc. Oltre alla maggior convenienza in- trinseca, si cfr. II, zixi, 2 e 8. E V alterazione in t di un tòt abbre- viato, quale ci è qui dato da G e da entrambi i codici negli altri dne luoghi, è un fatto dei più naturali. «) Nel cod. Vatic. 3793, trami deste focora seteste abolontate. No- nostante che qui pure s' abbia òo- lontate, preferisco il bolun- di T al bolon- di G, perchè rispondente alla fonetica siciliana schietta. Che se Vu potrebb' essere attri- buito all'azione del latino sopra un trascrittore, con maggior verosi- miglianza ci sarà da attribuir V o a quella, più ovvia nel caso nostro, dell'italiano. Quanto alla lezione vaticana, ce ne dipartiamo anohe col Tragemi, 3) Tr. Se questto poi nam vttdja- mot pUjare, ma quella}, che.,.; donde si vede come sia lui l'ispiratore del nolumus sed^ passato da G neir ed. principe, e mantenuto poi in tutte le successive. In questo caso il frantendimento di ciò ohe doveva leggersi secundum era più scusabile, e la semplice paleografia non sarebbe stata contro di esso un preservativo sufficiente. Anche V ha sed qui pure. ^) Indotto da due supposte au- torità, il Tr., che aveva tradotto di- mtastreremtùy e V, il Torri (=Frat.*', Giul.) scrisse ostendemus. LiB. I, OAP. XII, 7-8; xni, 1. 69 eoram dieta perspicientibus ') , ut puta Madonna ') dire vi vogliOj ') et Per fino amore vo ti letamente. ^) 8. Quapropter , superiora notantibus innotescere debet, neque siculum, nee ') aptQum esse illud quod in Yfcalia pulcerrimum est vulgare , cum eloquentes indigenas ostenderimus a proprio ^) divertisse. 5 XIII. Quod in quolibet idiomate aunt aliqua tur pia ^ sed pre ceteris tuscum est turpissimum. ^) 1. Post hoc ") veniamus ad Tuscos, qui, propter amentiam suam infrolliti, titulum sibi vulgaris illustris arrogare viden- 2. T ttolglio. 6 e, sottolineato in rosso esso pnre. 3. Ambedue i codici neqj ... nj. 4. G yitalia, con enponzione dell' i. O T puloerimum. 6. Al ])08to del proprio, in cambio delle abbreviazioni consuete, a' ha nei mas. soltanto pò sormontato da nn apice : apice ri- curvo in (r, verticale in T. Però in qnest' ultimo cod. almeno verrebbe naturale il leggiere prime. 6. T ydìamate. 7. 6 T est exeelens. 8. G T h'. ') Le edd. tutte, per colpa del Corb., prospicientibus. ') Neil' ed. principe Mandona. 3) Cod. Vat. 3793 , Madonna dire uiuolglio; Pai. 418, Madonna diruiuoglo; Laur.-Red. 9, Madon- na dir uouoglo. Le edd., beninteso, dir, salvo la oorbinelliana. *) Cod. Vat. Perfina more uo nalta mente; Pai. Per fino amore uao 8i cdlefframenie: lezione questa seconda che riesce di utile confer- ma al letamente nostro (Tr., Frat., Ginl., lietamente)^ che abbiam poi di nuovo n, V, 4. ^) Le edd. neque. ^') Già cosi il Corb.(Tr. da essai), ') Che V exeelens de'codici non venga dall' autore delle rubriche, è chiaro dal sed pre ceteris ^ che non può di certo far la strada ad altro che a qualcosa in cui sia ri- badito il concetto antecedente della bruttezza. Esso deve attri- buirsi ad uno zelante del toscano, e verosimilmente ad un nativo od originario della Toscana stessa. Sono invece lontano dalla sicurezza di coglier proprio nel segno col tur- pissimum. Però, nel dubbio, sono anche stato li 11 per non mutar nul- la. Ma, tutto sommato, m' è parso che valesse sempre meglio offende- re la lettera anziché il senso, e che in questo caso almeno, in cui V in- nocenza di chi compose le intitola- zioni era patente, fosse giusto non lasciarla disconoscere neppure per un momento. Battendo strada di- versa dalla mia, il Frat., a togliere la contradìzione col contenuto del capitolo, scrisse qui fin dalla 1* ed., seguito dal Torri e dal Giul., De Idiomate Tuscorum et Januensium; traduzione di ciò che ragionevol- mente aveva surrogato nella ver- sione il Tr. : De ho Idioma de i 7W scanij e Genmvefi, ^) n valore più frequente del compendio di G e T conviene per- fettamente al testo , sicché non mette conto di scrivere lutee (per noi hec) col Corb. e seguaci. Un rifiuto ben altrimenti vigoroso é 70 LIB. I, GAP. Xin, 1. tur ; et in hoc non solum plebea ') dementat intentio, *) sed famosos quam plures viros hoc tenuisse comperimus ; puta Guittonem Àretinum, qui nunquam se ad cariale vulgare direxit , Bonagiuntam lucensem , Gallum pisanum , Minum 5 Mocatum senensem, Brunettum ') florentinum : quorum dieta, 1. G T plebeat; [G */• pUbeorutn], 3. G T curialem, Icorretto in entrambi]. 4-5. [G, accanto alla linea pùa^num.... fiorenti\\^ *B. no,, (la riportare, credo, al Mioo della dot. 7*, G. X, del Dee.]. 5. G «enen»$em. G bruìietum. da opporre all'^o^ introdotto dal Frat.(= Torri, GiuL), certo seguen- do la scorta del Tr. {Dtopco questi), e incontrandosi casualmente con V. ^) plebea scrisse già V; ed è troppo evidente la superiorità di questa correzione sul plebeorum, suggerito al Corb. dal Tr. (de i pld)ei\ che passò in tutte le stampe (Giul. nelle Correz. plebejornm). Il t di pìjebeat fu certo aggiunto per un' attrasdone esercitata dal successivo dementat, 2) GiuL opinio (Tr. la (opinUo' ne), respinto, s' intende, dal Boeh- mer, R, St, 3) Per riflesso di G gli editori, salvo il Torri e nelle Correz. il GiuL, Brunetum, nonostante che già il Corb. avesse raddoppiato il t nelle note. E qui devo ripigliare una questione, di cui ha trattato il Benier nella Prefazione alla ver- sione sua del libro del Sandby sul Latini (Firenze, 1884), p. xvii. Il nome che Tautore del Tesoro ebbe comune con altri moltissimi, pur essendo in realtà un diminutivo di Brutto^ sonava a Firenze Bur- netto, non Brunetto^ e di norma fu reso in latino Bumectus^ e più di rado, sebbene più correttamente, Bumettus, piuttosto che Brunec- tuSj Brunettus, La cosa, per il personaggio nostro, ci ò attestata da' suoi stessi autografi. Bumedìis troviamo appiè della pergamena del 20 aprile 1254; Bru- abbiam cinque volte nel documento del 25 agosto dello stesso anno inserito nei Capitoli; Bru- ritoma ben otto volte nella pergamena del 1257. Ciò potrebbe tentarci a scrivere Bur- noi pure. Sennonché nella carta del 1263 ecco il Latini sotto- scriversi BrunectuSj e dire anche nel contesto coram me Brunecio, La ragione, a mio vedere, si è che Tatto ò rogato a Parigi: lontano dalla patria il Latini lascia la for- ma idiomatica per la più legittima e generale del nome suo, a quel modo che ad esso, in cambio del consueto Bonaccursi Zjotinus no- tarius, fa seguire LaUmis Nota- rius de Florentia. Basta da sola questa testimonianza per mostrare che neppure il Bru- dei mss. no* stri vuol essere toccato. £ neppu- re è da toccare il -tt- di un de 'co- dici. Che se gli autografi hanno -et- in ben tredici casi, la carta del 1257 ha una volta sicurissimamente Bur- netti, £ aggiungerò anche dal Pro- tocollo di Lapo Gianni (f.^ 29*) la menzione, spettante al 1800, di Cresta olim ser Bumetti Latini notarii. Altre osservazioni che son venuto facendo nel cercare di approfondire questo piccolo pro- blema, non possono qui trovar posto. LiB. I, GAP. xm, 1-2. 71 si rimari vaoaverit, *) non curiali a, sed municipalia tantum invenientur. Et quoniam Tusci pre aliis in hac ebrietate bac- cantur, dignum utileque videtur municipalia vulgaria Tusca- norum singulatim in aliquo depompare. *) 2. Locuntur Fio- rentini et dicunt: Manichiamo ') {ntroque, - Noi *) rum facciano ') 5 1. G T giriìnari, [G gi\rimar%]. 2. G inucnietvr; qnAoto a T. l'aveiriBi an» linea sovrapposta im ]>o' piti Iniìgn del solito, che si estende tauto suU' i qnanto sull' e, pnò ben pexinetteire di ritrovarvi la lezione corretta. 5. T fcicciamo, G /adamo. *) Lo Scherillo, Alcune fonti provenzali della Vita Nuova di Dante, p. 28, n. 45, ebbe la non felice idea di proporre si rhythmis vacaverintj mosso da un falso con- cetto sol senso di questo passo. *) Per l'intelligenza e a com- plemento di molti luoghi delle note relative alle frasi municipali toscane ò da aver presente ciò che sta scritto nelF Introduzione ri- guardo al Tolomei e ai rapporti che il Cittadini ha con esso. ^) Convertito dal Frat., seguito dal GiuL| ma non dal Torri, in manuchiamo y imponendo al testo una forma, della quale il Caix av- verti ottimamente l'anomalia, pur non pensando punto a dubitarne (Giom. di Filol. romanza, II, 13), Poiché, come il Caix contribuì ef- ficacemente a chiarire, Vu è delle voci in cui cade su di esso l' ac- cento : maniiCOf manuchi - mani- dnamo, manicate (p. 12-15; cfr. Cor- NU e Metbb, in Romania, VII 427- 485). Nel medesimo errore, con un mutamento di forma (manucare), cadde il Tolomei, debitamente cor- retto dal Cittadini. *) Omesso dal Tr., Frat., Giul. ^) Qnal è ne' codici, questa se- conda frase, che a me par da pren- dere come risposta alla prima, non ha nulla di caratteristicamente dialettale. Però il d' Ovidio la sup- pone allegata, insieme con ciò che precede, solo < per richiamare un qualche trivialissimo canto fiorenti- nesco allora assai di vul gato t(ilrcA. Glott., n, 85, Saggi Crit, p. 871). Che si tratti di un canto, riman dub- bio, per quanto la cosa guadagni alquanto in probabilità, rimesso a posto il Noif che pareggia la mi- sura dei presunti versi; ma la ra- gione addotta non appaga; e nep- pure contenterebbe il dire che Dante aggiungesse alla prima fra- se la seconda unicamente per il gu- sto di lanciare ai suoi concittadini V accusa di ghiottoni, sebbene an- che questo gusto deva aver qui la sua parte. Però ebbe certo ragione il Cittadini, e nei ritocchi al Ce* sano di S. Pantaleo, e nel 7^'attato della vera origine, e nella versione, di scrivere facciano: forma carat- teristica del fiorentino, sebbene non punto sua esclusivamente, che 1* allontanamento dalla Qramma- tica doveva mettere grandemente in uggia a Dante ; ed ò curioso che il Mejer-Liibke, Italienische Gram^ matik, p. 221, immagina che il te- sto gli sia proprio dato cosi. Buo- no ricorrere anche al Gigli, che nel Vocabolario Cateriniano, sotto Pronunzia, (p. 208 nell'edizione con falsa data di Manilla), rin- faccia ai fiorentini faccian, ver- ren. Adottando facciano non pre- tenderò che Dante deva aver scritto del pari manichiano, come 72 LiB. I, GAP. xni, 2. atro, ') Pisani : Bene ') andonno ') Zi fanti De *) Fiorenaa ') per 1. G T aZ^ro. T, per quel die pare, andomw;e anche in G, clic porta andonno, 1* ulti- ma bUIaIm fu ooiretta raachiando e riscrivendo, e ancora si scorge che s'aveva prima oiufom... Quanto a ciò che seguiva, non risulta abbastanza ; ma V essere V o finale riscritto non esclude che s' avesse o anche prima, essendoci il caso, o che la mano canoellatrice trascorresse più del dovere, o che l'idea originaria fosse di sostituire andoron. Comunque sia, 1* intemudone pro- dottasi e rimasta nella sottolineatura di minio, prova che la correzione è posteriore alla tra- scrizione. G T fiorema (in G con f). nella versione il Cittadini gli fa dire. I dae casi non son punto identici, segnatamente se si guar- da all' elisione, che nell' orto di manichiamo con introque deve colpire Vi iniziale, non già Vo finale. E la condizione dell' essere Tm, non essere, airnscita, è di gran momento nel fenomeno, se- condo attestano (e cosi tardi!) anche gli esempi del Gigli. ^) Data alla frase una peculiari- tà dialettale, non mi son tenuto dal- l' attribuirgliene una seconda. Già il Cittadini, dopo aver scritto altro nella bozza, pose aìltro nella bella copia. E il dir ailtro, « anzi più tosto.... aittro >, è ancor esso uno dei difetti fiorentini che il Gigli rileva. Ma né di aillro né di aittro s' incontrano esempi antichi, se- condo m'assicura il Parodi, che ha fatto dell'evoluzione del fioren- tino uno studio accuratissimo. In- vece appare di buonissima ora atrOt si da farci ritenere che fosse proprio questa la forma che sonava sulle labbra plebee al tempo di Dante. Che se atro si mostra prima nel contado, prèsto si lascia coglie- re anche nella città. E cosi mi sono attentato a porre atro nel testo, essendo troppo evidente che Dante poteva riuscire inesatto quanto alle parlate altrui, ma non rispetto a quella della città sua propria. ') Il Boehmer, D. t/., ebbe il torto di sostituire Sene; il GiuL quello di accettare e creder certa la congettura, solo separando i due elementi. U Sene è invece escluso, o press' a poco, da una legge sull'antica collocazione delle particelle pronominali e dei pro- nomi atoni scovata dal Mussafia {Miscellanea Caix-Canello, p. 255). 3) Tr. andomitì) (V. l'apparato): sgorbio troppo grossolano per pro- pagarsi fuor della versione. Bensì non fu senza lungo effetto che alla stampa del Corb. avvenne di por- tare unito andonnolL I mss. del Cesano hanno andono^ disteso o abbreviato (ed io non so dire se l'abbreviazione non intendesse pri- mitivamente di valer -onnoj; Ted. a stampa andomo; e andomo mise il Cittad. nella versione al pulito, come aveva messo già nell'Orice, mentre nella bozza ò bene andonno ch'egli ebbe l'idea di scrivere, por non scrivendolo chiaro. Che an- donno sia la lezione genuina, com*ò quella che subito risulta dalla retti- ficazione di atidomiOj non dubito ponto. V. d'Ovidio, Arch. GloU^ IL, 104 {Saggi CHt, p. 403);Piebi, ib., xii, 178; e cfr. Giou, pag. 206 Del- l' ed, cit *) Male il Frat. (=- Giul.) di, come già il Tr., il Cesano^ VOrì' gine, la versione cittadiniana. ^) Corb. Fioranga, mantenutosi, credo, salvo la sostituzione di z a f, fino al Frat.^, che, conformandosi alla versione, scrisse Fiorenza LIB. I, GAP. XIII, 2. 73 Pisa. Lacenses: Fo voto *) a Dio che in gassarra eie ) lo comuno 1. T ke. T inWgaséarra (non in-, «i luuli); (J Igoitara ; e qni tra il ()r e 1' a fu ra- nchiata mia lettera , che qnaai con oertesxa può affermani essere stata nn* r , ricongiun- gendo poi con un traito poi p dallo stcsAO trascrittore. 10. Il traflcrìttore di G h' era lamiato andare a acri- rere quin adMit; poi raschiò il d, e no Hovra]>poae uno all' o; (T dall' orifrino ad' nt). 12. T OMferende, derivato dall' abbreviar.ione steasa che abbiamo in G: astemid'. 13. G am^ mit- terent. raer, Ueber ecc. p. 11, n. i , o»' elle {Cesano a stampa ou'eìlo, ma i mss. ottelle), mentre per parte saa si sentiva tentato di scrivere avole. Di oveìle il Boehmer non si mostra ancor pago R. St, parendogli che non faccia al caso. Non la pense- ranno cosi i tanti che sanno di aver detto spesso a nn amico, « Vuoi che andiamo in qualche luogo? » Da notare che V Origine ha ùeUe, *) Gorb., subito corretto dal llafieì, de Perwno urhe^ veteri Vi- terbio. Il Ginl. pensa che questo perìodo sia qni affatto fuor di pro- posito; il che indica solo che non ha V idea di quel che s' intendesse per Toscana. *) Anche il Tr. (poco ci voleva!) lù&ujì; e obtitsi Y. ^) Tr. ilo veduim ; e però Frat., Torri, Ginl., sensfimus, giustamente riprovato dal Witte, J, L., per la ragione stessa del senso. Si badi di chi si parla. Diverso è nel capitolo seguente, 2, il caso di audivimus, *) Nonostante il Lapaj del Tr., Lupum passò nella stampa del Corb. e nella ristampa dei Maffei. Esso diventò peraltro già Lapum nella 1* ed. Pasquali, pur dovendo, credo, aspettare il Frat. per appa- rire un nome a sé, e non un an- nesso e connesso di Guidonem. ^) Corb. compensemuSf aggra- vando il peccato con una nota. Corresse Terrore il Dionisi anno- tando il V. 18 del Carmen di Gio- vanni del Virgilio a Dante (Anedd., IV, 2); e della correzione approfit- tò, primo degli editori, il Torri. ^) Frat.'' e Giul. ammitterent, in- contrandosi casualmente nello spro- posito con G. 76 LIB. I, GAP. XIII, 4; XIV, 1-2. z litteram, yel mutire totaliter eos, vel novam reparare*) opor- teret loquelam. Est enim z maxima pars eorum locutionis: que quidem littera non sine multa rigiditate profertur. XIV. De iHiomaie Ttomandiolorum^ et de quibusdam transpadinis*) 5 et precipue de veneto, 1. Transeuntes nunc humeros Apennini frondiferos, levam Ytaliam contanter') venemur ceu solemus, orientaliter ineun- tes. 2. Bomandiolam igitur ingredientes, dicimus nos dno 1. G T miUere; [e in entrambi *mritirc\. L'amannonRO di G arerà scrìtto paraiy. e dovette supplir aopra il re- (T rej^are). 2. G T parteorum, [con an'ast» «oporatriee in G]. 3. G T rigitate. [Accanto al brano conoomente i Gonoveei, raccolto insieme con una linea marginale artiflzioaa, nna mano che parrebbe del qaattrocento , e che , almeno con ona pa- rola intera, si mostra qui per la prima od ultima voUa, ha scrìtto in G *IanuenMe9]. 4. T ydiomate. 6. G TranteurUis, corrotto in -es dall'orìgine. G appenini. T Jlondifero$', e così anche G, qnal correzione, verosimilmente originaria, di nn anteriore /r-. Che le cose stiano come dico, e non a rovescio, nessun dubbio, per quanto sia da metavigliarsene. 7. G T contanti; [G */• eunct4un, T *cunetam]. G T ttetieremur ; [G */• venemur; e la stessa lozione fu data a T, cancellando -re-]. *) Frat. reperire, accolto cieca- mente dal Gial. La colpa ricade in parte sul Tr., che, fuorviato forse dair abbreviazione di T, aveva tra- dotto trovare. *) Frat. Giul. Transpadanis (o tr-). Nonché nelle rubriche, un transpadinus non mi farebbe trop- pa meraviglia neppure nel testo. 3) Il cunctam del Corb., emanato da quello del Tr. attraverso a un tutta della versione, e rimasto, co- m'era natarale, inconcusso, è una correzione di cui mal può conten- tarsi chi badi al senso, e che la lettera de' codici respinge. Ohe quell'assurdo i finale deva essere uscito da un segno d'abbreviazione, ò congettura ben ovvia; ed ese- guita la metamorfosi, avremo con» tantesy o contanierj che entrambi convengono ottimamente senza bi- sogno d'altri ritocchi, e che ricevo- no conferma anche dal percoiUari al principio del capitolo seguente. Tra il participio e l'avverbio, l'av- verbio ha nelle condizioni nostre le preferenze della paleografia; ed esso è anche la forma che fa meglio al caso, e perchè ci evita tutto quel- l'incalzarsi di participi, e per l'u- nione più intima in cui si stringe col venemur, utile a far si ohe ad en- trambi vada riferito il ceu solemus^ d'accordo col contenuto dei capi- toli precedenti. La seconda ragione non varrebbe per ohi, col Tr., col- leghi ceu solemus con orienialiUr ineuntes; ma questo pare a me il partito meno buono. LIB. I, GAP. XIV, 2 77 in Latio invanisse vulgaria, quibusdam convenientibus *) con- trariis, *) alòernata. Quorum unum in tantum muliebre vi- detur propter vooabulorum et prolationis moUitudinem, ^) quod virum, etiam si *) viriliter sonet, feminam tamen facit esse credendum. Hoc Bomandiolos omnes habet''), et pre- 5 1. G eonvenietuM, cho altri leggerà eonvenietiis, ma cho ai miei occhi richiederebbe qui per esser tale ij; [*conuenientijt]. ì-2. T contraùt, da ritenersi per la Btcaaa ragiono iu qooAto codice eoììtrarug, non eonirariU; G eoìitrarixu. 3. T ìhoUUìm, [mollUùf»]; G. oso dire, inullitìM, con un u che, se non fossero le consonanti che scj^iono, si leggerebbe n; [*nu>Uitietn]. 4. T unum, [*vir]. G etiam til'r uirilW ; [*etiam {licei, qoàl surrogato di etiam ttZ'r sottolineato, introducendo poi nel te^to la chiusa della parentosi dopo aonet]. G T femifM, 6. G T mandiolot; [T Toniandiolos]. G T knt. ^) Il testo guadagna molto colla lezione di T, contro la quale d'al- tronde G non leva, se pare, che una voce stonata. Col convenientiis avntosì finora si può immaginarsi di andare avanti, come con gran fatica e badando al concetto più che alle parole cerca di fare il Giul.; ma in realtà non si cammina. da che dipenderà mai l'ablativo quibusdam convenientiis contrariis? Di farne una determinazione mo- dale di vulgaria non credo che la grammatica voglia concedere; e se dipende da alternata^ diventa con- tradittorio, o almeno stranamente arraffato nell'espressione il con- cetto dantesco. Col coìivenieììtibiis invece senso e forma son salvi, se anche il passo può lasciar sussi- stere il desiderio di una lucidezza maggiore, alla quale ci guarderem bene di aspirare con mezzi arbi- trarii, prendendo pretesto da ciò che i codici hanno di anomalo nella voce seguente. *) Nuir altro che un coìitraHis, come s'è fatto sempre, credo si possa e debba ricavare da ciò che portano i mss. ^) Parrebbe che anche i criteri paleografici dovessero condurre ad approvar pienamente il molUtiem (prima dello Zatta molitiem) adot- tato finora; cosa può immaginar- si di più semplice che il ricondur- re -tutine a un -llitiè franteso? Eppure, ripensando, ci si domanda, come mai si potesse inciampare cosi malamente in un fuscellino. E ciò che qui sarebbe meraviglia, di- venta stupore, quando in un passo del capitolo successivo (§ 3), dove certo ci ritoma davanti il vocabolo medesimo nelle stesse condizioni grammaticali, vediamo di esser da capo cogli spropositi: moline G,mo- tiris T. O poteva mai un semplicis- simo moUitiem dar luogo a sva- rioni siffatti? - Proprio non credo; ed eccomi condotto ad addebitarli invece a moUitudinem, ossia alle abbreviazioni sue: moUitine ap- punto, e forse poi motine e motinejj sormontati da lineette. *) Nella stampa corresse a que- sto modo il suo codice anche il Corb.Si capisce bene che il 8t7V,che sarebbe similiter, dovrà la termi- nazione all'avverbio che gli tien dietro; né davvero può esserci ra- gione di cercarvi sotto altra cosa che un semplice errore: meno che mai di fronte alla lezione corret- ta di T. •') Strano che nell'ed^ del Corb. 78 LIB. I, CAP. XIV, 2-3. seròìm Forlivenses, ^) quorum civitas, licet novissima sii, meditulium tamen esse videtur totius proviucie. Hit d€us€k> affirmando loountur, et Odo mèo et*) Corada mea proferunt blandientes. Horum aliquos a proprio') poetando divertisse 5 audivimus, Tomam videlicet et Ugolinum Bncoiolanif faven- tinos. 3. Est et aliud, sicut dictum est, adeo vocabulis ac- centibusque irsutum et yspidum, quod, propter sui rudem asperitatem, mulierem loquentem non solum disterminat *), sed esse vìrum dubitare facit"). Hoc omnes qui magara^) 1. [T forliiies c#, [con lineetta nuinodntrioe]. G T nouUta; [U *noui99ifMi, T no- itì'itKÌma]. 2. T toriii». 3. [G *Oclu7n. Auaon.]. G «, Bottolineato col reiito. T corda: r a norrappoRto originario ancor osso. T pro/erunC, omia pro/enintuTt eoo 41 ìomntur. 0. T a deo. 7. G T tuutum, [con tranformazione in G dell' u in •>, mentre in T qneHla HÌUaba ò stata 8crittik con lichiamo uel margine]. 7-8. [G 1*., accanto a -que.... mulUreiK. Avrii pensato il Corb. agli vtp^idi dumi della cannono Qw:U' antico mio dolce anpio inignort. Rt. 4?] 8. G diMermiriat, corretto forse dall'origine. 0. (} T dubìiarf hoc. [fhimezxatl da un ponto in 1\] colla peculiarità che in (ì dubitare cada in fine di linea : [(} * Videtur deestr. /acit]. G T màra; [G "Manara dicunt, liahent]. sia potato passare da G ?u>c Man- diolos... liahent Lo sgorbio non fa tollerato dal Maffei, ohe, guidato anche dalla versione {quesito volga- re hannaì tutti i R(amagnuoH)y sosti- tal, per sé e per tutti i snccessori, Eomandioli. Ma la corressione è di- fettosa per ciò che spetta all'alte- razione del caso ; come mai un ac- cusativo avrebbe potato, senza che si scorga nessuna spinta, prendere il posto di un nominativo, racco- mandato per di più ad nn senso ben perspicuo? Sicché il vizio é neir^&en^ {hnt), che risalirà ad un iU. Si cfr. sotto § 3 (V. p. 79 n. 2), dove si vedrà riapparire la mede- sima costrusione con sorte analoga. ^) Il Torri, rimasto solo, Foro- Hvenses, ^) Dair^ di Q- non si lasciò vin- cere nemmeno il Corb. E a ragio- ne; dacché le due espressioni non dovevano per solito essere usate nello stesso momento. ^) Il sostantivo vulgari deve continuare a rimaner sottinteso, come fu sottinteso fin qui. ^) Ho riflettuto sulla possibilità di un guasto in questo punto; e mi son convinto che c'ò solo bisogno di un interprete, non già d'un cor- rettore. ^) Il supplemento fcteit fu sug- gerito al Corb. da un fa del Tr.; e ancor io lo adotto, dopo aver pen- sato a cogit, e averlo giudicato troppo forte. Si cfr., senza chiudere gli occhi sa quel tanto che e' ò di sintatticamente diverso, il tnriim^. feminamfacit esse credendumytkvu' tosi poc' anzi. ^) Tr. fiumara; ed è di li che lo prese il Corb., il quale pei*altro scrisse poi nelle note, Nofi so se Manara fosse el MagarL Che la congettura rispondesse al vero, vide, pur avendo mantenuto Ma- naraj il Maffei (pag. xxix della Prefazione alle Opere del Tr.); e vide altresì la oonveuienza di at- tribuire a Dante, piuttosto che ma- LIB. I, GAP. XIV, 3-4. 79 dìcant, Brixienses ') videlicet, Veronenses et Vigentinos habet, *) nec non Paduanos, turpiter sincopantes omnia in 'ttts participia et denominativa in -tas, at merco et bontè, Cam quibus et Trivisianos adduoimus, qui, more Brixia- norum et finitimorum suorum, u ^) consonantem per / apoco- B pando proferunt: puta nof prò novenij^) vif prò vivo: quod quidem barbarissimum reprobamus. 4. Veneti quoque nec sese investighiti volgaris honore dignantur; et si quis eorum, 1. G T hrixinc», [Bottolineato in G]. 2. T W. in cambio di Kt; {"habent, mtrago in- nansi, oonio s'è visto or ora anche d» GJ. Nel margine di (t, qoal negualazionc del conUv unto, Paduani., di lettura pifi piccola che quella del tosto, con nottolincatura in minio. [(ì «jiie-]. 3-4. G T iiUut. 4. T denominata) (cio(^ -ar»); e così x^rtava bone anche G, che eira, per opera, pure, dello stoaM> trascrittore, ha dmiominatiu. T twi; e tu», voluto tnisfor- mans forse dall' origino, in cìm , piìi voroaimilnieute che cvs in tu^t, ci dh anche G; [(iT Uu]. A ttwreo e borUe manca la ttottolincatnni di minio in ontnimbi i codici. 6. I qn:it(ru vocaboli no/ ecc. hanno la sottollufuiinra in G, o nu mancano in T. La terza lott^'ra di wiiM» presenta uniti in G i caratteri di w od n ; e invoce che di lui' n corretta in u , le apjiarenze (fallaci, voglio 8p<»rare) Barcbbero di u mutato in n. 7. T qd', invece di g.d'. In G s' ha la segnalazione marginale Veneti., gemella per ogni risiiotto del Paduani avuto sopra. garij magar a; e che fosse da leg- ger cosi, affermò risolutamente anche il Fontanini {Eloq, UaL^ p. 245). Eppure, dopo che il Frat." ebbe scritto Magar a^ il Torri— sen- za seguito, se Dio vuole - ritornò a ManarOj per l'idea che « Forse Manara pronunziavasi al tempo di Dante e ancora del Trissino > ! *) Cosi corresse il Corb. E se anche pnò spiacere 1' ammettere due forme diverse per « Brescia- no » alla distanza di poche linee, bisogna bene rassegnarcisi, dac- ché è solo da un'abbreviazio- ne di brlxiengés (brixtesf brixi- éjt*f} che il brixines può essere uscito. Alla scelta della termina- zione avrà qui contribuito Vero- nense$. ^) Non si capisce come il Corb. abbia potuto da una parte mutar haòet in habeni, seguendo la ver- sione del Tr. (Questo) tale hannto tutti qudli.,,.), e dall' altra lasciar intatti gli accusativi patenti Vi- gentinos, Paduanos. Hahet corret- tamente stampò il Maffei, dandoci un secolo di tradizione buona. Ma che il testo stesse bene cosi, non seppe capire il Torri; e fondandosi sull' habent di T senza badar cosa fosse, e trascinato al solito anche dalla versione, non si peritò di so- stituire Vicentini (Maifei Vicenti- nos), Paduani, prendendo anche per correzione il Paduani margi- nale di G. E sulla china scesero poi dietro a lui il Frat.^ e il Qiul. ^) Le edd. v, ^) Frat. e Giul. nove. Ma, se ben si riflette, l' uso della forma latina apparisce più logico e prudente da parte di chi del volgare illustre è pur sempre in traccia. E si consi- deri V in -tu 8 participia et deno- minativa in -tasy avutosi dianzi. Quanto al fatto della sottolinea- tui*a di minio in G, non prova as- solutamente nulla. 80 LIB. I, GAP. XIV, 4. errore confisus, *) vanitaret in hoc, recordetur si uuquam dixifc, Per le plage ') de ') Dio, tv non veras *). Inter quos 1. G T eon/estus; [T *eoinpul»u«, racntrc G bì limita a segnalare un orrore]. G «♦»- '/iuim. 2. T ulras. ^) Che qai ci fosse un guasto, era evidente ; ma che il compidsus congetturato dal Tr. e accolto dal Torri (= Frat.'', Giul.) in cambio del confessus trascinatosi fìno a lui, non convenga troppo al senso e punto alla tradizione diplomatica, è evidente del pari. Invece confisus (meglio che confusus^ da conside- rare ancor esso) rimargina senza stenti la piaga. *) Né la volontà del Grion (Propugn., voi IV, p.® 1*, p. 163), nò V esempio di altri senza con- fronto più autorevoli di lui {Arch, GlotL, I, 461, n. i ; II, 102) m'indu- cono a sostituire in questo passo, primo tra gìieditorif plaghe & plage, Spige^gnege (greche), ^arryc e longe, sono, per limitarmi a una fonte di riscontri, nella versione veneziana di Martin Polono {Arch. Glott, UT, 256 n. 1) ; e però a fortiori il -gè potè esser scritto da Dante. Una que- stione diversa, che qui non ho da risolvere, è quella della lettura di quel -gè. Già il Corb. ebbe a do- mandarsi, se non fosse mai da profferir -ghe; e risponde ora affermativamente, a proposito dei casi citati sopra, nientemeno che r Ascoli. 3) Tr. di, ^) Mi mantengo fedele ancor io alla lezione di G , portata da tutte le edd. del testo. Lo faccio nondi- meno con una certa titubanza, e riserbandomi in pari tempo il di- ritto di continuare ad intendere — cosa non illecita — verraiy in cam- bio di adottare la spiegazione ve- drai {Arch, Gioii., I, 462, n. i), dialettologicamente preferibile, ma che non torna bene per il senso. Raddoppiar Tr, d'accordo con T, non sarebbe che aggiungere una inesattezza, e rendere cosi a Dante un cattivo servigio, mentre quel- la r può benissimo esser stata tro- vata per via. Dico e d'accordo con T > , perchè sul!' interpretasione del segno sovrapposto all'è non cade alcun dubbio, secondo pos- son mostrare, per non dir altro, degli esempi somigliantissimi di cui s' è dato conto anche nell' ap- parato, p. 26 1. 11, p. 29 1. 6. Il venras, portato dalla versione, che il Tr. ricavò di qui e che nelle ri- stampe della versione solo ilFrat.^\ seguito dal Bernardoni, ebbe a mutare anch' esso in veras, non potrebbe dunque giustiGcarsi pa- leograficamente altro che ripor- tandosi ad un esemplare, che si supponesse reso male da T. Ma neppure sotto l' aspetto dialettolo- gico sarebbe da tenersi paghi di venras. Bensì, spingendo il capo per entro alle nubi delle conget- ture e di ciò che potesse leggersi in ascendenti, verrebbe fatto di pensare a vivras, oppure, se non spiacesse di distruggere l'impron- ta ritmica dì ciò che nella condi- zione attuale costituisce un ende- casillabo, a viveras. La frase riu- scirebbe chiarissima, e solo, se si considera il recordetur si unquam dixit, un po' troppo sanguinaria. E LiB. I, OAP. XIV, 4-6; XV, 1-2. 81 omnes *) unum vidimus niteutem divertere a materno et ad curiale vulgare intendere, videlioet Ildebrandinum *) padua- num. 5. Quare, omnibus presentis capi tuli ad iudicium comparentibus, arbitramur, nec romandiolum, necsuum op- positum, ut dictum est, neo venetianum, esse illud quod que- 6 rimus vulgare illustre. XV. Feudi m. ^ Al pari del GiuL, metto ancor io nel testo, solo con diversa orto- grafia, la correzione proposta un tempo dal Boehmer {Ueh,^ 1. cit., e Jahrb,), nonostante che al d'Ovi- dio (11. citt.) essa sia parsa inutile. Ma per verità io non vedo come, mantenendo il convicimus delle edd. antecedenti, si possa dal passo ricavare il senso, « come tutti so- glion fare », « come è positivo che tutti fanno », che egli ne deduce. Il sicut convicimus non saprei inten- dere altrimenti che, « come abbiam dimostrato »; (cfr. I, v,3, p.22, n. ij) e per giustificare una frase siffatta è ben poco davvero quel che s' è detto xiv, 8 dei Trevigiani, qui more Brixianorum et finitimorum suonim (uu finitimi cho qui si rife- risce ai Bresciani) u consoaantem per f apocopando proferunt. Si vuol chiamare in aiuto anche l'af- fermazione dell'affinità dei Pem- gini, Orvietani e degli abitanti di Civita Castellana, coi Romani e Spoletini, ziii, 2? Sia pure: sarà sempre un aiuto molto fiacco. Né un buon rimedio s'avrebbe, se, approfittando anche dell'asta che sovrabbonda, si congetturasse con- vincimus. Si provi, e si vedrà quanto male il mutamento con- venga a ciò che segae. CotUcimus invece sta bene, e trova un ottimo riscontro nel sicut coniciOj che già s' ebbe vii, 7. E V alterazione che si suppone avvenuta può spie- garsi agevolmente e in pi& d' un modo. — Quanto a una nuova pro- posta del Boehmer, R. St., di so- stituire conspicimuSj il senso se ne dichiarerebbe di sicuro contento, ma per accettarla bisognerebbe romperla affatto colla critica po- sitiva. ■') Il d'Ovidio, Arch, Oloti^ II, 102-103, mettendo in bella evi- denza le difficoltà di questo passo, ebbe, per sbrogliarle, l' idea di to- gliere il sua^ forse introdotto, pen- sava, da un copista < impressionato dal suis della frase immediata- mente precedente ». Ma ripubbli- cando il lavoro nei Saggi Critici, accettò le obiezioni ch'io gli mo- LìM. I, GAP. XV, 2-3. 83 atque Verone confini: qui, tanfcns eloqueutie vir existens, zloq Bolum in poetaiìxio, sed quomodocunque M loquendo patrium vulgare desemit. 3. Accipiunt efcenim') prefati cives ab Ymolensibas lenitatem ') atque moUitadinem, *) a Ferrarieu- eibns vero el» Matinensibus aliqualem garrulitatem, quo prò- 6 prìe^) Lombardoram est. B[ano ex commistione advenaram 2. O qwrmùdòf^; (che sia anche lecito vederci -òej, non direi); T quomodo «èj. S. G T etiam. 4. T leuUatem. Q moline, [*mollUUm]; T motirit, l*tnolUiem], 4-5. G T /errarmnbus. S. U garuliUUem, 6. G comintionr, T comùtiorw. vevo (p. 401-402). Per mia parte andai ben cercando se si offirissero altre emendazioni, fissando soprat- tutto gli occhi sair ostendit abbre- viato {ondit); ma non riuscii a tro- var nnlla; anzi mandassi sempre più nella convinzione che le pa- role devono rimanere quali sono. In che modo ora le interpreterei, non è di questo luogo il dire. ') Le edd. quomodolibet. Il non esser venuto fatto al Gorb. di rav- visare la lezione vera in un codi- ce dove non s' aveva bisogno che di leggere come e ciò che par es- sere e, accresce il merito del tra- scrittore di y, riuscito a discerner- la attraverso allo sgorbio di T. ') Ottima congettura del Giul. nel commento, non introdotta nel testo certo solo perchò affacciatasi troppo tardi. L'approvò anche il Witte, J. L. 3) Tra il levUatem di T e il leni- totem di G, e però delle stampe, rimango più titubante che non sia rimasto il Giul. Ma il levitas mio è levitas: non già lèvitaa^ come per il Gin!., e prima per il Tr. E quel leoitas ben s'accoppia con molli- itidoy quantunque non sia da attri- buire alcun peso, se si guardano le cose da vicino, al trovarsi uniti i due vocaboli anche nel De ora- tore di Cicerone, ni, 99; e non si saprebbe immaginare un contrap- posto più desiderabile per l' aspe- ritaSf assegnata ai linguaggi che hanno indole contraria a quello degrimolesi (xiv, 3). Si rammenti altresì che il tipo di favella a cui r Imolese appartiene, viruin, etiam 8i viriliter sonet^ feminam tamen facit esse credendum; e che Quinti- liano ebbe a scrivere, viii, 8, 6, ornatìis..., virilis et fortis et san" ctussit, nec effeminatam levitatem..,, ainet. Che il vocabolo dunque con- venga per il senso, nessun dubbio. Però, s' io gli preferisco nondimeno il lenitatem, gli è perchè il levitas^ poco comune in uso metaforico, avrebbe bisogno ai miei occhi di qualcosa che lo accompagnasse, o preparasse. Basterebbe anche che il mollitudinemy già a noi fa- miliare, tenesse il primo, invece che il secondo luogo. *) V. p. 77, n. 3. ^) Non e* è bisogno di scrivere propria {propria la versione del Tr.), come fecero il Frat., il Torri, il Giul. Dato un propria^ più ovvio di sicuro, non so chi sarebbe tra- scorso a sostituir proprie, a meno d'incolparne l*-« di que. 84 UB. I, GAP. XV, 8*5. Longobardorum ^) terrigenis ^) credimas remansisse; et hoc') est causa quare Ferrariensìum, Matinensium , vel Begiano- ram nullam invenimus poetasse: nam, proprie garrulità ti assuefacti, nallo modo possant ad vnlgare aolicum sine qua- 5 dam acerbi tate venire; quod multo magis de Parmensibus est putandum, qui *) monto prò multo *) dicunt. 4. Si ergo Bononienses utrinque accipiunt, ut dictum est, rationabile videtur esse quod eorum locutio per commistionem opposi-, torum ®) ad laudabilem suavitatem remaneat temperata: quod 10 procul dubio nostro iudicio sic esse censemus. 5. Itaque, ^) si preponentes eos in vulgari sermone sola municipalia La- tinorum vulgaria comparando consideraut, allubescentes con- 1. G T logobardorum. G T et h'. 2. T qua. G T /erraremium. 6. Nel putan- dum di G il d ò iiu pronto ravvedimeuto. Si stava Bcrivendo (. T nU'to, (r multo. CoaI qnesto vocabolo corno monto hanno la aottolineatora rofiaa in G e non in T. G T omùti»- nem. 8-9. G T oppotUori [G 'oppotitorum, T -torQ} ut dietwn egt. 10. T iudUio. G ita, T tas. ^) Di proposito, come dice mia nota, il Corb. mantenne il Logo- bardorum della tradizione mano- scritta ; ma già il Maffei Longo-. ') Il Boehmer, B, St, dice su- perflua questa parola. Fosse anche, ci vorrebbe un gran coraggio per vederci una interpolazione. 3) Tra r hec {haec) avutosi sem- pre nelle edd., e un hoc che usci- rebbe ancor più pronto dai codici, è impossibile scegliere con asso- luta certezza. Chiaro bensì cosa meriti la preferenza, anche se non si riferisce il pronome a garrulitas. ^) Furono mere aberrazioni i mutamenti di monto in manto (Frat.'*) e in morto (Boehmer, Jahrb,, e Ueb, ecc., p. 12). 5) Frat. e Giul. molto. V. p. 79, n. 4. ®) L' ut dictum estf qui ripetuto dai codici, fu omesso dal solo Tor- ri; e non di proposito, parrebbe, mancando ogni annotazione. Lo tolgo, non perchè una ripetizione mi faccia orrore, ma perché logi- camente disconviene. Sia pure che in qualche maniera ciò che qui si dice sia stato detto di già: se si rappresenta come detto, o che fa allora il rationabile videtur esse? Né sarebbe un buon partito il rife- rire la frase alla sola commi^tio- nem oppositorum, che sintattica- mente la respinge, anziché al con- tenuto dell' intera proposizione. Sta poi che fra i due ut dicium est c'è una distanza alquanto mag- giore di una linea in G, qualche poco minore in T. Supponiamo un ascendente comune in cui la lun- ghezza delle linee stesse fra le due misure, e la genesi dell'errore sarà subito spiegata. '^) n ravvicinamento diT e G mi porta a scrivere itaque, in cambio dell' ita che s' ebbe finora. Che se la lezione di T è pur suscettibile di esser spiegata altrimenti, la spiegazione che adotto mi par più probabile. LIB. I, CAP. XV, 6. 86 cordamus cum illis ; sì vero simpliciter vulgare *) bononiense preferendum extimant, ^) dissentientes discordamus ab eia. Non etenirn est quod aulicum et illustre vocamus; quoniam, si fuisset, maximus Guido Guinizelli, Guido') Ghisilerius, *) Fabrutius ®) et Honestus et alii poetantes Bononie, nunquam 5 a proprio*) divertissent: qui doctores fuerunt illustres et 6. O T a pmo. [T quùi\. ^) Dovette ben essere per mera sbadataggine obe qnesto vocabolo fa omesso dal Corb. Lo reintegrò ne' suoi diritti il Torri, sul foDda- mento di T e V (= Prat.^ Giul). *) GìuL existimant. Cfr. p. 67, n. s. ^ Questo Guido f insieme col- la virgola che lo precede, andrebbe tolto, se stesse la congettura del Borgognoni {Preludio ^ anno Vili, Ancona, 1884, p. 60 sgg.), che Gni- do Guinizelli e Guido Ghisilieri sian tutt'uno; ma quella conget- tura, fondata specialmente su que- sto nostro passo e sul raffronto suo con ano del secondo libro (xii, 6), non fu che una delle ingegnose aberrazioni a cui tanto parve iu- clinare il rimpianto letterato ro- magnolo, y. LuD. Frati, Guido di Chiinizello de^ Principi e Guido Ghisilieri^ in Propugn,^ Nuova Se- rie, I, p." 2* p. 5 sgg. Già, qui stesso, se l' ipotesi fosse vera, non si sarebbe mai detto Ghisileiius, bensì de Ghisileriis, *) Frat. (-= Giul.) Ghiselerius: alterazione che un' occhiata agli storici bolognesi avrebbe subito mostrato irragionevole. ^) Il poeta ò « Fabruzzo », non già «Fabrizio», come la lezione erronea che s'ha più sotto, e la tendenza, in sé stessa lodevole, a preferire il noto all' ignoto o mal noto, portò a scrivere il Tr. {Fabri- zi(o)y secondato poi dal Corb. e da- gli altri {Faòritius Corb., Maffei, Torri, jPoòriciu^ Pasquali ecc., Frat., Giul.). E furono cosi traviati, e dovevano essere, gli storici delia letteratura; e divennero oscillanti anche taluni, che, attingendo a fonti schiette, per sé stessi non avrebbero errato di certo. Ora soltanto — ed era tempo — l' erro- re si va sradicando a poco a poco. Fabrucio ha il cod. Laur.-red., f. 141^; fabrutius si legge nei do- cumenti bolognesi. Non si tratta già d'un nome suggerito da co- lui che meglio amò esser povero e virtuoso Che gran ricchezza pos- seder con vizio; bensì d' un dimi- nutivo di Fabbro. Cotal nome do- vette probabilmente il rimatore nostro al Fabbro celebrato nel Purgatorio, xiv, 100, che gli era zio; almeno sarà stato per ra- gion sua che se lo sarà visto applicato in diminutivo, non altri- menti che un cugino, morto in gio- vane età. E dei Fabruzzi la fami- glia de' Lambertazzi, a cui zio e nipote appartenevano, continuò ad averne anche posteriormente. — V. Fantuzzi, Scrittori Bolognesi, III, 282; Frati, in Giorn. stor. della Letter. it, XI, 128. *^) Non sopporterò davvero nep- pur io, come non sopportò il Giul., 86 LIB. If CAP. XV, 5-6. vulgajrium discretione repleti. Maximus Guido: Madonna^ ') lo *) fermo core; ^) Fabrutius: Lo ìneo*) lontano gire; Hone- stos: Più non aJtimdo il tuo secorBOy'"*) Amore: que qoidem verba prorsus a mediasfciiiis Bonooie sunfc diversa. 6. Cam- 1. G madima. 2. G Fabritiut, T FàMeiu». il primOf di cui tatti gli altri s'erano contentati. 11 mdgare ho- noniense è il soggetto stesso del periodo; e qni si designerebbe con un prtmtim, obbligato a cercarsi un riferimento purchessia nelle cose dette avanti? Sotto il rispetto logico converrebbe assai bene V ipso, che il Ghil, non rattennto da incomode briglie, introduce {ab ipso), e che io invece devo rifiuta- re. Ma queste briglie stesse mi gui- dano a proprio, dalle cui abbre- viazioni era tanto facile che si originasse per un po' di sbadatag- gine ciò che ci danno i mas., che la metamorfosi s' è rinnovata, ivi cosi patente da non esser po- tuta sfuggire a nessuno, anche xìXy 1 {pmum est lombardie), lì tramite ci è messo materialmente sotto gli occhi dalle ultime parole del eap. xii, dov'è da leggere a proprio divertisse, e dove intanto le abbreviazioni dei mas. ci dareb- ber piuttosto a primo divertisse (V. p. 69). Crotal rafironto torna opportuno, come si vede, anche per un altro rispetto; e del pari opportuno riesce altresì il rammen* tarsi che xiir,3 (p. 75) s' è avuto a propìzia [loquela] diverterunt, ') Il Corb. si serbò pensata- mente (V. una sua nota) fedele a G scrivendo Madona (Tr. Madton- na); nel che ebbe seguace il solo Torri. II, xiT, 6, dove questo co- minciamento d'una poesia non rin- venuta finora è citato di nnovo, s' ha in ambedue i codici donna. Sarebbe irragionevole togliere dal- l' allegazione attuale il Ifo-, di cui poco si vede perchò dovreb- b' essere stato aggiunto. 2) Tr. Frat. Giul. il; Torri 'L 3) Si son nominati quattro poeti, e si portano esempi di tre aolL Ciò è irregolare; e se al Borgo- gnoni servi come un argomento per ridurre a tee i poeti, a noi darà invece motivo di dubitare che ìdb esempio si sia perduto. La perdka si capirebbe assai meglio, ee, in cambio del Mcudmus Chàdo^ ù fosse avuto un Guido GuinizeUi, col quale il Guido GhieUeriMie da supporsi tralasciato si veaiase a contbndere; ma anche la sola co- munanza del Guido è sempre qual- cosa. £ dell' omissione o' è un al- tro indizio. Le ragioni che adduco nelle note II, xii, 5 hanno per conseguenza di farmi ritenere ohe il cominciamento [Md tenuina in G Ia linea; [G "Videtur deeète, Hcui^. [G *haberent; ma cosi dice in compeDdio anche il testo]. G T pulcerimum. 3. G T ewnUUonem. ^) Fa meraviglia; e sarà da im- putare a distrazione, che avendo dinanzi il Tr., il quale traduceva taU che se ca^ dome, il Corb. si sia limitato a congetturare sul ms., ed aggiungere nella stampa, sicut. Itacconciò il passo il Witte, pre- mettendo si; e del racconciamento suo si valsero il Frat.'' e il Giul. Rende un po' titubanti il desiderio di rendersi conto della causa oc- casionale del guasto , una volta che la ripartizione delle sillabe in G non spiega nulla. Però sono an- dato cercando altri complementi possibili , e mi son chiesto, per esempio, se avesse un grado suf- ficiente di probabilità ita quod et si quodf dove la ripetizione della stes- sa voce renderebbe conto della ca- duta. Ma il doppio quod (e un al- tro s'è avuto pur dianzi!) offende; e fa ostacolo quell'unico vulgare che servirebbe tanto per la favella che le città prenominate hanno come per quella che potessero avere, mentre una distinzione più netta fra le due, e non solo tra le loro qualità, ò certo desiderabile. Nell'altra lezione invece il vulgare, dovendosi una volta sottintendere, viene ad essere raddoppiato. Cosi non mi allontano dalla congettura altrui, e solo sarei tentato di evi- tare una cacofonia scrivendo si ut, lasciando del rimanente che l'er- rore abbia, come non troppo di ra- do accade, ad essere imputato a una causa non determinabile. ^) Poco ci vorrebbe per conver- tire in latinum col Frat. ( = Giul.) il latin de' due mss. : basterebbe prolungare a sinistra, e fors' an- che solo spostare, il segno della nasale, sicché servisse per due let- tere. Tuttavia, dopo aver intro- dotto ancor io il mutamento, sono stato preso da scrupoli, e mi sono ritratto. Latinum come sostantivo non occorre in nessun altro luogo del libro; e per quanto nel senso nostro di lingua latina Dante dica gram^tica, provava forse un certo ritegno ad usare cosi in assoluto latinum per < linguaggio volgare italiano ». E il latinum sostantivo fa anche più ostacolo venendo su- bito dopo un latinum aggettivo. Cosi mi rassegno al Laiium; il che vuol dire rassegnarsi a supporre che, per una figura molto ardita, nata dal non essere qui sufficiente né vulgare^ nò ydioma, nò altra vo- ce generica, e possibile solo con un vocabolo non comune e dopo tanti discorsi, Latium potesse nella men- te di Dante spogliarsi per un mo- mento del suo valore territoriale (venari Latium!) ed assumerne imo meramente linguistico. S'intende che la cosa sarebbe inammissibile senza 1' accompagnamento di un aggettivo che aiutasse a concepir le cose a questo modo. LIB. I, GAP. XVI, 1. 89 XVI. Quod in quolibet ydiomaie est aUquid pulcrum , et in nullo omnia pulcra.^) 1. Postqnam venati saltus') et pascua snmas Ytalie nec panteram quam sequimur adinvenimus, ut ipsam reperire possimus, rationabilius investigemus de illa, ut solerti stadio 5 redolentem nbique et necubi ^) apparentem *) nostris penitus Ù.Tetu,G et ù; [T "uhique ; G */. uhique, cancellato poi, ncrirendo accanto *nee\. ') Certo questa intitolazione riassame male il capitolo; ma è erroneo (V. § 4-5) il dire, come dice il Torri, che < nulla ci ha che fare > ; nò e' è motivo sufficiente di credere che voglia qui trasportarsi, come si fece da lui e dai poste- riori, l'altra che troviamo in fron- te al cap. xviii. Naturale tuttavia cotal procedere in chi aveva gran fiducia nel Tr., che appunto da- va in questo luogo, De Ito éXcel- lente parlar voìlgare^ il quale è ccomune a tutti Ijitaliani, ^ Il Giul., guidato da idee molto torte, si dichiara convinto che a saitus dovrebbe premettersi per: il che avrebbe solo 1* effetto di scemar vigoria all' espressione. Si rammenti che il costrutto me- desimo s'è già avuto xiv, 1 (p. 76): levam Ytaliam.,, venemur. 3) La leadone uhique et nec app,f a cui il Corb., disdetta quel- la eh' era stata la sua prima idea, s' era fermato studiando il codice, fu da lui trasportata nella stam- pa; e ad essa si attenuo ancora nelle prime due edd. il Frat. Il Torri invece sostituì a nec la cor- rezione, antecedente ubique^ comu- ne a T, coi vedeva corrispondere anche il trissiniano in ogni parte. « Per togliere un controsenso >, egli dice! Questa lezione, della quale mal riesco a capacitarmi come sia sodisfatto il Boehmer, 22. St,, accolse poi anche il Frat.^, menzionando tuttavia in nota la proposta del Witte, ubique nec usquam. Cotale proposta fu adot- tata invece dal Giul.; e di certo con essa era provveduto bene al senso. Il guaio si è clie non si capisce come di li si possa es- ser venuti a ciò che portano i mss.; né troppo meglio si capireb- be, movendo dal nullibi che il Giul. mette avanti nel commento. Il passaggio diventa invece age- vole colla lezione mia, la quale si limita a supporre l'omissione di qualcosa che nella sua rappresen- tazione compendiata di n^, 7Ì, ed era un nonnulla, e aveva grande somiglianza coli' altro compendio che teneva dietro. Necubi col semplice valore locale di nusquanij anziché con quello finale e locale ad un tempo di ne tisquaìnf che è il classico, si trova anche in Var- rone e Columella. *) Per non essersi reso conto come Vapparentein costituisse già un ottimo contrapposto per redO' lentenif il Giul. credette che gli 12 90 LIB. I, CAP. XVI, 1-2. irretiamus tenticalis. ^) 2. Besamentes ìgitar venabula nostra, dicJmus quod ia ornai rerum genere ^) nnam oportet esse quo generis illius omnia comparentur efc ponderentur; et illud ^) 1. T iìreciamm. 2. T rerum giie, G gìie rerum , [coli* aggiunta in entrambi di nn segno di abbreviaxioiie sali* ». Che a' abbia realmente a trattare di aggiunta anche per G, fa pensare la forma insolita e conferma il confronto di T]. G turò (ben piuttosto che uirl), dove il v , singolare sempre in fin di parola e pih singolare qoal è prop ri smente nel ma., è forse da spiegare come metamorfosi di una secondar, che si stesse scrivendo; [*uf»um]. 3. G 9p««èÉ"(T OfetU^; G T pondereretur ; [Q *eomparenhtr, et pondermtur]. G T ittico; [in T dovette prima espungersi 1* o ; quindi tirarglisi anche sopra un f^r^^o e som^iporre ull' t una lineetta, ottenendosi cosà iUiìic]. a' avesse a sostituire residentem, manentem; e residentetn pose nel testo sao, decidendosi poi per manentem nelle correzioni fina- li (p. 443). *) Il Witte, seguito dal Frat.^ e dal GìuL, tendiculis. Ma se i no- stri lessici conoscono solo tendi' cula e tendiculum^ cosi non è dei medievali. Uguccione: A tendo, hec tendicula -le, et hec terir ticula -le. Et sunt tendicule, l'el tenti cui e, insidie que tendun- tur avibua vel leporihus y vel et aliis animcdibus. Né altrimenti Giovanni da Genova. ') Introduco per il primo la lezione diT, perchò è più verosi- mile il passaggio da una colloca- zione artifiziosa alla piana, an- ziché dalla piana all' artifiziosa. '*) Sullo tracce della versione, anche il Corb. stampò iUinc, sop- primendo tuttavia V et, che il Tr. rispettava (e gumdi): lezione man- tenuta intatta dal Torri, mentre fin dalla prima stampa l'aveva modificata il Frat., coir aggiunta appunto deli' et suggerito dal tra- duttore. Non contento ^ ed a ra- gione — il Boehmer, congetturò ut mine {Jahrb,\ che piacque al d'Ovidio e fu adottato dal Giul. Ma se nell'ordine esteriore è ve- rissimo, come il d'Ovidio dice, che l' ut e subordina conveniente* mente il terzo soggiuntivo ai due primi >, dubito assai che il con- tenuto sia cosi irreprenflibilmente logico come pare alla prima. Date pure le tendenze medievali a ri- guardar r uomo, e però anche iL suo conoscere, come fine dell' ani- verso, credo che si vada trop- p' oltre, immaginando che Dante possa mai aver detto che ciò che v' è di più semplice in ciascun ge- nere abbia come scopo di servir di misura alle altre entità di quel genere stesso. Si badi che il più semplice si ritiene in pari tempo il più perfetto; e si veda quale assurdo risulti di qui. Già nel nu- mero, che si adduce primo ad esempio, 1' assurdo mi par chiaro. E portato alle ultime conseguenze, questo modo di vedere, se ben si considera tutto il capitolo, ci con- durrebbe ad ammettere che Dio, il quale è simplicissima substan- tiarum (§ 4), esista per servir di misura al credito. Far dire a un autore cose simili, non perchè ci sian date dai testi, ma colla pre- tesa di correggere, a me par più che illecito. E meno che mai si può essere a ciò disposti, quando, conosciuta la lezione dei codici, si vede che per arriyare all'ira Ulinc occorrono due mutamenti, LIB. I, GAP. XVI j 2. 91 ftliomm omninm mensuram accipimas : siciit *) in numero cancta mensnrantnr uno, et plura vel pandora dicuntur secundam qnod distant ab uno vel ei propinquant; et sic in coloribus omnes albo mensurantur; nam visibiles magis dicnntnr et minus, secandam quod accedunt ') vel rece- 5 dant. ^) £t quemadmodum de hiis ^) dicimus que quantitatem 2. G T aeeiyiamtu. T, appnrentiMiìonte alinonn, paìUiora. 5. G T aceùlnnf. */u^uiadmodum t che hì ridnce a risoluzione di nn coiupeiKlio]. e. [T entrambi graficamente ben pia tenni in apparenza che in realtà. Con agevolezza invece V illicOf snlla cui erroneità non cade dub- bio, si lascia ricondurre ad iliud. Una inelinazione un po' soverchia della coda del d basta per far luo- go a scambiare il d stesso per un o e la seconda asta dell' u per un e. Di ciò potrà subito convincersi chi volga gli occhi al nostro me- desimo luogo nella riproduzione del codice di Grenoble, C ll.'\ Ed iìlud toma opportunisMimo; solo, trattandosi di dire ciò che si fa, non quel che s'abbia a fare, convien poi cambiare accipiamìis in acdpimu9. Questo cambiamento è il solo inciampo che mi trovi tra' piedi; ma esso, se si fosse guardato bene, sarebbe apparso necessario anche quando si legge- va et mine; e per fame a meno bisognerebbe sottoporre il testo a ben peggiori torture, la meno bar- bara delle quali sarebbe di met- tere unde dove io scrivo illud. Ora, non ci vuol poi nn grande sfono per supporre che, accanto ai due congiuntivi precedenti, la saccenteria di un trascrittore, o piuttosto di nn lettore, credesse necessario il congiuntivo anche qui, soprattutto forse se illud era diventato ilHco. ') Il Boehmer propose sic {Jahrb,)j certo, come spiega il d'Ovidio, per ottenere l'accordo coli' et sic che abbiam poi. Ma quantunque non sussista la ra- gione opposta dal Giul. richia- mandosi inopportunamente all' et sìcut illud cremonense xix, 1, che « la forma correlativa qui richiede in prima l'altra particella 9, la correzione non mi par da appro- vare. Già, volendo conseguire una corrispondenza esatta, bisogne- rebbe piuttosto procurarsela scri- vendo et sicut nel secondo luogo, essendo piùfacile a prodursi l'omis- sione, anziché 1' aggiunta, del lieve segno per cui il sicut abbre- viato ed il sic si distinguon tra loro. Ma di una tale esattezza non sento vero bisogno ; e trovo che il testo può benissimo rimanere qual è. ^ L' aceidunt, lasciato stare dal Oorb., nonostante che il Tr. {seccandio, che a lui più vicini.,., si stonto) ne suggerisse la correzione, già di per so evidente, fu poi cor- retto dal Maffei. 3) € Qui v' ha olissi , se non la- cuna >, dice il Torri. L' idea del- l' ellissi è la giusta; e il motivo dell' averci ricorso sarà da cer- care nella diversità del comple- mento che i due verbi avrebbe r richiesto {ad illunij ab ilio), *) iis Maffei e posteriori. 92 LIB. I, CAP. XVI, 2-3. et qualitatem ostendunt, de predicameiitoram quolibet, et etiam^) de substantia posse dici patamas; scilicet, unam* quodque mensurabile fit, secandam quod in genere est, ilio quod simplicissimam est in ipso genere. ^) 3. Quapropter in 5 actionibus nostris, qaantamcanqae dividantur in species, hoc signum inveniri oporfcet quo et ipse mensurentur. Nam, *) in 1-2. G T quolibd etiam. 2. T ttibitaìieia. [G *qtiod, (la iuaorire dopo #o7iV^/). 3. G T tnentitrahiU tit. 5. T hee\\ (G hoc per disteso). 6. G quatUttoqus, ^) Gli editori, prevenuti dal Tr. , si sono limitati a fare di etiam un et. Ma che un et ca- desse davanti ad un etiam ab- breviato, com'è ne' codici il no- stro, che dall' et non diiierisce che per la sovrapposizione di un se- gno, è un fatto ben naturale. Ora, et etiam ci dà una progressione, più che opportuna, necessaria, qui, dove, con idea molto ardita, si viene ad estendere il concetto di misura alla sostanza stessa. *) Il Tr. aveva interpretato, cioèj che ogni cofa si può mifurare in quel gtnere coon quella cofa , die è in essco genere simplicissima; e a cotale interpretazione volle far eco il Corb. coli' aggiunta del quod, prima nel codice e poi nel- l' ed., e colla collocazione di una virgola dopo sit e di una dopo ilio. Come mai, lasciando stare il resto, si volesse che la sintassi avesse a dirsela con questa se« conda virgola, in quanto rima- nesse sola ne' suoi paraggi , lo sa il cielo ; il che non tolse che essa si perpetuasse, restando invece l'altra, opportuna, per la via, fino a che non la rimise a posto il Torri. Di un guaio s' accorse finalmente il Witte; e, sempre avendo l'occhio al Tr., propose, quod unumquodque mensurabile sit in genere ilio, se- cundum ic/, quod simplicissimum est in ipso genere; vale a dire, tolse un est, traspose in genere tlln^ ed aggiunse id. Questa la lezione adottata poi, senza la virgola che segue a td, dal Frat.'' e dal Giul. Che non possa trovar grazia nep- pure presso un critico materiale, specialmente dopo aver saputo che anche il quod è di origine spuria, non mi par dubitabile ; e come riuscirebbe poi a dar buon conto di so Vin genere illof Ad og^i guaio mette rimedio l' ovvia sosti- tuzione di fit a sit, e la trasposi- zione della virgola fatale, che già da sola avrebbe fatto moltissimo. ») Il Boehmer {Jahrb.) volle sostituire Jam: il che richiede- rebbe uno sforzo assai maggiore che non paia, non giustificato abbastanza dal vantaggio che il d' Ovidio segnala, di evitare « la vicinanza di due nam, l'uno su- bordinato all' altro. > Per un' ope- ra non condotta neppure a termi- ne, qual è la nostra, argomenti siffatti hanno, ben lo sappiamo, scarsissimo valore. E non ò esatto il dire, come fa il d'Ovidio, che il jam e stabilisce la vera reiasione con ciò che precede ». Questa re- lazione è ben più latinamente si* gnificata dal nam, grazie a quel suo ufficio d'introdurre la dichia- razione specifica di qualcosa, che s' ò accennato in genere. Quanto LIB. I, GAP. XVI, 3-4. 93 quantum simpliciter ut homines agimus, vìrtutem habemus, ut generali ter illam') intelligamus; nam secundum ipsam bonum*) et malum hominem iudicamus; in quantum ut ho- mines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; in quantum ut homines latini agimus, 5 quedam habemus simplicissima signa, et') morum et habi- tuum et locutionis, quibus latine actiones ponderantur et mensurantur. 4. Que quidem nobilissima *) sunt earum que 1. In T, snU' het del compendio oottoliueato halntaeulum, e in marfi^in^ R* li» B, oon che tC allode ni Corbaeeio, p. 51 nell' ed. dello »temo Corb., 190-7 nel t. V delle Opere, ed. Montier]. 8. G T nepe. 11. G T ueUid. In G T a iniziale di Mola ò in fine di linea. 12. In G dopo humilìbut Airono ecritte, rascliinte, e traveniato, come Ropra no», da nna linea ondu- lato, le lettere «p, di onpne chiara alibastonza. 13-4. [T libratan, colla preteea di cor- neggerò It6ra/a]V*J. 14. 11 que ò iu Rnìbc^lue l codici «73. 15. G «zeelleUMÌmii, [-eell^tis»-]. 18. T curiale JiiUìet" : e queeto anticipato Jiefpondetur fu soppreMSO c*in un fn*}^». [G 'om/é Vitrletia Cortiffiano]. r ordine dei due periodetti che precedono, qui espressamente ri- chiamati coli' ut dictum estf ed an- che perchè realmente gli agricol- tori, prima devono sbarazzare , e poi mettere. *) Le edd. decoravi. V.p. 99 n.3. ^) Per ragioni analoghe , ma più forti di qoelle per cai ho ri- spettato avene vili, 2 (nonostante advenarum xv, 2), conservo qui acola, lì vocabolo aveva an dop- pio senso: vicini propinqui y e adventicii (Papia); e ai dae sensi, tra loro cosi diversi, paò essere molto bene che da taluni si faces- se corrìspondereona doppia forma. 3) E meritorio nel Corb. V aver saputo intendere per regula il r'* del cod., nonostante il pef atura del Tr. LIB. I, GAP. XVIIT, 4; XIX, 2. 101 videfcar nugatio, cum curia careamus. Ad quod facile respon- detnr. Nam, licet caria, secundam quod unica accipitnr, ut curia regia Alamanie, in Ytalia non sit, membra tamen eius non desunt; ') et siout membra illius uno principe uniuntur, aie membra huius grafìoso lumino rationis unita snnt. Quare falsum esset dicere curia carere Ytalos, quanquam principe careamus; quoniam curiam habemus, licet corporaliter sit dispersa. o xrs. Quod *) ydiomata italica ad unum reducuntur , et illud ^) appellafur latinum. *) 10 1. Hoc autem vulgare, quod illustre, cardinale, aulicum esse^) et curiale ostensum est, dicimus esse illud quod vulgare latinum *) appellatur. Nam , sicut quoddam vulgare est inve- 1. Il faeUe «^ Rnppllto in G nelV inU«rlineA, di Mrittara minuti. 3. O italia. 4. (i de»ÌHit. In T ora a' ha chiaro desunt; ina p«r effetto di un ritocco wrrettore, «fiercitatoiii ini dò che doveva esser denuit (certo non deitmit). 5. G hi', non illegittimo: ma sotto ni fiejeno d'Abbreviazione nn punto, che parrebbe volerlo annnllare, da ritenersi di prove- ni«nsa pnateriore; (T hiii'). [Sottolineato in G gratioio Ittminé ratitmia]. 8. T dUpta. 0. Dopo Qìtod s' è lasciato in T uno spasmo bianco, come por mia parola, (r ytaliea. T lui fra italita e ad nu d isolato, su cui e' {• nn apice verticale, di minio ancor esso, che avrà forse nna mira annullatrice. 11-12. T aviieum 2 et, (} aulicvm e$t et. 12. G outeixitnum, 13. G latin , T latiìtm. T innrf ^ Hflam. *) L' aver il Tr. tradotto le numbra sue però nom d, mancanttìj non bastò qui a fare accorto della Terità il Corb., affocatosi in qnel cncchiaio d' acqua del 'de^mtf. E da questo vocabolo non sapendosi spiccicare, in ossequio della gram- matica (non davvero del senso) egli mutò in membrum il membra. La sciagorata lesdone ebbe corret- tore il Torri, sussidiato da Y. *) Omesso dal Ginl. 3) Qiul. reducuntur, quod. *) Torri, Latinum Vulgare^ pren- dendo la giunta da V. ^) Tr. èssere, sicché non si può far merito al Corb. del suo esse, ^) Qui e' ò da rimanere più che mai titubanti fra il latinum avu- tosi finora e latium. Per quel che spetta alla materialità, il latium di T può essere frantendimento di un latin; ma è maggiore la vero- simiglianza che provenga da un latiù il laMh di G. E latto vuì- gari parve di dover scrivere xr, 1 ; ed esercita un'azione il rolgar lazio dell'ultima stanza della Te- seide, menzionato qui stesso in nota dal Corb., se lazio è ivi aggettivo. Inoltre dice qualcosa, sebbene meno di quel che parrebbe a pri- ma giunta per via dell' intromis- sione d'un concetto geografico, il semilatium che occorre sotto. Dal- l'altra parte può attribuirsi qualche 102 LIB. I, CAP. XIX, 1. uire quod proprium est Cremone, sic quoddam est in venire quod proprium est *) Lombardie; et sicut est in venire aliquod quod sit proprium Lombardie, est invenire*) aliquod quod sit totius sinistre Ytalie proprium ; et sicut omnia hec est inve- ^ nire, sic et iUud quod totius Ytalie est Et sicut illud ore- 1. T proprium («tal p candikto, che rappresenta la sillaba ^ro, mi piccolo • caiMvllato. che indica come si stoMO iter scrivere primum) est lombardie, correudo a ciò che vien poi. Vinto Hiibito r en'orc , V amannense cancellò lotnbardif, ina sbadatamente gli Bogginsae « Cc«f), nuldoppinndo iier tal modo la cepola. 2. QTpinum; [in entrambi l codici *proprivm]. 2-3. Gf»c est inuenire cUiquod quod H proprium; [*Ug. $ieut ut efc.; "quod tU: inserendo poi *»ie dinanzi all' eH invenire tUiquod che tien dietro. B tatto il tratto tic eat inv. fino a Mt inveniré ò sef^nato sotto con ponti e chioso tra parentesi]. In T 11 ripeterai delle parole lombardie ed ett inuenire «Uiquod ha prodotto 1' omisdione di et tid[ìU] ad invenire aliquod quod ti[t] proprium lombardie. 4. T tociut. 5. I>oix> eie et illud, T eie ietud , cancel- lato. G tociu». poco di valore al latinum della rubrica, che, accompagnato com'è dallo stesso appellatur che qai abbiamo, induce a pensare che r autore delle intitolazioni avesse, o credesse di avere, latinum nel testo suo. E un valore assai più grande ha il IcUinum vulgare va- ca tur che i due codici ci danno concordi più sotto. Poi, qui dove Dante vuole per questa parte ap- parire portavoce dell'universale, la forma più comune par meglio a suo posto. £ cosi mi risolvo per lati* iium, anche perchè io non paia ave* re perii latium delle parzialità, dal- le quali sono davvero ben lontano. *) Il Giul. nelle ultime corre- zioni (p. 444) vorrebbe quod sit proprium: mutamento affatto inu- tile. E si noti come, a quel modo che qui, e di nuovo più sotto, ci è dato est nell'apodosi come nella protasi, frammezzo, dove abbiamo sit nel!' apodosi, la protasi ha sit ancor essa. ^) Trovandosi dinanzi un testo monco, il Tr. aveva dovuto ripa- rare come poteva; e il rimedio era consistito nel recidere, traducendo, anche quel mozzicone di est inve- nirCf supplendo una semplice co- pula: eoai se ne può trovare untù, che è pr oprilo di Ltomhardia^ U un altra), che è proprito di tutta la sinistra parte d'Italia, Da ciò la parentesi e i punti segnati al di sotto dal Gorb., che indicano bene anche in lui un primo proposito di sopprimere tutte quelle parole, met- tendosi cosi perfettamente d'ac- cordo colla versione. Ma a tempo si ravvide, e ri tenue ciò che il suo codice gli dava in più, correggen- dolo a dovere. E aggiunta ragio- nevole è anche il sic passato nel- le stampe^ {Lombardiae , sic esi\ che la chiarezza e più ancora il parallelismo degli altri luoghi rendono certo desiderabile, e al quale tuttavia io rinunzio, non potendosi dire propriamente ne- cessario. Neil' ed. Oiul. il ritomo delle stesse parole ha qui* prodot- to un'omissione simile a quella di T. Si è saltato, cioè, quod sit prò* prium Lombardì{a)e est invenire aliquod. E alla grave inavverten- za non s' è messo riparo neppure nell' errata-corrige. LID. I, GAP. XIX, 1-2. 103 monense, ac illud lombardum, et terfciam semilatiam dioi- tur,*) sic istnd quod totius Ytalie est latinum vulgare vocatur. Hoc enim usi sunt doctores ') illusbres qui lingua vulgari poetati sunt in Ytalia, ut Siculi, Apuli,. Tusci, Bomaudioli, Lombardi, et utriusque Marchie viri. 2. Et quia intentio B nostra , ut poHcifei sumus in principio huius operis , est doctrinam de vulgari eloquentia tradere, ab ipso, tanquam ab excellentissimo, incipientes, quos putamus ipso dignos 1. T terHnm, 1-2. In G s'era scritto Bemilatium uulgare uocatur. Quindi il uulgare fii raacliiato (n$. Xel margine, accanto al rigo che lo contiene e che va da puta\,mus ad ubi, un B. cancellMo]. *) Per le ragioni che si vedono nell'apparato, il dicitur mancò per gran tempo alle stampe, e fa primamente restituito dal Torri, colla scorta di T e Y, e della tra- dazione. ^) IL Giul., commentando il dictaiorum II, vi, 4, dice di tene- re « per certo, che qaante volte nel presente Trattato occorre il voca- bolo doctores,.., debba riporsi cZt'c^a- tores >: proprio a rovescio del Frompt, il quale , non intendendo il dictaiorum, gli vuole colà sosti- tuito dociorum (p. 51). All'idea ma- nifestata con tanta sicurezza par- rebbe che il Ginl. rinunziasse poi, dacché altrimenti ci s' aspette- rebbe di vederla applicata nelle correzioni in fine del volume; il che non avviene ; e davvero ci vo- leva del coraggio a voler sbandito sempre un vocabolo, che occorre, oltreché in questo nostro luogo, in altri sei (I, ix, 2 e3; z, 8; xii, 2, XV, 5; II, Y, 4). Solo qui le corre- zioni segnano una proposta; ma — cosa singolare — in cambio di dictatores, è dicitores che ora si vorrebbe introdurre. Il Boehmer dichiara, R, St., di starsene alla volgata; e ben si capisce. 104 LIB. I, GAP. XIX, 2. uii, et propter quid, et quomodo, nec non ubi, quando ^) et ad quos ipsum dirlgendum sit, in inmediatis libris tractabimos. Quibus illuminatis, inferiora vulgarla illuminare curabimus, gradatim descendentes ad illud, quod uuius solius familie 5 proprium est. 2. L' m- (li inmediatis è aci'itto por ilhibciso nei due opilici; [o il vocabolo iiuieoie coir 7 che lo i)recodo, è sottolineato in G]. 3 . Tra inferiora e uulgaria »* ha in G una breve tiprauj^hotta, che parrebbe aver prt'so il posto di qualche lettera raschiata dall' ori- j;iue. T eurabimuM ttoliiu fainilie, con un li'ego su quento due ultime parole, clie s' enuiu untieiimte. 4. G T deseendentem -, [G -^«8]. T ti#it««. In T s' era Si'ritto familie t : \ioì r amanuense, accortosi dello sbaglio, causò 1' è (e»0 ^ aggiunse proprium ert. i) Torri et quando (Tr. £ quan- sogno, sebbene approvato anche d(o)j con un e^ di cui non s'ba bi- dal Boebmer, R. St, DE VULGARI ELOQÙENTIA LIBER SECUNDUS. U Incipit sbcundus libeb. I. Quibu8 conveniat uti polito et ornato vulgare^)^ et quibiis non conveniat *) 1. Solicifcantes ^) ifcerum celeritatem *) ingenii nostri ^) ad calamuia *) frugi operis redountes, ante omnia confitemur 1. L* ineipU teeundiu libcr è Bcritto nel margine di G , di lettera piii minnt« , si- mile al AQpplemento del capitolo precedente in qnesto margine stesso (Y. p. 103, 1> 1-2) ; e le parole sono sottolineato in rosso. [Un lAber teeundtu , marginale ancor esso, di T, fti ap- ponto modernamente]. 2-3. Il trascrittore di X aveva qm riscritto la mbrica del capi- tolo xviii del L I: De excelentia uulgarU eloquenlie et qìiod comunis e4t amnibu» ytcUici». Avvistosi dello sbaglio , vi tirò sopra nn frego , servendosi anche per cotal oso del minio , e pose in cidce , con un segno di linvio, la rabrioa vera. 2. G uttlgari; ma V -i finale, sa rasura , è in nero, e però da attribnire ad altri che a ohi trascrìsse. 4. La piccola « che servì di guida a chi eseguì in G 1' iniziale maiuscola di SolicUantes è ancora ben visibile in mezzo a questa inixiale; [*/. Polic-] ; T rolicUamUs. G T eelebritalem, 6. T noitri . od Calamum. In Q ad ea- ò su rasura, ma originario. Le ultime letU>re cancellate erano, se non erro, la. G redeuUt, [supplita una lineetta tennissima sul secondo 0, invece che sali' u\. *) Vulgari le stampe. ') Il Gioì, omise et quibus ecc. 3) Il Policitantes che T ci offre e che il Gorb. congetturò attra- verso al Frarniettbndo) del Tr., eb- be, con l raddoppiata dal Maffei in qua, a mantenersi poi sempre. Che il Sol- di Q- gli sia stato im- molato a torto, rileva anche il Prompt (p. 48). Per sé stesso Poli" citantes, se si passa sopra alla poca opportunità del frequentativo, può difendersi con richiami alla fine del libro antecedente e al suo princi- pio; ma esso non trova, né può pro- cacciarsi con mezzi leciti (V. n. 4), nn oggetto che ben gli sbattagli. So- licUatUes sta invece a meraviglia. E gli cresce autorità anche la si- carezza — senza riscontro in T — che VS maiuscola rabescata, sìa la traduzione fedele della lette- rina apposta nel trascrivere (V. l'apparato). ^) Va accolta la correzione che il Frat. introdusse fin dalla 1* ed., tirandosi dietro più che volontero- so il Torri, ma non il Giul., che surrogò invece un suo arbitrario sedulitatem, E celeritatem diventa ben altrimenti sodisfacente col So- licitanteSj sicché ora dovrebbe pia- cere anche al Boehmer, che prima (jR. St.) non se n'appagava a ragio- ne. Celeritas ingenii è nei classici. Quanto al celebritaSy ch'io non sa- prei intendere se non in un senso troppo , e troppo goffamente im- modesto, dovrà bene Torigiue alla divulgazione della fama dantesca. ^) Un etj qui inserito dal Corb, (Tr. e) e perpetuatosi al solito, piuttosto che giovare, nuoce. ^) L'accoppiamento di calamum 108 LIB. n, GAP. I, 1. latinum vulgare illustre tam prosaice quam metrice decere proferri. Sed quia ipsum prosaicantes ab inventoribus magis accipiunt, et quia quod inventum *) est prosaicantibas per- manere videtur*) exemplar et non e converso'), que quen- 1. G T deceri; [G decert-i). G proferi. 2. T protayeante». G ad, [ah]. G T tnti«n- tibu4; [G *inueììtorib. ; T *otrMÌfiC', col resto della parola, -atoribxu o -antiòitf che sia, co- perto da aDa toppa]. 3. [Sair e< di X fa tirato nn frego]. G T auietum, con qualche dabbio ciie quello di T possa anche essere auietum; [G *inuentum, T *ter9ificatufn t9t\. 3-4. G T per mare; [G *permanet; T V*"»"»-! © il rimanente coperto come sopra]. 4. G .»., T .F., AormoDtati da qa^cosa che in G lia T apparenza di n, in T piuttosto di tCt e clie non è ao non una varietà del Beguo" . G «9". [(J *quia, qual correzione di qut]. .4— p. 109, 1. G T quedam; [T *quideìn]. con frugi operis riesce, per verità, molto ostico, e nemmeno il redire è il verbo che noi ci aspetterem- mo. Però è doveroso il cercare una correzione, pur dovendo ri- nunziare a fondarsi comunque sulla rasura di 0-, alla quale to- glie per questo rispetto ogni va- lore la concordanza della seconda scrittura colla primitiva di T. E subito vien fatto di pensare a . Scorto il guasto, il Boehmer volle cosi risarcirlo: reperiendum est id quod intelligimus per illud quod dicimus dignum esse. Si di- gnum est quod dignitatem habet, sicut nobile quod nobUitatem,., Ma il rimedio non era felice. che ci fa queìVessef E può mai ammet- tersi che la soluzione di un prò» blema cosi categoricamente pro- posto sia data in forma di ipotesi? Ebbe dunque piena ragione il Giul. di seguire il critico tedesco solo nella parte negativa: e per soo conto scrisse. Circa quod primo reperiendum est id, quod intelli- gimus per Ulud quod dicimus di- gnum. Dignum est quod dignità' tem habet, sicut nobile quod nobi' litatem,.,', e solo gli accadde di oscillare fra Dignum est quod, e Est dignum id quod (V. i Commen- ti), e da ultimo (p. 444) venne an- che nell'idea — molto infelice, dacché avrebbe per effetto di to- gliere a dignum un predominio ri- chiesto imperiosamente dal senso — che a sicut fosse da sostituire siCf certo col proposito di far pre- cedere un'interpunzione maggiore della virgola. Nella forma adottata (la variante che s'ha nei Com- menti cozza troppo manifestamen- te contro la ragione diplomatica) la correzione è buona di sicaro; tuttavia, se apparisce ben naturale la caduta di un dignum accanto ad un altro, non può dirsi altrettanto della metamorfosi di est in esse. Si capirebbe subito il fatto inverso: che in cambio di iè si fosse scritr to é; ma perchè dal semplice si passasse al complesso, bisognava che ne ascisse qualcosa di appa- rentemente limpido; il che non à nient' affatto. Però io ai appiglio invece all'ipotesi ohe il testo pri- mitivo contenesse due Tolte dtd- L1B. n, GAP. Il, 2. 116 habituatum, cognita diguitate cognoaoemus et dignum. ^) 1. T huiut u oogmta; e non altrimenti G, aalro ohe ivi invece di huitu disteso s' ha hìti', e che nel compendio che tien dietro, al poeto della lettera principale s' hanno due aste di- ritte, che potrebbero non essere riunite per un* ambiguità voluta ; si badi tuttavia ehe, men- tre abbiamo moltissimi u in condizione assai analoga, nell' n 1' unione è poco mono che co- stante. Non tacerò che questo compendio cade in G in fin di linea [*/. iffitur], e che in T è chiuso tra due « vlrgulae ». [£ in T sull' huiut fbrono messi due punti verticali, a cni ne ri- spoodoBO in margine altri due, residuo di una correzione, che fu scritta e raschiata]. mua diffnum, £ ne risalta uu modo di parlare, che molto piace a Dan* te: I, XVI, 2, Resumentes igitur ve- nabula nostra, dicimus quod*,,, unum oportet esse,,..; xix, 1; Hoc ùutem vulgare dicimus esse iUud,.,; II, III, 2, Volentes ergo mo- dum iradere,,» primum dicimus esse ad memoriam reducendum,,/, IT, 8, Ante omnia ergo dicimus...; vili, 7, Dicimus ergo quod can* tio,.. E potrei seguitare, e addurre •sempi anche dalle altre opere dell'Alighieri, se non fosse super- fluo. Ohe il dicimus venga ad es- sere usato prima in un senso, e poi subito (ma con un certo di- stacco) in uno un poco diverso, non mi pare ostacolo da arrestarci in una via del resto cosi piana. ^) Ancora un passo chiaro per il coneetto, e che nondimeno m*ha dato da tribolare. Non ch'io abbia avuto mai dubbi sulla legittimità del si de' mss., già ristabilito con- getturalmente dalBoehmer, Jàhrb., là dove prima si leggeva sic per fatto del Corb. (Tr. ctosì)^ e dove al Giul. piacque di sostituire sicut; nò che m'abbia tentato la scom- posizione di habituante, spinoso, eppure voluto da hahttuatumy in habitu ante (si noti la superfluità dell' arverbio e il suo inframmet- tersi disturbatore tra vocaboli che hanno sete di vicinanza), giusta una congettura del Boehmer stes- so, di oui anche il Giul. non volle sapere; ma cosa fare del compen- dio che i codici hanno dopo huius^ Ubi, ossia ciò che immediatamente se ne ricaverebbe, starebbe benis- simo con un soggiuntivo; ma col- l'ablativo assolato non regge. Ben- sì parrebbe reggere nisi, che avremmo piena libertà di surro- gargli, e al quale sarebbe piena- mente lecito di assegnare il valore di non nisi, ohe esso ha forse ta- lora anche nella latinità classica, e certo poi nella non classica. Ma allora nella protasi si sarebbe do- vuto avere un tantum^ o qualcosa di consimile. Nò si dica che, solo ohe cognito habituante si pronunzi con enfasi, se ne può fare a meno; dacché in tal caso non do vrebb' es- serci neppur nisi nell'apodosi, E poniamo che — scartato un habitu tantum in luogo di Jiabituante, per una ragione già detta e per via della collocazione — un tantum (tm) si supponesse perduto dopo co^t^o, passando sopra alla caco- fonia: Vet dinanzi a dignum reste- rebbe a dar noia, come soverchio. — Dunque al nisi era da rinun- ziare; ma più che mai era da ri- nunziare all' unde , adottato dal Corb. nella stampa, in luogo del troppo arbitrario igitur a cui aveva prima pensato (Tr, però); chò eesp importa la necessità del sic per il si, dando per tal modo come con- seguenza di quel che precede, ciò che non è per nulla. Sta bene 116 LIB. II, GAP. n, 2. Est etenim ^) dignitas meritoram effectus sive terminus: ufc, cum quis bene meruifc, ad boni dignitatem profectum *) esse dicimus, cum male vero, ad mali; puta bene milìtantem ad victorie dignitatem, bene aatem regentem, ad regni, nec 5 non mendacem ad ruboris dignitatem, et latronem ad eam 1. T éèt enim, [con cancellazione del primo e] ; G ettet enim, [*e«<]. G «ine, [nne]. 2-4. Al posto di profectum T htL/ectttm preceduto da nn p che è intiieme prò e per^ avendo U coda serpeggiante del primo e il taglio del secondo ; G f/eHum, [/. peruentum]. Tntto 11 tratto poi da per/ectum a ad uictorie (T aditUorie) dignitatem, stato saltato tn G per il ritomo di quest' ultima parola, vi fa 8p.ppIito in margine di lettera più minata, con nn richiamo, che ò fregiato di minio; ed è tracciata col minio anche ana linea posta di fianco alla giunta, per raccoglierla e dirìgerla alla sua Hede. 6. L' i di niborit è in G so rannra, ma originario. dunque cbe, se àeWunde si tennero ancora contenti il Torri e il Frat., non se ne contentasse il Boehmer, il qnale sostituì inde, accettato dal Giul.| sebbene poi questi s'indu- cesse di nuovo a respingerlo, ri- tornando alla volgata (p. 444). Ma inde, siasi poi scritto si col Boeh- mer, oppure, peggiorando, sicut col Giul., è una superfluità ingom- brante ; e con che diritto allora in- trometterlo? — Dopo lunghe dub- biezze, e dopo avere, con mio vantaggio, trascinato con me tra queste spine gli amici Tocco e Vi- telli, sono venuto alla soluzione, a cui ho dato luogo nel testo. Da un pezzo avevo notato che anche Vhuius, non sospettato finora altro che dal Tr. (V. l'apparato), reggeva grammaticalmente assai male; solo con grandissima fatica si poteva indursi ad ammettere che un re- sj^ectu huius (cioè habituantis) avesse prodotto per forza d'ana- /logia un tn quantum huius; e la grammatica non era neppur la sola a dolersi. Da ciò al pensare che huius e l'enimma che gli teneva dietro costituissero insieme il ce» spuglio in cui s'annidasse la serpe, non c'era che un passo. Ora, si supponga ìiabituattim scritto in compendio h'itttatù, od anche, tanto più che si tratta di ripetere nn vocabolo avutosi pur dianzi, in forma più condensata; si supponga che una macchia, o qualche altro accidente sottraesse in un esem- plare la parte interna del voca- bolo: ecco risultai*e senza difficoltà per chiunque abbia pratica di pa- leografìa e sappia mettersi nelle condizioni di chi doveva trascrì- vere un modello cosiffatto, o me- glio una sua copia, ciò che i codici portano. Si noti che, anche pacifi- catosi coìV huius f il Tr. tradusse in quanta^ habituatm di quesito, ^) Le edd. Est enim: lezione da cui mal poteva uscire ciò che ab* biamo ne'codicL Invece da è etenim si passa subito all'eè^ enim di T, del quale viene ad essere mera ri- soluzione Vesset enim di G. Quanto ad etenim collocato in secondo luogo, ritorna, per non andar più lontano, anche sotto nel § 6. *) Il perventum del Corb. (Tr. pervenuta) s'è mantenuto sempre. Alla lezione gi^nnina, che balza su- bito agli occhi in T, non era diffi- cile venire neppure da G. E ci è venuto difatti, ed anzi credette di leggerlo addirittura nel codice, anche il Prompt, G, />., I, 61. Lra. II, GAP. n, 2-3. 117 que est mortis. 3. Sed oum in ) bene merentibus fiant comparationes, et in aliis etiam, ') ut quidam bene, quidam melius, quidam optime — quidam male, quidam peius, qui- dam pessime mereantur, et huiusmodi comparatioues non fiant nisi per respectum ad terminum meritorum % quem 5 dignitatem dioimus, ut dictum est, mauifeatum esb ut digni- tates in ter se comparentur^) secundum magis et minus, ut quedam magne, quedam maiores, quedam maxime sint; et per consequens, aliquid*) dignum, alìquid dignius®), aliquid dignissimum esse coustat. Et cum comparatio dignitatum 10 non fiat circa idem obiectum, sei circa diversa, ut dignius dicamus quod maioribus, dignissimum quod maximis diguum est, quia nichil eodem dignius') esse potedt, manifestum est 1. G eutn bene , [separati da xiu richiamo, cui riipomlo 'f. in]. 2. T qtiedatn bene , con correzione dell' e di quedam in t: per qual mano, non XK>aso accertare. 3. nuUe è in G snpplito nopra in piccolo. 9. G T a^d.. ahi., a^d. 12. G T 4 maioriòtu, {ritoccata la coda in G, perchè dicesse quod], T g., G qui; [G ^uodj. [G ^m^iximi», come già poteva interpretarsi il maxim' del tosto, cornano a TJ. 18. T mànum, [*uuini/i9tuìn]. In G la lineetta ravrapposta è on po' pih a destra. *) Sempre cosi le ecld, *) Il Corb., e quindi tutta la ca- terva delle edd., sicut in aliis: so- stituzione, nonché inutile, perver- ti tri oe. 3) Meritorum fu omesso nel te- sto del Giul., ma ristabilito nelle correzioni. ♦) Le edd., per fatto del Corb., quod dignitates inter se comparane tur^ salvo che il Giul. ebbe prima a stampare comparentur ^ ravve- dendosi poi (p. 444). Certo sarebbe preferibile che Dante avesse scrit- to cosi (cfr. sotto), anche per evi- lare la soverchia abbondanza de- gli ut. Ma alle negligenze di stile sappiamo che non s' è in diritto di attribuir peso ; e quanto alla sintassi, Fautore può aver tradotto alla lettera un « come le dignità fra loro si paragonino >. E si pen- si alla costruzione con sequitur. '') Gli è cosi che la ragion di- plomatica vuol che si legga, come già si fece dal trascrittore di V, il triplice compendio dei mss., reso con aliud dalle edd. Nei codici no- stri esso occorre — comune sem- pre ad entrambi — in quattro al- tri luoghi: I, XV, 2, II, xiii, 8, e — due volte — xiv, 2; e sem- pre vale aliquid. Se invece aliud s'abbrevia (I, ix, 5 e 8, e — nel solo T — xviii, 3), è a'* che noi ab- biamo. E poiché aliquid torna bene ancor esso (cfr. i tre que- dam precedenti), non é da dipar- tirsene. «) Neil' ed. Frat. del 1861 fu omesso per inavvertenza ciò che 11 sarebbe stato aliud dignius, ^) Il concetto che la logica vuo- le si ricavi da questo luogo, par- rebbe risultarne meglio se s'avesse in eodem, E qualcuno sarà for- 118 LIB. n, GAP. Il, 8-4. quod optima optimis, seoandum rerum exigentiam , digna sint. Unde cum hoo quod dioimus illustre alt optimaxn alio- rum yulgarium, oonsequens est ut sola optima digna sint ipso traotari, que quidem tractandomm dignissima nunoa- 5 pamus. Nuno autem que sint ipsa venemur. 4. Ad quorum evidentiam sciendum est, quod siout homo tripliciter spiri- tuatus est, spiritu videlioet vegetabili, ammali et rationali,*) 1. T «rigmuiam. G dignam, [digna]. 0. T, te non slxm^lio, euidenciam «onvettito in ^lidentiam. 6-7. [G, accanto a tpirituatué ett, ha la glonaa, per verità poco opportuna. *npo« To voou^l«av]. G T tpÌTitutUu9 ett (qui ftniiice 1» linea In 6) videliegt. Sgancile tentato di scrivere eodem diynum et dignius. Ma io non credo che sìa da mutar nulla. ') Il testo portato dai mas. fu lasciato tal quale, nonché dal Corb., dal Torri, ohe pure fermò sul passo non poca attenzione (p. 108-106). Ma esso non può stare in nessun modo; non essendoci verso di co- stringere, come sarebbe necessario, quei tre aggettivi, vegetabili, ani' mali, rationali, uà aver forza di so- stantivo ed a significare < con un che di vegetale » ecc. Il Witte per- tanto in seri dinanzi a videlicet la pa- rola spiritu] e fu seguito dal Frat^. Il Boehmer invece ( (come si vede, non cerco di scappare attraverso alle maglie, sofisticando sulla interpretazione), se si poB mente che spirito nel lingmaggio filosofico medievale era ben meno di anima, E lo e spirito » trova eonforto nel passo, allegato da un peno, del e xxv del Purg,, ohe in quel suo spira SpiHto (v. 71-72) ci dà anche una figura etimologica molto simile al no- stro ^irUuatas spiritu. Il ohe è ima ragione di più per ritenere che lo spiritu sia proprio caduto materialmente, in cambio di pen- sare che Dante, per un'illusione prodotta da spirituatus, abbia tra- lasciato di esprimerlo. Si consi- deri quanto beoe si comprenda per parte di un trascrittore l'omis- sione di un vocabolo siffatto, che, separato da sqnrituaJtus^ nella ool- locasione da me adottata, solo me- diante est (forse e), potò parerne an secondo esemplare incompleto. *) La lesione introdotta nel luo- go discusso diana portò il Oiul. a giudicar molto tortamente anche del vegetabile quid estj e a sosti- tuire qui vegetabilis est, e sotto animalis.,., roHonalis. All'errore s' era aperta la via dal Frat., che già aveva tolto il quid. *) Questo supplemento, messo nel testo dal Corb., ma del quale, a esser giusti, bisogna far autore il Tr. (a fa natura angdica)^ si può riguardare come sicuro. Si veda, p. es., S. Tommaso, Summit, P.*' 1% qu. 60, art. 2 e 8. Solo ci potrebbe essere luogo a dubitare sul pre- porre, o posporre, il vocabolo a sociatur. ') Cosi primamente l'ed. Pa- squali del 1741, mentre Oorb, e 120 LTB. II, GAP. Il, 6-6. intentam oinnium quereutium utilitatem, nil aliad quam salutem inveniemus. Secando, in eo quod est delectabile: in quo dioimus illnd esse maxime delectabile quod per precio- sissiraum obieotum appetitus delectat; hoc autem Venns B est'). Tertio, in eo quod est honestum; in quo nemo dubitai esse virtutem. Quare hec tria, Salus videlicet, Venus et*) Yirtus, apparent esse illa magnalia que sint maxime per- tractanda, hoc esb ea que maxima^) sunt ad ista, ut armo- rum probitas, amoris accensio, et dìrectio voluntatis. 6. Circa 10 que sola, si bene recolimus, illusbres viros invenimus vulga- riter poetasse; scilicet Bertramum de Bornio, arma; Arnal- dum Danielem, amorem; Gerardum de Bornello, rectitudinem ; 4-5. G wntu Bensa eH. 5. T tfreió. 6. G uidet (T uidj). 6>7. T uenuM quiritts; e coBÌ avrà avuto eli certo anche G [avanti che ana mano corrcttrico raachia«8o la prima par- to della seconda parola, o aalla rasura scrivesse vir-]. 7. In T dopo sitU maxime s' ha oa i, cio^ gunt, cauc-ellato poi, dovuto all'estro l'occhio corso pih iunaosi. 8. G T maxime. 0. G poeetatse. [Di fianco alla linea che contiene il nome dì Bertran del Bornio, G *1>, che nessuno avrà fatica a spiejrursi]. 11-12. T Aì'nanldum. Maffei avevano conservato il ca' lide dei mss. (Tr. accortamente), *) Suir autorità di T e V Vest fu introdotto dal Torri (-= Frat^ Giul.). £ anch'io lo mantengo; che, 86 contro il fatto diplomatico si potrebbero subito opporre ragioni atte a togliergli forza, l'ellissi in condizioni come queste par meno conforme air uso dantesco. ^) Questo et^ che fa qui la sua prima apparizione, mi è dato dal q preposto a virtus nella tradizione manoscritta, che sarà emanato di certo da frantendi mento del com- pendio della congiunzione copula- tiva. ^) Corb. ecc. CTr. grandissime). Il que maxime sunt ad ista dei codici significherebbe, a rigore, che «più servono », « più giova- no »; e interpretato cosi trova un inciampo neir amoris accensio , rispetto alla quale sarebbe un par- lar curioso il dire che maxime est ad Venerem, Bensì il maxime starebbe benissimo, quando col Torri e il Frat.*', che lo conobbe- ro da V e che mostrarono di pre- ferirlo, pur non osando adottar- lo per la credenza che fosse di y soltanto, s'avesse a intendere « che principalmente appartengo- no 9, Ma a me par più difficile l'in* terpretare cosi, che non sia il dare alla lezione che ho mantenuto il senso di « che tengono il primo posto rispetto a queste cose ». E giovano alla causa del mctxima il que maxima sunt e il que maxima sint precedenti. Quanto all'altera- zione di maxima in maxime, non può certo fare ostacolo in tanta prossimità di un maximey e dopo 1' esempio indubitato avutosene dianzi in G. Avverto che per il maxime si dichiarò nei Commenti anche il Gioì. LIB. II, GAP. II, 6. 121 Cinum Pistoriensem, amorem; Amicum eius, reotitudinem. Bertramus etenim ait: Non pose mudar e un cantar non expar- ja, *) Arnaldas: Laura amara -fai bruol braiicuz - dairir, ') Ge- rardus : Per solaz reveiUar Che s^es trop endormUz, ^) Oinus : 2. T pnò aver poéc, ma auche potè,- G posse. G T nuldat. G T càtU, che \M^r T abneuo sarebbe indubbiamente cartar. 3. G T lirancù. T clanur, col ci iuduì)iliil)ile, ma avTÌiìj];hiato in modo da Aomigliare u un d, d' una fopiia, del n>8(4>, qui non n«it;i; G nettisaimamento damir. 4. G iolà. T reueUar. G che* trop, T ehcs j? trop. G emlori- 1ÙZ, T eudomuz. In G io leggo cin', [non cosi chiaramente tutUivia clie non sia giustifi- cato un *Cfimu]', T Cfui\ oppure, meno pi-obabilmento, Ciu'. *) V.Stimming, i^er^ran de Barn, p. 183 e 312. — Tr. Num pos nul dai ctan cantar mo exparia; Gorb. Non posse ntU dat^ cum cantar non exparia. Il Torri (V. ciò che ho detto p. 41 D. 2), Noìi puesc mu- dar mon q*un chantar non espar- ja: dove gli accadde di scrivere insieme mon e q'un, che per il Naso ucci costituivano certo (V. sotto) due lezioni distinte. Però tralasciò mon il Frat.^ (delle prime dae edd., condotte per questa parte in generale sul Tr., non è da tener conto), copiato poi dal Giul. La le- zione ch'io ricavo dai mss. non differisce da quella del Bartsch^ D, J., Uf 382, se non per essermi parso di dover rispettare 1' ex-^ non raro ne' codici di cose proven- zali. £ pose, si badi, ò nel Chigiano L. IV. 106, che si accompagna colla lezione nostra anche in quan- to ha qun dove gli altri mss. a me noti (naturalmente le sue copie non contano, e poco conta anche il Barbieri, Orig. d. Poesia rim,, p. 99) hanno solo unj oppure mon, E sebbene comune al Maro. App, XI e al Laur XLI, 43, è ivi da rile- vare anche esparia, di fronte al- V esparga degli altri codici. Quanto a cantar, poco importa avvertire che nel Marc, trova riscontro an- cor esso. 2) V. Canello, Vita e Op. del Tt'ov. Arn. Dan., p. 105 e 153. -Tr. Laura amara fai bruol brancum danur; Corb. Laura amara fai bruol Brancum damir, Torri-Naun. (= Frat.*', Giul.), L'aura amara fa 'Is broils blancutz clarzir^ dove la versione indica che il Naun. do- vette scrivere branciitz; Bartsch, Uaura amara fals broills bran- cutz II clarzir. Nei mss. nostri Branca è manifesto o innocentis- simo frantendimento di Brancuj (cfr. 1. 4 il sola di G); e sotto gli sgorbi deir ultima parola si trova subito il clainr dei codici parigini 854 e 12473 (cfr. anche clarir nel Vat. 3207). A produrre incertezza rimane solo fai bruol, dov'è fals bruols che si dovrebbe avere. Ma poiché fai è in quattro codici, o due di questi hanno anche bruoilhy non mi so indurre ad aggiungere &'. Che se l' aggiungessi, propende- rei ad aggiungerla al bruol sol- tanto. Quanto alle lineette che ho intromesso, esse intendono di di- stinguere senza proprio dividere, e sono il riflesso di un modo di ve- dere non ben conforme a quello de- gli editori che la poesia di Arnaldo ha avuto fin qui, rispetto alla sua ritmica. 3) Tr. Più stolaz revdlar, clu per trop en dotrmir; Corb. Più so- ia 122 LiB. II, GAP. li, 6-7; III, 1-2. Digno sono eo de morte. ^) Amious eius: Doglia mi reca tieUo core ardire. *) Arma vero nullam latium ^) adhuc inverno poetasse. 7. Hiis*) proinde visis, que canenda sint vulgari altissimo innotesennt. III. Diatinguit quibus modis oulgariter versificatore ^) jjoetantur. Nunc autem quomodo ea coartare debemus, que tanto snnfc digna vulgari, sollioite vestigare conemur. 2. Volentes 1. G d'. 2. Q UcHn^ , [*lea. HB. II, GAP. in, 6-7. 125 runt : sed cantiones magis ^) afferunt *) suis ^) conditoribus qnam ballate; igitor nobiliores siint, et per consequens mo- dus earum nobilissimus alioram. 6. Preterea, qae nobilis- sima sunt karissime oonservantur : sed inter ea que cantata snnt cantiones karissime oonservantur, ut constat visitanti- 6 bus libros; ergo cantiones nobilissime sunt, et per consequens modus earum nobilissimus est. 7. Ad hoc ^), in artificiatis illud est nobilissimum quod totam comprendit artem: cum igitur^)ea que cantantur artificiata existant et in solis can- tionibus ars tota comprendatur *), cantiones nobilissime 10 1. O T diffeninl; [G "affemnt, T afferuni]. 3. O nolnUvinmw. 3-4. (i rwbilHsH- Mi'i. 4. G earvfHme, T CarUtime G. (r nobilliMitime. 7. (t nobillintimitjt. Ct T Ad h'. 8. (i nobUlùttimum. T to(a, [lotu]. 10. T comp\\hendatìir, G ctyinjhidUHr. (} T eatUtt- nfs; [G eaniónea]. II Torri (== Frat.'', Giul.) s'attentò qui ad aggiangere hono- riSf per l'idea irragionevole che lasciandolo sottinteso < il sillogi- smo • rimanesse < imperfetto ed oscuro ». ') Che il differunt non possa stare, è cosa certa. Solo son rima- sto dubbioso tra V afferunt, intro- dotto dai primi correttori e venu- tosi, naturalmente, a perpetuare, e un deferuntf a cui, attraverso a un (lefferunt (cfr., nonostante quel che c'ò di peculiare, il defferi p. 11, 1. 7), pareva condurmi più di buon grado la ragione diploma- tica. Ma poiché, considerando be- ne, questa non rifiuta il suo as- senso neppure all'altra ipotesi essendo V a suscettibile di forme che dessero luogo allo scambio, e poiché la logica desidera di cer- to, tanto più coll'ellissi di honoriSf che nella premessa minore ritor- ni il vocabolo stesso che s' ebbe nella maggiore , non mi discosto neppur io dalla vecchia corre- zione. La quale ha anche il van- taggio di non obbligarci a corcar spiegazioni per il raddoppiamento dell' f. Che se fa meraviglia, come ebbe a rilevare colla solita avve- dutezza il Vitelli, che V afferunt antecedente non sia riuscito una salvaguardia bastevole contro l'er- rore, i segni di una trascrizione sbadata abbondano troppo nella tradizione dei nostri codici perchè l'ostacolo c'impedisca di passar oltre. ^) Tralasciato dal Corb., rista- bilito dal Torri (= Frat.^ GiuL). *) Le edd. adkuc o Adhuc : con che, tanto o quanto, si fa forza ai codici, senza bisogno nessuno. Che sopra si sia detto adhuc , non ò una buona ragione, anche se gue- st' adhuc apparisce diviso in uno dei codici. Anzi, poiché le due for- me stanno bene entrambe, giova che s'avvicendino. ^) Le stampe ergo, ^) Cosi già il Corb.; né di cer- to, avendosi eocistant, poteva tol- lerarsi da chicchessia l'indicativo. (Maffei e successivi, conforme- 126 LIB. II, GAP. UI, 7-8. sunt, et sic modus earam nobilissimus ali(M'am. Quod auiem tota comprendatur in caationibus ars cantandì poetice, in hoc palatar ^), quod quicquid artis reperìtur, in ipsis repe- ritur ') ; sed non converti tur hoc. ^) 8. Signum autem horum 5 que dicimus promptum in conspectu habetur; nam quicquid de cacuminibus illustrium capitani poetantium profluxit ad labia, in solis cantionibus iuvenitur. Quare ad propositum patet quod ea que digna sunt vulgari altissimo, in cantioni- bus tractanda sunt. 1. G twlillisHinfU. 2. T emaphendatur. 3-4. lì T arfiuu [li nrtiM] rrjtrrUur. std; [il "Vùletur de^Me, in illù eit , oou un richiamo dopo rejìerUur; T in ìIUm, coi ricliuftiiìo (loiM) Krd] 4. Dopo eonucrtUur T ha una « virji^ila », eliti non mi )M(ns oris^inarla. 6. G T iUHgtrum. Q portantium, [poet-]; e portaneium ti'oni Hcritto anche in T; wninoncht^ ivi r r paiTt^bbe (x>rrotto in e dall' amanaooAo stesso. G pro/uxit , [profìitsU] : T per/urit , {'proflxixit]. 8. [T paUt, ri.solaziono del p^ dol tosto]. mente ali* ortografia da essi se- guita qui e negli altri casi analo- gia, comprehendaiur), ^) Gioì., con ano de' suoi arbi- trii curiosi, patet, ^) Duolo che in un passo, che obbliga a riflettere anche altri- menti, s' aggiunga un guasto del- la lezione. Stampando , il Corb. scrisse, dipartendosi un pochino dalla sua prima idea, quicquid artis reperituTy in ipsis èst (Tr. £ in esse); e cosi fa poi fatto sem- pre. Ck>l supplemento mio , che potrebb* esser del pari , ma non sensa inconvenienti, in hiis repe- rituVf riesce spiegato come remis- sione avvenisse; e non sarà da trascurare del tutto neppure il suffragio che viene dal panto dopo reperitur in ambedue i mss. DsX- Vartius dei qnaii taluno potrà es- sere spinto a scrivere, invece del semplice artis^ artis huius, aggiun- gendo an pronome che qualche utilità parrebbe darla. Ma l'appi- glio sarebbe infido; si domande- rebbe troppo a qneWartius, che in T ci ritorna tal quale per arlis al principio del capitola seguente (p. 128 1. 4). ^) Che Jioc sia da anire con convertitur, e non con signum, pensò primo il Boehmer, Jahrh,^ seguito dal Giul. L' oso consueto del linguaggio fìlosofico vorrebbe il convertitur assolato, senaa espres- sione di soggetto; ma V hoc sta poco bene nel periodo seguente per via dell' Aorum, e peggio per ragione del nam^ al posto del quale ci s'aspetterebbe quML £ ciò che più vale, è il confronto di altri tre luoghi, dae dei quali stretti parenti del nostro (II, v, 4 e vxij, 4) ed uno addirittura suo gemello (I, vni, 4), che tatti han- no il Signum in capo al perìodo senza amminicolo nessuno. Quan- to al segno d'interpunzione dopo convertitur nel solo T, sarebbe un povero sostegno , quaud' anche non ne fosse molto sospetta la provenienza. LIB. n, GAP. IV, 1. 127 IV. De varUtalé stili eorum qui poetice scrilmìU, 1. Quando quldem aporiavimns ^) extricantes qui ^) siut aulico digui volgari et qne , nec non modam ^) quem tanto 1. T MtUli. 2. G T apoliauimu»; [T *approbauitnwi\. Q T cxtrìeatinf. T sic, G T (tUiU; [0 T *HtU]. 3. 6 mod', T modu». [T *quetn: risoluzioiie abbastanza saperflan <) L' apoHavimus de' mss., mo- dificato in adpotiavimus dalFrat", si perpetuò, fìuchè non parve al Torri che fosse da prendersi nel margine di T 1' approbavimus ^ coi vedeva corrispondere la tra- dazione {havemta,,.. apprtovata)). Non consenti il Witte, e propugnò appotiavimus , richiamandosi al Du Gange. Cosi spalleggiato, il Frat^ mantenne con dichlarasdoni espresse ciò che aveva prima scritto tacitamente. Ma ecco il Giul. uniibrmarsi, salvo un ritoc- co ortografico {adprobaviiuiis), al Torri, indotto anch' egli dalla ver- sione antica, e insieme dalla poco scnsabile credenza che approba- mtntuf fosse la < Volgata » , e ap- poHavimuif una semplice conget- tura del Witte. Sennonché con un ultimo pentimento, sopravve- nuto quando il suo volume era stampato per intero e però espres- so in un cartellino forse non po- tuto appiccicare ad ogni esem- plare (p. 445), si converti ad adpo- Uavimus, — Ma anche stavolta tutti hanno torto. Approbavwmut ci conduce hen lontano dalla let- tera; e ciò senza nemmeno appa- garci del tutto. Quanto ad aj^po- Uare^ voglio tenermi pago del- l'unico esempio che il Du Gange tnw da Arnoldo diLuhecca(PBR'rz, SS.^ XXI, 117), e riconoscerlo qual sinonimo di appoticntare, non solo nel senso specifico che li abbia- mo di empoisonner f ma anche in quello generico di < abbeverare > : non per ciò s' arriverebbe al senso metaforico immaginato dal Frat.'' di e dare un saggio » . Poi, appoiiare per appotionare non saprebbe far a meno di un oggetto; e ancora offenderebbe, e non poco, l'accop- piamento di questa metafora col- r altra cosi diversa che ci s' offre in exMeantes. Ma è perfino su- perfluo lo spender parole in pole- miche, quando coli' ovvia sostitu- zione di un'r al t de'mss. otteniamo aporiavimìis y ossia un verbo fre- quente nel latino rafiinato del medioevo, che, usato come neu- tro, vale, per dirla coi lessico- grafi del tempo, laborare, vel la- barando sudare, anxiarij che è precisamente un significato op- portunissimo per noi. Noto che Giovanni da Genova permettereb- be altresì di intendere il vocabolo per aperire, enucleare; licenza tut- tavia di cui, quanto a me, non fa- rei uso. ^) Giul. illos qui. ^) L'abbreviazione di G, tra- dotta per modus dal Gorb. e che sarà ben da supporre anche die- tro al modus di T, cossente del 128 LIB. II, GAP. IV, 1-2. dignamur honore ut solus altissimo vulgari conveniat, ante quam migremus ad alia, modam cantionum, quem *) casa magis quam arte multi usurpare videntor , enucleemus ') ; et qui hucusque casualiter est assumptus, ^) illius artis *) erga- 6 sterium^) reseremus, modum ballatarom et sonituum omit- teutos, quia illum elucidare inteudimus in .iiij.° huius operis, cum de mediocri vulgari tractabimus. 2. Beviseu- tes igitur ^) ea que dieta sunt , recolimus nos eos qui volga- 2. Lo ritutltro aste iniziali di ciò clic dov' easer miffretntui dumno in T gran fatica a coni)H>rrc un mi-. G T eafUofwm. G -G. G oìnmitenleii. 6. T in .iiij. 7. G eum de tthedJ ve*, T eum ntediocri. 7-8. G reuiscetite», [revitetUai]. 8. T igitur que ea que, con cancella- zione, che credo originaria, del primo que. pari porfettamente (e del consen- so ho già approfittato parecchie volte) a lasciarsi leggere modum. E modum fu già volato dal Boeii- mer, Jahrb,\ e il Giul. si penti nel commento di non averlo adot- tato (V. anche il cartellino a p. 445), pur volendolo dipendente àoW ttdprohavimuSf ora fuor di que- stione; e modum, scrive altresì il Prompt, p. 49. Per mantenere il modus che s'era perpetuato nelle edd.y bisogna sottintendere qui sit; e ciò liesce troppo duro. *) Le edd., salvo quella del GiuL, quae. L'errore, troppo evi- dente , fu eorretto dal Boehmer, Jahrb, ^) Cosi già il Corb.; e di certo anche la sola possibilità di una difesa è tolta a enudeamua dal parallelo 7'eseremu8, ^) qui..» assumptus parve fìno dalla prima ed. uno sproposito al Frat., che riferiva pronome e par- ticipio ad ergasterium^ senza adom- brarsi di un connubio, la cui scon- venienza ò fatta ben palese dal reseremus. Egli surrogò dunque quod,,.. assumptum^ avendo docili seguaci il Torri e il Giul. Si aguz- ssino un po' meglio gli occhi , e si vedrà che il sostantivo a cui ci s'ha da riportare è m4>dus. E ciò ha capito anche il Prompt (1. cit.), sebbene abbia avuto il torto di credere che questa proposizione andasse aggregata al periodo an- tecedente. ^) L' artius originario dì T, che avrebbe il vantaggio di render più limpida la sintassi, può meri- tare di essere preso in considera- zione; ma dopo un po' di riflessio- ne è da respingere. Artius potrà equivalere a « meglio » in molti ca- si: non qui, accoppiato con resera- re. Che di un riferimento medioe- vale dell' avverbio arte o dell' ag- gettivo aHus ad ars, non so nul- la; e nemmeno spiegato in cotal modo il vocabolo ci appagherebbe. Quanto al fatto materiale , cfr. p. 126 1. 8. ^) Giul. — « parole _non ci ap- pulcro » — magisterium, fondato sopra il magisterùo del Tr. ^') JJ ergo delle stampe ò, co- me già altrove (V. p. 57 n. s, p. 135 n. 5), una falsa risoluzione del Corb. LIB. Il, GAP. IV, 2. 129 riter versificantur pleranque vocasse poetasi quod procul dubio rationabiliter eructare *) presumpsimus, quia prorsus poete sunt, sì poesim reote oonsideremus, que niohil aliud est quam fictio rethorica versificata in musicaque posita,») 2. G. prMumpiunmut. tuiea 73 potila, [*in mutiea]. 4. G rethorica Ìwìca\\q3 poìla, ['in mimieaqiu] ; T retorica ì *) L'aver dovuto altrove di- fendere i diritti di eructuare (V. p. 62, n. 8) non m' impedisce punto di portar qui rispetto ali* eructare. Ambedue le forme erano ben note. Si senta, per es., Giovanni da Ge- nova, sotto ructuSjSL cui ci rinvia per l'una e per l'altra: Et hinc rwcto 'CtaSj nictum facere vel emictere et exprhnere, Unde ruc- tuo -ctuas^ in eodem sensu. Et uirunque componitur: corructo -ctaSf et corructuo -ctuas; eructo -ctas, et eructuo -ctuas. ^) Ciò che risulterebbe dallo sproposito de' codici sarebbe inu- sicaque posita (l ==> in = w); ma colla facile supposizione che un ì sì sia perduto in grazia del falso i che teneva dietro, se pure la perdita non avesse colpito Vm in sembianza di in, s' arriva all' in musicaque posita del Gorb. (Tr. e posta in mufica\ mantenutosi fino al GiuL. Si può chiamarsene con- tenti? — No davvero. Quanto alla grammatica, il fictio rethorica co- stituisce un tutto indissolubile, sicché il -que, che suppone di- nanzi a so un'altra determina- zione, non ha ragion d' essere; e di ciò il GiuL s' è accorto, af- frettandosi pertanto a sopprimer- lo col suffiragio di V. Quanto al senso, è troppo per il medioevo il volere che posto in musica basti da solo anche per significare la ver- sificazione. Se il -que ò legittimo, deve dunque di sicuro mancare una parola ; e dato che la parola mancante sia versificata^ la molta somiglianza tra il compendio suo e r in musica giova a spiegare la perdita. Né fa ostacolo il versi fi- cor deponente di questo stesso periodo (V. anche II, i, 2, e, riflet- tendo bene, in, 3),* giacché un ver- sificor intransitivo, far versi , non esclude già un versifico ^ mettere in versi, noto anche all'antichità. In- sieme con siffatta congettura me ne danzano per la mente altre, ed una soprattutto: che non sia da aggiunger nulla, bensì dà leggere fictio rethorica musice composita ^ nel qual caso il q^ de' mss. sareb- be un 9, staccato, alterato, e, con pretese correttrici, accresciuto. La lezione mi appagherebbe forse più, e avrebbe il vantaggio, grazie al- l' elasticità del mttsice, di non fare dell' accompagnamento melodico una condizione essenziale della poesia in genere; il che per il se- colo XIV può parere un po'troppo. Siccome tuttavia che sia troppo ò contestabile (cfr. n, viii, B-6, e la definizione della stanza ix, 5) e le ragioni diplomatiche oppongono a questa ipotesi maggiori ostacoli, costretto a risolvere, mi appiglio alla prima, colla malinconica con- fessione che la magagna potrà es- sere sanata con vera fiducia solo quando si trovi una fonte, da me 17 130 LIB. n, CAP. IV, 2. Differant tameu a magnis poetis , hoc est regolaribos , quia magni ^) sermone et arte regolari poetati sont , hii') vero casu, ut dictum est. Idcirco acoidit ut, quan- tum illos proximius imitemur , tantum rectius poetemur. B Unde nos, doctrine operam impendentes, *) dootrìnas eorom * 2. G moff, T tnagit. 6 poetatù, [-teUi]. 4. G proxim', [*proxiìnitu]i T proximut , [proximitu]. G im\\mUfmur, T imitemur. 5. [T doetrinam, G */• doctrinam]. G T oi*eri. non saputa rintracciare finora, don- de la definizione dantesca sia deri- vata. E dato il fatto di una deri- vazione , non mi meraviglierei troppo neppure che ne uscisse vittorioso un in versu mwiicaque propostomi dal Vitelli, più sodi- sfacente di certo sotto il rispetto paleografico, ma da cui mi respin- ge il significato che versus ha nella terminologia dantesca (V. più innanzi, e. x sgg.), e altresì V anione troppo stretta della ver- sificazione colla musica, mentre r affinità sua maggiore è intrinse- camente colla fictio rethorica. *) Corb. ecc. quia magno sermo- ne; Frat. (—Torri, GiuL), quia isti magno sermone. Sennonché una vol- ta che col dare al mag di G un va- lore certamente insolito (il solito sarebbe quello offertoci da T), ma meno anomalo in ogni caso che non sia il magnOy si ottiene una lezio- ne accettabilissima, sarebbe colpa il permettersi arditrezzo maggiori. Nò il magnus sermo per designare il latino è un' espressione supe- riore agli scrupoli. Del testo dato dagli editori non fu sodisfatto neppure il Prompt. Ma a lui, sen- za elevar dubbi sol inagno^ parve che il rimedio alla lezione mano- scritta avesse da consistere nella sostituzione di qui a quia : espe- diente chiarito non buono dal- l' ^« vero. 2) Maffei ecc. ii; Frat. (=iGiul.) UH, 3) n Tr. costrinse qui il testo a dire, £ però moi^ che vtolemto porre ne le opere nostre qualche dtattrina. Fu per allestire un letto a questa versione che il Corb. con- getturò il doctrinamf a cui anche il Tr. aveva difatti piegato il suo codice; ma nella stampa pose poi invece, Unde nos doctrinae aliquid operae nostrae impendentes, L' in- tenzione fu pur sempre che il sen- so avesse da essere il trissiniano? Quell' operae in luogo di operi mal si comprenderebbe; però nasce un forte sospetto che il Corb. si fosse indotto a ritenere il Tr. cattivo interprete, e che sotto alla tra- duzione sua volesse ritrovare un testo che avesse a significare, come intese modernamente il GiuL, und nos impendentes doctrinae (dat.) aliquid operae nostrae. Sia come si vuole, il raffazzonamento fu mantenuto da tutti; nò per quanto esso apparisca subito inam- missibile, c'è da rammaricarsi che non sia stato raccattato il doctri- nam^ assolutamente ripudiato dal senso. — Ma come rimediare? — Volendo mantener Y operi ^ si potrebbe supporre che Vimpen- dentes fosse un intendentes per- vertito appunto da operi ^ sia per un'azione fonetica (op-)i sia per un' associazione ideologica (tm- LIB. II, GAP. IV, 2-3. 131 poetrias *) emulari oportet. 3. Ante omnia ergo dicimus nnamquenque debere matyerie pondus propriis immeris ooe- quare *), ne forte humerorum nimio gravata virtute % in ce- num cespitare necesse sit. Hoc est quod magister noster Ora- tius precipit, cum in principio Poetrie, Sumite nuUeriam *) dicit. 5 1-5. [Tatto il paragrafo ò rilevato nel mar/riiio
  • raltro di un e, non di un o; ma tropiM l>en si capisce comò questo ce sia uscito da un o€. pendere operam)\ od anche ci sa- rebbe da scrivere doctrine operi operavi impendentesj nel qual caso la corruzione ci darebbe di sé ot- timo conto. Sennonché l' opus doctrine lascia qui molto dubbio- si; e più, se ci s'aggiunge la ri- cercatezza dell'operi operam; che se in luogo di operam si scriva curanif studium ecc., si perde per una parte ciò che si guadagna per l' altra. — Rinunziando ad operi^ si presenta il partito a cui, in gra- zia della sua semplicità, mi sono attenuto nel testo: sostituire ope- ram; né dell'alterazione che si viene a supporre le spiegazioni difettano. Besta tuttavia un guaio molto serio. La lezione ci lascia \'ìvamente desiderare una deter- minazione specifica del doctrine, tale da renderlo atto a contrap- porsi meglio, come la ragione in- trìnseca richiede, al doctrinas eo- rum poetrias* L'aggiunta di un nostre^ ossia di qualcosa che in for- ma di compendio [nfé) poteva per- dersi facilmente dopo una voce terminante in -ne, punto non ap- paga. Ben meglio converrebbe un vulgaris eloquentie^ da collocarsi o prima o dopo (cfr. I, i, 1, cum nemi- nem ante nos de vulgaris eloquen- tu doctrina qmcquam inveniamus tractasse; xix , 2, Et quia intetitio nostra,... est doctnnam de vtUgaris eloquentia tradere) ; od anche vulgaris poesis; ma come si ose- rebbe d' introdurre supplementi siffatti senza nessun appiglio este- riore? Cosi io mi rassegno ad aver fasciato la ferita, in luogo di risanarla. ^) Già il Corb. sostituì in que- sto luogo poeticaSf e più sotto, 1. 5, poeticae : indebitamente ambe- due le volte, sebbene con maggior colpa nel secondo caso, in quanto poetria con valore di sostantivo fu nel medioevo più comune dell'ag- gettivo poetrius. ^) L' errore del suo ms., e in- sieme con esso la versione del Tr. (piljare il pefcù.... equale a le propi^ spalle), portarono il Corb. a mettere nella stampa excipere aequale. La lezione genuina fu nota e apparve migliore al Torri, senza tuttavia ottenere da lui di essere introdotta nel testo. ^) Le stampe gi'avatam virtù- temj per infelice ritocco del Corb. <) n Frat. (= Torri, Qiul.) cre- dette opportuno di completare la citazione {Sumite materiam vestriSy qui scribitiSy aequam Viribìis), come aveva fatto il Tr. traducendo; io invece non mi credo neppur lecito di aggiungere un etc., non necessa- rio dacché il principio del passo ba- sta a richiamarlo tutto intero, e poco aggradito dal dicit. 132 LTB. II, GAP, IV, 4. 4. Deinde in hiis ^) que dioenda ocourrunt debemus disoretio- nem *) potiri, utram tragice, sive cornice, siye elegiace sint ca- nenda.Per tragediam superiorem atilum induciinxis*);per come- dian! inferiorem; per elegiam stiium intelligimus miseromm. *) 1-2. G dMcretùme, T dùereiÓe. 2-3. G T eauenda,- [G ean&nda], 3-4. Mmcano in T In pnrolo inducimu8 ftlilum ; o l'oAttero ituiueimus ttn rairara (della scrittura primitiva .sopravvivo nu apico salta 2^ unta deir m) Ah forte motivo di sospettare cbo la stessa oim^- sinpo «i hIv5w<« cominoitcndo ancho iii (i. ') Maffei e posteriori iis. ^ La sostituzione dell' accusa- tivo, facilissimo da ottenere (cfr. p. 133, 1. 4), all'ablativo tradizio- nale, mi è consigliata dal senso e da II, xri, 8. -^) Le edd. fino agii aitimi tem- pi induimus; e a chi gli chiedes- se il perchè del mutamento da lui introdotto, il Corb. additerebbe un luogo antecedente, II, i, 8, e potrebbe additarne, quand'anche non ci avesse allora pensato, uno che troverem poi, ix, 2; e di corto la lezione di questi due luoglii è da ritenere assodata dal fatto defi- la loro concordanza. U Boehmer, Jahrb.f volle sostituire innuiviuSf non piaciuto al GiuL, ed a ragione, dacché prende le cose troppo di sbieco. Ma meno che mai può esser questione dell' tn/e//t^*mu^, che il GiuL mise nel testo, riportandosi alla traduzione del Tr. e a V, che entrambi, per il medesimo motivo, ignorano questo passo! A me Ttn- ducimus suscita sicuramente dei dubbi; e il suo doversi reggere su un codice solo non giova di certo ad accrescergli fede. Ma esso può indubbiamente stare ed anche pia- cere ; nulla ha da temer da un in- dicamuSf che nessuno gli avrebbe immolato, nulla da un indicmuiSf troppo solenne; quanto ad indui- muSf si offrirebbe bersaglio alle medesime freccio, od anche a frec- cie più acute, e non può pretendere che analogie discutibili gli ai ano valutate come un titolo su ffioiente. *) In questo luogo il Giui. s'è scapricciato più forse che in nes- sun altro; e perchè Dante dicesse ciò che a lui pareva dovesse dire, sostituì, per Comoediam^ Medio- crem; per Elegiam stiium iiitelU- giviiis Inferiorem f commentando largamente il suo operare, da lai creduto in buona fede un ristabi- lire « la genuina lezione ». Ma egli è un chirurgo che fa scempio delle povere carni per guarire mali im- maginari. Qui per la Comm/edia non e può assolutamente intendersi lo Stile inferiore »? — Si senta quel Giovanni da Genova che a lui stesso avviene di ricordare, dove, alla voce Tragedia, indicala dif- ferenza fra Tragedia e Commedia : Itemy comedia ìiumìli siHo descri- bitur; tragedia alto. W Elegia « non potrebbe dirsi che sia lo StUe de* mi* seri » ? Citerò ancora Giovanni, il quale del resto non fa se noa co- piare quasi letteralmente Ugoc- cione: Elegus -ga -gum, idest miser^ misera, fìUserum. Et dicitur ab eleyson , quod est miserere. [Inde versus facti de miseria di- cuntur elegi, Unde elegia, -gie, idest miseria. £ anche Pi^ìa ave- va scritto: Elegi, versus mise- rorum. Il motivo di questo per- sistente ricorrere per la definisione alla voce mixer, sta, com'è facile ve- dere, nella etimologia da eleysl oompencUo unr è oatnta iu T da nua corn^xiouo. 8i doveva «^sere m'ritto ur, elio saroblio poi divoiitiito ur, o>wia uidetur, [S'è iu iw agganciato ad giimeìuìum, mono divido dol resto qui cbo nou aia in T]. 2. G T can- tò) ligare , con una « virgula > frammezso in T. 4. Conio p. 132 I. 1-2, G diserftiane di- steso , T diseretoé. 5. T elagiaee. G. G ohmitamun. L' \U è in G su rmnra. 8. T tini (G itnip). 0. T eon*trutioni*. 10. G T concordai quando^ qui pare con una virgobi rt-animez7.o in T; [G inmriiic^') tra le duo parole «ed], [Le iiarolc n bene rceoUmtu houo chiuse tra imrentesi in G]. *) Sebbene non ci si fosse ba- dato, c'era qui una grave scorre- zione. L'infinito non poteva esser retto da est. non suscettibile di ser- vire in diverso modo a due padroni. D'altronde il senso che s'otter- rebbe di Hcet non è quello che qui si richiede; né l'uso che s'avreb- be deWesse è facilmente attribui- bile a questa nostra latinità. Bensì era, se mai, lecito supporre che il ligare fosse sfuggito dalla pen- na di Dante perchò nel suo pen- siero al posto deh* adsumendum est si fosse messo il suo equiva- lente oportet adsvmere. Ma poiché un oportet è rappresentato in com- pendio da ojj e questo oj veniva a succedere ad un altro (V. l'appa- rato), ognuno vede quale sia il partito legittimo. Cfr., quattro ri- ghe sotto, nos oportet sumere. ^ Sono ben lontano dal credere che l'aversi due huius prossimi l'uno all'altro, sia una buona ra- gione per sostituire a questo pri- mo un eiuSy come s'è fatto dal Corb. in qua. '^) Il Giul. aggiunge tra paren- tesi e in corsivo un Operis, rispetto al quale si desiderebbe di cono- scere le sue precise intenzionL Si cfr. ciò che dico più oltre in una nota a xiii, 4. Certo dell' aggiunta non e' è bisogno alcuno, nonostan- te r htUus operis del § 1, ed anzi viemeno per ragion sua. llidus sol- tanto abbiamo di nuovo vni, 8. *) Al sed del Corb. (Tr. ma), tra- sfuso in tutte le edd., preferisco il semplice et, che, a dii; poco, non cpnvien meno al contesto, e che potò smarrirsi in causa della so- miglianza del suo compendio col q iniziale della voce seguente. 5) Frat. quia {^ Giul.). Se mai, sarebbe da pensare a quomamy rappresentato ancor edso da taluni col qn che qui abbiamo^ e die an- che nelU uso dei nostri codici (poco 134 LIB. II, GAP. IV, 6-7. limus, summa summis esse digna iam fuit probatum,^) et iste quem tragìcum appellamus summns videtar esse stilomm, illa que summe canenda distinximus isto solo snnt stilo ca- nenda: videlicet, Salus , Amor et Virtus, et que propter ea 5 concipimus, dum *) nullo accidente vilescant. 7. Caveat ergo quilibet et discemat ea que dicimus ; et quando tria hec pure cantare intendit, vel que ad ea directe ao ^) pure secuntur, prius Elicone potatus, tensis fidibus, adsumptum secure plectrum tum movere incipiat. *) Sed cautionem ^) atque discretionem 10 habere, sicut decet, ®) hoc opus et labor est, quoniara nun- 1. T mnm Mumùi. G T fuisttf; [ii "/nU]. 2. O T UUqui i; [G *qncm]. iì T »til lontm. 3-4. G T eafieìula iimbodiio lo y6ÌU\ [corrotto bi G]. 3. G HiUo. 4. G nutu», [ttirtw!]. 5. G T cawant, [canct^Uato Vn in G). 6. G dùe^màt, [diicemsU]; T di- *ental. 8. G tulguymu, T atl 8ì4pmu), o qtiiudi euiranibl teeure plelitwm; [o in G* <1* niu» parte *pUctrtim, o <1air ultra -/. admoueai secure tuinmum pl.\j^vfl politu , Ad«utHat teeurf pleetrma; et-}. 0. G T eum more. (ì ha qnaloosn da poter oasorr» dol pori eautioitrm o eantionem; T eoi-, cion fissa la fciocchéza di coj- liariì. Il Corb. mantenne a confiieri il valore passivo ; ma stimò — e a ragione — che s'avesse a trattar di un comando, scrivendo quindi, et ideo confiteatur eorum stuUitia. Questa lezione si perpetuò fino al Giul., il quale, avendo sognato che il codice trivulziano avesse confi- teamuTy scrisse così, mutando in- sieme stultitia in stuUitiam. Ma se la seconda mutazione ò buona, e realmente conforme, ad insaputa del Giul. 8 tosso (ebbe qui forse luogo uno scambio?) a ciò che porta T, la prima, oltre a mancare di fondamento positivo, obbliga a prendere confiteri in altro senso che nel suo vero e consueto, dac- ché non starà cèrto a Dante a con- fessare le sciocchezze altrui. La stessa obiezione colpisce, sebbene in grado minore, il confiteatur^ se si continua a prenderò come pas< sivo, e colpirebbe del pari il confite- tur diplomatico: contro i quali sta d'altronde la stessa significazione 136 LIB. II, GAP. IV, 7; V, 1-2. boientiaqae immunes, de solo ingenio oonfidentes, ad somma somme canenda proromponfc; et a tanta presomptoositat© *) desistant; et si anseres natorali desidia sont, nolìnt astripe- tam aqoilam imitari. 5 y. De compositione verauum et varietale eorum per silabas. 1. De gravitate sententiarom , vel satis dixisse vi- demor , vel saltim totom qood operis est nostri. Qoa- propter ad soperbiam carminom festinemos. 2. Circa qood sciendom est qood predecessores nostri diversis carmini- io bos osi sont in cantionibos sois , qood et *) moderni fa- ciont; sed nollom adhoc inveniaios in carmino sillabican- 1. G T tmwien. T eonfitentes, [confidenttsu]. GT summam, colla consuiiiuite fiiml« rappreaontata da luia lineetta BovnHijMMUi iii G, da 3 inT, [o canoellatji in «nlrambì]. 2. iì T eaitenda. [In T otm una lìisvo i-aschuiiiira ni riti unto il u a poter eaaoru u; o all' a final*» Ri Movrappose -wn]. G T prort^ifU. [T *er*/Q, van« il contenuto}. 11. G in carme in sHabicando , con espunzione non originaria, o alimene non immediata, ma forse nti>i»ur dovuta al Oirb., del primo in; T in canne nUalriranilo, (caii- CAiUato qui pure V in, introducondolo invecQ diuauEi a »iU']. passiva, ben difficilmente ammis- sibile altro che per il participio. Però si capisce che il Boehmer, E. 8t.j mantenendo la lezione tra- disionale, voglia intendere, « Die Thorheit mòge gest&ndig sein »: la stoltezza faccia confessione; ma può mai il confiteri starsene cosi senza complemento nessuno? A me par dunque certo che si richieda e stultUiam confiteantur, più che mai considerando i paralleli desi- stani e nolint. E si cfr. più oltre , alla fine del cap. vi, Desistant ergo ignorantie sectatores. Quanto al- l' eorum in cambio di suam, po- trebbe aversi anche nell' antichità: figuriamoci se può far meraviglia in uno scrittore medioevale, e in chi parlando volgare diceva lorol ') Il prosumptuosilate delle edd. (Torri prosornpiuositate) è un ma- laugurato ritocco del Corb. Il 6ìul. s' avvide, sebbene un po*tardi, del- l' errore, e nelle correzioni ultime pose praesumptuositate (p. 444). *) L'i di T potrebb' essere ema- nato dall' abbreviazione di etiam. Siccome tuttavia esso può altret- tanto bene ripetere V m che pre- cede o anticipare uno di quelli che seguono, V et dell'altro codice e della tradizione stampata non cor- re per ragion sua alcun rischio. LIB. n, CAP. V, 2-3. 137 do^) endecadem') transcendisse, nec a trisillabo dèscendisse-Et licei trisillabo cadmine atque endecasillabo et omnibus inter- mediis cantores latii usi sint, pentasillabum, eptasillabnm et endecasillabum ') in usa frequentiori habentur ] et post hec tri- sillabum ante alia. 3. Quorum omnium endecelsillabum vi- 6 detur esse superbius^), tam temporis occupatione, quam ca- 1. T en\\de e penUuUabum in um ; ma poi fa supplito firauimeuo — scrivendolo sopra di lettera minuta, come dianù twù — et en- deeatiUabum i e U p inÌEÌale di p«7ito- fu raschiato e 1* n mutato in p, sì da cavarne epta^. £ da rilevare che nel vano proiiotto dulia cancellatura del p fu tirata ima lineetta orizson- tale di minio. A. Tra hoc {h') e trUUlaimm e' è in T un' « sburrata. 4-5. G iritilabum. 6. T «vpmtw. i *) Il Tr. (cfr. l'apparato), tra- dacendo, in sin qui niun versta ritroviamw^ che habbia la undecima syltaba trappassatoì^ aveva rife- rito nullum a Carmen; e certo non fa differente l'intendimento coi quale il Corb., fosse poi stato o non fosse stato lui a modificare la lezione del ano codice, stampò nul- lum adhuc inuènimus Carmen insti- labicando...CoBÌ si lesse poi sempre, solo dando a sUl-xmy (Maffei, ecc.). Ma chi ben guardi, vedrà chiaro che il nuUum è da riferire al pre- decessores nostri; il che importa che V in da sopprimere in G sia il secondo, non già il primo; o in altre parole, che la lezione corretta sia quella portata originariamente da T. Sólo potrà esserci qualche dubbio circa l'interpretazione del carme. Anche del Carmen che ne risulta spontaneo, ci sarebbe da contentarsi ; ma poiché con ben lieve sforzo se ne ricava anche un Carmine^ e questo Carmine appaga grammaticalmente di più, gli è ad esso che io m' attengo. *) U endecasillabum^ scritto dal Gorb. titubantemente nel margine e già voluto anche dal Bembo, (V. le varianti di V), passò nelle stampe: con i nella prima , con y nell' altre tutte. Che i mss. voglia- no endecadem.^ è chiaro; ed ende- cas è voce ben nota al medioevo. ^) Il Gorb., riproducendo il testo di G qual è riuscito all' ultimo per una correzione ch'era insieme scon- ciamente, lasciò ai suoi successori l' eredità di una lezione mancante del pentasillabo, mentre stavolta la versione del Tr., grazie all' in- tegrità di T, poteva salvarlo dal- l'errore: U vtrsù) di cinque syl- lahCy 6 quelito di sette, e quella} di undici. E da quella versione rice- vevano luce le tracce stesse che il suo proprio codice gli esibiva. La lacuna fu colmata dal Torri dietro la scorta di V (curioso ch'egli ab- bia creduto che in T l'eptasillabo mancasse), non senza l'inesattez- za, passata nei posteriori, di im in- debito et dinanzi ad eptasyllabum. ^) Ghi volesse dare la prefe- renza al superius di T, attribuendo il superbius all'azione del superbia 18 138 LIB. Il, GAP. V, 3-4. paoitate sententie, constractionìs et vocaboloram; quoram omnium specimen^) magis multìplicatur in ilio, ut manifeste apparet; nam ubicunque ponderosa multiplicantur, multipli- caturetpondus,') 4. Etomnes hoc doctores perpendìsse vi- 5 dentur, cantiones illustres principiantes ^) ab ilio, ut Gerar- diu. 1. G T Menteìicie. 3-4. G T ponderata mulUplieafaur (flue di linea per T) a pfjn- 5. G T prineipanU$. avuto sopra (ed anche senza nes- sun impulso esteriore l'amanuense di G aveva scritto dapprima - V. p. ^-8uperhiorihu8 per superiori^ bus al principio del cap. v dell'altro libro), non tarderebbe a mutar pa- rere di fronte al superbUaimum Carmen del § 7. Certo il superbia^ avutosi già anche iv, C, conferma efficacemente esso pure la le2done fattasi tradizionale. £ si consideri altresì il superbire^ § 5. ^) 11 Witte volle sostituito spe- ciosUaSf e fu secondato dai poste- riori. Si sarebbe risparmiato la so- stitnzione> e avrebbe risparmiato al Qiul. una nota intesa a illu- strarla, se avesse badato che spe- cimen dava già esso il senso che si domandava all' altro vocabolo. £ per accorgersene bastava la la- tinità antica, senza neppur ricor- rere al medioevo. ) ^) Il senso, per essere ragione- vole, bisogna che sia qui di sicuro quello dato dalla versione de^ Tr., insolitamente accorta in questo caso, se non chiara e propria quanto sarebbe desiderabile: per* ciòf die awunque soma) mtdtiplicate le cofe, die pefana.^ si multiplica parimente U pej'a. Questo senso tuttavia non può ricavarsi che co- gli argani dalla lezione dei mss. mantenuta sempre nelle stampe, giusta la quale il multiplicatur si avrebbe a sottintendere. Son ciance quelle del Torri, quando dice « que- ste forme elittiche > esser e pro- prie della rozza latinità del medio evo > ; nò gli esempi a cui si ri- porta fanno al caso. Si consideri che qui il mu/^tp2tcah Questa persuasione non si trasfonderà, credo, in altri; ma neppure la correzione introdotta nel testo regge all'esame. Si muo- va dalla spiegazione del Giul. stesso. Dante vuol dire e che ove in questo verso.... si consideri l'ac- cendo principale e dove posa, cioè da ultimo, si conoscerà che la sil- laba té o tà di bontà, per essere comprensiva di due sillabe, basta a compiere la quantità conveniente al verso suindicato. » Per essere comprensiva di due sillabe! Ma non s' accorge il Giul. che questo concetto essenziale veniva appunto ad essere contenuto nel causa, e che egli l'ha tolto di mezzo per surrogare qualcosa di affatto inu- tile ? £ ancora fo grazia dell'inve- rosimiglianza che pausa sia usato nel senso attribuitogli; e neppure voglio adombrarmi della necessità di ricorrere, per rendersi conto della frase, a una figura di gy 8tà duoìv, una volta scartata l'ipotesi della perdita di un ^. Tr., Frat, Giul. cuor. ^) Tr., e le edd., eccettuata la prima, gentil. Ha gentile il ood. Palat. 418, gientUe, il Vat. 8793; gientil invece il Eed. 9, e gentil il Chig. L. Vm. 305. 3J Frat., Giul. Hpara. Hanno repara il cod. Red. e il Chig.; rimpaira il Vat. ; ripara il PaL *) Le edd. Messina, toltane quel- la del Giù]., che fece suo prò di una nota del Torri e del Frat.^. s) V. p. 65 n. 3. Qui pure Tr. Imngam^nte; e cosi (salvo, benin- teso, r «i) il Giul. ; ma il Frat. sempre longiamente. Aggiungerò che lungiamente portano per al- tre poesie (questa in essi non ai legge) il cod. Bed. e il Chig. ^) V. p. 69 n. 4. Qui U Tr. e le edd., eccetto Frat'^ e Giul., fin. Quanto all' ultima parola del ver- so, nessuna differenza dall'altro luogo. ^) Cosi anche i codici di rime, eccettuato il miglior testimonio che qui s'abbia, cioò il Obig., che ha iNospero ; errore che ci dareb- be ^0 spero. «) Frat («= Torri e Giul.) giam- mai. L'f» è scempia, come in molti altri codici, anohe nel Chig. ^) mia anche il Tr. ^<>) muovi Tr., Frat, Gioì. Movi^ come qui ambedue i nostri codici (cfr. XI, 4, dove il verso sarà citato di nuovo) hanno anche, tra i mas. migliori per le rime dell' Alighieri, il solito Chig., il Magi U, JV, 11^ il Riocard. 1100. £ mova, insieme con provai, trova, ritrwa, nova, pò, poto, Ofno, sia pure accanto a LIB. II, GAP. V, 4-6. 141 verta *) da *) cielo. 6. Et licet hoc quod dictum est, *) cele, berrimnin Carmen, ut dignum est, *) videatnr omnium alio- mm, si eptasillabi aliqualem societatem assumat, dummodo 1. G utu, T uirtu. T celo. In G manca il qvod. 1-2. G eeUheriinum, T celebri- mum. 3. G epUuOabi. vuoti ^ pìioif puòf sta nella più antica e autorevole trascrizio- ne di ana lirica dantesca: qnella che s' ha della canzone Donne eh' avete intelletto d'amore nel co- dice che dico per antonomasia Vaticano. ') Le edd. tutte, e qui e xt, 4, virtà, d'accordo in entrambi i luo- ghi con T ; ma poichò l' abbrevia- zione che G si trova avere le due volte e che dice del pari, e meglio ancora, verta, ò da supporre al- tresì, stando alle maggiori verosi- miglianze, in un ascendente di T, 81 può dire che la tradizione no- stra, o rimanga muta, o sia piut- tosto per vertù, E verta è dato apertamente dal Chig., e dal Magi. II, IV, 114. Ma poi, allargando gli sguardi, vediamo essere questa la forma domandata, o almeno pre- ferita, dal linguaggio letterario di quel periodo anche proprio in Fi- renze. Vertikj vertute, vertude, ver- tudioso, avrà costantemente, e un* infinità di volte, V Intelligenza; non altrimenti che cosi porterà il codice Vat., dandoci un verta e un vertute anche precisamente nella canzone dantesca detta di sopra; e il medesimo si dica di altre te- stimonianze non so quante. «) Tr., Frat, Giul. dal ; e cosi, prees'a poco (Bice. 1100 del), re- cano anche i codici della canzone di cui ho notizia, compreso il Chig. Nondimeno ò ben sicuro per me che la lezione vera è la nostra. Si badi che il (ia ci è ridato da G anche xi, 4. Ora, esso correva un gran pericolo di essere mutato in dal, mentre non c'era punto il pe- ricolo inverso per un dal primitivo. Però nessuna meraviglia della le- zione portata dalle raccolte di rime, illustrata dal fatto che nel- r altro luogo anche T abbia dal, mentre non può dubitarsi che non avesse da il capoetipite comune suo e di G. E da, se offende chi non vede oltre la superficie, ap- paga meglio chi spinge addentro lo sguardo, dacché al concetto ge- nerico del cielo vieile a sostituire quello determinato e caratteristico dei singoli cieli, che esercitano cia- scuno una sua speciale influenza. 3) U Gorb., al quale G non dava il quod, trasformò dcm è in ende- casUlabum, mosso da ir essersi que- sta voce aggiunta dal Tr. nella tra- duzione sua, senza badare al cwme si è detta) che ivi s'aveva del pari. E a questo modo s'è scritto poi sempre. ^) Il camie 8i è detta» trissiniano, a eui nulla si vedeva corriapender nel testo, mosse alla sua volta il Witte a voler sostituire qui dictum a dignum ; e Frat.'^ e GioL accol- sero il mutamento. Lo disapprovò il Boehmer, R, JSt. E per verità si sarebbe pur dovuto avvertire che nella versione del Tr. c'era anche per il devere. 142 LIB. II, GAP. V, 6-7. f^, Celli principatum optineat , clarius magisque sursum superbire *) videfcur. Sed hoc ulterias elucidandam remaneat. Et dicimus eptasillabum sequi illud quod maximum est in celebritate. 6. Post hoc pentasillabum, et deinde trisillabum ordinamus. 6 Neasillabum *) vero, quia triplicatum trisillabum videbatur, vel nunqaam in honore fuit, vel propter fastidium obsoluit '). Pa- risillaba^) vero, propter sui ruditatem, non utimur nisi *) raro: retinent enim naturam suorum numerorum; qui numeris im- paribus, quemadmodum materia forme, subsistunt. 7. Et 10 sic, recoUigentes predicta, endecasillabum videtur esse super- bissimum carmen; et hoc est quod querebamus. Nunc autem restat investigandum de constructionibus elatis et fastigìosìs vocabulis, et demum, fastibus torquibusque paratis, promis- sum fascem, hoc est cantionem, quomodo innectere^) quis debeat instruemus. 1. T mt^ù que aurnun iupeHne, [mperìnre], G tnagU qiie «tu tum tuperbis ; (ntr- gìtm ; */• a<7u^ ttublimius tuperbire. tiel magiaque sublimi» fuperbùv]. 2. [T, erodendo di riiniMUare al gnaulo dolla rua lezione, ag^j^inngo *qui>d diiin.n7.i a dicirnuà]. 3. G epiasHabum. 3 4. Mancano in T le parolo gequi illud quod maximum e»t in CflebriUUe poti hoc pentatil- labum. 4. [Dopo deinde, per U stoewi rnjpone detta dianzi, T inserlfloe *p^ntti»yllabttiH et]. 5. [T inéotiU-, G "enneanU. /.]. T trisilabum, G ti-UgOabum. 6. G T absoluU: [G obn- luU, T obMoliuU]. 6-7. T parinllabat, G parùttUlaJbaa. 7. G T nò raro; [T "niti, eoo ri- chiamo orronoo sul non elio procedo uiiiMir]. 8. G T nù*, elio iiorraalinonte a' intt^rprete- rel>1>e nwMru». 10. G T reeoliqenlu. T endeeasilabum. 13. G 1 pareti»; [G parvUi*], 14. G T eautionem; [G eont-j. T inere; G, o inere, oppnr mtre. [e */• ^M/^^J* ') Dopo essere andato nn poco brancolando, il Gorb. stesso , me- glio riflettendo snlla lettera del suo codice e sulla versione {più kiaramentef e più altamente pa- rerà insuperbirsi), non estranea neppnre ai brancol amenti, scorse e adottò la correzione vera, che al Tr. s' era offerta più facile. *) Gorb. enneasillabumj gli altri enneasyllabum, 3) La necessità di nn ritocco non indurrà neppur noi, come non indusse il Gorb., a eseguirne col Tr. anche nn altro, per ottenere una forma più classica. Già, se Dante avesse scritto obsoleuU, sarebbe mancata la spinta a mutare l'o in a. Ma poi ohsclm é realmente il perfetto più comnne nel medio- evo (V. qui stesso p. 146 nelle no- te) f ed è troppo naturale che fosse. ^) Non -laboSf come s* ò stam- pato finora ; che per Dante questi vocaboli son neutri, come già s'è visto in più esempi , sottintenden- dosi Carmen y non versus. ^) Ghiara la correzióne, e come dal Tr. nel suo codice e nella ver- sione {senam), cosi introdotta dal Gorb. nella stampa. Piuttosto che da uno scambio di compendii, l'er- rore sarà nato da un eco del non antecedente. ^) Il fantastico ligare (Tr. le- gare) ò divenuto la lezione di tutte LIB. II, GAP. VI, 1. 143 VI. Quod ex cognitione dioersorum auctorum perficitur scievtia poeiandi vvlgariter, * 1. Quia circa vulgare illastre nostra versatur intentio, quod nobilissimum est aliorum, et ea que digna sunt ilio cantari discrevimus, que tria nobilissima sunt, ut superius 6 est a^trucbum , et modum cautionarium ') selegimus illis, 2. T sciencia. 2. T portandi. 4. G nobiUùninum. 6. 6 nobOUittma. 6. G T ab^ructum. G T «e legimus, [cou rauuodameuto in G , dove la separaKione ò più aperta]. le siaDipe. Ad innectere si riesce senza troppa difficoltà da ciò che i codici portano. Certo merita considerazione anche vincire^ cre- duto a torto dal Torri la lezione di G ; ma esso ci sta più lontano ; e d'altronde si capirebbe assai meno che avesse dato luogo ad errore. Avvertirò tuttavia ohe ad innectere non mi son fermato se non dopo aver vagliato altre pos- sibilità. A prima giunta mi sa- rebbe parso più legittimo, com'è più naturale, il far dipendere fa- 8cem da instruere; e già se ne ca- verebbe il concetto che nella lezio- ne adottata è espresso da innectere. Ma nò il mere che ò forse in G, e che ri sbocciò anche in V, né al- tra cosa a cui io abbia saputo pensare, regge a un esame atten- to. E il significato più comune di instruere è veramente per il me- dioevo informare (Uguccione, Gio- vanni da Genova), docere (Pa- pia, Uguccione); ed è bene cosi che il vocabolo è usato più oltre , alla fine del cap. vii. Ohe se quest'idea dell' insegnar a fare, anziché fare addirittura, sfrega, se non urta, contro il principio del cap. vili, a cui qui si preludia, in compenso è suffragata da altri raffronti, e se- gnatamente dalle parole che ab- biam poco sotto (vi, 1), et tU ipsum perfectius edocere possimus que* dam iam preparavimus. ^) Il Tr. sostituì una intitola- zione sua propria: De le cwnstru- ziùìnif che si dennto ufare ne le Canzuìni, Seguendo lui con una certa libertà, il Frat. scrisse in fronte al capitolo nelle due prime edd., De constructione, sive de re- yulata compagine dictionum, qua utendum est in cantionibus. Il Torri volle sempliQcare, e guastò orri- bilmente: De varia constructione Cantionum, Una specie di compro- messo tra questo titolo e il suo primo è quello che il Frat. adottò nelle edd. del secondo gruppo e che fu mantenuto dal Giul. : De varia constructione^ qua utendum est in Cantionibus. Per verità, ci voleva poco a vedere che il varia era af- fatto fuor di luogo. ^) Questa voce fece arricciare il naso al Torri , che la giudicò € intrusa erroneamente » e sostituì Cantionum ; e al Cantionum s' at- tennero il Frat.^ e il Giul. Quanto a mO) non m'adombro sicuramente di roba simile. 144 MB. II, GAP. VI, 1-4. tanquam aliorum modoram summum , et ut ipsum perfectius edocere possimus quedam iam prepara vimus, stilum videli- cet atque Carmen, uunc de constructione agamus. 2. Est enim sciendum quod constructionem vocamus regulatam com- 5 paginem dictiouum; ut, AristotUes phijlosophatua est tempore Alexandri Sunt enim .v. hic ') dictiones compacte regulariter, et unam faciunt constructionem. 3. Circa quidem hanc prius considerandum est quod constructionum alia congrua est, alia vero incongrua est '); et quia, si primordium bene discre- 10 tionìs ^) nostre reoolimus, sola supprema venamur, nullum in nostra venatione locum habet incongrua, quia nec *) inferio- rem gradum bonitatis promeruit. Pudeat ergo, pudeat ydio- tas tantum audere deinceps, ut ad cantiones prorumpcuit! quos non aliter deridemus, quam cecum de colorìbus distin- 15 guentem. 4. £st, ut vide tur, congrua quam sectamur. Sed 1. G < vava invece nella condizione di po- tere e dover scegliere, stampò di- gressianis. Modernamente il Torri riprese il discretionis daT(= Frat.*', Ginl.). E senza dubbio è questa la lesione vera. Già, non è una digres- sione, bensì una parte integrante ed essensiaie della trattazione quella a cui l'autore si riferisce. Inoltre, — meglio ohe al discreiio che ab- biam più sotto (§ 4), sul quale il Torri si fonda — si guardi ai diserò- vimus in principio del capitolo, che questo discretio nostro viene ap- punto a ripigliare. 8'aggiunga quel darsi dai codici, non digressioniSf bensì disgressionis (la condizione peculiare in cui 1'^ ci si presenta in G non fa, se mai, ohe renderne l' affermazione anche più assevera- tiva), ossia l'esserci in questa stes- sa lezione una traccia grafica ben manifesta dell'altra. ^) Non considerato dal Tr. nel tradurre, il nec fu omesso nella stampa dal Corb., e però dagli al- tri, con sconcio assai grave. Era facile vedere che valeva ne qtàdem. ÌIB« II, GAP. Vlf 4. 145 non nrinoris difficnltatis aecidit disoretìo prius quam qnam *) qtieriifiHa attingamos, videlicet orbanitate plenissimam. Snnt efeemm gradua constraotiontifii quam plnres: yidelicet insipi- dus, qui est rudium; ut^ Pettiis amai muUum dominam Berta-m. EIst pure sapidus, qui est rigidorum scolaritim vel magistro- 6 rum, ut, Piget rnsy cunctis pietate maiorem^ quicunqits in exilio tabeaeer^tes ') patriam tantum sompniando revisunt. Est et sapi* 1. T minor4», owretto dall'origine in minor U. 2. Nel teidtfij di G il 1^ ò benaì del tnacrittoTe, ma sa ramira. 4. dominam {dhaji) è supplito in G nell* interlinea, di lettera neoeflflarìamente più piccola. 5. [Accanto a rigidoTwn gcolarium, G ^axoXaoTixói Herm.; forse € Ifdmiogeneii >]. 6. (In T a' è cancellata l'tn finale di maiorem. G */. ied pietatem f». Uiorum habéo ^[nieumque]. 7. G T ai^nrimandù ,• [G *»ompniando, T *»omniando]. tayia egli non pose né cunctis miseriSf né fniseris, bensì mise- rorumy « non tanto per ragione grammaticale, quanto per non di- scostarmi dalle norme > (o qnali mai?) e che Dante stesso segue di frequente ». Quanto a un altro guaio, merita biasimo severo solo il Corb. che ne fu autore, dacché net successivi può servire di scusa l'aver ignorato che ci fosse qui di mezza un arbitrio. O che un pieta- tem maiorem illorum habeo tro- verà luogo conveniente in un pe- riodo, col quale si vuole che sia esemplificato lo stile pure sapidtUf rigidorum scofarium ? — Sbarazza- to il campo delle male erbe, non ò che qualcosa non rimanga dubbio. Mal può ammettersi che il piget me sia messo li senza dire insieme espressamente di che o di chi Dante provi dolore; e male altresì che s' abbia da sottintendere illorum. Sarà mai ohe V ufficio di rappre- sentare ciò che per solito si espri- me col genitivo sia adempiuto liberamente dalla proposissione re- lativa? Certo s'avrebbe una ricer- catezza degna dello stile che si vuole esemplificare. La ricerca- tezza mi par tuttavia un poco so- 19 ') in Bft' opera finita e limata ua^ prius qupià da querimuSt parrebbe poco asHifrissirbile e si sarebbe por- tati a frapporre Ulam; n»lla no- stra non già. ^) Il Tr. tradusse, Di tutti i mi- feri m;' increfcCj ma ito mctggiwr pietà di catlùtrtOf i quali in txilia» affligindùfsL.» Le lacune che que- sta versione portava a supporre furono volute colmare dal Gorb. nel bel modo che, apparso prima- mente nei margini di G, fu man- tenuto ancora senza sospetto e dal Torri e dal Frat. Perfino un piget coir ahi. la passò liscia; e bisogna arrivare al Boehmer {Ueb'. ecc., p. 22) per trovare chi^ in luogo di cunctis volesse scrivere civitatiSj che nelle condizioni date era» certo UBA correzione molto ifagionevole. Diversamente da lui la peusò tut- tavia il Ginl., il quale, mosso dal senso che credeva di dover scor- gere nel passo, e insieme — o piut- tosto auzitntto — dalla versione del Tr., venne nel fermo convinci- medito ohe fosse sta^ « omesso miseris dopo cunctis, se pure que- sta voce medesima non si é scam- biata con misenis ». Nel testo ti|t- 146 LlB. II, GAP. VI, 4. das et veuustiis, qai est quorandam superficietenas ') retho* ricam aurientium, ut, Landabilis dUcretio marchionia Estenais*) et 8ìAa moffìiificeiitia preparata cunctù^ illumfacit esse dUectum.^) 1. 6 iuperJleierUenug ; T tuperficie-\\tetnu9 ^ [con canoelliiturB dell*« indebita]. 3. G pparata, T ^parata. G dilUetum, verchia e tale da divenire duressza; e mi domando se il piget non fosse da convertirsi in pigent. La costru- zione personale che ne risulte- rebbe potrebbe qui fare al caso, appunto perchò rara e antiquata. Come antiquata non mancano di registrarla i lessicografi medioe- vali. PigeOf -geSf -guij diceòa- tur antiquittiSf sed iam obaoluit, leggo per esempio in Uguccione. E tra i maestri che il medioevo ascol- tava reverente segnalerò Priscia- no, ItistituLy vili, 77, xi, 20 e Par- tii, duod. vers. ecc., 116 (Keil, Gramm, lai,, I, 432 e 661, n, 486), e Servio, commentatore di Donato (ib., IV, 440). Né i Hgidi scolares ign orli vano il quod nos pigeat e il ìieque id se pigere di Terenzio, in- torno a cui non è a credere che ragionassero come si può ragio- nare da grammatici moderni. Con tutto ciò, siccome la lezione diplo- matica si regge, conviene che io qui la rispetti. ') Poiché esempi di tenus col- r accusativo, validi per noi anche quando son spurii, non mancano, mio primo proposito era di non dipartirmi per questo rispetto dai mss., a differenza di quel che s' è fatto fin qui. Ma il silenzio in cui è lasciata dai teorici cotale costru- zione, la facilità con cui l'è, en,potè nascere, l' ore che s' avrà poi xiii, 8, e più ohe tutto il nostro stesso superficie II, i, 2, hanno finito per indurmi ad una determinazione di- versa. Cosi mi sono anche liberato da un piccolo dubbio che m'an- gustiava: se cioè scrivere super- ficteiìv- o superfiden-j posto che all'unione credevo non fosse da rinunziare. ') Per quanto la menzione en- comiastica del marchese d'Este susciti difficoltà, non avrebbe che una verosimiglianza minima l'idea che Dante avesse qui designato qualche altro signore, e che fosse poi avvenuta una sostituzione. ^) Il testo non m' appaga ab- bastanza; e che le cose non va- dano lisce, mostrano anche le oscil- lazioni avutesi nel modo d'inter- pungere. Del cunctis sente desiderio il dilectum, al quale difatti lo riferi il Tr. nella versione, e col quale lo col legarono, mediante la colloca- zione della virgola (praeparata, cunctis illum) il Maffei e discen- denza (Pasquali ecc.)» e il Frat. E par da riconoscere che, sottratto alla parte predicativa il eundis, ci s'aspetterebbe che VUlutn fosse di preferenza posposto a facU, D'altronde questo benedetto cufi- ca è domandato ben più imperio- samente dal preparata, che da solo, collocato com' è, non può va- lere « preveniente » , come vuole il Bernardoni; ed ecco assegnar- glielo il Corb., il Torri, il Giul. Di attutire le voci che ascivan di qui provò bisogno anche il Frat.''; giacché deve certo colle- garsi con dò il suo aver messo una virgola anche dopo fnagmfi- centia. Credette egli ohe, isolata LIB. II, OAP. VI, 4-5. 147 Est et sapidus et venastus etiam et*) exoelsos, qui est dieta to- rum illustrinm, ut, EiecUi maxima parte florum de ainu tuo, Florentiaj nequicqtcam Trinacriam TotUa') secundus^) adivit. 5. Huno gradum construotionis excellentissimum nomina- 1. O exeeltiut. 2. T eieta. T detum, o desuni. 3. [11 iie (juieqìMm, divino, ò ag- ganciato In G]. T ptu, G p», entrambi rappresentanti legittimi eli aeeundut; e quecita let- tura ò , si può dire, imposta in T dall' essere il compendio preoednto e sognito da un pnnto ; [G *iertta]. T aduL 4. G T excéOentinimu». in siffatta maniera, la voce prcò- parata potesse equivalere a valde parata? Quasi scommetterei che la credenza non si saprebbe con- fortar con esempi. Ma poi l'espres- sione, nonché ambigua, sarebbe stata assolutamente forviatrice; e però io non mi farei lecito di at- tribuirla a chicchessia. Bensì qual- cosa di equivalente e di non equi- voco ci è offerto da T col suo perparata, £ a perparaia fui sul punto di appigliarmi; sennonché un perparaius in luogo di paratis- gimìÀS è sempre una singolarità; e una tal quale incompiutezza riman pure innegabile. Cercai dunque se si presentasse qualche altra sosti- tuzione più sodisfacente; e aggiun- geva stimoli la considerazione che, indipendentemente dal resto, la magnificenHa preparata cunctis costituisca una frase che arresta un pochino; ma tutte le ipoteHÌ furono ad una ad una scartate. Un altro modo di risanamento potreb- be consistere nel raddoppiamento del cufica; ... cuncHs^ cunctvt. Che se accada di domandare, se il fio- retto che verrebbe cosi ad aggiun- gersi non renderebbe lo stile un po' troppo raffinato per la gente di coi si parla, gli epiteti sapidus e venustus darebbero forse animo di rispondere che no, o almeno di lasciar la cosa in sospeso. ^) Le edd. fanno preceder Te^'am da una virgola, il che nelle condi- zioni attuali ò assurdo. Ma sotto all' assurdità e' è un pensiero giu- sto, che ripete la sua origine dal Tr., il quale aveva tradotto, Ecci appresso} U saptoritoìf e venustto, et ancharra excélsto. Siccome cioè la dote che ora s'aggiunge alle già menzionate è quella espressa col- l' epiteto excelsuSf è ad esso che noi vorremmo riferir V etiam. Per poterlo fare bisognerebbe peraltro scrivere et etiam excelsus. L'inver- sione, non facile movendo dai no- stri mss. che ci danno etiam spiat- tellato, può cercare un appiglio ipotetico in un ascendente. Ma poi- ché materialmente sulle cose come stanno non e' ò a ridire e la colpa — ben lieve del resto — può esser di Dante, ragione vuole che, come tant' altre volte, ci si rassegni qui pure. ^) Il Prompt ha rilevato assai opportunamente, p. 27, come ci sia disaccordo tra questo luogo e la Commedia, dove {fnf. xiii, 149) la parte qui assegnata, colla tradi- zione dei cronisti fiorentini, a To- tila, è attribuita invece ad Attila da una lezione che resiste ad ogni scossa; ma cava una conseguenza indebita, argomentando che sia da sostituire Attila qui pure. 3) Il Tr. tradusse tardo^ il che vai quanto dire che sciolse in se- ruSf fermandosi, senza troppo ri- 148 LIB. Il, €^. TI, 5. mus, et hic est quem querlmue, eiim sapprema vo B iQwm r, ut dictum est. Hoc solum ìIlìtstreB oantiones iiiTeniantar 'oon- teKte; ut Gherardus, Si per ìnoìi Sobretots non fos; *"*) FdqtMiciB 1. G T hune: [G *hie]. 3. T mot gobretes nò /et. G oi presentii qua e«qidiùoDe ibrida, iu quanto vi n' ha ìno$, -tot , fot con degli o tagliati obliquamente, al da emnmv nel tempo steiMo e. XI confronto di T porterebbe a peuaare obe ai traitafwe di e matAti iu o ; ma la lettera del codice induce all' incontro a ritenere «he si aia ooniinciaio -dallo acnvere •. L' idea mia Tiene allora ad essere che V amanuense abbia voluto rendere fedelmente ona con- dizione offertagli dal suo esemplare. Dopo fot i codioi hanno la citazione del £• di 2ia- varrà, chu io trasporto piii gih. flettere, al primo uscio, il com- pejidio del codice (cfr. p 67 n. 2, p. 68 B. 3). Neesana meraviglia dunque che aerus scrivesse poi in margine e 8t.ampas8e il Corb., tra- smettendolo a tutti gli altri edi- tori. Quanto diventi piti limpida coi secuiidus T allusione a Carlo di Valois acorta sagacemeate dal Dionisi, Seriedi Àìieddotif IV, d3-94, e riconosciuta quindi generalmen- te, non ò chi non veda, ancorché del 8eru8 ci tosse modo di dare un' interpretassione più fedele che non sia < il nuovo, o 1' ultimo To- tila > del Dionisi stesso, < quel To- tila degli ultimi tempi » del Del Lungo {Dante ne" tempi di Dante^ p. 383). ^) Poiché il Tr. portava meefto- br^tes .../«#, era ben naturale che si decidesse per mee sobretea ,.,fes anche il Corb. — Torri-Nann. (con cai, si rammenti, convengono sem- pre, salvo che s' avverta il con- trario, Frat'' e Giul.), Si per mon Sobre-Totz no fos, ^) A costo di parer troppo ar- dito, non mi rassegno a permet- tere che r esempio francese conti- nui, come sempre è avvenuto, a interromper la serie dei provensali. £ per rimediare, non ricorro al- l'inversione dei primi due termini, che sarebbe il wèbesùo pia sempliee, vietandomelo ii confronto di I, IK, 3 e II, V, 4. Il oor aggio del nuita- mento mi è dato dalla facilità colla quale il disordine può essere spie- gato : per via cioò di aggiunto mai'ginali fatte all' esempUficaaio- ne. A qualcosa di analogo, seb- bene, secondo me, per altro motivo e inuna£ase diversa della tradiaio- ae, ò dovuto più oltre lo spostamen- to della citazione di Aukerìgo di Peguilhan.Qffi, stando all'idea a cui mi son fermato da ultimo, ie ooae dovrebbero yeroaimilmente easese avvenute cosL Dante, al quale, come agritaiiani in genere, i lirici francesi erano assai meno fami- liari ed accessibili che i firovea- sali, e che non poteva ricorrere per la terza volta al soliio De fta amor ai tdent aen et bonté (I,